Se un altro mondo è possibile e
raggiungibile allora la Scuola Democratica, quella che noi definiamo
tale, dovrebbe darsi alla missione di trasmettere ai giovani le
conoscenze e le competenze e dovrebbe permettere loro di partecipare
alla trasformazione di questo mondo. Ma, sotto il governo del
capitalismo, la scuola è stata investita di funzioni assai diverse:
riprodurre le condizioni ideologiche, sociali, economiche della
società dominanante. Allo scoccare dell'ora della globalizzazione,
queste funzioni rinforzano il loro impatto sul sistema
d'insegnamento, tendono a gerarchizzarlo ed a farne strumento al
servizio della competizione economica.
In queste condizioni ha un senso la lotta in quanto tale, essa è di
per sè possibile? Si, perchè la scuola democratica e quella
capitalista non sono dei punti di vista ideali, che si escludono
totalmente a vicenda. Essi sono due poli di una contraddizione di
fondo, tipica della scuola attuale, cioè di ciò che le mette di
fronte sul piano dei contenuti, dei fini, delle strutture e dei
metodi d'insegnamento: una trasposizione della lotta di classe nel
campo educativo.
Per questo Forum, è stata più
questione di dare una risposta alle minacce di privatizzazione e,
più globalmente, di mercificazione dell'insegnamento. E' questa la
domanda che mobilita legittimamente le inquietudidini e la militanza
dei docenti, degli studenti, dei genitori, dei ricercatori di tutto
il mondo: riusciremo a difendere e a sviluppare la scuola pubblica?..O
lasceremo che l'insegnamento diventi il nuovo terreno di conquista
per investitori e industriali a secco di mercati durevolmente
profittevoli?
Dietro tale dibattito cruciale si profila quindi un aspetto più
sostanziale e, a dirla tutta, più importante: quello dell'accesso ai
saperi. Che si deve imparare all'alba del XXImo secolo e cosa si
dovrebbe imparare?. In questa doppia domanda è implicita la
risoluzione di due massime contraddizioni. In primo luogo di quella
che paragona la conoscienza che fa i cittadini critici a quella di
altri saperi, in particolare di quelli che assicurano la loro
spendibilità sul mercato del lavoro. In secondo luogo, la
contraddizione tra la volontà di democraticizzare la scuola, di
sviluppare l'istruizione uguale per tutti e la realtà di un sistema
educativo stratificato, gerachizzato, in cui tutta la selezione
prende la forma di una selezione sociale.
Su due piedi, dividiamo questo problema in due: a cosa vogliamo che
serva la scuola? e : a chi essa serve effettivamente?
La scuola democratica
Quali dovrebbero essere le nostre
aspettative relativamente al sistema d'insegnamento? Per « nostre
aspettative » intendo quelle di decine di migliaia di ragazzi, di
lavoratori, qui riuniti a Firenze al fine di stigmatizzare e di
combattere l'ingiustizia sociale, le ineguaglianze tra Nord e Sud,
lo sperpero delle risorse del pianeta, le minacce di guerra e il
razzismo.
La risposta è immediatamente comprensibile: la risposta si deve
elevare al di là dei normali appiattimenti su "lo sviluppo della
persona» o sulla "preparazione all'inserimento professionale". Nella
nostra società, il lavoro e la ricchezza sono l'oggetto di una
competizione senza tregua. Ovvio, chi si avvanteggierà del meglio
dell'istruzione avrà, statisticamente parlando, nella nostra
società, le maggiori possibilità di accedere ad un lavoro e alle
briciole di benessere che si può pensare di ottenere in cambio. Per
questo il miglioramento delle possibilità di tutti o di qualcuno non
può rappresentare una politica, perchè essa non cambia nulla ai fini
della quantità dei posti di lavoro o delle ricchezze disponibili.
L'insegnamento determina, in una certa misura, chi sarà ricco e chi
sarà povero ; ma non può in nessun caso modificare, direttamente, le
quantità relative dei ricchi e dei poveri.
Ciò che ci aspettiamo
dall'insegnamento non può essere dettato da tali considerazioni
individualiste. Ciò che ci serve è un approccio comune, basato sui
problemi realmente impellenti che oggi si pongono all'umanità.
