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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Ripensare la scuola

 

Nel corso del tempo di una carriera iniziata negli anni ’70, chi ha avuto l’onore di affiancare schiere di alunni e alunne nel difficile e indispensabile sforzo dell’apprendimento ha potuto studiare, conoscere, applicare, non applicare, diversi stili metodologici, educativi, teorie e sperimentazioni, concezioni mutevoli di approccio relazionaleconsigliate, o enunciate da esperti a vario titolo, sostenute da Dirigenti e Ispettori, aggiornatori provenienti da associazioni e università. Inoltre ha potuto agire con la massima libertà d’insegnamento creando e reinventandouna didattica vivace tramite un vero e proprio artigianato magistrale forgiatosi nell’impatto dolce e forte insieme con infanzie più o meno facili, più o meno fortunate, spesso, soprattutto nelle grandi città, deprivate economicamente e culturalmente, le quali convivevano, nella scuola statale, con altre provenienti da ceti medio alti e alti. Una palestra, la scuola, di vita per tutti.

Ricchissimo è stato il panorama, mai uguale a se stesso. Si sono abitati tanti mondi possibili nonostante i luoghi fisici dell’apprendimento siano, purtroppo, rimasti immutati fino a diventare in molti casi fatiscenti. Eppure la fatiscenza delle strutture, più o meno evidente, non ha impedito ai gradi “bassi” dell’istruzione di essere grandi e rinomati fuori dai confini nazionali. Non mi interessano le obiezioni e osservazioni ministeriali che non sono mai state generose di riconoscimenti, che, anzi, spesso al contrario, hanno messo il bastone fra le ruote dell’ingranaggio fino a disconoscere le buone pratiche anziché incentivarle.

Tralascio di riferirmi ai tagli impietosi: ognuno che per un qualsiasi motivo e con un qualsiasi ruolo alberghi nella scuola li conosce bene. Voglio invece dire di scuola, di come la vorremmo, di quella buona che è stata ed è ancora in parte…essa è rimasta sconosciuta ai ministeri, i quali, ovviamente, come ogni ignorante che si rispetti, hanno gettato via il bambino con l’acqua sporca. Il non conoscere, anzi avere la presunzione di sapere a priori ciò che accadeva, e a volte ancora accade nelle realtà, li ha indotti nel grave errore di far politiche dissennate che hanno colpito soprattutto dove non dovevano, facendo trionfare viceversa la superficialità, il buon sensismo, la meccanicità dell’insegnamento, un cattivo utilizzo dei tempi, la fretta, sistemi di valutazione tranchant (comodi per la velocità, ma assolutamente riduttivi e inutili per fronteggiare la dispersione) e via dicendo.

Vorrei quindi fingere che i ministeri e i loro tagli a risorse e Programmi non siano mai esistiti e vorrei parlare della scuola dell’utopia che resiste ancora (per quanto?).

 

La docenza

Intanto, la tanto temuta (da chi ci guida dal quartier generale) libertà di insegnamento è fondamentale sia garantita, perché soltanto incentivando il pensiero autonomo dei docenti, essi possono liberare le loro energie intellettuali in più direzioni, anche inesplorate, per affrontare le sfide del presente.

L’aggiornamento dovrebbe essere sostenuto e potenziato sempre e comunque, con un’attenzione rigorosa sia alle novità in campo disciplinare, sia a quelle particolari dei docenti e del territorio in cui essi lavorano.

Tuttavia l’aggiornamento in sé sarebbe poca cosa se non si attivassero periodi di ricerca applicata dentro le scuole, durante i quali i docenti dovrebbero poter confrontare sia le teorie sia le pratiche, dovrebbero poter discutere, conversare, condividere o scegliere percorsi diversi da verificare in corso d’opera e alla fine. Una consuetudine siffatta motiverebbe alla relazione fra adulti, creerebbe un sistema di controllo del sé e dell’altro in azione, un controllo sull’ambiente, sul clima e sulle scelte di progetti integrativi dei percorsi fatti.

