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Scuola dell’infanzia e riforme: alcune osservazioni
Nel corso di questi ultimi decenni la scuola dell’infanzia si è imposta come un’istituzione di grande valenza educativa e culturale. In particolare, a partire dall’emanazione degli Orientamenti del 1991, questa scuola è stata attivamente impegnata nei processi di innovazione ed ha espresso una grande vitalità sul piano culturale. Le indicazioni pedagogiche, didattiche ed organizzative contenute negli Orientamenti hanno sollecitato gli operatori scolastici ad approfondire questioni teoriche, a sperimentare nuove soluzioni organizzative, ad innovare le pratiche didattiche. Questo complesso di iniziative ha rafforzato l’identità culturale e pedagogica di questa scuola e ne ha valorizzato il ruolo educativo da essa svolto nei processi di crescita e di sviluppo dei bambini di 3 - 6 anni. Gli Orientamenti hanno inoltre ispirato l’avvio e la realizzazione dei progetti nazionali di grande significato innovativo. Il progetto Ascanio (Attività Sperimentale Coordinata Avvio Nuovi Indirizzi Organizzativi), nato dall’esigenza di fornire la scuola dell’infanzia di un impianto organizzativo coerente con il progetto culturale previsto dagli Orientamenti, ha indicato gli elementi essenziali del nuovo modo di essere della scuola dell’infanzia. La ricerca di più alti e intenzionali risultati formativi, la sollecitazione verso una sedimentazione diffusa di percorsi sperimentali, l’individuazione di soluzioni organizzative volte a tradurre il complessivo impianto progettuale (in particolare l’istituzione di un gruppo docente operante su gruppi di bambini di più sezioni, la ridefinizione degli orari delle sezioni) sono stati i cambiamenti più significativi su cui faceva leva il progetto Ascanio. Le scuole, grazie a questa iniziativa nazionale, hanno potuto sperimentare una diversa organizzazione del lavoro più in sintonia con le indicazioni pedagogiche degli Orientamenti. Alcune acquisizioni di Ascanio sono orami diventate patrimonio della scuola dell’infanzia e la stagione dell’autonomia scolastica ha ancor più sottolineato la loro attualità (pensiamo al lavoro in team dei docenti, l’attenzione alla progettualità, alla documentazione, alla qualità degli aspetti organizzativi). Il progetto Alice (Autonomia: un Laboratorio per l’Innovazione dei Contesti Educativi) si è caratterizzato come un itinerario di ricerca, formazione, documentazione, produzione di materiali intorno a quattro ambiti tematici strettamente connessi al processo di riforma della scuola italiana (ambito organizzativo, curricolare, professionale e quello di interazione con il territorio). A partire dall’esperienza delle scuole, il progetto ha attivato esperienze di formazione e di traduzione operativa che hanno condotto i docenti ad approfondire, condividere e valutare gli esiti della ricerca medesima. Queste esperienze hanno favorito lo sviluppo dell’identità professionale dei docenti nella fase di transizione verso un sistema caratterizzato da un’ampia autonomia delle istituzioni scolastiche. In effetti, Alice ha puntato sulla partecipazione e sul protagonismo degli insegnanti nei processi di formazione in servizio consentendo loro di elaborare strategie per riflettere criticamente sul proprio operato e per acquisire attitudini e metodologie adeguate ad affrontare i problemi della scuola. Riteniamo che un cenno vada anche fatto alla Consultazione sulle linee di sviluppo della scuola dell’infanzia condotta dal Ministero della P.I. due anni fa e che ha avuto il merito di porre all’attenzione dell’opinione pubblica lo stato della scuola dell’infanzia, nonché i problemi e le aspettative dei suoi più diretti protagonisti, ossia i docenti. I dati di questa consultazione hanno messo in luce una situazione contraddittoria della scuola dell’infanzia: da una parte l’"orgoglio" di operare in un settore scolastico innovativo e all’avanguardia rispetto al processo di riforma in atto, dall’altra il