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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Piano ISS: una occasione mancata?

di CARLA SAGRETTI
Dirigente scolastico – Direttore Presidio ISS di Civitanova Marche Centro Interculturale

e STEFANO STEFANEL
Dirigente scolastico - Direttore Presidio Iss Udine 2

 

Alla base del Piano ISS (Insegnare le Scienze Sperimentali) c’è un’idea eccellente e pienamente condivisibile di intervento nazionale su un settore strategico della scuola, erroneamente trascurato per anni e riportato alle cronache non da una critica sul modo di intendere il rapporto tra materie umanistiche e materie scientifiche nella scuola, ma perché l’Ocse-Pisa ha inserito le scienze nelle tre aree su cui monitorare i quindicenni nell’ambito dell’analisi periodica sui sistemi di istruzione. L’idea vincente del Piano Iss era quella di coniugare uno sviluppo delle scienze sperimentali a scuola attraverso un intervento che raggiungesse tutti i docenti: uscendo dalla logica di scuola e da quella di corso di formazione o aggiornamento con il Piano Iss si voleva introdurre in modo sistematico la pratica sperimentale,dandole la stessa dignità  di quella teorica. Il richiamo ad un curricolo di scienze sperimentali unico dai 6 ai 16 anni oltre a intercettare l’esigenza di verticalità che caratterizza le Indicazioni per il curricolo, ha cercato anche di strutturare dei percorsi formativi capaci di attirare nel Presidio le buone pratiche per poi rilanciarle sul territorio.

Alla base del Piano Iss c’era l’idea che la creazione di momenti e argomenti legati alle scienze sperimentali fosse già di per sé un utile approccio alla revisione del rapporto di sudditanza della scienza sperimentale rispetto alla scienza teorica e di questa rispetto al mondo umanistico. Tutte queste intenzioni e la loro declinazione teorica trovano spazio nel n° 1/2007 degli Annali della Pubblica Istruzione, soprattutto nei contributi di Irene Gatti, Piano ISS e di Luigi Berlinguer, Gruppo di lavoro per lo sviluppo della cultura scientifica e tecnologica – Presentazione. Di per sé la costruzione del Piano aveva solo limiti economici, ma spingeva verso una strada di cogestione in modo che fossero le scuole stesse a trovare nei Presidi il luogo in cui far convergere la formazione e le risorse ad essa collegate sul versante scientifico. C’era insomma la speranza che i Presidi fossero il punto di  vedetta del territorio per lo sviluppo di una cultura sperimentale. Il rapporto con le Associazioni scientifiche e le Università era forse un po’ sbilanciato, ma assolutamente necessario per collocare il Piano dentro un alveo di reale consistenza metodologica.

 

  1. Che cosa ha funzionato

Molte sono le cose che hanno funzionato e che mi limito ad elencare:

  • migliore attenzione delle scuole verso le scienze sperimentali;

  • analisi su alcune tematiche chiave della sperimentazione (luce, terra, trasformazioni, ecc.);

  • raccordo tra Presidi e Università;

  • nascita di punti di raccolta di discussione, analisi e pratiche;

  • sviluppo di una ricerca su materiali da proporre;

  • raccordo del mondo scientifico scolastico;

  • efficienza del Ministero e degli Uffici scolastici periferici nella gestione delle informazioni, della formazione, della proposta.

Potrebbero già bastare le cose elencate per dire che, comunque, al di la dei limiti sotto enunciati il Piano Iss andava lanciato  ovviamente questa è la mia opinione. Il tentativo del Ministero è stato doveroso e con lati fortemente positivi, che per la prima volta hanno aperto la strada nella scuola italiana ad un dibattito e ad un’attenzione sulle scienze sperimentali.

 

  1. Che cosa non ha funzionato

Alcune cose però non hanno funzionato:

  • l’autoreferenzialità dei Tutor e la loro burocratizzazione nell’ambito di compiti ritenuti come rigidi;

  • la mancata comprensione da parte di molti Tutor del concetto di autonomia scolastica;

  • la debolezza delle proposte per la scuola primaria, dove gli insegnanti sono per lo più di derivazione umanistica;

  • la creazione della figura del Direttore di Presidio vissuto spesso dai Tutor come un semplice burocrate o “ passacarte pagatore”;

  • la mancata gestione dei rapporti con il territorio sul territorio.

  • le risorse limitate

  • la mancata consapevolezza delle scuole autonome del ruolo del Presidio

In sintesi il Piano Iss non è riuscito a raccordare la figura del Direttore con quella dei Tutor e ciò ha comportato uno sbilanciamento sul fronte dell’autonomia scolastica e del coinvolgimento anche economico delle scuole della zona. Il “Presidio diffuso” cioè su molte sedi è stato sostituito dal “Presidio” rigidamente ancorato ai laboratori della Scuola secondaria, facendo perdere al Piano la sua funzione di validatore delle pratiche scientifiche delle scuole.

 

  1. Siamo ancora in tempo?

Se i Tutor gestiscono i Presidi da soli e si ancorano ai laboratori e alle loro disponibilità ancora una volta ci avviteremo sulle questioni che hanno portato alla debolezza della scienza sperimentale scolastica italiana.

E’ necessario invece ragionare su alcuni punti-chave del problema:

  • l’accento sulle scienze sperimentali “povere” è un ritornello stanco: bisogna cominciare a fare scienze sperimentali “ricche” o almeno “benestanti”: avere risorse e tecnologie per fare scienze sperimentali non deve essere una vergogna;

  • solo il coinvolgimento delle scuole e delle loro realtà locali può aumentare l’attenzione verso le scienze sperimentali;

  • è necessario smettere di proporre “esperimenti in cantina ad un paio di amici” e andare nelle scuole (soprattutto quelle primarie) per validare pratiche e produrre esperienze;

  • il direttore del Presidio deve gestire la disseminazione delle pratiche e delle esperienze nella più ampia zona d’influenza possibile; i Tutor devono valicare pratiche di scienze sperimentale ed indirizzare i docenti verso quelle virtuose.

Manca nell’attuale declinazione del Piano una vera ricerca-azione, che tolga quella patina di “già visto” ad esperimenti fatti con materiali poveri in laboratori poveri. Il lavoro all’aperto, lo studio dell’ambiente, la sperimentazione ambiziosa, il coinvolgimento economico delle scuole del Presidio per azioni di formazione approfondite, la diffusione del Presidio su più sedi possibile sono le strade che io ritengo vadano battute e in fretta prima che il Piano deragli.

Richiamarsi costantemente a ciò che è stato detto nelle sedi di formazione nazionale impoverisce l concetto di Piano e anche quello di Autonomia. Per ultimo, se si vuole costruire una comunità di pratica che riflette sull’importanza della metodologia sperimentale come approccio ad una conoscenza significativa, è necessario abbattere le strutture rigide dei ruoli enunciate in sede nazionale. I Docenti per loro natura non hanno una visione sistemica, i Dirigenti per loro natura non hanno approfondite e aggiornate conoscenze sperimentali. Solo la loro sinergia può produrre grandi risultati di sistema. Protagoniste del Piano devono essere le scuole, non i laboratori di qualche Istituto secondario.


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