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Mi sembrava strano che ancora non si fosse fatta sentire nessuna voce di qualche fans o pasdaran di Bertagna-Moratti a proposito delle nuove indicazioni. Le leggo ora e mi sento sollecitato a qualche considerazione. (1) Intanto mi chiederei: tutte qui le considerazioni “critiche”? Sembra aver destato il massimo della meraviglia il lavoro di “espunzione” degli “oggetti pedagogico-didattici” della riforma morattiana (PECUP, Obiettivi ecc., U.d’A., PSP, portfolio, tutor ecc., ecc. Sarà il caldo estivo che mi fa sragionare, ma, mi chiedo: quale disegno divino contempla l’eternità della riforma morattiana? Toccherà che qualcuno avvisi che c’è stata una tornata elettorale, Moratti e il divin Silvio hanno perso le elezioni, e che a contribuire a questa demoniaca opera hanno concorso in modo rilevante gli insegnanti e quel mondo della scuola che per tutta la legislatura ha rifiutato, in qualche caso “sabotato”, la riforma di cui sopra. Ora qualcuno assume come termine di paragone massimo la riforma Moratti e, rispetto alla sua distanza, si fanno osservazioni e rilievi critici alle nuove indicazioni nazionali. Certo che si possono fare critiche, e si sono fatte, sia perché, almeno in alcuni punti dell’impianto, esse non prendono decisamente le distanze. Sia perché demoliscono e si allontanano troppo dalle “vecchie”. Ovviamente questo gioco di distanze (troppo vicino-lontano) ad un certo punto diventa stucchevole ed allora bisognerà ritornare per forza alla realtà, perché solo a questo livello si possono capire le diversità degli approcci e delle posizioni. Ma anche il “che fare”. La realtà cosa ci racconta? Che la riforma Moratti è stata rifiutata dalla gran parte del mondo della scuola. Ora sarebbe bene per il nuovo legislatore capire le ragioni di fondo di questo rifiuto, e ciò, a mio avviso, non sembra essere avvenuto, sia per la figura del nuovo ministro che io vedrei volentieri ad un altro ministero, sia per limiti politici della linea di governo sulla scuola. Come spiegavano Moratti-Berlusconi questo rifiuto? Dicendo che sono poche decine di vetero-comunisti conservatori. Estremisti ideologicamente bacati e faziosi che strumentalizzano la loro posizione di insegnanti per opporsi al governo legittimo del paese ed alla bontà di una riforma, anzi della Riforma. Il divin Silvio nel suo delirio di onnipotenza diceva che nemmeno Gentile aveva fatto una riforma così. La sua anzi era la prima ed unica riforma che rendeva moderno il sistema paese. Cosa che poi tutti obiettivamente abbiamo avuto modo di constatare!? Il malessere degli insegnanti in realtà era molto vasto e diffuso e coincideva con quello di molti genitori e tantissimi studenti. Esso era, ed è, manifestazione di un grave disagio e di processi sociali e culturali profondi che vedono al centro la crisi della scuola e della società più in generale. Questo occorre tener presente, altrimenti si fa la guerra dei documenti, si fa la guerra delle parole, delle idee che ciascuno ha sulla scuola, si fa la guerra delle “ricette” e dei singoli provvedimenti, dei cacciaviti e dei martelli pneumatici. Occorre onestà intellettuale per capire che la questione scuola e la condizione degli insegnanti nel nostro paese sono venuti a coincidere per una serie di ragioni che qui sarebbe troppo lungo analizzare. E che non si può mettere mano all’una senza risolvere l’altra contestualmente, o quanto meno avviarsi a risolverla, imbroccando la strada giusta. Certo che se la classe dirigente del paese, non solo i politici e gli amministratori, ma anche i mezzi di comunicazione e gli intellettuali e giornalisti di grido che su di essi scrivono o dicono, o lo pensano senza dirlo, come fa Fini («Ma ci rendiamo conto che i nostri figli sono in mano ad un manipolo di frustrati che incitano all’eversione?»), allora non c’è scampo. Dobbiamo cedere al pessimismo e rassegnarci all’idea che in questo paese non ci sono le condizioni per un rilancio dello sviluppo economico e