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La "riforma" della scuola media nelle "Indicazioni Nazionali" Punti critici e punti di attenzione a cura di Maurizio Tiriticco 1. Non si comprende perché quando nel documento, nella parte relativa alla "Scuola della prevenzione dei disagi e del recupero degli svantaggi", si cita l’articolo 3 della Costituzione, si omette il concetto di eguaglianza. Detto articolo al comma 2 così recita: "E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Nel documento testualmente si legge: "Così essa (scuola) mira a «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale» che, limitando di fatto la libertà, «impediscono il pieno sviluppo della persona umana» indipendentemente dal sesso, dalla razza, dalla lingua, dalla religione, dalle opinioni politiche e dalle condizioni personali e sociali (articolo 3 della Costituzione)". E l’omissione non sembra essere casuale, dato il preciso taglio che è stato operato nell’articolo costituzionale. E la cosa è tanto più sospetta in quanto nelle "Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati della scuola primaria" ricorre un passo abbastanza simile a quello citato. Testualmente si legge: "La terza (ragione per cui la scuola è definita primaria, n.d.a.) è sociale. Essa assicura obbligatoriamente a tutti i fanciulli le condizioni culturali, relazionali, didattiche e organizzative idonee a «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale» che, limitando di fatto la libertà e la giustizia (il corsivo è nostro) dei cittadini, «impediscono il pieno sviluppo della persona umana», indipendentemente dal sesso, dalla razza, dalla lingua, dalla religione, dalle opinioni politiche e dalle condizioni personali e sociali (articolo 3 della Costituzione)". Di fatto viene operata una palese forzatura dell’articolo costituzionale, anche se non virgolettata: alla parola eguaglianza viene sostituita la parola giustizia! Qual è il criterio che ha condotto a queste scelte? 2. Alcune questioni terminologiche: - sarebbe stato opportuno un chiarimento dei termini/concetti "programmi", "curricoli", "piani di studio"; - ed un chiarimento sulla differenza che c’è – se c’è – tra individualizzazione (sembrerebbe interessare più l’attività di docenza: il docente si attrezza per…) e personalizzazione (sembrerebbe interessare più l’attività di apprendimento: il docente deve in ogni modo adoperarsi per…); - ed infine: che cosa comporta un piano di studio personalizzato in termini di progettazione e di valutazione nonché di tempi di lavoro del docente e dell’alunno? 3. Viene del tutto sconfessato e cancellato quel percorso ciclico unitario e obbligatorio fino ai 16 anni di età – che ovviamente sarebbe da costruirsi con tutte le sue articolazioni interne rispettose degli stadi di sviluppo dell’età evolutiva – quale era prefigurato dalle scelte della precedente amministrazione di centro-sinistra, per altro conformi con quanto già si verifica in altri Paesi dell’Unione europea. Si deduce che, con questa "nuova" scuola media, l’obbligo di istruzione (vanificato in un ibrido diritto-dovere per almeno 12 anni) si debba concludere di fatto al compimento dei 14 anni, con l’esame di licenza media? Il "Profilo dello studente alla fine del primo ciclo di istruzione (6-14 anni)" sembra confermare questa ipotesi! Così la legge 9/99 e la legge 144/99 di fatto vengono cancellate (e quando saranno abrogate?). E la conclusione dell’obbligo a 15 anni nel primo anno della scuola secondaria di secondo grado (di cui al DM 323/99 e al DM 70/2000) e la relativa certificazione si intendono cancellate anch’esse? E, se a 14 anni si conclude l’obbligo di istruzione, il diritto-dovere ad un obbligo ulteriore potrebbe realizzarsi anche nella formazione professionale? In questo senso sembra che debbano essere letti i Protocolli di intesa che il MIUR ha sottoscritto con alcune Regioni. Il che confermerebbe l’intenzione di questa amministrazione di centro-destra di attivare una formazione duale che contrasta con quanto indicano sia la ricerca educativa che le prospettive di sviluppo culturale, tecnologico e professionale dei Paesi fortemente industrializzati e terziarizzati. 3.1 A questo proposito sembra opportuna una citazione:
