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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

ROMPIGHIACCIO CULTURALE/AFFETTIVO: LA SCUOLA DEI PIU’ GIOVANI

Come fare

Dopo aver letto il documento "Scuola cultura persona" con i successivi commenti dei pochi, per la verità, che hanno espresso pareri e considerazioni, e avendone apprezzati alcuni in particolare, come quelli di CIDI, GISCEL, GILDA, MCE, ho pensato che mi piacerebbe vedere il mondo della scuola stringersi attorno a un’idea di apprendimento/insegnamento centrata proprio sul "come fare" affinché il desiderio di un’istituzione fondata sulla Costituzione si realizzi.

Ebbene, nella pratica, credo di poter ormai affermare in tutta tranquillità che qualsiasi tipologia di integrazione avviene se l’insegnamento si basa sul dialogo.

Tutti lo dicono, ma forse sottovalutando il vero senso del vocabolo.

Infatti, nella mia carriera lavorativa, ho avuto la percezione di un sistema didattico basato soprattutto sulla scrittura, sullo studio a casa, sui compiti, su spiegazione, poi produzione e successiva istantanea valutazione.

Non basta ricordare qui l’apprendimento cooperativo (in troppi casi usato come metodologia meccanica e asettica per raggiungere obiettivi prettamente disciplinari) , perché in sé significa molto poco se in prima battuta all’entrata nel nido, nella scuola dell’ infanzia, elementare, e poi via via nei gradi successivi, fino all’ università, non si punta su una sapiente metodologia della lingua orale da parte di ogni insegnante, non solo quello di italiano, e su costanti conversazioni incentrate su ogni aspetto disciplinare, sulla vita scolastica e non.

Non c’è tempo?

Si dice spesso: "non c’è tempo per parlare", "non c’è tempo per ascoltare e ascoltarsi" "non c’è tempo per fare circolare le idee", "non c’è tempo per niente"…

Chi non ha mai detto queste parole scagli la prima pietra…eppure meglio non insegnare o non andare a scuola se non esistesse la possibilità di "avere tempo" per il dialogo costante. Infatti, e altrimenti, nulla si imparerebbe o insegnerebbe.

Tuttavia la questione non dovrebbe essere di difficile soluzione riflettendoci bene. Supponiamo di ritrovarci con una classe prima, nei primi giorni di scuola, di aver già pensato a come fare accoglienza, di aver già organizzato e scandito i minuti e i secondi utili per fare attività giocose… bene, già abbiamo commesso il primo errore sul tempo speso.

A voler seguire la "scaletta" della programmazione se ne ricaverebbero pianti, urli, situazioni incontrollabili di bambini vocianti, di confusione, di rifiuti e altro ancora…

Supponiamo invece di partire da subito con la convinzione che i bambini, per essere accolti nel senso pieno del termine, devono sentirsi sicuri delle proprie possibilità e capacità, devono acquisire immediatamente autostima, devono divenire responsabili del proprio apprendimento, e vogliono dimostrare ciò che sanno pensare, dire, fare…allora la "scaletta" non ha senso.

Facciamo l’esempio dell’allacciarsi le scarpe e di dover entrare in palestra all’ora x per un’attività di qualsiasi tipo. E’ un esempio che spesso faccio perché calza a pennello con l’idea di una scuola che attende, ma non perde tempo.

Luisa dice che non le ha mai allacciate, Giorgio piagnucola perché la sua mamma non glielo ha insegnato, altri si guardano intorno sconvolti, come avessero visto il lupo mannaro…O.K.

Molti indossano le famosissime scarpe con lo "strappo", quindi borbottano la loro impazienza…

Diciamo apertamente ai bambini che ci si attende da loro una partecipazione attiva alla risoluzione del "problemino".

Si va negli spogliatoi della palestra, la maestra cambia le proprie scarpe, infila quelle con i lacci e comincia ad allacciarseli…guarda i bambini e chiede di fare altrettanto. Finge di non accorgersi del trambusto, delle lamentele e dello sconcerto…Aspetta, intanto pensa che migliore palestra di vita è la prova commisurata all’età.

Un alunno comincia e ce la fa…grida il suo trionfo; la maestra si trattiene anche se lo bacerebbe e "valuterebbe" in modo positivo, invece bisbiglia un "ho visto, mi fa piacere, sono contenta che tu ce la faccia e ora che faresti?" Supponiamo che l’alunno esperto risponda: "Voglio entrare in palestra a correre". La maestra potrebbe iniziare una conversazione con lui e con tutti: bello sarebbe entrare in fretta in palestra, però lo si deve fare con le scarpe adatte…

Allora l’ insegnante potrebbe intavolare un bel circle time sul "come fare". Verrebbero allo scoperto tanti piccoli consigli sul come…solitamente chi è stato in grado di riuscire viene chiamato in causa e viene utilizzato per i suggerimenti, poi piano piano, a coppie, o a gruppetti, per qualche lezione successiva di prova e riprova, tutti avranno imparato fieri della loro autonomia, anche con l’aiuto dei "furbacchioni" dello "strappo"…

Come si accorcerebbero i tempi dell’entrata in palestra, e non soltanto, da quell’istante in poi!