costante richiamo alle difficili condizioni dell’educare (che spesso inficiano un’incisiva azione educativa) e alla scarsa considerazione sociale del lavoro svolto dai docenti. Nell’ambito della Consultazione i docenti hanno sottolineato i numerosi problemi che interessano la scuola dell’infanzia e che devono ancora essere risolti (citiamo, fra gli altri, il numero dei bambini per sezione; la definizione di un orario di funzionamento più aderente alle esigenze di benessere psicofisico del bambino; la possibilità di poter fruire di spazi, ambienti e strutture adeguati sia sul piano della quantità che su quello della qualità; l’aumento delle ore di contemporaneità dei docenti per consentire il lavoro per piccoli gruppi e per potere realizzare attività più connotate in senso laboratoriale; il riconoscimento delle ore necessarie per la progettazione, la verifica e la documentazione come parte integrante dell’orario di servizio, ecc.). Infine, la Legge 30/2000, inserendo la scuola dell’infanzia all’interno del sistema nazionale di istruzione e formazione, ha rappresentato per questo grado scolastico un’ulteriore occasione per qualificare la propria azione formativa. Infatti, intraprendere una efficace azione di generalizzazione e qualificazione di questo servizio – come prevede l’art. 2 della Legge 30/2000 – significa elaborare un piano di interventi migliorativi nei confronti di questa scuola. Opportunamente peraltro il Rapporto Bertagna riprende la proposta della generalizzazione. Noi riteniamo che questo patrimonio di proposte, riflessioni e ipotesi di lavoro vada ripreso ed anzi debba costituire il presupposto da cui partire per imprimere una più decisiva azione di valorizzazione e qualificazione di questa scuola. Partendo da queste premesse, avanziamo dunque le seguenti perplessità intorno ad alcune proposte contenute nel documento della Commissione Bertagna e nella proposta di legge delega recentemente approvata dal Consiglio dei Ministri, proposte che rischiano di snaturare la natura istituzionale e pedagogica della scuola dell’infanzia se non correttamente interpretate.
Concordiamo riguardo al carattere unitario e triennale della scuola dell¹infanzia, ma il profilo pedagogico di scuola, così come emerge dal Rapporto Bertagna, appare più debole rispetto a quello delineato dagli Orientamenti del 1991. Infatti, se si può essere d’accordo sulla "centralità della strategia del gioco" nell’impostazione educativa e didattica di questa scuola, si nutrono invece dubbi sull’idea di una scuola - come sembra di cogliere nel documento in questione - che non assume l’esperienza ludica nel suo valore generativo e fondazionale, quale componente fondamentale dell’elaborazione culturale. E’ opportuno tener presente inoltre che questa scuola favorisce intenzionalmente l’interazione di ciascun soggetto con una pluralità di sistemi simbolico-culturali; ed è questo incontro che consente l’educazione del soggetto considerato nell’articolata compenetrazione di tutte le sue dimensioni. Risulta poi del tutto incomprensibile - in quanto non strettamente argomentata - la correlazione causale tra il "carattere spontaneo e volontario del gioco" e "il carattere facoltativo della scuola dell’infanzia", come se la facoltatività della scuola dell¹infanzia fosse determinata da alcune caratteristiche del gioco infantile. Peraltro, il puer ludens della scuola dell’infanzia lascia ben presto il posto al puer faber, al bambino della scuola primaria. Infatti, ad una scuola panludica (quella dell’infanzia) subentra quella successiva, dell’impegno e del lavoro. Ancor prima di iniziare la frequenza della scuola primaria, i bambini verrebbero sottoposti a una serie di prove di verifica sulle conoscenze e abilità acquisite. Ovviamente saranno verificabili solo conoscenze e abilità visibili e riconoscibili. Nelle prime età della vita però gli esiti forniscono elementi conoscitivi molto limitati e rappresentano tracce deboli e scarsamente significative del processo di crescita.