4. Sotto il profilo istituzionale vengono confermati i due "gradi" di sempre, elementare e medio, la cui persistenza non può non provocare ricadute negative sotto il profilo formativo: due ruoli docenti, con diversi percorsi formativi; la conferma di fatto della "elementarizzazione" del ciclo che prende nome di primario; e la conferma, di fatto e di diritto, della secondarietà di una scuola che invece – come sembra – dovrebbe concludere un ciclo obbligatorio di istruzione. Un grado di scuola o conclude o anticipa: in educazione non si può dire che in medio consistit virtus! Perché le soluzioni di mezzo creano pasticci: alunni che frequentano sapendo di "terminare" gli studi, e alunni che, invece, sanno di "continuarli": due tipi di motivazioni e di attese nella medesima classe! Con l’opzione delle Indicazioni si conserva – e si perpetua – la scelta di secondarietà che ha sempre limitato la potenzialità formativa di una scuola che conclude l’obbligo di istruzione. 5. Si disaggregano alcune discipline e se ne aggiungono di nuove. Così si passa da 9 a 12. Però diminuiscono le ore annuali obbligatorie (da 990 a 900). Che accadrà con le cattedre e con i quadri orari settimanali? Si tenga conto che con l’autonomia i quadri orari settimanali sono orientativi e non prescrittivi, in quanto "contano" i monte ore annuali (per docenti e studenti) e gli eventuali orari plurisettimanali. Allora le scuole come si regoleranno? Gli insegnanti dovranno confrontarsi per accaparrarsi ciascuno un numero di ore sufficiente per garantirsi un insegnamento… decente ed… uno stipendio adeguato? 6. La formula del biennio iniziale continuo all’interno del quale non si boccia ma si individuano soltanto debiti da saldare successivamente (il testo così recita: "Per ottenere la promozione alla terza classe i debiti durante il secondo anno devono essere colmati – ovviamente nelle stesse discipline, e sempre nel senso di essere e restare, per l’allievo, obiettivi formativi. Si dispone la ripetenza del secondo anno del biennio quando l’allievo mantenga due debiti negli obiettivi formativi di due discipline – comportamento compreso") rischia di attivare una macchina incontrollabile. O si lasciano le cose come sono sempre state oppure si abbia il coraggio di fare una scelta coraggiosa, che potrebbe essere la seguente. Per tutto il percorso della scuola di base, primaria e media, non dovrebbero esistere più bocciature; ma ciò può avvenire solo se si supera il principio delle "classi di età"; è la classe di età che impone la rigidità del passaggio; se si formassero "gruppi alunni" secondo criteri che vadano oltre l’età (i ritmi e gli stili di apprendimento, le necessità reali di recupero, rinforzo, sollecitazione, integrazione, "sviluppo ed eccellenza", sempre evitando pericolose omogeneità), gruppi che ovviamente andrebbero ricostituiti nel corso del tempo – pur rispettando un gruppo base (la "tana" dei lupetti?!) – si potrebbe rispondere in modo più mirato alle necessità formative dei singoli alunni. Non vi sarebbero più la "prima", la "seconda" classe, e così via, ma un percorso ottonnale (a volte forse novennale per i più deboli) all’interno del quale l’alunno compirebbe il suo percorso che sarebbe davvero individualizzato (o personalizzato?). E non sarebbe più l’insegnante che va alla classe (secondo le esigenze del "programma"), ma il gruppo che va all’insegnante (secondo le esigenze formative del gruppo stesso) Certamente le istituzioni scolastiche autonome dovrebbero organizzare percorsi di questo tipo con alta professionalità progettuale. Il che comporterebbe anche il superamento della "cattedra" come tradizionalmente concepita ed istituzionalizzata, che è altrettanto rigida quanto la classe. Mi rendo conto che si tratta di un principio organizzativo assolutamente nuovo sul quale occorrerebbe una riflessione che andrebbe ben oltre questa breve nota! 7. Il ritorno a discipline chiaramente enunciate nella loro disaggregazione (esempio matematica e scienze, storia e geografia) deve essere letto come una vanificazione della pluridisciplinarità verso la quale con tanta fatica ci stavamo avviando (si pensi alla 425/97 che ha rinnovato gli esami di Stato: in primo luogo, terza prova e colloquio)? Se ciascuna delle discipline enunciate ha un voto, la pluridisciplinarità è di fatto vanificata! Ed i richiami alla inter- e transdisciplinarità, presenti nel documento, sembrano solo un omaggio formale e non sostanziale ad un modello di insegnamento/apprendimento che di fatto metterebbe in discussione tutta la tradizionale organizzazione di una didattica per materie! Nella scuola media del ’79 le discipline erano "educazioni", quindi strumenti e occasioni per attivare processi cognitivi, e soprattutto trasversali, più che materie concluse e chiuse in se stesse! Ed è a discipline/materie così concepite che nella "nuova" scuola media si vuole ritornare? 