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I predestinati
Chi insegna con l’attenzione che si deve ai figli degli altri teme di sapere fin dal primo momento di un incontro con bambine e bambini chi di essi è un "predestinato" nella scuola di oggi (e in quella che si profila all’orizzonte). Teme di saperlo con una certezza quasi matematica e non se lo nasconde in tutta onestà. Non che non si debba o possa desiderare di trovare un posto nella società che non sia quello di medico, ingegnere, manager…, ma la predestinazione a divenire "forza lavoro" (nel migliore dei casi), anche se si hanno per sé desideri diversi, quella no!* Una maestra teme che il percorso di alcuni sarà irto di ostacoli (lo teme quasi dal primo insuccesso che essi incontreranno), mentre quello di altri una strada in discesa. Questa consapevolezza è qualcosa di doloroso, ma molto concreto in verità, soprattutto se si riflette su chi solitamente prosegue comunque negli studi, o su chi, proseguendo, non incontra difficoltà di sorta rispetto a coloro i quali collezionano sconfitte, umiliazioni, sanzioni… Chi sono i predestinati? Sono piccole persone che hanno conosciuto l’abbandono molto presto. Quale abbandono nella nostra società del "benessere"? Quello fatto di disinteresse, di indifferenza, di silenzio, di "rumore", di falsa compiacenza… Gli abbandoni da parte di un mondo adulto che va preoccupandosi sempre più delle proprie relazioni interpersonali, della lotta per la vita fatta di inezie, denaro , in corsa per acquistare un posto al sole, o sbadato verso il pianto altrui per ascoltare molto di più il proprio lamento quotidiano nato da "bisogni" insoddisfatti; oppure sono abbandoni forzati, quelli inevitabili di chi realmente lotta per l’esistenza, per un lavoro, per racimolare il denaro che serve a vivere… Abbandoni che noi adulti viviamo con un rimorso che ci porta a perdere il giusto equilibrio fra premi e punizioni, a "scuotere" come alberi di noci quei nostri figli che invece sono lì a ricordarci con le loro pressanti richieste di ascolto inascoltate che il nostro dovere sarebbe quello di vivere in profondità una relazione per loro e con loro ogni attimo della nostra vita. Poi c’è la società che preme, che chiede a noi e ai nostri figli di essere flessibili e disposti a lasciare il passo a chi più sa, a chi è più preparato, a chi è destinato al successo…E il nostro rapporto con essa è ambivalente: da una parte l’amiamo per quella che è perché ci dà stimoli forti, sensazioni da roulette russa, dall’altra la odiamo perché consente a pochi di avere e contemporaneamente di essere. Essere, per i piccoli che abbiamo lì davanti con gli occhi che ci chiedono attenzione, non è facile, perché presuppone una grande capacità di rinuncia, una volontà volta ad accettare di invecchiare con dignità prendendo per mano chi non sa ancora "camminare" e offrirgli noi stessi e la vita, qualunque siano la nostra estrazione sociale e il conto in banca. La solitudine dell’infanzia è, a volte, totale, fatta di pieni, non di vuoti, perché i vuoti fanno pensare…Allora dai ai regalini, alle feste, alle offerte di divertimenti, alle merendine date a iosa in famiglia e, a scuola, avanti con il tutto e di più delle tre i e delle educazioni, con i programmi gonfi di proposte, con le progettazioni più strampalate e d’effetto, dai dai dai… E qualcuno dei predestinati la mattina non ce la fa a seguire, a stare attento, sbadiglia per le gozzoviglie di chi si è dimenticato di lei/lui la sera prima, prende fischi per fiaschi, della serie due più due fa cinque e piange perché è stanco, mentre un compagno, di quelli sicuri del fatto suo (in quanto la sicurezza alberga quotidianamente fra le mura di casa sua), esclama: <<Quattro!>>. A chi, come le/gli insegnanti, si confronta ogni mattina con la sfida degli apprendimenti, pare talmente evidente la predestinazione di alcune/i da soffrire di depressione ogni qualvolta si sente o si legge di progetti per entrare in contatto con il mondo dell’industria e dell’impresa nella scuola media che, tra l’altro, vedrà anch’essa, a causa degli anticipi, bambine e bambini sempre più giovani! Come si può, dico io, non accorgersi del pericolo di perdere potenziale intellettuale anche tra i piccoli "abbandonati"?! Perché invece di spendersi affinché la scuola, costruendo un patto con le famiglie in difficoltà esistenziale, si attivi per diventare cuneo, leva di costruzione di sapere autonomo ad alto livello per tutti, si ventilano tanto presto divaricazioni di percorsi e si fanno progetti in tale direzione? Visti dall’esterno, i percorsi didattici che si vanno attivando per "conoscere" le aziende prima di aver sostenuto l’esame di terza media, sembrano vere e proprie simulazioni di realtà che per alcuni diventeranno le sole possibili! Diverso sarebbe stato se, all’interno di un obbligo scolastico fino a sedici anni, si fossero dati stimoli e conoscenze per favorire le scelte successive di formazione e istruzione. Si sentono di nuovo dire in giro frasi del tipo: <<Cara mia, non c’è