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SCUOLE DI MONTAGNA ADDIO?
Quando si pensa alla scuola di montagna vengono in
mente le immagini romantiche di un tempo: piccoli edifici immersi nel
verde (o più spesso innevati), aule riscaldate
con una stufa a legna accesa in un angolo, alimentata con le
legna portate dagli alunni;
maestri che risiedevano magari per l'intera settimana
in appartamentini ricavati nell'edificio e che raggiungevano la
scuola a piedi o con gli sci. Secondo una legge degli anni 30 i Comuni
dovevano provvedere all'alloggio dei maestri; alle famiglie competeva il
riscaldamento e spesso anche il vitto. Molte di queste sedi sono ancora
lì, trasformati magari in centri culturali o in alloggi per turisti.
[i]
Nel frattempo la diminuzione della popolazione
montana e il decremento massiccio della natalità hanno messo a dura
prova la sopravvivenza di queste comunità e conseguentemente delle
Scuole di montagna: nel giro di pochi anni i plessi o punti di
erogazione del servizio, nonostante le deroghe previste per la
formazione delle classi, sono diminuite sensibilmente con
l’accentramento nel fondo valle della popolazione scolastica
In Italia i comuni
di montagna sono 4201, sono
abitati da circa 10.8000.000 residenti, un numero considerevole che va
però suddiviso tra le migliaia di frazioni o centri abitati, il che
rende nei fatti insostenibile la sopravvivenza di plessi decentrati.
Anche laddove le scuole resistono, il rapporto alunni-classe è
decisamente squilibrato rispetto a quello delle città e così si pongono
inevitabilmente problemi di costo su cui si è cominciato a riflettere.
Mancano a tutt’oggi dati certi sul numero di scuole ubicate in montagna
(quella vera intendo!) e sul numero di pluriclassi, che a seguito dei
parametri fissati dal DPR 81/2009 per la formazione delle classi sono
aumentate in maniera sensibile, interessando anche i paesi di
fondovalle. Scuole di montagna addio? Se ciò dovesse avvenire a perderci
non sarebbero solo gli abitanti delle “terre alte” ma l’intero sistema
scolastico nazionale per le ragioni che dirò successivamente. Si tratta
di capovolgere il concetto di montagna ( e quindi di scuole di montagna)
come “problema” e di considerarla piuttosto come una “risorsa” UNA SCUOLA PER IL TERRITORIO. Il Progetto
ministeriale del 1996 Prima di parlare di costi
è importante soffermarsi sul
valore non solo economico o sociale quanto culturale che rappresentano
le scuole di montagna. Molto si è scritto a tal proposito, anche se il
tutto potrebbe essere ricondotto a un puro discorso di autodifesa dei
montanari nei confronti di coloro che insistono prevalentemente sulla
efficienza e l’economicità del servizio scolastico. Non è solo un
problema di “equità” o di pari opportunità per tutti i cittadini
italiani, richiamandoci all’art. 3 della Costituzione o all’art. 44
(tutela e salvaguardia delle zone montane). Sono alle nostre spalle gli
anni dell’inurbamento spinto fino alla vera e propria “desertificazione”
di intere zone della montagna o della campagna italiana e non solo
italiana: i prezzi pagati a questo “meccanismo di sviluppo” nei decenni
trascorsi sono presenti a ciascuno di noi e in tempi di green economy
abbiamo preso atto che va rivisto e valorizzato quanto le “terre alte”
possono dare alla stessa economia nazionale in termini di sviluppo
sostenibile
[ii] . Ma il prezzo maggiore lo si è
pagato in termini di perdita delle differenziazioni culturali
e di omologazione, senza rifarsi alle note riflessioni
pasoliniane. Le Scuole di montagna hanno saputo difendere questo
patrimonio culturale e sociale fino a quando è stato consentito loro di
permanere sul territorio. Lo sgretolamento del tessuto sociale e civile
della montagna italiana non
potrà essere recuperato che in parte e il mantenimento del presidio
scolastico nei limiti consentito non tanto dalle risorse finanziarie ma
delle condizioni complessive del servizio stesso appare come una
necessità non tanto e non solo per gli abitanti della montagna, ma per
l’intero paese. Alcuni anni fa fu predisposto dal Ministero
dell’Istruzione e dell’Agricoltura un Progetto specifico per le Scuole
di montagna denominato “PROGETTO
DI SVILUPPO
GLOBALE DELLA
MONTAGNA
ITALIANA” ( Legge n. 97/1994
e D.I. n. 176 del
15.3.1997). Iniziative
straordinarie per gli Istituti comprensivi in montagna per la crescita
della Comunità, che coinvolse in prima battuta 26 Istituti
Comprensivi appositamente finanziati, ma che si è arrestato negli anni
successivi, come siamo abituati ormai a vedere le cose in Italia. E ciò
nonostante il bilancio tracciato al termine della prima esperienza fosse
molto lusinghiero. L’elemento interessante del Progetto era che la
Scuola diventava un volano per la crescita della intera comunità, ben
sapendo il valore e i limiti di tale intervento se concentrato solo
sull’istruzione. . “Puntare tutto sulla scuola, e solo sulla scuola,
non basta: occorre muoversi in direzione dello sviluppo globale di
ciascuna area montana omogenea (Comunità Montana), facendo perno sulle
esigenze formative e scolastiche di tutta la popolazione (alunni,
genitori ed adulti) e sostenendo uno sviluppo il più possibile
autopropulsivo anche nel
settore economico, nella tutela e promozione delle risorse
naturalistiche legate all'ambiente montano, nei servizi sociali e
sanitari, nella tutela della cultura e delle tradizioni locali” La
Scuola quindi come fattore di sviluppo culturale complessivo e agente
principale della individuazione delle risorse locali, centro di
animazione e di gemellaggi, centro sociale di educazione degli adulti e
per la formazione continua, inclusa la formazione professionale. Ma
l’affermazione più impegnativa era la seguente : Il territorio montano
non va più considerato uno svantaggio a causa delle distanze dai grandi
centri, dei trasporti difficili e del ricambio continuo di insegnanti.