La mensa è un altro "momento-palestra" di prove ed errori: come tagliare la carne, attorcigliare gli spaghetti, sbucciare la mela…?

Stessa cosa si può e deve fare con le discipline di studio nel corso degli anni.

A chi la responsabilità?

I bambini e le bambine responsabilizzati del loro apprendimento e del confronto fra pari diventano macchine per la risoluzione e l’integrazione…adorano infatti dire "ce l’ho fatta da solo!" e si prodigano a spiegare il come e il perché, intanto parlano e dialogano. Anche sul pensiero astratto, speculativo si può e deve percorrere la strada del provo e riprovo, rifletto, parlo e dialogo con chi ha trovato strade diverse! I contenuti di un’attività o di una lezione si dimenticano quasi sicuramente nel tempo, ciò che invece resta per il futuro vicino e lontano è la modalità personale e condivisa dell’accesso al sapere di tutti i bambini stimolati dalla regia defilata, ma attentissima, dei docenti.

Il far ricadere sulle gracili spalle dei giovani studenti la responsabilità degli apprendimenti e la riflessione sugli stessi, con la successiva ineludibile rielaborazione verbale delle fasi del processo d’apprendimento è una cosa che toglie velocemente dalla testa dell’adulto che quelle spalle siano poi così gracili e poco "competenti".

In realtà, anche i bambini e le bambine sono in grado di affrontare qualsiasi argomento e qualsiasi difficoltà purché messi sapientemente nella condizione di ragionare e rielaborare autonomamente su ogni problema, anche su quelli di natura emotiva, affettiva e sentimentale…

Senso e lingua dialogante

Per esempio, supponiamo ancora che si voglia "fare" poesia e che l’insegnante ami la lingua in funzione estetica, perché sa che è potente mezzo di integrazione ed espressione del sé che desidera entrare in "comunicazione" personale con se stesso per rivelare agli altri i propri vissuti e la profondità del proprio pensiero. Quali parole hanno un senso per bambine e bambini? Come si chiamano, che "cosa" sono i sentimenti, le emozioni, le sensazioni, le idee…?

Da un argomento affrontato, qualsiasi, sia esso scientifico, matematico, storico, tecnico, sociale, motorio, musicale…si può partire per strade inesplorate di senso…In libertà, su fogli bianchi, ognuno traccia piccoli disegni o, se si è già esperti, si scrivono parole, e su queste orme di significato si comincia il dialogo, prima collettivo, poi individuale su come sarebbe bello far "sentire" agli altri il pensiero profondo che anima una testa quando ragiona e allora via a misurarsi sulla trasformazione dei vocaboli, sulle variazioni, sui sinonimi, sugli spostamenti delle parti del discorso, sulle "sottrazioni" o sull’"addizione"delle stesse…e taglia e cuci, e canta e aggiungi musica a parole, uscirebbero prima oralmente e poi, successivamente, scrivendo, strabilianti immagini viventi e vibranti di pensiero denso di significato che passa per il significante…La lingua sarebbe sicuramente viva e pronta a tagliare a fette, o ad accarezzare, o ad illuminare lo spazio e il tempo della giornata scolastica, le relazioni fra diversità presenti in classe.

Stesso ragionamento vale per le attività teatrali, ludiche…lasciamo che gli studenti creino, inventino, ma pretendiamo rigore nell’esplorazione e nella costruzione di oggetti di scena, costumi, schemi di gioco e di rappresentazione… e poi concediamo tempo per la verbalizzazione delle procedure, del "come ho fatto a fare", del "come ho fatto a inventare", e ancora pretendiamo che la comunicazione delle vie intraprese si faccia via via più chiara ed esplicita…ci si accorgerebbe di quanto entusiasmo procuri la consapevolezza di avere consapevolezza, di quanto tempo sarà risparmiato quando si affronteranno altri apprendimenti e scoperte futuri!

Lingua orale "dolce e potente arma"

La lingua orale, "usata", "abusata", "autocorretta" se non efficace alla ricezione dei messaggi, curata e "plasmata" dalle proprie mani, dal corpo, dalla voce, oltre ovviamente che dalla testa, io ritengo sia l’arma (mi piace aggiungere: dolce e potente) di cui Berlinguer parlava al convegno del 3 aprile 2007. Essa è la terapia, è la speranza e va curata con un sistema che assomiglia in parte a quello della scritta, ma richiede pazienza e polmoni, ascolto e rispecchiamento, insomma quello che oggi viene chiamato "ascolto attivo", che induce all’autocontrollo e allo svelenirsi delle tensioni personali e sociali, alla presa di coscienza del sé e dell’altro nel rapporto dialogico.