Partiamo quindi dal problema della povertà estrema, che priva
miliardi di esseri umani dell'accesso alla casa, all'alimentazione,
all'acqua potabile, alla cultura. Consideriamo la nostra istruzione,
quella dei nostri bambini, dal punto di vista dei 1,5 miliardi di
persone che devono cercare di sopravvivere con meno di un euro al
giorno. Prendiamo come punto di partenza delle nostre riflessioni lo
scambio ineguale che, ancora più del debito del terzo-mondo,
rappresenta la fonte delle ineguaglianze tra Nord e Sud. Per
esempio, sapete che il coltan, questo minerale essenziale per
la fabbricazione delle centinaia di migliaia di transistors che
compongono i microprocessori dei nostri potenti compiuter, è
estratto soprattutto in Congo e in Rwanda da lavoratori che
guadagnano meno di mezzo euro all'ora? Riflettiamo sul ruolo della
scuola avendo in mente lo sperpero delle risorse naturali, la
distruzione della biosfera, le gravi minacce di cambiamento
climatico. In breve, noi pensiamo l'insegnamento come funzione di un
unico problema: come accelerare la fine di un sistema economico che
conduce l'umanità alla miseria e alla guerra?
« Un altro momdo è possibile? Certo,
ed è anche urgentemente necessario, ma non cadrà dal cielo. Sarà
prima necessario pensarlo, e - come anche quel di Firenze ha
dimostrato - siamo ancora lontani dalla soluzione. Sarà necessario
sviluppare le strategie di cambiamento, portare avanti lunghe e
difficili lotte sociali e politiche e inoltre, soprattutto, sarà
necessario comunque, un giorno, costruirlo questo nuovo mondo! Per
questo è necessaria l'organizzazione, la mobilitazione, la
determinazione. Per questo è necessaria anche, e soprattutto, la
messa in atto dei saperi. E se vogliamo che le decisioni, le lotte
e, infine, il funzionamento del mondo nuovo siano democratici,
allora è anche necessario che tali saperi siano universalmente
condivisi.
La rivolta non è sufficiente. Perchè
abbiamo bisogno di una scuola che possa apportare al maggior numero
possibile di persone e, in particolare a coloro che saranno gli
sfruttati, gli esclusi, i proletari di domani, un vasto bagaglio di
conoscenze generali di storia, di scienze, di economia, di cultura
tecnologica, di filosofia, di matematica. Perchè senza tutto questo
non si può comprendere il mondo complesso in cui viviamo e perchè se
non si comprende il mondo non lo si può trasformare.
Consideriamo, per esempio il problema della guerra, della minaccia
di aggressione contro l'Irak. Non si può afferrare il contorno di
tale conflitto senza avere una comprensione fine di almeno un paio
di cose: il capitalismo e l'energia. Il capitalismo non può essere
compreso pienamente se non attraverso lo studio del marxismo, cosa
che chiaramente a scuola non viene fatta. Ma un tale studio è
fortemente facilitato se si hanno, d'altra parte, delle conoscenze
di storia, di filosofia e di economia. Fatemi gettare, nel mare del
nostro consenso, questo tracciato che susciterà sicuramente e
menomale dei borbottii: penso che anche i corsi delle scienze umane
che si trovano attualmente nelle scuole d'istruzione generale,
ebbene si, che anche questi corsi trasudino ideologia borghese,
menzogne sul movimento operaio, concetti economici a senso unico,
sicuramente più validi che non l'ignoranza quando si tratti di
comprendere il capitalismo.
Quanto all'energia, si tratta della posta stessa della guerra che si
va preparando. Per capire gli obiettivi di George Bush, è necessario
sapere cos'è l'energia, del posto essenziale che essa occupa
nell'ambito dei rapporti tecnici di produzione. Bisogna capire
perchè non si può produrre l'energia ma solo trasformarla. Bisogna
sapere quali siano le sue fonti esistenti e potenziali, dove si
trovano, chi le controlla e come tale controllo sia stato stabilito
nel corso della storia. In poche parole, è necessario studiare la
fisica e la chimica (e quindi le matematiche), le tecnologie, la
geografia e la storia.