Una docenza serena che non teme l’errore è di primaria importanza per garantire il travaso di esperienze culturali e didattiche positive. Non bisogna negare, infatti, che spesso nella scuola si teme il confronto, ma ciò non è dovuto alla mancanza di un sistema esterno di valutazione. E’ dovuto invece a un ritorno all’individualismo spinto, causato dalle politiche scolastiche, a far tutto in proprio, vedi il revival del maestro unico impegnato sulle materie “principali”, o peggio, del maestro prevalente su una rosa di altri che coprono le “ore buche” dediti a materie ormai ritenute “secondarie”.

Ci sono situazioni in Italia che hanno visto, nell’anno scolastico in corso, fino a 10 docenti impegnati nelle prime classi col cosiddetto maestro unico o che dir si voglia.

Che i Dirigenti siano stati costretti ad avallare tale stato di cose è un dato di fatto, ma che ciò sia inconcepibile per una scuola che ha sperimentato altri modelli ben più positivi e di valore è altrettanto un dato di fatto.

La favola del bambino che ha bisogno di un unico punto di riferimento non è più creduta da alcuno, tuttavia anche quella di un presupposto “divertissement” con una miriade di adulti che saltano da un’ora all’altra, da una classe all’altra, è assolutamente ridicola. Anzi, è alquanto pericolosa sia per gli alunni sia per i docenti impegnati nella “giostra”.

La questione della validità del teamteaching è stata a lungo dibattuta ed è sempre controversa. Tuttavia la scuola dei cosiddetti moduli si stava attestando su un buon livello di organizzazione flessibile e plasmata sulle differenti richieste, quando su di essa si è abbattuto il ciclone dell’ultima riforma. E tutto è stato spazzato via in un sol colpo per lasciare il posto a traballanti sistemi senza un senso condiviso e ricercato. Il vuoto metodologico ha sostituito l’invisibile ragione della pedagogia e quella altrettanto invisibile della psicologia dell’età evolutiva…Possibile che per ciò che riguarda la scuola non si riesca a trovare un equilibrio in questo Paese?

Il team docente delle tre aree, linguistica, scientifica, antropologica, affiancato eventualmente dallo specialista in lingua straniera, era quanto di più culturalmente equilibrato si potesse trovare. E’ vero che si erano viste alcune storture nell’organizzazione e nell’applicazione del modello di alcune scuole. E su quelle si sarebbe dovuti intervenire, non su tutto il territorio e in modo indiscriminato. Il rischio della secondarizzazione, della frammentazione dei saperi, di orari non ben calibrati, c’era. Eppure, se si fosse avuta la pazienza istituzionale di entrare con uno sguardo benevolo nello specifico di realtà funzionanti, si sarebbe potuto evitare il più grave balzo indietro che la storia della scuola italiana ricordi.

Stessa cosa per il tempo pieno. Invece di incentivarne le qualità positive di scuola laboratorio, si è puntato il dito sulle esperienze che si ritenevano di scarso valore per spazzare via tutte quelle positive che avevano addirittura “salvato” l’Italia delle famiglie impegnate con il lavoro a costruire il futuro del Paese.

 

Le bambine e i bambini

Non sono una categoria e nemmeno un sindacato!

Lo dico perché è avvilente leggere su di loro sempre le stesse cose. Una minestra riscaldata che nessuno vorrebbe mangiare, tanto meno gli stessi bambini…che si conoscono eccome nelle loro diversità, e meglio di qualunque opinionista che scrive sui giornali. Essi vengono dipinti come iperstimolati, nativi digitali, tecnologici, svegli, facili all’apprendimento…insomma piuttosto cognitivi…e…ricchi di ammennicoli, quindi tutti figli di famiglia ricca, la quale li porterebbe senza tregua ad attività pomeridiane sparse sul territorio…

Senza dubbio ciò sarà anche vero in parte…ma molto in parte…

Si chieda a un bambino qualsiasi la composizione tipologica della propria classe e vi dirà alcune cosette: molti hanno paura del giudizio dei pari, altri temono di andare in bagno da soli, alcuni se la fanno addosso fino alla seconda elementare, tanti non si sanno allacciare le scarpe, diversi non portano il materiale essenziale per lavorare, altri ancora tengono nello zaino le merendine non consumate per mesi e mesi, alcuni usano le mani e le parolacce per difendersi, non pochi si ribellano a qualsiasi osservazione dell’insegnante, si irrigidiscono dinanzi all’errore, si incupiscono…parecchi hanno un cattivo rapporto col cibo, alcuni sono disarmati davanti alla più lieve ferita o a una caduta in giardino, pochissimi hanno il computer a casa e quando ce l’hanno lo utilizzano con i giochi dei livelli…, la condivisione dei giocattoli e dei materiali è difficoltosa: l’espressione “è miooo” va oltre l’età consentita.

