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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Quali dirigenti scolastici per una scuola destinata alla meritocrazia?

di Cinzia Mion

 

Con questo mio intervento intendo rispondere sia all’Onorevole Aprea (intervenuta recentemente  alla tavola rotonda organizzata dall’A.N.DI.S. a Torino nel convegno per i 150 anni dell’unità d’Italia) sia al collega D’Avolio che proprio in questo sito ieri è intervenuto con un testo sulla dirigenza scolastica,  tifando per la sua organizzazione “bulimica”.

Sarà che io provengo dai ranghi dei Direttori Didattici, concorso 1970,  l’ultimo con la doppia prova scritta, sarà che ho la memoria lunga, ma non sono d’accordo con la tesi espressa dall’amico Pasquale. Proverò a dire perché.

Anticipo che da parecchio tempo io sollecito i colleghi in servizio (io sono in quiescenza naturalmente,  data l’età) a lanciare a Roma “un grido di dolore “per il sovraccarico disumano di lavoro che da dieci anni viene riversato sulle loro spalle, erodendo senza tregua tempo ed impegno che potrebbe essere riservato alla qualità di una Istituzione nata per garantire l’apprendimento e la formazione delle giovani generazioni,  di tutti gli aventi diritto, nessuno escluso.

Ma la categoria dei Dirigenti Scolastici, salvo rare eccezioni,  è una categoria adusa alla fatica ed anche , per me un po’ troppo, a tollerare e spesso anche a piegare la schiena.

L’ultimo intervento legislativo, chiamata manovra economica, ha passato il segno.

Però non sento nessuno elevare segnali di dolore. Anzi…

 

Ma andiamo per ordine:

- l’Onorevole Aprea alla tavola rotonda ebbe a dire “che ormai la scuola ha terminato il suo compito di inclusione, ora è il tempo del merito”.

- il sovraccarico di lavoro giuridico-amministrativo e la grandezza e complessità degli Istituti, comportano  ineludibilmente già da ora una grande difficoltà da parte dei D.S. a seguire come desidererebbero l’aspetto peculiare della scuola che sono i ragazzi e la loro formazione;

- la proposta di D’Avolio,  invece di andare verso il ripristino dell’opportunità per il D.S. di occuparsi delle finalità per cui ha intrapreso la carriera dirigenziale nella scuola, opta tout court per la deriva di tale dirigenza verso quella amministrativa, osservando che man mano che i tagli procedono,  il numero delle dirigenze diminuisce,  tanto vale accorpare ancora di più e creare dei “superdirigenti” che abbiano come quadri intermedi delle sottospecie  di “direttori didattici” che si occupino degli aspetti psicopedagogici;

- qui interviene la mia memoria : verso la fine degli anni ottanta l’ANDIS  si è trovata in disaccordo con il progetto dell’ANP che proprio a questo stava pensando (allora l’ANP era formata soprattutto da presidi della scuola superiore che naturalmente si sentivano molto “predestinati” a diventare i supermanager anche di quelli che loro consideravano i “cugini poveri”, vale a dire i direttori didattici., fra l’altro onestamente molto più ferrati in competenze psicopedagogiche…)Fu così che nacque il loro sogno manageriale che evidentemente è duro a morire!

- c’è stato un momento più avanti , negli anni novanta, in cui questo progetto per poco non è stato di soppiatto approvato  se l’ANDIS non avesse vigilato e non fosse intervenuta per bloccare questo disegno, denunciando la manovra e coinvolgendo tutti gli iscritti (era consigliere del Ministro di allora un esponente di spicco dell’ANP).Anche l’Onorevole Aprea , dovrebbe ricordarselo: era allora molto più vicina all’ANDIS che all’ANP!!!

 

Ed ora veniamo alla questione del merito: Cara Aprea , chi dice che la scuola debba obbedire alla vecchia logica binaria della cultura della linearità : o inclusione o merito? Oggi possiamo continuare a lavorare per l’inclusione (finalità nobile e costituzionale della scuola statale) ed anche curare il cosiddetto merito. Siamo infatti all’interno del paradigma della complessità che ospita la multilogica. (Ciò vale caro D’Avolio anche per coniugare leadership educativa e manageriale; le decisioni più significative e difficili che io personalmente ho preso nella mia carriera di dirigente scolastica le ho sempre prese alla luce di chiavi di lettura e lenti psicopedagogiche,  per il resto bastava la DSGA) Questo però richiede tempo, risorse per la formazione dei docenti e , perché no,  anche dei dirigenti, organizzazioni non bulimiche e competenze adeguate.

 

Allora caro D’Avolio si è capito qual è il disegno politico?(All’Aprea non lo chiedo perché lo sa meglio di tutti, insieme alla Gelmini, Tremonti, Brunetta,  Sacconi, ecc.)

Il disegno si sta materializzando sotto i nostri occhi : premiare pochi superdirigenti  per una scuola che sta andando verso una deriva sempre più elitaria (ed in fondo ineludibilmente classista) per cui per “scremare le eccellenze” non servono particolari competenze dirigenziali di spessore psicopedagogico, basta far funzionare l’azienda secondo parametri solo di “efficienza” . “L’efficacia” della scuola infatti così sarebbe tutta da dimostrare e dipenderebbe dalla vision del cosiddetto dirigente che, una volta intascato lo stipendio da supermanager, potrebbe venire a patti benissimo anche con il dettato di “Cittadinanza e Costituzione”,  in un paese in cui la doppia etica è di casa.


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