Bisogna comprendere il mondo, ma comprenderlo per cambiarlo.
L'azione che cambia il mondo e che ne costruisce un altro implica
non solo delle conoscenze, ma anche delle competenze multiple. Non è
sufficiente saper leggere e scrivere, è necessario poter accedere a
testi di analisi complessi ed essere capaci di scriverli. E'
importante poter comunicare in diverse lingue e saper utilizzare
tutte le risorse mediatiche, artistiche, informatiche, tecnologiche.
Abbiamo visto qui, a Firenze, come la torre di Babele dei linguaggi
europei rappresenti un ostacolo allo scambio di idee e all'unità
d'azione.
La scuola democratica cui facciamo
appello è quella che porta questi saperi al massimo grado possibile.
Ora, sotto il regime della scuola attuale, tali saperi di alto
livello sono ripartiti in modo ineguale. Nell'ipotesi più ottimista,
si può supporre che meno di un terzo dei giovani europei, cioè di
coloro che conseguono un'istruzione secondaria generale fino ai 18
anni, abbiano accesso a queste ampie competenze e conoscenze. I
pessimisti ci diranno che anche all'interno di tale insegnamento è
da un pezzo che il degrado del livello ha sbarrato la porta ai
saperi consistenti. La cosa più probabile è che nei licei di elite,
in cui si concentrano i figli e le figlie della borghesia, là dove
quelli pubblici sono considerati difficili, si riproduca sempre la
medesima ingiustizia: quella dell'appropriazione, da parte della
classe ricca, dei saperi portatori di comprensione e di
trasformazione del mondo.
La scuola capitalista
Tale riflessione ci porta al secondo
aspetto della problematica sul senso della scuola: quali sono le
funzioni di questa scuola nella società capitalistica?
S'impongono due osservazioni preliminari. In primo luogo, e anche se
una tale distinzione è raramente esplicita nelle strutture
dell'insegnamento, parliamo qui di scuola del popolo (o per il
popolo, se si preferisce) e non della scuola riservata ai figli
della borghesia. Parliamo della scuola di base e del ceppo comune
delle secondarie là dove esso esiste, parliamo dell'insegnamento
tecnico e professionale, dei licei generici a frequentazione
« popolare », parliamo eventualmente anche dell'università, ma solo
nella misura in cui essa riceve i figli e le figlie delle classi
meno favorite.
In secondo luogo non bisogna confondere le funzioni della Scuola con
i discorsi dominanti sulla Scuola. Questi ultimi ci parlano di
educazione civica, di equità di prospettive, di possibilità per
tutti di lavorare. Tali discorsi non sono, evidentemente, senza
legami con le funzioni, ma hanno un carattere fortemente ideologico:
rappresentano un insieme di tesi destinate a giustificare e/o a
camuffare una realtà che si sviluppa secondo determinanti propri,
indipendenti da tale discorso. In altre parole, parliamo qui delle
funzioni oggettive della Scuola. La parola "funzione" deve essere
quindi compresa in un senso semi-biologico. Le nostre gambe hanno la
funzione essenziale di consentirci di camminare, anche se nessuno ha
mai avuto il proposito di dotarcene per tale scopo. Le gambe, come
risposta alla funzione essenziale al servizio del corpo (che si
utilizzino per raggiungere la preda, per fuggire a un predatore, per
svolgere un lavoro o per manifestare a Firenze), sono il frutto di
un'evoluzione necessaria, non del corpo ma della specie.
Analogamente, la scuola risponde a funzioni essenziali della società
capitalistica e sembrerebbe essere storicamente uno sviluppo
necessario, non tanto di una data società capitalistica, quanto di
un sistema globale in cui l'esistenza è intesa nell'arco di secoli.
Nel suo aspetto essenziale, la
funzione della scolarizzazione dei bambini del popolo nella società
capitalistica è quello di riprodurre le condizioni sociali,
ideologiche ed economiche che permettono a tale società di
funzionare. Non è quindo che un aspetto parziale di questa funzione
globale.
