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Ho letto con interesse l’intervento di Gianni Gandola sull’insegnante unico. Sottoscrivo in pieno tutte le sue argomentazioni, mi permetto solo di aggiungere alcune precisazioni. Quando don Milani disse, attraverso i suoi ragazzi, che la scuola non può essere un ospedale che accoglie i sani e respinge gli ammalati e con la sua lettera datata 1967 tirò le orecchie alla “famosa professoressa”, eravamo alla vigilia del movimento studentesco che con la sua critica sociopolitica fu aiutato proprio da don Milani a focalizzare il problema della valutazione sommativa, rituale tradizionale della scuola. Sotto la lente di ingrandimento, partendo dalla scuola media, fu allora messo tutto il sistema scolastico, compresa l’Università. Sotto accusa furono messe le prassi metodologiche troppo formali ed astratte,.il tempo troppo ridotto per dare la possibilità a tutti di integrare le conoscenze, ma soprattutto la prassi valutativa, che rendeva evidenti come esiti terminali la selezione e l’ emarginazione delle classi più disagiate culturalmente ed economicamente. A quel tempo eravamo molto sensibili ai principi costituzionali che avevano ispirato la nostra Carta e credevamo al suo valore sostanziale non solo formale! Il sessantotto, come dice bene Gandola, non offerse però una modalità alternativa, portò comunque ad una efficace consapevolezza sull’argomento e scosse le coscienze. Per quanto attiene la valutazione si limitò a suggerire che se questa, come veniva comunemente esercitata, produceva degli effetti così perversi, era meglio astenersi dal valutare…La variabile da considerare era che la scuola, nel frattempo, con l’approvazione della scuola media unica, primo provvedimento della nuova Repubblica per la realizzazione del diritto allo studio per tutti, da elitaria era diventata di massa ma le prassi scolastiche, al suo interno, erano rimaste immutate. Nemmeno la critica docimologica che, nel frattempo, aveva sottolineato come le prove tradizionali portassero ad una valutazione soggettiva, arbitraria e quindi iniqua, riuscì a suggerire una strategia che rimediasse l’aspetto fortemente selettivo, perché l’unico correttivo che suggeriva fu l’oggettività delle prove. Queste ultime infatti erano uno strumento di misurazione ancora più discriminate se usate come punto di arrivo e non invece come punto di partenza per rilanciare l’insegnamento. Abbiamo appunto dovuto aspettare la L.517 del ‘77 per trovare come la critica pedagogica riuscisse a porre in essere un’ottima proposta che doveva correggere il tiro e sostenere la scuola ad intraprendere un percorso diverso, costituito da aspetti fortemente innovativi, ( l’integrazione dei soggetti in situazione di handicap, la programmazione curricolare, l’abolizione delle pagelle con i voti numerici e la sostituzione di queste con le schede che ospitassero dei giudizi frutto di riflessione articolata intorno a degli indicatori di apprendimento!)tra cui appunto una nuova prassi valutativa che doveva aiutare i docenti nel loro lavoro di promozione di tutte le potenzialità dei propri allievi. Questa valutazione fu chiamata “valutazione formativa”e ricompare con la stessa denominazione nelle recenti indicazioni per il curricolo, che per fortuna lo tsunami Gelmini non ha toccato… La valutazione formativa consiste, in poche parole, nel non ascrivere tutta la responsabilità dell’eventuale mancato apprendimento solo al ragazzo portatore del disagio di non apprendere, al suo scarso impegno, alla sua dotazione genetica carente sul piano dell’intelligenza o a quanto altro ancora ma sollecita l’insegnante ad assumere perlomeno la corresponsabilià e lo invita ad auto- interrogarsi sulle proprie strategie metodologico- didattiche, a cercarne di alternative, più adatte ai soggetti in difficoltà o più operative e meno formali ed astratte. In altre parole la valutazione innanzi tutto è autovalutazione della propria preparazione culturale, didattica e psicologica con assunzione di un adeguato aggiustamento in itinere,che avverrà sotto la spinta di una costante ed attenta osservazione valutativa in grado di cogliere subito l’ostacolo che inceppa il processo apprenditivo. Soltanto alla fine dell’anno scolastico la valutazione diventerà sommativa ma sempre nell’ottica di una consapevolezza reciproca delle difficoltà e delle sue tipologie ed espressa con dei giudizi che diventeranno orientativi rispetto ai punti di forza e di debolezza sia per i ragazzi che per i genitori. Una valutazione a scuola richiede perciò un corpo docente di professionisti altamente riflessivi non il ritorno alla scorciatoia del voto numerico!!!! Per quanto attiene poi il docente unico, lasciatemi fare alcune osservazioni anagrafiche , ma vi siete resi conto dell’età che hanno i giornalisti o anche i professori universitari, le cosiddette ”buone firme”, che lo difendono? Non ultimo De Rita o Citati o altri che già erano attempati nel 1990 quando è stata approvata la legge e fin da allora discettavano in difesa del docente unico!!!Manca all’appello Guzzanti, il padre naturalmente, .ma vedrete che fra un po’ risponderà . Ricordo che si era opposto già a quel tempo all’introduzione del team docente inneggiando alla maestrina dalla penna rossa! Non occorre masticare molto di psicanalisi per capire che questi personaggi credono di rimpiangere il docente unico, ma stanno rimpiangendo la loro giovinezza o infanzia! George Mauco, pedagogista