8. Altra innovazione è data dal "comportamento" che costituisce oggetto di debito/credito, quindi di valutazione; ma non è chiaro in quale misura, con quale peso e secondo quali criteri. 9. Non è chiaro se, come e perché le 200 ore possano/debbano essere attivate su iniziativa delle famiglie e dei preadolescenti! Il testo recita: "A scelta delle famiglie e dei preadolescenti con l’assistenza del tutor, la scuola può dedicare una quota fino a 200 ore annuali all’approfondimento parziale o totale di discipline e attività". Ma la scuola che fa? Sta a guardare? Aspetta la sollecitazione di altri per progettare la sua offerta formativa? Questa deve essere presentata in modo chiaro e preciso anche per le 200 ore "libere" dalle indicazioni ministeriali sia per motivi educativi e pedagogico-didattici che per motivi di organici e di orari. Semmai le famiglie e i preadolescenti potrebbero avanzare altre proposte al di là delle 200 ore. 10. Si passa dalle educazioni tecnica, artistica, musicale dei Programmi del ’79 a tecnologia e informatica, arte e immagine, musica: che cosa significa? Che si torna alla situazione precedente alla Legge 348/77, con la quale certe discipline sempre considerate di secondaria importanza acquisirono pari dignità con le altre, quali, ad esempio, italiano e matematica? 11. Tutta la parte introduttiva istituzional-pedagogica del documento ha più il sapore di un saggio per rivista che non una introduzione ad un percorso formativo istituzionale. Oscilla tra enfasi e genericità e non si coglie un filo rosso che lo giustifichi in relazione sia ai contenuti che espone che ai fini che si propone, quelli, appunto, di introdurre ed esplicitare un percorso formativo. Ci si aspettava, dopo l’introduzione ai programmi del ’79, un qualcosa di più preciso, circostanziato, giustificato. Questa parte costituisce una giustapposizione di circostanza più che una giustificazione! Ed ancora: pezzi come il "modello-matematico-scientifico", "oltre il riduzionismo", "la parte e il tutto" non costituiscono una novità per chi insegna e sono validi per qualsiasi processo di apprendimento. Qual è la loro utilità nel contesto di una premessa alle Indicazioni? 12. L’indicazione di un décalage, di una curvatura, che va da obiettivi generali del processo formativo (1) agli obiettivi specifici di apprendimento (2) fino agli obiettivi formativi (3) appare corretta da un punto di vista epistemologico, istituzional-pedagogico, didattico, ma contiene molte genericità. E’ corretta in quanto è nella logica del rapporto che corre tra la "progettazione formativa" (il livello propositivo politico generale) e la "programmazione didattica" (il livello operativo delle singole istituzioni scolastiche, dei collegi, dei consigli di classe) prevedere in sede nazionale forme di décalage, indurre e proporre pressoché di norma opportune curvature da un "generale" a un "particolare". Ma è impasticciata nella sua descrizione, pertanto non si capisce bene se gli obiettivi specifici (2) siano quelli nazionali validi per tutti e a cui tutti si debbano adeguare (c’è poi l’INValSI che invia le sue prove tarate su questi!)! Ed allora che senso avrebbe passare poi agli obiettivi formativi (3)? Ed ancora. Gli obiettivi generali (1), che poi dovrebbero essere delle finalità, costituiscono una sorta di polpettone impasticciato e ricucito da quelle tre "consapevolezze" (ma perché si chiamano così?) che poi potrebbero essere anche di più… o di meno! Le finalità di un percorso vanno indicate con correttezza, coerenza, nettezza concettuale e terminologica! 