Il primo aspetto di questa
riproduzione è la socializzazione. Per vivere nella società
mercificata, consumare e socializzare, riprodurre la propria forza
di lavoro, l'uomo deve disporre di un certo numero di competenze
minimali. Alcune sono abitualmente acquisite attraverso la famiglia:
lì impariamo a lavarci, a vestirci, a rifarci il letto, a cucinare e
a nutrirci, a prendere il treno o la metro. Altre conoscenze,la cui
importanza ingigantisce con la tecnologia e la crescente complessità
dei rapporti sociali, necessitano di strutture più formali: la
lettura, la scrittura, il far di conto, la matrice di sistemi
d'unità fisica e monetaria, il dialogo con una interfaccia
informatica. Non si tratta più solo di saperi, ma anche di regole
morali e comportamentali: mangiare in modo opportuno, vestirsi
decentemente, rifarsi il letto (farselo davvero!), esprimersi,
obbedire, rispettare la proprietà altrui e l'ambiente. La lista
evidentamente non è esaustiva.
La funzione della socializzazione è, storicamente, la principale
funzione della scolarizzazione del popolo. Dalla fine del 18mo
secolo, sotto i colpi di cannone dell'urbanizzazione e
dell'industrializzazione, i due grandi luoghi tradizionali di
socializzazione si definiscono: l'apprendimento avviene attraverso
un maestro e attraverso la grande comunità rurale. Parallelamente i
nuovi rapporti sociali diventano più complessi, la crescente miseria
delle città rigetta masse di bambini nella strada e nella
delinguenza. Ed Hugo a concludere, con tutta la borghesia
chiaroveggente: "aprire una scuola è chiudere una una prigione".
Ma, a partire dalla seconda metà del
diciannovesimo secolo, un pericolo più grande del banditismo o dei
bambini di strada minaccia la borghesia. "Uno spettro minaccia
l'Europa", quello della classe operaia ormai organizzata e ben
armata della dottrina marxista. La Comune di Parigi è un colpo di
tuono per le classi possidenti. Il problema è alquanto più serio del
temporale che rumoreggia alle frontiere. La spartizione delle
colonie e il controllo dei mercati industriali rendono inevitabile
l'affrontarsi delle alleanze delle grandi potenze. Ci sarà bisogno
della carne per i cannoni e si sa ormai che i fucili si rivoltano
facilmente. La scuola si incaricherà quindi di raddrizzarli, di
disciplinarli, di inculcargli l'amore per la patria e l'odio per il
comunismo. Dall'Yser all'Alsazia, dai Balcani al Baltico il carnaio
della Prima Guerra Mondiale porterà davanti alla storia la
testimonianza della temibile efficacia della Scuola primaria del
popolo in forma di apparato ideologico di Stato. La scuola è così
diventata uno strumento di Stato destinato a riprodurre ciò che
Jules Ferry chiamava « i valori che interessano alla sua
conservazione ».
All'indomani della Grande Guerra, i
progressi delle tecnologie e dell'industria cominciano ad esigere,
in proporzione limitata ma crescente, una manodopera più
qualificata. Un ritorno alle antiche forme di apprendistato non è
più possibile: i saperi evolvono ormai troppo rapidamente e le
strutture dell'impresa taylorizzata non ne pretende così tanti.
Scuole tecniche e professionali vedono dunque la luce un po'
ovunque. Vi si recluta la "crema" dei raggazzi e delle ragazze della
classe operaia per farne gli operai specializzati, i tecnici, gli
impiegati e i funzionari che la società reclama. E' l'era della
"promozione sociale" attraverso la scuola. La scuola diventa uno
strumento essenziale nella (ri)produzione delle forze di lavoro. Ma
anche nella sua selezione e gerarchizzazione.