Riguardo alla proposta relativa all’ingresso anticipato nella scuola primaria e nella scuola dell'infanzia (secondo quanto previsto dalla legge delega approvata dal Governo), esprimiamo le seguenti considerazioni: 1) non si può non ravvisare una contraddizione tra le dichiarazioni opportunamente contenute nel Rapporto riguardo alla volontà di voler rispettare la tradizione e l’identità pedagogica della scuola dell’infanzia - verso la quale si esprime grande apprezzamento - e l’ipotesi di alterare profondamente un ciclo dell’educazione che viene spontaneamente frequentato da circa il 90% dei bambini. 2) L’anticipo della frequenza dei bambini di 2 anni e mezzo comporta necessariamente una revisione dell’identità della scuola dell’infanzia così come si è affermata finora. Sicuramente una configurazione più vicina all’asilo nido (e questo può costituire un elemento di grande interesse), senza tuttavia disporre delle condizioni organizzative dell’asilo nido (e ciò costituisce, evidentemente, un elemento negativo). Naturalmente lo stesso discorso lo si può fare per i bambini che a cinque anni e mezzo passano alla scuola primaria. Paventiamo insomma tutti i limiti di una precoce e forzata iniziazione ai codici e alle regole della scuola. 3) Ci saranno sezioni con 25 o anche 28 bambini di due anni e mezzo? Nell’asilo nido, il rapporto bambini di quasi tre anni/educatore è di 1 a 10-12; nella scuola dell’infanzia rimarrà l’attuale rapporto numerico anche in presenza di bambini di 2 anni e mezzo? In questo caso c’è il rischio che la scuola dell¹infanzia non riesca a garantire neppure livelli accettabili non solo di azione didattica ma addirittura di assistenza adeguata e attenta alle esigenze effettive dei bambini. 4) Infine, rammentiamo che laddove ci sono state esperienze precoci di inserimento queste sono state accompagnate da azioni di formazione del personale e da adeguati cambiamenti sul piano organizzativo. Una innovazione di tale portata deve essere adeguatamente preparata e assistita, altrimenti rischia di ricacciare la scuola dell’infanzia in una dimensione assistenzialistica, di antica memoria. d) L’impostazione organizzativa Condividiamo quanto viene detto a proposito del fatto che la scuola dell’infanzia non debba subire alcuna "scimmiottatura scolasticistica" nella sua impostazione organizzativa. Tuttavia, una qualche preoccupazione è lecita. Infatti, ipotizzando un servizio oscillante tra le 1000 e le 1800 ore annue - come viene proposto nel Rapporto -, significa che l’orario giornaliero delle scuole potrà oscillare tra le 5 ore e mezza e le 10 ore. In questa situazione, non c’è il rischio che proprio nelle scuole ad orario ridotto si insista fortemente sull¹acquisizione forzata di conoscenze? Tempi meno distesi non indurranno i docenti a declinare la loro attività in senso accentuatamente scolasticistico - anche su sollecitazione dell’opinione pubblica -, e dunque a scadere in quella "scimmiottatura scolasticistica" che si dice di voler evitare? A questo proposito, a noi sembra che le riflessioni fatte dagli Orientamenti appaiano ancora molto pregnanti ed attuali: "Le attività libere e strutturate, le esperienze socializzate e quelle individuali, i momenti di accoglienza e le attività ricorrenti esigono un’attenta considerazione dei tempi necessari per realizzare un sereno alternarsi di proposte che richiedono una diversa intensità di impegno. Una corretta concertazione dei tempi consentirà di sviluppare significative esperienze di apprendimento nonché di acquisire e far proprie alcune regole fondamentali del vivere in comunità".
E’ possibile che quando uscirà questo scritto anche la legge-delega, come già il rapporto Bertagna, non appartenga più del tutto all’attualità. Riteniamo tuttavia sia nostro compito apportare contributi riguardo al dibattito sulla scuola. Sarebbe innanzitutto opportuno che la fretta di riformare non continui a produrre – come già con il precedente governo - gattini ciechi. Una vera riforma nasce dal pensiero. Una riforma è veramente tale se esprime un’idea, se rappresenta un atto di cultura. Nella scuola, solo le idee possono curvare l’orizzonte degli eventi. Un atto del genere nasce e cresce nel più elevato grado possibile di sospensione dai dogmi della cronaca, nella massima fedeltà attuabile alla millenaria missione della scuola. Apre all’essenziale ovvero all’inerente all’essere, a ciò che è necessario affinché l’essere viva; indica la terra, la casa in cui si sta, la lingua in cui si risiede; ma anche ciò che schiude al trascendimento dallo stato, apre alla pienezza di un senso intenzionale. Il termine essenziale si oppone intrinsecamente ad "accidentale", ciò che non appartiene al soggetto dell’essere, ciò che aliena, che demolisce il proprio abitare fisicamente e culturalmente la terra, ciò che blocca il