francese di formazione psicoanalitica, parla infatti di come il bambino sia un simbolo carico di risonanze affettive per l’adulto al quale rievoca l’infanzia e non solo… Lasciamo perciò che ad argomentare intorno a questo argomento, l’organizzazione della scuola elementare, siano coloro che hanno traghettato la riforma , hanno quindi accompagnato il cambiamento dall’insegnante unico alla pluralità docenti e che in mezzo ai bambini sono vissuti sempre, tutti i bambini, non solo nipoti o pronipoti. Qualcuno dei docenti o dirigenti scolastici è stato interpellato prima che fosse varato questo decreto o l’idea è nata una sera a cena con le mogli degli onorevoli, come successe per esplicita ammissione del premier per la riforma Moratti? Ma che ne sanno di scuola, della Legge 148/90, della L.517, i vari Tremonti, Sacconi, Berlusconi, e alla fine Gelmini?!!! (Se il tutto si è deciso nell’arco di un Consiglio dei Ministri in una serata di fine estate) Oddio, a dire il vero Sacconi è dagli anni novanta che ce l’ha a morte con la pluralità docenti, ricordo che incontrandolo per le vie di Treviso mi palesava il suo disappunto, anzi la sua netta contrarietà, naturalmente per questioni economiche. Ora invece si aggiungono lampantemente anche quelle ideologiche ed è molto peggio! Anche allora ho cercato di spiegargli, ma senza risultati, che non era una questione di ampliamento di posti, come sottolinea anche Gandola. Ma il pensiero facile, riflettente e non riflessivo, sappiamo che evita la fatica della ricerca di senso ed usa le scorciatoie! A tale proposito aggiungo una informazione ulteriore: quando la Commissione Fassino-Laeng, consegnò nelle mani del Ministro Falcucci (oh, quanto la rimpiangiamo!!!allora però non ne eravamo consapevoli!) il testo dei Nuovi Programmi dell’85, allegò una lettera di accompagnamento che rese pubblica e che tutte le scuole ebbero l’opportunità di leggere. In questa lettera la Commissione affermava che quel testo, che riconosceva essere particolarmente impegnativo dal punto di vista culturale, in quanto ogni indicazione disciplinare scaturiva dall’impianto epistemologico che la comunità scientifica di quel sapere specifico riconosceva come il più accreditato, non poteva essere affrontato e rielaborato dal vecchio insegnante tuttologo. Il suggerimento perciò fu che si proseguisse con la riforma degli ordinamenti che doveva prevedere più docenti ( che poi furono tre su due classi o quattro su tre classi) in modo che si potessero raggruppare i saperi in tre ambiti che offrissero, non l’appesantimento disciplinaristico ma l’approfondimento, la ricerca di senso e l’individuazione dei quadri concettuali fondanti di ogni disciplina, PENA L’IMPRATICABILITA’ dell’applicazione dei nuovi programmi E che dire oggi dal cambio di paradigma culturale? Non siamo più all’interno del paradigma della cultura lineare (come negli anni ottanta) caratterizzata dalla logica binaria e semplificante :”o” questo, “o” quello, ma siamo nella globalizzazione e nel paradigma della cultura della complessità, come ben riconoscono le indicazioni Si parla di multilogica, multidimensionalità., parzialità del punto di vista, competenze da acquisire di cittadinanza europea, la cui caratteristica trasversale e principale passa attraverso la capacità di confrontarsi e lavorare insieme, interagire nel gruppo, imparando a gestire i conflitti , a progettare, a comunicare con diversi linguaggi, a risolvere problemi, ad imparare ad imparare, ecc. Si parla di insegnare soprattutto il pensiero riflessivo che coglie connessioni, analogie, differenze, nessi anche tra i dati che appaiono s-connessi, che mette in atto competenze interpretative della realtà e degli eventi, dato ineludibile per costruire cittadinanza e non farsi quindi manipolare dagli altri, dato caratteristico invece della sudditanza! E che dire del rischio dei nuovi fondamentalismi se non siamo in grado di educare le nuove generazioni all’ascolto e al rispetto dell’altro, inteso come diverso per etnia, religione, cultura , ecc.? A fronte di questa complessità educativa, che giustamente la comunità scientifica ed europea richiede debba essere la mission oggi della scuola- per rendere adeguate le giovani generazioni ad abitare la cultura della postmodernità- la proposta che il governo partorisce è quella vergognosa di tornare al docente unico di trenta, quarant’anni fa e di ridurre drasticamente il TEMPO SCUOLA? Credo che proprio a partire dalla riduzione irresponsabile del tempo scuola debba scaturire, da chi la scuola la pratica , docenti e dirigenti, e da chi la scuola la frequenta, alunni e genitori, un’azione decisiva ed illuminante nei confronti di chi la scuola la strumentalizza, per cercare il consenso populistico. Il consenso della gente, del senso comune dell’uomo della strada, di tutte le persone che appunto non hanno strumenti culturali nè informazioni corrette per rielaborare le proposte che arrivano e si fanno perciò trasportare dall’onda del qualunquismo. Invito perciò caldamente tutti i docenti ad organizzarsi velocemente per far arrivare al più presto la propria voce all’opinione pubblica, al Parlamento e al Governo. La settimana prossima il decreto approderà alla Camera…perché entro 60 giorni a partire dalla sua approvazione dal Consiglio dei Ministri deve essere approvato. NON FATEVI RICACCIARE NELLA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI! |
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