niente da fare, si nasce con una specie di marchio di fabbrica! I casi di chi ce la fa nonostante tutto sono pochi. I figli di chi può, anche se non sono il massimo, proseguiranno nei licei e un posto al sole ce l’avranno! Ecc…>> Se non fosse tragica per la scuola una tale "semplice filosofia" ci sarebbe da ridere dopo tutti gli aggiornamenti, le innovazioni, le teorie d’apprendimento divulgate in ogni parte del mondo per risolvere il gap iniziale di chi è svantaggiato! Vogliamo fare la continuità vera una buona volta per tutte? Vorremo prima o poi conoscerci e fare ricerca insieme insegnanti dal nido all’università per agganciare un segmento all’altro in modo sicuro e organizzato fra ordini di scuola diversi senza trovare il neo in chi ci precede e segue? Saremo disposti a opporci a eventuali sprechi in termini di tempo e a richieste piovute da agenzie esterne nella scuola primaria e secondaria di primo grado per offrire una possibilità di consolidate conoscenze di base a tutte e a tutti i nostri alunni? Siamo consapevoli che uno sperpero di tempo a scuola disperdendosi in mille rivoli, porta a un insegnamento che fa poi leva sullo studio e sui compiti di casa che il più delle volte o non verranno eseguiti con cura o eseguiti con l’aiuto delle famiglie in grado di darlo? Saremo disposti a creare spazi di studio non saltuari sulle tematiche della crescita insieme con le famiglie? Così come la scuola sarà nel prossimo futuro, si ha l’impressione che non terrà conto della fragilità delle giovani personalità spinte ad un’ autocritica troppo precoce e a una presa di coscienza di ciò che non va più che di ciò che funziona nella propria carriera scolastica! La scuola media dovrebbe essere difesa e facilitata nel dare un aiuto a chi ancora non ha raggiunto obiettivi minimi, dovrebbe essere snella, leggera, ma profonda e solida nell’avvicinare ai saperi di base, mano tesa alla scuola elementare e dell’infanzia, per andare a intervenire su eventuali buchi d’apprendimento e di relazione; il ritrovarsi in un ruolo (assegnatole) fondamentale di "orientatrice" non dovrebbe indurla a perdere di vista la consapevolezza che opera con persone ancora in fase di strutturazione della personalità e dei desideri individuali non ancora diventati progetto di esistenza. L’alunna/o che entra nella scuola media a 11 anni e mezzo oggi, domani a dieci anni e mezzo (?!) è appena uscita/o dalla pancia della mamma: può essere già pronto a scegliere? Non si dica poi che eventuali pentimenti potranno trovare soluzione favorendo il passaggio da un percorso formativo a un altro, perché si fatica a crederci sia per il motivo del tempo che passa anche per una giovane vita, sia perché si è portati a dubitare della serietà e della bontà di alternative personalizzate sui ragazzi che presentano situazioni di crisi adolescenziali o semplici lacune in termini di competenze e di conoscenze…Non ci credo perché temo che una volta iniziato un percorso, l’eventuale ripensamento non venga sostenuto dalla stessa famiglia o dagli insegnanti. Temo che si riproponga per i giovani di domani ciò che molti di noi hanno vissuto sulla propria pelle: il dover sottostare alle scelte altrui, alle scelte condizionanti di chi "più grande e più saggio" consiglia per il "tuo bene": l’adulto ha buon gioco nell’indirizzare chi è ancora insicuro, chi non si stima a sufficienza per vederci chiaro…Il risultato potrebbe essere quello di accontentarsi nell’immediato per essere proiettati in un futuro di frustrazioni, in attività assolutamente lontane da quelle che si sarebbero volute svolgere se fosse stata data una maggiore opportunità di scelta e soprattutto più tempo per scegliere. La scuola e la famiglia nella loro lotta quotidiana contro le difficoltà dovrebbero stringere un patto fin dal momento in cui l’essere umano fa il suo ingresso in società, dal nido, per scoprire insieme ciò che vale trasmettere e ciò che è assolutamente superfluo, per distinguere ciò che è moda da ciò che è valore condiviso, ciò che deve essere regola e ciò che può essere trasgredito senza timore di produrre danni irreparabili alla persona. La scuola e la famiglia sono lì spesso a sfiorarsi senza incontrarsi. La prima a volte pecca di eccessiva paura nell’intervenire per "salvare", la seconda teme di venire aggredita e svelata nelle sue "pecche". La prima a volte si difende senza esporsi, la seconda si trincera dietro un muro di diffidenza. Ovviamente si parla di casi, ma sono proprio i casi che mettono a nudo le difficoltà dei rapporti e dell’intraprendere validi percorsi educativi e culturali. Tante/i insegnanti vorrebbero che fosse data loro la possibilità di esprimere opinioni sul tema della "predestinazione" e vorrebbero poter chiedere a gran voce sicuri di essere ascoltati:<<Facciamola insieme la scuola, chiediamoci insieme quali sono le competenze di base che valgono, i tempi per consentire la crescita, che permetterebbero a tutte/i di non partire verso il futuro con il piede sbagliato!>>.
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