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Risalire la china di Stefano
Stefanel Il Corriere
della sera dell’8 dicembre ha titolato:
”Più bravi gli studenti italiani.
Le eccellenze in Lombardia”. Il dato più significativo è quello per
cui per la prima volta dall’avvio del Programma Ocse-Pisa saliamo e non
scendiamo: passiamo dal 33° al 29° posto, che certamente non è un
grandissimo passo in avanti, ma perlomeno inverte una tendenza
decennale. Inoltre i dati disaggregati dicono che la Lombardia supera il
Nord Est e si colloca nella fascia alta delle rilevazioni Ocse, facendo
un bel balzo in avanti, e che il Friuli Venezia Giulia è una regione
d’eccellenza sia in matematica che in scienze. La Puglia riesce a salire
sopra media Ocse, di poco, ma è un risultato eccezionale perché è
l’unica regione del sud a farcela. Come sempre avviene tutti vogliono
accaparrarsi il risultato, ma ci sono dati interessanti da valutare
anche nelle scomposte reazioni politiche. Il Ministero rivendica la
bontà della strategia “valutativa” (Invalsi, Voti, Crediti non sanati da
riparare, ecc.),
l’opposizione la forza insita nel corpo docente e studente. Entrambe le
rivendicazioni sembrano piuttosto deboli, perché il meccanismo
valutativo è intervenuto sulla dispersione (aumentandola), ma non sugli
apprendimenti, migliorati da altri interventi. Mentre la forza insita
nella scuola sta convivendo con un malcontento e un’agitazione
facilmente percepibile.
C’è una lettura critica che si può fare dei
dati e che deve prescindere dalle interpretazioni ideologiche e di
parte:
Se la scuola reagisce bene alle difficoltà crescenti,
credo sia necessario chiedersi perché quando le difficoltà erano minori
e le risorse maggiori i risultati erano molto più scarsi. Se la Regione
che fa più progressi è quella che maggiormente ha un rapporto
concorrenziale tra scuole private/paritarie e scuole pubbliche vuol dire
che quel rapporto non nuoce alla scuola pubblica. Se la Puglia ha
invertito la tendenza, il Meridione italiano da lì deve partire e non da
impossibili tentativi di riprendere il nord. Tra l’altro i dati Ocse-Pisa definiscono chiaramente
quello che è noto a tutti: il sistema scolastico statale è di gran lunga
migliore di quello privato-paritario e questo perché il sistema di
reclutamento dei docenti da una parte, la disomogeneità delle classi
dall’altra creano comunque ambienti di apprendimento migliori di quelli
creati da scuole private per lo più confessionali, che hanno come unico
contraltare alla scadente qualità dei docenti l’assenza di
conflittualità, come se la vita degli adolescenti non fosse comunque
migliorata dai conflitti e delle contaminazioni. Attenzione
però: sempre 29simi siamo e dunque non è bene enfatizzare troppo una
tendenza, così come non è bene sottovalutarla. Se però questo trend
positivo passa come non parlare di scuola più povera, ma più forte? E
per cancellare questa
equazione cosa bisogna fare visto che farla andare male non avvantaggia
nessuno? Credo sia necessario rifare da capo i contratti e concentrarsi
sugli obiettivi da far raggiungere ai nostri studenti e non sui diritti
dei lavoratori. In questo modo si può far fronte a difficoltà
economiche, che non sono solo italiane o nate da sbagliate decisioni
governative. Il problema del contratto della scuola è reso ancora più
complesso dal Decreto Brunetta, una norma confusa e piena di stranezze e
ambiguità, che ha però avuto il grosso merito di rendere meno stagnante
il mondo della scuola, ora “preoccupato” da performance,
dirigenza e procedimenti disciplinari.
La rincorsa è lunga e difficile perché i dati sono
spietati e i primi cinque modelli della scuola Ocse non sono
raggiungibili né imitabili: Shangai, Corea del Sud, Finlandia, Hong Kong
e Singapore. Sono sistemi scolastici tutti privi di personale
ausiliario: cioè tutte le risorse vanno nella didattica. E’ una scelta,
non un esempio da seguire. Anche per questo ho detto che quegli esempi
per noi non possono neppure essere materia di studio. Pensare a una
scuola italiana che non debba dedicarsi allo status e ai diritti degli
ata è pensare qualcosa di antistorico, in quanto gli ata sono essenziali
alle scuole perché i loro mansionari e i loro profili hanno introdotto
per via contrattuale necessità che altrove non esistono. Però
l’intreccio di risorse necessarie a garantire didattica e pulizie
provengono dallo stesso comparto e dunque si sovrappongono creando
condizioni atipiche rispetto al resto del mondo e dunque non
comparabili. In questo momento sarebbe interessante un dibattito
sui sistemi regionali attuali e non tanto sulle buone pratiche o le
esperienze pilota delle scuole, perché in Italia non c’è la cultura
dell’importazione delle pratiche nella propria organizzazione, mentre
c’è quella dell’idealizzazione delle proprie pratiche.
Credo che solo le conoscenze organizzative reciproche potrebbero
aprire a contaminazioni interessanti. La rilevazione dell’Ocse è della
primavera del 2009, la prossima sarà nella primavera del 2012 e lì si
giocheranno le carte decisive del nostro Paese. Un ragionamento sul
sistema dell’istruzione italiano e sui meccanismi di regionalizzazione
mi sembrerebbe il metodo migliore per comparare i risultati e le
organizzazioni. Il contratto nazionale è ciò che nasconde alcune
anomalie e lascia a centri di spesa intoccabili il divario tra misure
necessarie e misure di semplice garanzie dei diritti dei lavoratori. Ma
senza lavoro non ci sono diritti e l’impoverimento della scuola italiana
getta luci sinistre sul futuro. L’Ocse ci sta dando delle speranze, ma
non sembra che in gito ci ciano molti che sanno come farle diventare
realtà. |
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