13. La questione Servizio Nazionale di Valutazione (o INValSI!?): qual è la logica politica educativa che giustifica l’intervento del SNV all’inizio e alla fine del percorso triennale? Questo duplice intervento non rischierebbe di chiudere in una sorta di scatola preconfezionata tutto un percorso formativo che, invece, dovrebbe essere attivato originalmente dalle istituzioni scolastiche autonome? Il SNV dovrebbe fare altre cose, almeno due: a) offrire un aiuto concreto alle scuole in ordine alla sempre spinosa materia della valutazione; b) rilevare i livelli finali di uscita degli apprendimenti realizzati dalle scuole in modo da monitorarne l’andamento e di effettuare una sorta di manutenzione (con correzioni ed implementazioni periodiche) delle competenze acquisite e da acquisire, e per avviare in concreto un discorso ed una iniziativa sugli standard (che è un problema per nulla facile!) anche con una ottica europea. 14. C’è un grosso rischio che il forte accenno ad una "possibile trasformazione della attività didattica in una ossessiva e meccanica successione di esercizi/verifiche degli obiettivi specifici di apprendimento indicati che toglierebbe ogni respiro educativo e culturale all’esperienza scolastica oltre che autonomia alla professione docente" venga "letto" come una tirata contro quelle prove "oggettive" (con le virgolette si intende sottolineare che l’oggettività di qualunque prova è sempre relativa, per cui è preferibile parlare di prove strutturate più che di prove oggettive) che, invece, costituiscono uno dei più importanti punti di arrivo della valutazione nelle nostre scuole! Ed, onestamente, non è affatto opportuno ridar fiato a tutti coloro che per pigrizia o ignoranza hanno sempre guardato alle prove strutturate con malcelata sufficienza! 15. Ed ancora, che cosa significa affermare che gli obiettivi formativi (3) "non possono essere mai formulati in maniera atomizzata e previsti quasi corrispondenza di performance tanto analitiche quanto, nella complessità del reale, inesistenti"? Che si deve tornare alla genericità ed al pressappochismo di sempre? La questione è un’altra: che un insegnante efficace è capace di coniugare il rigore della prova debitamente misurata con l’opportuna equità del giudizio di valutazione! 16. Che cosa significa educazione alla convivenza civile? Quando da sempre si è parlato di educazione civica, di educazione alla cittadinanza, alla cultura costituzionale, alla democrazia!?!? E a quale insegnante è affidata? O costituisce un insegnamento trasversale? La stessa osservazione vale per le sei sottoeducazioni che compongono il mosaico della convivenza: chi le insegna e come? Comportano una valutazione? Un orario? Al limite, un libro di testo? 17. Il fatto che l’educazione fisica diventi attività fisica e sportiva significa un arricchimento della disciplina, una sua apertura con il mondo delle associazioni sportive? Se sì, come? 18. Non si dice nulla sulla valutazione. Valgono ancora i principi innovativi fissati dalla 517/77 (abolizione del voto e della pagella, istituzione del giudizio e della scheda) e dagli adeguamenti correttivi e migliorativi della CM 167/93? E che cosa si intende fare dell’improvvido… provvedimento (sic!) con cui Berlinguer, adottando una nuova scheda di valutazione per la scuola dell’obbligo a suo vedere "semplificata", cancellò tutto un ventennio di sperimentazione sulla valutazione? 19. La stampa ha scritto che con la "nuova" scuola media si torna alla grammatica e al latino. A onor del vero, ciò non è esatto. La riflessione sulla lingua e l’attenzione ai legami tra l’italiano e il latino erano presenti anche nei Programmi del ’79. 20. Altra questione riguarda la storia: la tempificazione che viene proposta nelle indicazioni manda in soffitta la scelta corretta operata da Berlinguer, anche se per certi versi frettolosa e impasticciata, di dedicare un intero anno, l’ultimo di ogni corso di studi, alla storia del Novecento. E’, comunque, una questione che richiederebbe più spazio rispetto a quello consentito da queste note! 21. Osservazioni sull’insegnante tutor! La questione è interessante, ma non può essere presentata così! Chi è il tutor, che cosa fa, come è formato, che rapporti ha con gli altri docenti, quale stato giuridico comporta, e quant’altro! Tutti risvolti per nulla di secondo ordine! 