Le depressioni infantili sono in aumento, così come i disturbi della letto-scrittura e del calcolo, ecc…

Di contro i docenti più esperti sanno che quegli stessi bambini hanno un mondo interiore complesso e ricco che spesso attende impazientemente, anche in modo ribelle, di essere scoperto e valorizzato. Su questo non ci sono dubbi. Ecco, probabilmente, l’analisi più corretta sarebbe quella che tenesse in considerazione le estreme differenze di esperienze pregresse ed extrascolastiche, di stili di apprendimento, di relazioni familiari, di sistemi educativi in famiglia, dai più rigidi ai più lassisti.

Ecco, si potrebbe considerare che spesso il problema degli inserimenti di alunni stranieri viene ingigantito, mentre andrebbe analizzata più attentamente la composita situazione degli alunni italiani che realmente riflettono la società in cui si vive, tanto diversificata e stratiforme. A volte gli alunni stranieri rispecchiano un mondo di regole e valori che era il nostro del dopoguerra e procedono sicuri e veloci nell’apprendimento senza scossoni, mentre gli Italiani rivelano un’altalenante modalità di approccio all’apprendimento, della serie “ora ti voglio ora no”. Quindi dobbiamo tener presente che i luoghi comuni sui “bambini e le bambine di oggi” devono essere lasciati sulle pagine dei quotidiani. Altrimenti succede come a una giovane collega di mia conoscenza che è stupita per il livello scarso di apprendimento e la maleducazione della “sua” classe, perché non corrisponde al cliché che lei ha in testa. Addirittura è convinta, senza ombra di dubbio, che le altre classi siano diversamente sortite, quindi si sente sfortunata e malcapitata.

Niente di più sbagliato pensare che l’apprendimento degli alunni sia più veloce perché essi avrebbero un background già sviluppato di informazioni di base…

 

Le famiglie

Anch’esse non sono una categoria o un sindacato!

Sono multiformi oltre che multi colorate, multi religiose, multi educanti e multiculturali.

Esse producono diversi sistemi relazionali, i più vari e interessanti da conoscere. Non c’è un unico modello, quindi vanno analizzate le loro modalità educative e la ricaduta che hanno sui figli, i quali poi devono stringere relazioni che per forza di cosa inizialmente sono conflittuali. E se è vero che il conflitto fa crescere, è altrettanto sacrosanto il ritenere che per gestire i conflitti in modo democratico scuola e famiglia debbano comprendere che i tempi della costruzione dei rapporti sono più lunghi, a meno che non si ritenga inutile il lavorare in questo senso a favore di una scuola che concepisce ogni bambino col suo banco e con i suoi strumenti di lavoro come una monade autosufficiente.

Le famiglie sono il trampolino di lancio più efficace per una adeguata motivazione all’apprendimento, di conseguenza il rapporto che si intreccia con esse deve essere saldo e franco. La franchezza e il rispetto sono gli elementi essenziali per una riuscita del lavoro di adulti e bambini.

Lo spiegare per filo e per segno ciò che si fa a scuola e perché lo si fa è importante, ma ancora più importante è il modo in cui si spiegano le attività. E’ fondamentale che la famiglia sappia quale