Questo movimento accelera dopo la
Seconda Guerra mondiale. In un contesto di forte e durevole crescita
economica, il capitalismo soffre di una carenza costante di
manodopera qualificata. La domanda è tale che i bambini delle classi
popolari si riversano in massa nell'insegnamento secondario, forti
della convinzione verificata attraverso i loro genitori da venti
anni a quella parte, che una scolarizzazione secondaria riuscita
offra reali opportunità di ascesa sociale. Spinto da questa doppia
domanda dal basso (genitori e giovani) e dall'alto (impiego), lo
Stato prolunga l'istruzione obbligatoria, sviluppa e finanzia sempre
più l'insegnamento secondario e superiore. Precedentemente riservata
alle elites e ad una trascurabile porzione della classe operaia, la
funzione di riproduzione economica colmata grazie all'istruzione si
estende ormai a tutti.
In alcuni luoghi, il cambiamento è risoluto e conseguente. Si
traduce allora nella creazione di scuole uniche, "rinnovate", di
"scuole comprensive", di tronconi comuni di durata più o meno lunga.
Altrove, la frettolosità o la forza delle fasce più reazionarie
delle classi dirigenti fanno sì che si conservi una divisione
precoce in filiere. Ma ovunque, la selezione si opera ormai allo
stesso interno dell'insegnamento secondario: la selezione che era
stata positiva, basata sul merito, diventa negativa, fondata sul
fallimento scolastico. E, per un notevole miracolo pedagogico,
questa selezione rimane una selezione sociale: tutti i bambini, di
qualsiasi origine, hanno un bell'entrare in una scuola formalemnte
equa, essi sono sempre, statisticamente, gli stessi che ne escono
bardati dei saperi che gli permettono di comprendere il mondo e di
(non) cambiarlo. La scuola diventa così, allo stesso titolo del
matrimonio e dell'eredità, un elemento cruciale della
"riproduzione", nel senso di riproduzione intergenerazionale di
ineguaglianze delle classi sociali. Essa diventa anche, sul piano
ideologico, il mezzo per giustificare queste ineguaglianze.
Come si vede, le funzioni di
riproduzione devolute alla Scuola capitalista non sono stereotipate.
Il loro contenuto e i loro rapporti reciproci evolvono con lo
sviluppo delle forze produttive. In più queste funzioni non sono
monolitiche. Esse sono attraversate da contraddizioni e entrano per
forza in conflitto con altri bisogni della società capitalistica. Il
bambino che viene mandato a scuola troppo a lungo, non priva forse
l'industria di una manodopera docile e forte, utile per certe
mansioni? L'operaio istruito non diventa forse troppo esigente? La
sua istruzione non rischia di ritorcesi contro il suo padrone se non
addirittura contro il sistema? Le spese crescenti per l'educazione
non finiscono col pesare troppo sui conti dello Stato e, quindi,
sulla fiscalità? Il finanziamento pubblico di un insegnamento di
massa non priva il capitale dell'accesso ad un mercato
potenzialmente redditizio?
La scuola nell'era della globalizzazione
E oggi? Che ne è delle funzioni
della scuola nell'era della globalizzazione e della "società della
conoscenza"? Quali evoluzioni del sistema educativo scaturiranno da
questo nuovo ambiente economico e come esse si possono collegare al
nostro punto di partenza, alla nostra aspettativa di una scuola
dispensatrice di saperi che permettano di "capire il mondo per
cambiarlo"?
Vediamo subito qual'è questo
contesto. Possiamo riassumerne gli aspetti essenziali - il meno per
capire l'evoluzione dell'insegnamento - in tre punti: esasperazione
delle lotte di concorrenza, dualizzazione sociale, crescente
instabilità e imprevedibilità.
L'esasperazione delle lotte di
concorrenza, che si traduce nella moltiplicazione dei fallimenti,
delle ristrutturazioni, delle delocalizzazioni, nel movimento
caotico dei mercati finanziari e nella corsa in avanti verso la
mondializzazione e la globalizzazione, spinge gli Stati a sostenere
al massimo gli sforzi delle imprese nazionali o regionali nella
prospettiva di migliorarne la posizione competitiva. Trattandosi
dell'insegnamento, questo significa due cose. Prima di tutto, il suo
adeguamento ai bisogni dell'industrua e dei servizi mercificati, la
sua strumentalizzazione a favore della competizione economica. In
secondo luogo, in ragione della diminuzione dei prelievi fiscali (
effettuati anche qui ancora in nome della competitività delle
imprese e della redditività del capitale), si assiste alla riduzione
o alla limitazione della crescita delle spese per l'insegnamento.