22. Osservazioni sul Portfolio, una di merito, una relativa alla sua realizzabilità: a) siamo proprio convinti della necessità di un dossier che accompagni per tutta la vita formativa un soggetto, dalla materna ai 18 anni ed oltre? La proposta di struttura che viene avanzata appare poco fattibile; ciò non significa che non si debba conservare traccia del progress formativo dell’alunno, ma occorrerebbe essere più concreti; b) il ruolo della famiglia sembra eccessivo: si aprirebbe un contenzioso incontrollabile; come se nella cartella clinica il paziente (pardon, il cliente) pretendesse di scrivere sue personali note e commenti! E’ il professionista che deve assumere la responsabilità delle sue dichiarazioni! 23. Osservazioni sulle due colonne in cui sono organizzati gli obiettivi specifici di apprendimento. E’ un punto di arrivo il fatto che, a fronte dei Programmi del ’79, in cui contenuti, obiettivi, metodi, indicazioni per la valutazione venivano presentati con criteri diversi (più mani lavorarono e quei programmi e spesso ignorandosi l’un l’altra), la presentazione operata dalle Indicazioni offra forti motivi di omogeneità. Però… Non si comprende come debba essere "letto" il testo in epigrafe e quale chiave di lettura intenda offrire rispetto a ciò che segue. In esso si afferma che "…la scuola ha organizzato per lo studente attività educative e didattiche unitarie che hanno avuto lo scopo di aiutarlo a trasformare in competenze personali le seguenti conoscenze e abilità disciplinari". I corsivi sono nostri. Sembrerebbe che la colonna di sinistra sia relativa alle conoscenze (il sapere, si dice in una parte del documento) e quella di destra alle abilità (il fare, sempre stando alla lettura del documento). Quando andiamo a leggere, ritroviamo che nella prima colonna figurano "cose" diverse ed eterogenee: accanto a conoscenze in quanto contenuti, concetti, principi, figurano attività, percorsi, strategie, procedure, esperienze, e quant’altro. La seconda presenta una omogeneità maggiore: gli obiettivi sono tutti definiti e descritti correttamente con verbi di comprensione e di azione espressi all’infinito. A volte c’è qualche incongruenza. Qualche esempio: per l’italiano figura in prima colonna la voce "appunti, ecc." che dovrebbe andare in seconda; ed in seconda la voce "interventi correttivi…" che dovrebbe figurare in prima; per l’attività fisica e sportiva figura in prima colonna "presa di coscienza…" che, scritta in modo diverso, dovrebbe andare in seconda. Sarebbe stato più opportuno dichiarare che in prima colonna figurano le attività, le strategie, i contenuti che la scuola adotta ed utilizza al fine di permettere agli alunni di conseguire determinate abilità, che sono indicate nella seconda colonna. E sarebbe stato ancora opportuno precisare che gli obiettivi specifici indicati nella seconda colonna costituiscono punti di attenzione e di riferimento per la individuazione, definizione e descrizione degli obiettivi formativi, operazioni da effettuarsi da parte dei consigli di classe. Una indicazione in merito già figura nel testo introduttivo, nel paragrafo intitolato "la scelta degli obiettivi formativi", ma una reiterazione più puntuale del discorso avrebbe senz’altro aiutato il lettore. Ed ancora, sarebbe stata opportuna una specificazione sul concetto di competenza. Stante il fatto che la letteratura in merito è ricca e non omogenea, andava chiarito che per competenza si intende un comportamento, od un insieme di comportamenti a cui l’alunno giunge grazie a conoscenze ed abilità compiutamente acquisite: sempre che questa sia l’intenzione dell’estensore del documento! 24. Nella tabella di cui al file allegato (tabella.doc) si tenta di comparare il quadro orario ufficiale dei programmi del ’79 con un ipotetico orario deducibile dalle Indicazioni. Emerge lo spezzettamento delle materie e non si comprende quale posto assegnare, in termini di tempi, alle sei sottoeducazioni dell’Educazione alla convivenza civile.
Comparazione tra i quadri orario settimanale dei
Programmi del ’79 NB Si tiene conto solo delle 900 ore annuali e non della quota fino a 200 ore che "può" essere aggiunta "a scelta delle famiglie e dei preadolescenti con l’assistenza dei tutor".
* ore da recuperare nel corso dell’anno per giungere alle 900 Comparazione tra le ore settimanali a disposizione e il numero delle materie Programmi del ’79: 30 ore settimanali : 9 materie = 3,33 Indicazioni del 2003: 27 ore settimanali : 12 materie = 2,25
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