distendersi intenzionale del soggetto o – pedagogicamente - ne canalizza gli itinerari di autoeducazione. Addita l’essenziale quella scuola che avvicina il soggetto al pensiero pensante, al sapere che apre, lascia che gli eventi cognitivi non siano irretiti in tassonomie. La conoscenza è un atto di libertà, la libertà che il soggetto concede a se stesso e all’oggetto della sua indagine di incontrarsi in propri provvisori termini ideali. E' creatrice di valori la scuola che rinvia all’identità profonda di un soggetto, identità inizialmente ignota a lui stesso e che non può scoprire senza attraversare i territori della cultura, senza aver passato i campi dell’esperienza scientifica e poetica del mondo. L’importante non è evidente; nasce anzi dal superamento dell’evidenza, da uno sforzo, che viene dal profondo, di guardare alto e largo, oltre la superficie delle parvenze. La cultura è dell’essenziale, dei princìpi, di ciò che, dentro la parola e fuori dalla chiacchiera, riduce il superfluo delle parvenze e apre il soggetto a rappresentarsi originalmente (ma anche adeguatamente) il mondo. La scuola può/deve offrire un orizzonte storico per l’intelligenza dell’essere: offrire dunque saperi essenziali in quanto lasciano essere e pensare. Un sapere davvero pedagogico è qualcosa di vivo, di fecondo, di generativo di sapere ulteriore. Ha fondazione epistemologica, ossia una base dinamica, storica, mutevole, che non sovrasta secondo un preteso e privilegiato punto di vista avulso dal tempo in base al quale pretende di valutarlo ma neppure, camaleonticamente, si limita ad adeguarsi al tempo. Non è affatto un "pensiero corto", dagli orizzonti esclusivamente pragmatici, che vive totalmente nel disincanto e rinuncia a prospettive ideali , a sguardi utopici, alla possibilità di pensare criticamente. La scuola dell’infanzia ospita da sempre saperi di lungo respiro che portano a pensare le cose non solo come sono oggi ma come sono state e probabilmente muteranno, indipendentemente dal loro utilizzo immediato e prossimo venturo. La riforma scritta prenderà la strada che sarà decisa "colà dove si puote" e noi non potremo che prenderne atto. Ma è opportuno per chi è a vari livelli coinvolto nella vicenda della scuola riflettere sui saperi che si sono sedimentati nei testi e su quelli che ancora attendono di entrare nella dimensione della scrittura o dell'immagine riconosciuta. L’evidente e conclamato cambiamento dello scenario globale richiede alla scuola d’indicare le direzioni di senso davvero importanti. Dobbiamo resistere alla pressione dell’insensatezza, conservare la memoria ma non solo; anche pensare, costruire, creare e non agitarci; anche se tutti ci fanno fretta, anche se tutto ci porta ad un agire economicistico senza fondazioni e senza autentico senso. "Pensare nonostante" ma anche "pensare in vista di": aspetti di chi insegna le cose che devono permanere come quelle che si vanno disegnando oltre l'orizzonte del tempo. "Il cambiamento degli sfondi culturali (dall'uni-verso al pluri-verso), scientifici (paradigmi della complessità), filosofici (affermarsi della fenomenologia e dell’ermeneutica), economici (Mercato unico mondiale), ecologici (mutazioni del paesaggio e dei climi) e in un futuro prossimo anche genetici (biotecnologie) impone alla scuola e all'università di indicare gli orientamenti, le direzioni di senso, di riconfigurarle in un momento in cui anche soltanto l'accumulo quantitativo e la pressione qualitativa delle conoscenze hanno ormai creato una massa critica e posto forse le condizioni per sviluppi imprevedibili.". (Così si legge in un interessante documento ministeriale sull'orientamento – Le azioni di OR.M.E.)
Si auspica che la riforma non si limiti a mera ricerca "di un anno da tagliare". Essendo una grande impresa culturale e politica, essa va condotta senza fretta, muovendo innanzitutto da un attento e approfondito ripensamento del compito che la scuola può e deve assolvere entro i nuovi e largamente imprevedibili scenari di vita del nostro tempo. In tal modo si può tentare una qualche intuizione del futuro. Compito della scuola –tutta - è quello di educare, attraverso il patrimonio culturale, alla conquista dell’autonomia. Presumibilmente le nuove generazioni vivranno in tempi caratterizzati da alti tassi di incertezza. Occorre allora educare un pensiero che sappia criticamente vivere (e non soltanto adattarsi) in situazioni ad alto tasso di mutevolezza. Siamo convinti che gli Orientamenti del 1991 rappresentino ancora oggi un punto di riferimento fondamentale per definire l’identità pedagogica della scuola dell’infanzia. Ci auguriamo che le proposte di riforma riguardanti la scuola dell’infanzia si innestino in modo coerente ed armonico con questo patrimonio di idee e riflessioni.
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