filosofia di riferimento ha il docente, che essa possa comprenderla e “sentire” che il pensiero alla base dell’insegnamento è rivolto alla crescita globale del bambino, è dalla parte dei sentimenti e dell’intelligenza, che tale pensiero tiene in grande considerazione il fornire gli strumenti per affrontare difficoltà e sfide della vita. Le famiglie oggi sono tutte molto attente a come agisce la scuola, non per il riscatto sociale (lo è ancora per gli extracomunitari) quanto per l’opportunità che offre di imparare a vivere insieme, per superare le fragilità, per impadronirsi di buoni mezzi per saper fronteggiare le difficoltà, per destreggiarsi nel mare delle opportunità, per sedare le ansie e i timori di non essere all’altezza delle situazioni, per mettere ordine interiore di fronte a una realtà che spesso è rumore e velocità d’azioni non ben ponderate. Il tutto condito e sostenuto da una cultura di base buona. Un tempo non molto lontano erano le famiglie stesse a occuparsi naturalmente di un’educazione alla vita, ora sempre di più esse chiedono alla scuola di occuparsene: in parte, in alcuni casi, in toto, in altri. Genitori siamo noi stessi docenti così come lo sono gli altri. Ognuno di noi adulti sa bene quali siano i tempi contingentati della vita lavorativa, sa bene quale potere abbiano i media sull’immaginario giovanile e ancor più quale sia l’attrazione dei pari sui singoli, in particolare dei gruppi sui singoli. Il tempo dell’ascolto, del dialogo, della conversazione, nel senso etimologico di cum versare, si è andato via via assottigliando sempre di più. Una politica della scuola che tenesse conto della realtà e fosse preoccupata dell’impatto che essa ha a breve e a lungo termine sulle menti, dovrebbe proteggerla, sostenerla, fornirle risorse costantemente senza tema di sprecare investimenti.

 

I Dirigenti

Che bello sarebbe averli sempre al fianco!

Pronti a sostenere attività, a battersi per ottenere sovvenzioni e per costruire insieme coi docenti momenti e periodi di ricerca.

Il sogno di una figura pedagogicamente in grado di fare scuola e contemporaneamente di sapere organizzarla in funzione del fare scuola andrebbe reso realtà al più presto. Invece mi risulta che l’ormai prossimo concorso per la carica dirigenziale sarà impostato con un bel quizzone (di 100 item) preconcorsuale selettivo. Si dice che le domande principe verteranno sulla normativa, quindi relative al diritto, alla sicurezza, al codice disciplinare…

Speriamo di no. Altrimenti ancora una volta si perderà l’occasione di vedere emergere una figura professionale vivace pedagogicamente, con un occhio attento alla didattica, ai docenti, alle classi, alla ricerca dentro la propria scuola, con efficienti relazioni con il mondo universitario dei saperi in evoluzione e con il mondo della cultura in generale…

Vedremo. Ora come ora, i migliori dirigenti hanno saputo barcamenarsi nel bailamme di circolari, decreti, leggi e hanno saputo salvare il salvabile proprio grazie alla solida cultura pedagogica che avevano alle spalle. Chissà se domani, divenuti più funzionari che insegnanti, sapranno rispettare il respiro della pedagogia.

 

Fare scuola

Fare scuola si deve con gli alunni e le alunne reali di cui ho parlato in precedenza, con le loro famiglie reali, nella situazione che vede povere economicamente sia l’istituzione sia le famiglie.

Quando i materiali scarseggiano, si fa con quello che si ha. E quello che si ha in primis è il pensiero.

Proprio per questo, a scuola, sto creando un angolo dell’immateriale, quello del pensiero…quello dell’astrazione; qualcuno si stupisce di ciò, perché oramai si è abituati soltanto alle cose, cose più o meno sensate, a volte anche molto sensate, ma pur sempre cose: si vuol vedere il quadernone, il prodotto finito di cartone o di corda o di che altro non so…, ma leggere i pensieri, le osservazioni spiazzanti delle bambine e dei bambini è faticoso, richiede pazienza e soprattutto una grande profondità che oggi è merce rara…Le bambine e i bambini non sono dal punto di vista sintattico e formale immediatamente corretti (a volte sì, e anche parecchio dopo che si è lavorato sodo sui libri e sui brani da essi estrapolati!), eppure sanno porsi e porre domande… difficilmente accettano risposte senza senso…Anzi, sono in grado di mostrare subitaneamente quel disagio che molti adulti nella società mascherano, per quieto vivere o interesse, dinanzi alle realtà sconosciute e apparentemente inspiegabili …

