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Ci mancava anche la crisi di governo per aumentare il senso di precarietà, approssimazione, transitorietà che attanagliano i docenti ed il mondo della scuola tutto. Ci mancava anche l’esempio edificante di senatori della Repubblica che si insultano, si menano come scaricatori di porto, alla fine brindano come all’osteria, l’esempio del loro eloquio alto, solenne, misurato sia in aula che nelle telefonate private o nelle trasmissioni televisive… Grande modello educativo per ogni generazione di Italiani. Genitori e figli. Ormai non c'è politica scolastica che regga. Tra pseudoinnovazioni, fughe moderniste, rovinose marce indietro, neoideologismi, neocentralismi, ipetrofie burocratiche, non se ne può più.
Possibile che a nessuno
venga in mente che la scuola ha necessità di tempi lunghi e distesi?
Possibile che a nessuno
venga in mente che la scuola non è un settore della burocrazia, né del
sistema produttivo, ma l'ambiente della formazione principale del paese,
dei suoi cittadini? E che ha sue proprie regole di funzionamento e tempi
incompatibili con quelli di una legislatura politica?
Perché, mi chiedo, ogni ministro vuole scrivere il suo nome negli annali della storia dell'istituzione marcando con esso mezze-riforme, o riforme che non cambiano niente altro che le “parole”, il tutto aggravato dal fatto che non si sfiorano nemmeno i veri problemi strutturali della scuola, mentre si continuano a sottrarre ad essa risorse? I contenuti, i tempi, le modalità e le forme di approccio della “politica” (di questa politica) sono assolutamente diversi ed incompatibili con quelli della scuola. Un’incompatibilità genetica, si potrebbe affermare. In politica sono diventati “normali” il culto della personalità, l’incoerenza, l’arrivismo, l’ipocrisia, l’incompetenza, il clientelismo, il favoritismo, il ricatto, il nepotismo, la mercificazione delle cariche pubbliche ecc. ecc. Una “normalità” riconosciuta e spesso accettata dagli elettori. Nella scuola l’azione educativa dei docenti è invece finalizzata a criticare questi dis-valori in situazione spesso di solitudine e isolamento sociale per via dei modelli culturali dominanti di cui proprio la politica è interprete e degna (o indegna) espressione. Ma si può credere davvero che sia “moderno” chi viene a proporre la famose tre I (Inglese, Informatica, Impresa)? Io credo che molto attuale e significativo sia invece proporre tre C (Conoscenza (e capacità di usare la conoscenza), Coscienza (di sé e dell’altro), Cittadinanza (consapevolezza dei propri e degli altrui diritti e doveri, appartenenza, capacità di vivere in ambienti in cui diversità e normalità possono essere considerati sinonimi). Le tre I e le tre C sono modelli che si pongono ad una diverso livello di profondità culturale e storica. Il primo concepisce la scuola in termini d’uso, di mercato, di competizione nell’oggi. Il secondo pensa all’essere, uomo, lavoratore, cittadino oggi e domani, in una società in cui questo cittadino entra a dare un contributo consapevole e critico. Il primo è subordinato ai modelli economici e sociali quali sono nell’oggi. Il secondo va oltre, guarda l’uomo, la sua storia presente, passata, futura e cerca (ahi l’utopia!) di non subire passivamente quei modelli, ma di criticarli per contribuire a crearne di nuovi, che abbiano un volto e una sostanza più umani e solidali, e comunque siano frutto di una scelta consapevole e non imposta o subita passivamente da volontà specifiche o da sistemi economici. Povera scuola! Immagino già ministro e spoils system tutto con le valigie in mano dopo due anni appena. Tutte le decisioni prese? In fumo! Tutti i progetti? In fumo! Come la mondezza di Napoli! Immagino gli adempimenti derivati dalle direttive ministeriali con quale stato d’animo saranno applicate da dirigenti e docenti. Così pure gli impegni assunti con associazioni professionali, sindacati ecc… I precari potranno dire che la situazione precaria domina sovrana e regola tutto il mondo della scuola, non solo la loro condizione contrattuale. Ci sarà un interregno allegramente