Questi due sviluppi non mancano evidentemente di essere
profondamente contradditori. Come si può disporre di un insegnamento
che sostenga al meglio la competizione economica e, allo stesso
tempo, fare in modo che tale insegnamento sia meno costoso? Questa
è, attualmente, la forma principale delle contraddizioni della
scuola capitalista. La sua risoluzione passa per la messa in conto
di altre due caratteristiche essenziali dell'ambiente economico e
sociale: la sua imprevedibilità e la sua dualizzazione.
Numerosi studi hanno dimostrato che
la domanda di manodopera tende a polarizzarsi con, da una parte, una
forte crescita in volume degli impieghi ad altissimo livello di
qualificazione ( ungegneria, informatica, biotecnologie...), ma
dall'altra parte, con una crescita ancora maggiore se non
enormemente maggiore, a carico di quei lavori che necessitano di un
basso grado di formazione specializzata. Questi ultimi sono
soprattutto lavori precari e a bassa remunerazione. L'adattamento
del sistema educativo ad un tale mercato del lavoro significa la sua
stratificazione, la sua gerarchizzazione. Poco importano le forme:
si può aumentare la selezione in modo formale, operando un ritorno
verso filiere gerarchizzate o rinforzandone laspecificità e le
procedure di selezione che vi conducono; ma si può realizzare questa
divisione dell'insegnamento altrettanto bene attraverso misure di
deregolamentazione che favoriscano lo sviluppo ineguale in un quadro
formalmente egualitario. L'evoluzione reale dei sistemi è ben più
sensibile alle loro determinanti oggettive che non alle scelte
politiche.
Infine, l'instabilità e
l'imprevedibilità dell'ambiente economico portano a favorire
modalità di regolazione agili, basate sulla flessibilità degli
attori e dei sistemi a detrimento delle regolamentazioni
centralizzate o delle pianificazioni. Non si sa quali saperi saranno
necessari domani nella vita professionale? Che a ciò si dia poca
importanza: accontentiamoci di apportare a tutti le competenze
pluridisciplinari comuni come anche la capacità di acquisire nel
corso di tutta la vita nuovi saperi in funzione dei bisogni della
impiegabilità e della competitività.
In tali condizioni, l'insegnamento
tende ad avolvere in un senso di crescente deregolamentazione,
nell'ambito delle sue strutture, delle sue modalità gestionali e dei
suoi contenuti. Questa deregolamentazione crea le condizioni
favorevoli allo sviluppo ineguale, essa permette di differenziare
l'offerta formativa, di ridurre i costi delegando la gestione
dell'austerità al livello locale, permette (attraverso l'accresciuta
flessibilità) e forza (per il gioco della concorrenza) l'adattamento
del sistema alle aspettative fluttuanti dell'ambiente economico.
Infine questa deregolamentazione rende l'insegnamento più aperto
alla conquista del mercato: i 2000 milliardi di spese mondiali per
l'istruzione rappresentano un'attrazione considerevole agli occhi
degli investitori, il "definanziamento" della scuola pubblica e la
competizione per il lavoro, ravvivata dall'evoluzione duale del
mercato del lavoro, creano le condizioni favorevoli allo sviluppo
dell'offerta d'istruzione privata.
Prospettive
Non c'è bisogno di lunghe analisi
per capire quanto l'attuale evoluzione dei sistemi d'insegnamento
sia contraria alle aspirazioni che abbiamo formulato
precedentemente. Noi vogliamo l'accesso di tutti a vaste conoscenze
portatrici della comprensione del mondo ed efficaci per l'azione
militante? Si va, al contrario, verso una selezione rafforzata e,
per la maggior parte dei giovani, verso l'abbassamento
dell'istruzione a rango di competenze minimali necessarie per il
loro inserimento in impieghi precari e poco qualificati.