Oggi per le bambine e i bambini, esposti quasi senza tutela a mediatici sistemi violenti, è poi fondamentale lo studio della Storia per ricostruire il senso del sé, per dare la possibilità di conoscere il valore dell’ordinare, per avviare alla riappropriazione della propria umanità che rischia continuamente il vilipendio, per fronteggiare i media, le sirene dell’effimero, del “mollo tutto”. Chi vive coi piccoli tutti i giorni sa bene quale sia l’attenzione duratura che si sviluppa intorno a temi “grandi” come quello del diritto/dovere alla vita, all’istruzione, alla parola, alle pari opportunità fra donne e uomini, al lavoro, alla protezione, alla solidarietà, ecc…

Quindi, nessuno scandalo, se gli insegnanti, nel rispetto della libertà d’insegnamento, scegliessero percorsi alternativi alle vigenti Indicazioni ministeriali in materia di Storia e affrontassero nel corso delle tre classi finali della primaria argomenti ben collegati dalla preistoria ai giorni nostri.

 

La cooperazione e la valutazione

Vorrei poi attirare l’attenzione sul problema dei problemi: quello della valutazione per mezzo dei voti. Tale tipologia di “misurazione”, ritengo da anni e anni e lo scrivo ovunque, che sia la ragione più importante che costringe gli insegnanti a sminuire culturalmente il proprio stesso insegnamento, oltre che rendere asfittico l’apprendimento degli studenti…La trilogia, SPIEGAZIONE-STUDIO-INTERROGAZIONI diviene imperante, supera ogni più fervida immaginazione, altro che laboratori, altro che attenzione al soggetto che apprende!

I voti sono l’errore-orrore della scuola, non per la faccenda banale della diversificazione del merito che indurrebbe alla competizione, ma perché tolgono speranza alla volontà di ricercare e cercare soluzioni proprio a quei ragazzi che si vorrebbero recuperare allo studio. Ancora una volta, invece di trovare strade alternative alla valutazione di sempre, ci si attesta su un passato che ha fallito nell’impresa di far fronte alla dispersione scolastica.

Cambiare modo di valutare significherebbe liberare tutti gli attori dal nulla della presunta o pressappochista oggettività. Una senatrice illuminata, una volta, tanti anni fa, durante il Ministero di Berlinguer, mi disse ridacchiando fra sé e sé: “La sua è un’idea formidabile, ma troppo avanti!” Ci vorranno cinquant’anni almeno prima di accorgersene veramente.” Ero molto giovane e mi pareva tutto più raggiungibile…così me ne risentii. Invece ora ho compreso bene il potere che alcuni fanno risiedere in questa lucida, anzi poco lucida follia delle scalette.

Gli effetti positivi degli sforzi di una metodologia rivolta all’integrazione, alla pedagogia conversazionale, alla pedagogia attiva, alla didattica laboratoriale, al rispetto per gli stili di apprendimento, alla fiducia nell’errore come risorsa, all’apprendimento cooperativo sapientemente condotto, ecc… rischiano di perdersi in un colpo solo nello spazio di una casella col voto, soprattutto per gli alunni più “deboli”, e tale perdita avviene anche per il valore simbolico che ha il voto per alunni e genitori che li induce a spostare la loro attenzione dall’analizzare qualità e profondità del percorso scolastico, delle scelte didattiche, contenutistiche, laboratoriali… ai semplici risultati contingenti di interrogazioni e verifiche…

 

Per concludere… libertà d’insegnamento andate difendendo, care colleghe e colleghi…

Rispettare le leggi dello Stato è ottima cosa per qualunque cittadino. Tuttavia, dentro la scuola, una legge è sicuramente al di sopra delle parti, ed è quella costituzionale che ci induce a perseguire il bene di tutti e tutte, quella che ci impone di non allontanare alcuna persona dagli studi e di sviluppare le potenzialità di ognuno/a.

Per ubbidire alla Costituzione noi docenti siamo chiamati ad agire con la libertà di insegnamento che ci è non concessa bensì imposta, in modo adeguato alle richieste di cura e di crescita culturale di alunni e alunne. Il resto conta, ma non fino al sacrificio delle opportunità di un apprendimento efficace e rilevante che vanno difese su tutto.

 

12 settembre 2011

Claudia Fanti

 


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