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Piano ISS: una occasione mancata? di
CARLA SAGRETTI e
STEFANO STEFANEL
Alla base del Piano ISS (Insegnare le Scienze Sperimentali) c’è un’idea eccellente e pienamente condivisibile di intervento nazionale su un settore strategico della scuola, erroneamente trascurato per anni e riportato alle cronache non da una critica sul modo di intendere il rapporto tra materie umanistiche e materie scientifiche nella scuola, ma perché l’Ocse-Pisa ha inserito le scienze nelle tre aree su cui monitorare i quindicenni nell’ambito dell’analisi periodica sui sistemi di istruzione. L’idea vincente del Piano Iss era quella di coniugare uno sviluppo delle scienze sperimentali a scuola attraverso un intervento che raggiungesse tutti i docenti: uscendo dalla logica di scuola e da quella di corso di formazione o aggiornamento con il Piano Iss si voleva introdurre in modo sistematico la pratica sperimentale,dandole la stessa dignità di quella teorica. Il richiamo ad un curricolo di scienze sperimentali unico dai 6 ai 16 anni oltre a intercettare l’esigenza di verticalità che caratterizza le Indicazioni per il curricolo, ha cercato anche di strutturare dei percorsi formativi capaci di attirare nel Presidio le buone pratiche per poi rilanciarle sul territorio. Alla base del Piano Iss c’era l’idea che la creazione di momenti e argomenti legati alle scienze sperimentali fosse già di per sé un utile approccio alla revisione del rapporto di sudditanza della scienza sperimentale rispetto alla scienza teorica e di questa rispetto al mondo umanistico. Tutte queste intenzioni e la loro declinazione teorica trovano spazio nel n° 1/2007 degli Annali della Pubblica Istruzione, soprattutto nei contributi di Irene Gatti, Piano ISS e di Luigi Berlinguer, Gruppo di lavoro per lo sviluppo della cultura scientifica e tecnologica – Presentazione. Di per sé la costruzione del Piano aveva solo limiti economici, ma spingeva verso una strada di cogestione in modo che fossero le scuole stesse a trovare nei Presidi il luogo in cui far convergere la formazione e le risorse ad essa collegate sul versante scientifico. C’era insomma la speranza che i Presidi fossero il punto di vedetta del territorio per lo sviluppo di una cultura sperimentale. Il rapporto con le Associazioni scientifiche e le Università era forse un po’ sbilanciato, ma assolutamente necessario per collocare il Piano dentro un alveo di reale consistenza metodologica.
Molte sono le cose che hanno funzionato e che mi limito ad elencare:
Potrebbero già bastare le cose elencate per dire che, comunque, al di la dei limiti sotto enunciati il Piano Iss andava lanciato ovviamente questa è la mia opinione. Il tentativo del Ministero è stato doveroso e con lati fortemente positivi, che per la prima volta hanno aperto la strada nella scuola italiana ad un dibattito e ad un’attenzione sulle scienze sperimentali.
Alcune cose però non hanno funzionato:
In sintesi il Piano Iss non è riuscito a raccordare la figura del Direttore con quella dei Tutor e ciò ha comportato uno sbilanciamento sul fronte dell’autonomia scolastica e del coinvolgimento anche economico delle scuole della zona. Il “Presidio diffuso” cioè su molte sedi è stato sostituito dal “Presidio” rigidamente ancorato ai laboratori della Scuola secondaria, facendo perdere al Piano la sua funzione di validatore delle pratiche scientifiche delle scuole.
Se i Tutor gestiscono i Presidi da soli e si ancorano ai laboratori e alle loro disponibilità ancora una volta ci avviteremo sulle questioni che hanno portato alla debolezza della scienza sperimentale scolastica italiana. E’ necessario invece ragionare su alcuni punti-chave del problema:
Manca nell’attuale declinazione del Piano una vera ricerca-azione, che tolga quella patina di “già visto” ad esperimenti fatti con materiali poveri in laboratori poveri. Il lavoro all’aperto, lo studio dell’ambiente, la sperimentazione ambiziosa, il coinvolgimento economico delle scuole del Presidio per azioni di formazione approfondite, la diffusione del Presidio su più sedi possibile sono le strade che io ritengo vadano battute e in fretta prima che il Piano deragli. Richiamarsi costantemente a ciò che è stato detto nelle sedi di formazione nazionale impoverisce l concetto di Piano e anche quello di Autonomia. Per ultimo, se si vuole costruire una comunità di pratica che riflette sull’importanza della metodologia sperimentale come approccio ad una conoscenza significativa, è necessario abbattere le strutture rigide dei ruoli enunciate in sede nazionale. I Docenti per loro natura non hanno una visione sistemica, i Dirigenti per loro natura non hanno approfondite e aggiornate conoscenze sperimentali. Solo la loro sinergia può produrre grandi risultati di sistema. Protagoniste del Piano devono essere le scuole, non i laboratori di qualche Istituto secondario. |
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