democratico a partire dalla scuola. Alla faccia della demagogia e dei proclami elettorali che ancora risuonano a destra e a manca. Alla faccia di chi si riempie la bocca di scuola pensando solo al proprio particulare (di parte politica, di gruppo, di associazione, di sub-categoria, di interessi specifici anche personali di carriera/e, di disciplina ecc.). Ma, allora, cosa fare per la causa della scuola? A mio avviso occorre concentrare le energie e le volontà per ricostruire un contesto favorevole alla scuola, come? Elevandola ai primi posti dell’agenda governativa, facendo passare il messaggio che senza una buona scuola questo paese non va da nessuna parte, si può solo avvitare su se stesso. Occorre dare fiducia e sostanze alla scuola prendendo il coraggio (o il rischio direbbero alcuni) di fare un investimento strategico i cui frutti non possono essere fruiti nell’immediato, perché i tempi della scuola non sono quelli della politica, né quelli della congiuntura economica. In questo contesto affrontare con decisione la questione degli insegnanti, la loro condizione retributiva e status professionale, diventa essenziale e imprescindibile; altrimenti nessun provvedimento strutturale, organizzativo, di contenuti potrà essere accettato e realizzato. Sulla base di questi interventi sul contesto e sullo condizione degli insegnanti si potrà mettere mano ai contenuti, che non saranno “altro” a questo punto e necessariamente dovranno tener conto delle premesse ed essere in situazione con esse. Dietro gli “Orientamenti” della Moratti c’era tutto ciò? E dietro quelli di Fioroni? No, dal testo e dall’extratesto e soprattutto dall’azione concreta di governo non si deduce alcun segnale e volontà che riconducano alle condizioni che io ritengo necessarie ed indispensabili per far ripartire la scuola. Questo è il punto fondamentale di metodo e di merito, prima ancora che tecnico e specifico dei Nuovi Orientamenti e di ogni iniziativa legislativa e di governo. Camuffare la dissonanza politica sotto forme di osservazioni “tecniche” non mi sembra produttivo. Io “sogno” degli Orientamenti che siano davvero tali, quindi privi di ogni slogan (personalismo, nuovo umanesimo ecc.) condizionante che rischia di trasformarli in un “manifesto”. Lo sogno asciutto, sobrio nei contenuti e nel linguaggio, semplice come una Costituzione, la nostra Costituzione. Un documento fondativo che possa costruire l’identità della scuola di tutti e di ciascuno, la scuola nazionale e statale, la scuola italiana che resta unitaria anche nei mille colori delle autonomie che la sostanziano e l’arricchiscono. Io “sogno” solo pilastri e travi di curricoli in modo che le scuole possano costruire tutto il resto dell’edificio e connotino gli ambienti guidate dalla cultura pedagogica e didattica storicamente accumulata e dal progetto che la situazione detta loro. Ma, per cortesia, non fatemi assistere al dramma penoso delle “discipline” che lottano l’un contro l’altra armata per dire: Io sono la più bella, io sono la più importante. Io “sogno” una scuola in cui gli insegnanti, con buona pace del burn out, possano insegnare tranquilli, sapendo che la società fa affidamento su di loro, crede nel loro lavoro e che parti costitutive e imprescindibili del loro status professionale sono l’aggiornamento continuo, la ricerca e la sperimentazione. Io “sogno” condizioni, situazioni, ambienti di apprendimento/insegnamento in cui gli studenti non prendano in giro gli insegnanti con i telefonini perché si annoiano, o facciano i bulletti tra di loro, ma si tuffino quotidianamente nel “cantiere” dove si costruiscono conoscenze interessanti, comportamenti virtuosi e produttivi, cittadinanze politiche, sociali, ideali, progetti di ogni genere. Ma forse il mio è solo il “sogno” di un visionario che, nonostante una vita spesa nella e per la scuola, a volte con amarezze e delusioni, non ha mai smesso di amare il proprio lavoro di insegnante e questa istituzione.
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