Qualcuno potrebbe obiettare che in classi numerose è impossibile "far parlare" e interagire le persone. Tuttavia, pur essendo io una sostenitrice entusiasta di chi esige un numero di alunni per classe attorno ai 20, unità più unità meno, paradossalmente proprio per la situazione assurda in cui ci troviamo, in classi che sembrano scoppiare, in spazi angusti e senza mezzi, si deve fare con ancora maggiore convinzione…

Certo, è faticosissima l’impostazione iniziale, tuttavia nel corso degli anni è bellissimo e "lieve" entrare in classi in cui sono gli alunni stessi che spiegano, si confrontano, accedono autonomamente agli strumenti a loro disposizione come libri, computer, dizionari, atlanti, ecc…

Chi parla con la testa e con il cuore riesce, ha successo, perché utilizzare costantemente la metacognizione e la metalinguistica per giungere a una comunicazione orale efficace, permette poi di scrivere, contare, risolvere problemi, affrontare testi di vario tipo, leggere, comprendere, esprimersi, progettare, analizzare, selezionare, ordinare, articolare linguisticamente e logicamente periodi gradualmente sempre più complessi anche da un punto di vista formale e di correttezza orale e scritta.

Si prova quasi un sottile piacere a vedere "sudare" bambine e bambini per il loro autonomo apprendimento e a osservarli intenti a risolvere difficoltà, a sedare conflitti e litigi.

Quando i bambini si rendono conto che nel rapporto dialogico sono profondamente rispettati, accelerano i tempi del consolidamento di una nuova scoperta e nessuno più gliela toglierà. Tempo risparmiato!

Quali documenti d’appoggio?

Più che di indicazioni nuove, di riforme, di enunciazioni di principio, noi e i bambini avremmo seriamente necessità di avere qualcuno che "premi e propugni", sui documenti a cui dovremo riferirci, lo sforzo del dialogo, della conversazione, della presa di responsabilità negli apprendimenti, della ricerca dell’autonomia.

Avremmo necessità di documenti ministeriali che ci facciano essere autonomi pur dandoci un quadro di riferimento a maglie molto larghe, avremmo necessità di un atto di fiducia verso le nostre intelligenze e competenze.

Elencare saperi, competenze, conoscenze, è sicuramente uno sforzo che un ministero dovrà fare e forse farà, ma ciò non cambierebbe di una virgola la situazione, non eliminerebbe la dispersione, né l’inadeguata adesione agli standard europei, né le competenze scarse, ecc…

Enunciare invece un sistema di "possibilità" di cambio di modalità del far scuola smuoverebbe probabilmente lo stagno pedagogico, incentiverebbe a provare e riprovare anche il mondo adulto che ruota intorno ai giovani.

Stimolerebbe alla fiducia nella forza della scuola in campo educativo e istruttivo. Scuoterebbe dal torpore i rassegnati alla "cattiva" società.

La società non è "cattiva", però è profondamente "avvilita"! E i giovani "avviliti" sono un pericolo per se stessi e per gli altri…chi non è ascoltato, chi non viene mai indotto a rielaborare, chi non viene mai messo in condizione di misurarsi con lo sforzo giornaliero di apprendimenti vissuti, o ad assumersi le responsabilità delle proprie azioni, diviene "cattivo", aggressivo, a volte estremamente violento.

Perché deve cambiare sempre la scuola dei più piccoli?!

La "rabbia" di vedere cambiare sempre le "regole" del primo ciclo di istruzione è tanta, tuttavia il fatto che "in alto" si prospetti sempre un cambiamento del "basso" dà la percezione di quanto siano importanti la scuola di base, le/gli insegnanti e il compito ad essi affidato: la scuola dell’infanzia e del primo ciclo sono il rompighiaccio delle coscienze pedagogiche affinché si apra il varco alle basi della vita emotiva e culturale di ognuna/o.

Protagonisti noi

Pretendiamo la possibilità, remunerata e non occasionale, di tentare la ricerca dentro le scuole, pretendiamo mezzi e strumenti, edilizia adeguata, ma intanto riconosciamoci il ruolo di protagonisti e professionisti capaci di produrre pensiero e azione nel concreto, consentiamoci di essere anche artigiani e artisti oltre che teorici dell’educazione/istruzione. Anzi, lasciamo che altri parlino di scuola, e noi facciamola, fieri di farla sul serio.

23 aprile 2007

Claudia Fanti


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