confuso fino alla prossima tornata elettorale. Poi elezioni. Promesse, programmi, bla, bla bla ecc… ecc… Poi nuovo, si fa per dire, governo, e nuovo ministro: “Nuovi Orientamenti”, nuove direttive che annulleranno le precedenti, nuove leggi con proteste, movimenti, appelli, manifestazioni, scioperi ecc… ecc... Nuovi, si fa per dire, esperti e guru delle scienze della formazione; nuovi, si fa per dire, pedagogisti e ingegneri dei sistemi formativi che ci diranno il nuovo verbo, ci detteranno la loro ricetta, il loro dizionario ecc… ecc… E la scuola? Dov’è la scuola? La povera scuola, che intanto è divenuta sempre più scuola povera, si spacca la testa come può per risolvere problemi drammatici che si chiamano dislessia, disgrafia, discalculia, inserimento degli stranieri, disagio, bullismo, dispersione, mancanza di motivazione, difficoltà di apprendimento, mancanza di risorse, precarietà del personale, edifici inadatti, attrezzature al limite della rottamazione ecc… ecc… E si chiamano anche difficoltà crescenti di dialogo con le famiglie (o con che cosa di esse resta dopo abbandoni, separazioni, divorzi, disoccupazione ecc…). E si chiamano anche difficoltà crescenti con il cosiddetto territorio (EE.LL., ASL ecc…), il quale paracaduta sulla scuola specialisti, che, dopo aver “visto” un bambino poche volte (quando va bene!) in sede di analisi, sentenziano: la scuola non ha fatto abbastanza, non capisce quali sono i reali problemi….. si arrangi a risolverli! Salvo poi organizzare corsi di aggiornamento regolarmente retribuiti su tutto il territorio in cui propinano ricette e ricettine studiate a tavolino. E si chiamano anche difficoltà crescenti per i dirigenti, che non sanno dove sbattere la testa con disposizioni talvolta incomprensibili, tal altra inapplicabili. E si creano inoltre difficoltà derivate da molti dirigenti che ormai si sentono troppo manager e si occupano quasi esclusivamente di rapporti con i loro colleghi, col “territorio”, con la direzione regionale, con il ministero… fino al punto che l’incontrarsi con i docenti provoca loro una sorta di allergia perché essi sono ormai a distanza siderale dalla didattica e dalla pedagogia. Ma allora, che fare? Cari insegnati e cari dirigenti (non quelli troppo manager) continuiamo ad andare in trincea normalmente tutti i giorni. Non guardiamo il “teatrino” della politica (definizione data dagli stessi politici) e soprattutto non speriamo che, almeno nel breve e da questa classe dirigente, ci venga un qualsiasi aiuto. La scuola continuerà ad essere bersaglio di critiche spesso ingenerose, spesso basate sull’ignoranza e sull’incompetenza. Cattedratici opinionisti, giornalisti a caccia di scoop, sondaggisti di assalto, confindustriali e self made men di grido, talk show e salotti buoni/cattivi, tutti continueranno ad esclamare scandalizzati: e la scuola che fa? Ma non si pongono mai l’altra domanda: cosa fa il paese per la scuola? La scuola va avanti. Deve andare avanti. Guardiamo in volto i nostri bambini, ragazzi e noteremo i segni delle loro difficoltà, ma anche della loro voglia di crescere bene, imparare, migliorare. Arrangiamoci come sempre nella storia della scuola gli insegnanti si sono arrangiati. Cerchiamo di proteggere, per quanto possibile, i nostri alunni da tutti i “teatrini” che compongono il caleidoscopio della vita sociale. Non lasciamoci distrarre da progetti e progettini con i quali ormai chiunque investe la scuola per fini non sempre nobili. Anche quando le “proposte” o le direttive vengono dal ministero. Se avremo la fortuna di avere un bravo dirigente possiamo farcela a dire tanti no e riappropriarci della nostra “autonomia”. Non perdiamo tempo in corsi di “aggiornamento” che ormai si riducono a spiegare le direttive del ministero di turno o a sperimentare modelli che non passeranno la legislatura e saranno cestinati subito. Facciamo scuola e traiamo i nostri orientamenti dall’unico documento valido dal punto di vista pedagogico, culturale e sociale. La Costituzione Repubblicana. Non credo serva molto altro.
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