Pertanto: la situazione è disperata? Se la scuola che insegna a
cambiare il mondo è impossibile, finchè il mondo non sarà cambiato,
siamo effettivamente in un impasse. E allora? Si incrociano le
braccia e si aspetta? Non ci sarà società democratica senza scuola
democratica e non ci sarà scuola democratica senza società
democratica. Proprio come non c'è uovo senza la gallina nè gallina
senza uovo. Ciò che manca in tale equazione è il tener conto della
complessità e delle contraddizioni dei sistemi uovo-gallina o
scuola-capitalismo, il tener conto delle dinamiche che tali
contraddizioni potrebbero generare.
Il capitalismo non può socializzare, indottrinare, formare, senza al
tempo stesso istruire. Nel costituire una numerosa classe operaia
disciplinata il capitale scava la sua propria fossa, diceva Marx. Ma
esso fa più di questo. Nell'insegnare allo scavatore a riprodurre la
propria forza lavoro nella società moderna, la scuola gli insegna a
leggere, a scrivere; gli inculca l'amore per la patria o il rispetto
per la società borghese, gli permette di scoprire la storia,
spezzando così l'idea che le relazioni economiche e sociali siano
immanenti ed eterne; nel trasmettergli le conoscenze e le competenze
che faranno di lui un lavoratore produttivo, essa gli insegna le
scienze che plasmano una visione razionale e materialista del mondo;
formandolo alle moderne tecnologie della comunicazione, al fine di
renderlo produttivo e buon consumatore, essa gli permette anche di
utilizzare tali tecnologie per preparare Seattle o Firenze. E'
questo che fa sì che margini di manovra siano possibili e che la
nostra battaglia per la scuola democratica abbia un senso.
Può essere che noi siamo troppo in
anticipo. Può essere che sia sbagliato cominciare col ricordare
questo: il bisogno più fondamentale del capitalismo in materia di
istruzione della gente e di dispensare il meno possibile. Più il
povero sarà istruito, meno accetterà la sua situazione. E pertanto,
il capitalismo ha bisogno della Scuola per le ragioni evocate sopra.
Questa è la contraddizione fondamentale della scuola capitalista.
Come abbiamo sottolineato precedentemente, la forma attuale di
questa contraddizione è l'opposizione tra la necessità di
un'istruzione che sostenga al meglio la competizione economica e il
bisogno di ridurre il costo del sistema. E' là che si situano quindi
i grandi terreni di lotte: combattere la strumentalizzazione della
scuola al servizio della competizione (e dei suoi corollari:
flessibilità e dualizzazione), promuovere al contrario l'accesso ai
saperi di alto livello, in una scuola pubblica e comune per tutti,
ottenere un miglioramento dei finanziamenti per l'istruzione.
Una cosa è analizzare a cosa
serve la scuola, quali siano le sue funzioni.
Un'altra è dire cosa fa la scuola reale. Se la
scuola democratica tale quale noi la desideriamo è, nella sua forma
piena e completa, irrealizzabile in un quadro di sistema economico e
sociale qual'è quello attuale (e per un motivo, dato che noi
pensiamo precisamente a questa scuola come ad un'arma per cambiare
il sistema), non è meno vero che la scuola capitalista, nella sua
forma piena e completa, non esiste comunque, non è mai esistita, non
esisterà mai. A difetto di pensarle dialetticamente, come luoghi e
poste di contraddizioni, la scuola democratica e quella capitalista
non sono che punti di vista idealizzati, senza rapporto con una
realtà presente o a venire. Non si tratta di due entità esclusive,
ma di due aspetti contradditori della medesima realtà. Ed è proprio
questo che fa della scuola un luogo di lotte cruciali. Negli scontri
sui contenuti insegnati, sulle pratiche pedagogiche, si gioca il
braccio di ferro tra questi due poli. Cediamo, anche marginalmente,
su uno di questi punti e rinforzeremo l'alienazione intellettuale
della gente e il ruolo della scuola come apparato di riproduzione
del capitalismo. Conquistiamo, al contrario, qualche punto e
miglioreremo la capacità d'azione delle classi sfruttate mettendo un
po' più a nudo le contraddizioni del sistema. Così, la scuola
democratica non rappresenta più un obiettivo di lotta idealizzata,
ma un processo realmente in corso, essa è la trasposizione della
lotta di classe nel campo educativo.
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