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SAPERE SULLA SCUOLA E SAPERE
DELLA SCUOLA di Pasquale Picone
L’osservazione del dibattito sulla scuola, che si è sviluppando in questi ultimi mesi, risulta così interessante da rasentare, per certi versi, il divertimento. Dapprima la costituzione di un gruppo “bipartisan” che, dalle colonne del Corsera, arruola anche Berlinguer. Poi arriva la smentita di Berlinguer sulla sua partecipazione al gruppo. Da un lato, l’appello di Alba Sasso al mondo della scuola, dell’università e della ricerca. Dall’altro, l’intervento di Maurizio Tiriticco, “Dibattito a tre” che, muovendo dalla relazione che Bertagna non poté svolgere al convegno SDI il 14/12/02 e dall’articolo del Corsera del 16/12/02, auspica che “si cancelli quell’orribile termine di bipartisan che sa tanto di pastetta della peggiore specie” (cfr. https://www.edscuola.it/archivio/ped/dibattitoatre3.htm). Ancora, si osserva la costituzione di un asse privilegiato Bertagna-Maragliano, i quali rinnovano il manifesto “bipartisan” su “Reset” di gennaio 2003 (riportato anche in www.edscuola.it) . E Tiriticco che li insegue, inascoltato, con il suo recente “Autodafé bipartisan” (in https://www.edscuola.it/archivio/ped/autodafe_bipartisan.htm). Cosa si può decodificare dal costituirsi di gruppi, dalle disdette a parteciparvi e dall’inseguimento per esserne inclusi? Senza tanti giri di parole, o velati ossequi a chi detiene di fatto un potere universitario, credo che, al di là della fondatezza di molte formulazioni espresse negli interventi, se ne possa dedurre una sostanziale aspirazione, anche al di là delle affermazioni che sembrano negarla, ad essere ascoltati dal Principe. O da chi il Principe ha già accolto a corte. Che cosa sostiene un’affermazione così drastica? Due operazioni di razionalità (non di razionalizzazione). L’analisi del contenuto degli interventi, degli autori su menzionati, e il principio di realtà. Nel nostro caso, il principio di realtà significa la capacità di avere una percezione realistica e sufficientemente approssimata alla completezza delle variabili, dei fenomeni che attualmente concorrono a costituire la realtà scolastica. Ebbene, dall’analisi del contenuto degli interventi si evince: -il riferimento, sacrosanto e condivisibile, ad una serie di dati allarmanti sulla scuola; -la convinzione che per porvi riparo bisogna far ricorso ad una ristrutturazione ingegneristica del sistema scolastico; -delle rimozioni cosmiche di dati e fenomeni che rappresentano, oggettivamente, delle priorità assolute, anche rispetto agli allarmi sacrosanti. Se provassimo a fare, alla maniera di Einstein, un “esperimento mentale” sulla questione, si potrebbe ipotizzare l’esistenza di un Principe talmente illuminato (immaginiamo, ad esempio, Luca Cordero di Montezemolo al MIUR) da realizzare, in sede legislativa, pari pari quello che dicono Bertagna, Maragliano, Tiriticco, Sasso, ecc. Poi, una volta promulgate le leggi, i primi tre lascerebbero le cattedre universitarie, l’ultima la poltrona di deputato, per fiondarsi dietro le cattedre dei licei, onde mettere in pratica le innovazioni sancite da tali leggi? E anche ammesso (e non concesso dagli interessati: è ovvio) che ciò divenisse possibile per chissà quale magia del prof. Silente, quanti Bertagna, Maragliano, Tiriticco e Sasso si potrebbero avere nelle scuole? Chi è che deve veicolare tutte le sistemazioni ingegneristiche della scuola, se non la classe professionale che eroga il servizio scolastico, cioè i docenti? Per quanto concerne il principio di realtà, sempre in sede di analisi del contenuto degli interventi in oggetto, bisogna constatare una cosmica rimozione di un fenomeno che costituisce la madre di tutti gli allarmi sulla scuola, ma che nessuno si decide, non dico ad affrontare, ma almeno a considerare. Chi lo fa risulta una flebile vox clamantis in deserto. Come è possibile che l’Italia, che siede tra le prime nazioni per grado di civiltà, detenga dei contraddittori primati negativi, quale quello di un rischio psichiatrico degli insegnanti da due e tre volte maggiore, rispetto e tutti gli altri comparti del pubblico impiego (cfr. Vittorio Lodolo D’Oria e altri, “Burnout e patologia psichiatrica negli insegnanti”, in https://www.edscuola.it/archivio/psicologia/burnout.htm)? E quello che la nostra amata Nazione, su 27 Paesi, si ponga al secondo posto, dopo il Belgio, in un’indagine OCSE del 2000, per il tasso del 38% di studenti quindicenni che hanno una percezione negativa della scuola (cfr. N. Bottani, Insegnanti al timone?, Bologna il Mulino, 2002, pp. 231-232)? Se consideriamo 100 alunni distribuiti in 5 classi da 20, ben due di queste classi percepiscono la scuola come un inferno. E non c’è bisogno di fare chissà quale esperimento di laboratorio per dedurne che, quest’ultimo dato, è in diretta produzione dal burnout dei docenti E quale spiegazione dare ad una diffusa indifferenza e rimozione, sia a destra che a sinistra, di tali primati negativi? Ho sollevato la priorità di questo allarme, formulando alcune riflessioni, sulla natura delle cause, una ricostruzione della storia interna recente della professionalità docente (che a Maragliano in particolare dovrebbe interessare) e i possibili rimedi, dal di dentro della scuola, nelle due risposte a James Hillman (in https://www.edscuola.it/archivio/ped/hillman3.htm) e ad Alba Sasso (in http://www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=1899 ). Ecco dunque profilarsi una scissione e un conflitto profondo tra il sapere sulla scuola di cui sono detentori i pedagogisti universitari o consiglieri del Principe, o aspiranti tali, da un lato. E il sapere della scuola di cui sono detentori i docenti, che della scuola sono, paradossalmente, i produttori e le vittime, dall’altro. Se si dovessero perpetuare tali scissioni e conflittualità tra i due saperi, non solo non si risolverà nessuno dei problemi della scuola, ma si aggraveranno paurosamente. Perché le innovazioni, dentro e fuori la scuola, richiederanno ai docenti sempre più risorse di adattamento e adeguamento della propria identità professionale. Risorse di cui, evidentemente, i docenti attualmente dispongono in misura non proprio abbondante. Se invece si realizzerà, nei confronti della galassia scuola, una vera e propria frattura cognitiva (rivoluzione copernicana), un autentico distanziamento osservativo, onde allargare il campo percettivo, e una produttiva immaginazione epistemologica, il conflitto genererà (sempre, forse, per l’intervento di Silente… o di Montezemolo, chissà!) una graduale integrazione tra il sapere “alto” e l’esperienza diretta della scuola. Una sinergia tra le istituzioni formative di tutti gli ordini, livelli e gradi, per l’obiettivo comune di una rinnovata paideia delle giovani generazioni. |
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