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ANCORA PAROLE
Del convegno di Bellaria del 16-17 marzo 2002 (organizzato da Diesse) con la partecipazione e gli interventi del Ministro Letizia Moratti, dell’On. Valentina Aprea e del Prof. Giuseppe Bertagna, mi sono rimaste negli orecchi alcune parole, alcune frasi che vado rimuginando dentro di me con grande senso d’impotenza. L’impotenza che avverto insieme con molte/i colleghe/i da qualche anno a questa parte (e intanto gli anni spietatamente corrono via senza alcuna certezza e stabilità!) è suscitata dalla voragine che si è aperta fra chi la scuola, le/i bambine/i li vive, nella pelle, nel cuore, nella mente, ogni giorno, con i loro problemi, mai neppure sfiorati, e quelli che argomentano dall’altra parte del baratro. Anche in questo convegno sono state dette tante parole alte, positive, condivisibili…, ma è sul piano di fattibilità che non resta nulla tranne le parole, contraddette dalle scelte annunciate: tagli (l’On. Aprea li ha giustificati facendo presente che ora ci sono organici gonfiati e un eccesso di corsi (?); cancellazione del tempo pieno della legge 820/’71 (il Prof. Bertagna ha sostenuto che il t.p. ci sarà,"ma chi l’ha detto che dovrà essere fatto nello stesso modo!"; anticipo dell’entrata alla scuola dell’infanzia ed elementare (l’On. Aprea ha affermato che i giovani devono uscire a 18 anni per via dell’Europa e che i bambini non hanno difficoltà a entrare prima nella scuola materna ed elementare, già lo fanno nelle private…La stessa On.Aprea ha stizzosamente risposto (a un’insegnante di scuola dell’infanzia, alzatasi tra il pubblico, che ha praticamente urlato "venga lei in una classe di 28…c’è mai stata?!") che verranno forniti personale (?!) e ambienti idonei (?) e che in ogni caso verrà fatta una verifica fra tre anni. Le insegnanti dell’infanzia hanno ancora una volta mostrato di conoscere e stare dalla parte delle bambine e dei bambini e negli incontri predisposti per loro mi hanno riferito che si sono ribellate decisamente anche sulla facoltà lasciata ai genitori di decidere o no se mandare le/i figlie/i in anticipo e hanno ribadito la specificità dei vari ordini di scuola. L’On. Aprea ha affermato che proprio per venire incontro alle esigenze dei bambini più piccoli, la prima classe elementare è considerata "a parte" rispetto alle altre classi elementari che sono collegate in bienni (2°-3°) (4°-5°). Mah! Ci siamo battute/i tanto per non perdere un anno di scuola con la riforma Berlinguer, e ora, con una veste dorata di scena, quell’anno verrà a essere un ibrido, mettendo in difficoltà ben due ordini di scuola, proprio quelli stimati come i più solidi e riusciti! Altro sconcerto provo nel ricordare come il Prof. Bertagna ha liquidato la questione ("annunciata" già nei suoi documenti) del tornare a una figura di insegnante prevalente (non è stato detto quasi nulla intorno all’argomento e ciò mi fa tremare: che abbiano già deciso a tal proposito?) lamentando velatamente la non buona riuscita dei moduli alle elementari. Si resta come sempre allibite/i di fronte alla facilità con cui si enunciano fallimenti, difficoltà, bisogni di cambiamento nella vita altrui (in questo caso la vita di chi lavora nella scuola e delle/dei bambine/i), mentre i meccanismi, i modi di "chi ci governa" non cambiano: affermano cose che non ci pare abbiano una reale consistenza, che ci sembrano lontane mille miglia dalla realtà che viviamo, e le danno per vere e assodate. Così come, per molte/i di noi, non ha consistenza l’enunciato più volte sostenuto nel convegno che la differenziazione economica (in base alla valutazione dei docenti) delle/degli insegnanti porterà a una maggiore qualità della scuola; anzi, non ce l’ha soprattutto ora che si annunciano tagli e cambiamenti, i quali renderanno ancor più difficile lavorare in modo sereno, proficuo e solidale. A onor del vero, però, buona parte della platea presente al convegno ha mostrato entusiasmo per la "valutazione": è sembrato che le/i docenti abbiano la convinzione di essere tutte/i "brave/i" come se, quasi soltanto per il fatto di essere lì presenti ad assentire con calore, si fosse realmente in gamba a insegnare e si esorcizzasse l’ingiustizia futura (perpetrata ai danni di qualcuno/a dentro una categoria che tutta ha dato tanto finora senza alcun riconoscimento!) di non essere fra le/i migliori. Ma, forse, realmente si pensa di essere tutte/i migliori della/del collega della porta accanto?! E migliori in cosa poi?! La scelta dei criteri per la differenziazione, infatti, dipenderà sempre da chi li deciderà e dal valore attribuito a essi, ma non per questo saranno mai universalmente riconosciuti come gli unici qualificanti! Ora, non tutte/i hanno l’accortezza umana di diffidare, indipendentemente dalla posizione politica di appartenenza, delle parole di chi le pronuncia, quindi spesso viene accettato per buono ciò che viene proclamato dalla parte politica a cui si crede di essere vicine/i e molte/i non si ribellano più per le cose in cui credono e che valgono! In questo convegno è stata fatta poi un’ aspra critica alle pedagogie che insistono sulle strategie e sugli strumenti, e si è ricordato "il valore della persona che insegna" e "dell’introduzione alla realtà", ecc…Mi è sembrato riduttivo, manicheo e un po’ scontato il voler vedere il male nel costruttivismo (che come ogni "faccenda" umana ha delle pecche!); invece sappiamo che molti fallimenti, nella scuola, si hanno proprio quando l’insegnante è convinto di possedere la verità, non fa nulla per avvicinarsi a chi si trova in difficoltà d’apprendimento e per alleviargli la "noia", considerandolo un minus habens! Credo che siamo tutte/i d’accordo che "la verità di vita dell’individuo che insegna" sia importante, e che "il ragazzo respira la modalità con cui l’adulto si pone nella classe"…e che "l’educazione è comunicazione di sé"…e che "questo io che comunica è l’impatto che ho con qualcuno che ho davanti e che mi provoca ad una mossa". Ma la "mossa", dico io, va sostenuta con competenze che prevedono strategie mirate, strumenti aggiornati, raffinati e affinati con l’aggiornamento, lo studio, l’applicazione costante di avvedute scelte metodologiche e didattiche: o, forse, si vuole sostenere che bastino il valore personale, il credo filosofico, la "moralità" e i valori per innalzare la qualità e fare dell’atto educativo un successo esistenziale? Se così fosse, chiunque, con tali requisiti, potrebbe insegnare: non ci sarebbe bisogno di docenti, ma di filosofi, di persone per bene, di intellettuali appassionati e via dicendo!
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