Questa ottica negativa va ribaltata. Partendo da un'acquisizione di
carattere culturale, che la montagna è ambiente ecologicamente
privilegiato e che, pertanto, essa è in grado di proporsi come fattore
di qualità della vita anche per le comunità abitanti le pianure e le
stesse città, Il progetto come si diceva ebbe vita breve ma
l’esperienza di quel Progetto attuata dalle 26 scuole “privilegiate” può
costituire un utile punto di riferimento per una riconsiderazione del
problema delle scuole di montagna, piccole ma anche “grandi” scuole LE PICCOLE-GRANDI SCUOLE Ma dove risiede il valore e la forza delle scuole
di montagna e quale “modello” possono costituire per il resto del paese?
Essa risiede principalmente nella forza della relazione
con la comunità locale innanzitutto e nel legame con l’habitat
naturale che purtroppo è precluso alle scuole di città e soprattutto
delle periferie urbane. Come si esprime una Dirigente scolastica di
montagna “Il tutto è inserito in un contesto di riferimento fatto di
senso di appartenenza, di legame con il territorio, di forte solidarietà
sociale, di situazioni socio- emotive”[iii].
La Scuola non è l’edificio o le aule con i banchi, separate dal contesto
sociale. I maestri non sono solo gli operatori scolastici
inviati a volte da lontano e
che, quando sono animati da una forte motivazione pedagogico-didattica,
finiscono per diventare a loro volta degli alunni che imparano dalla
gente del posto, che non disdegnano di far entrare
altri “maestri” come gli anziani, gli agricoltori, gli artigiani
di montagna a far lezione per gli alunni e per sé stessi. Ma è
soprattutto l’ambiente circostante a fungere da “aula aperta” come si
esprimono le Nuove Indicazioni del 2007. Un operatore turistico della
Carnia ha diffuso un bellissimo dépliant propagandistico dal titolo “Una
maestra chiamata montagna”, dove si mostra praticamente come attraverso
escursioni, visite alle malghe o alle botteghe si possano apprendere
cose che altrove bisogna mostrare attraverso materiale audiovisivo o
riproduzioni in laboratorio. Mi piace qui citare uno straordinario Progetto
realizzato nel mio Istituto Comprensivo di montagna (Paularo, in Friuli)
in cui gli alunni per alcuni anni hanno seguito un corso di
educazione ambientale attraverso lezioni in aula ed escursioni in
montagna. L’aspetto più interessante è che i ragazzi non solo hanno
appreso le caratteristiche geomorfologiche, la flora e la fauna della
propria vallata, ma hanno messo a disposizione di eventuali visitatori
esterni (per lo più scolaresche) queste loro conoscenze, proponendosi
come “guide ecologiche ” per i ragazzi della loro età.
Le attività scolastiche hanno ricevuto
il sostegno, oltre che dell’Amministrazione comunale, della Provincia,
del CAI e del corpo forestale, inserendosi nel Progetto Eco-museo del
Comune di Paularo. Se dovessi poi citare la mole di lavori di
ricerca, le pubblicazioni a stampa, le iniziative volte alla
valorizzazione del patrimonio culturale attuate da maestri e bambini
delle scuole di montagna verrebbe fuori un vero “archivio” della memoria
collettiva. Senza la Scuola ciò non sarebbe stato possibile. Ma anche le innovazioni tecnologiche hanno un
terreno privilegiato nella montagna (nonostante l’handicap della banda
larga), dove il problema delle distanze e dell’isolamento spingono a
volte le scuole a ingegnarsi per approntare progetti di teledidattica,
presenti in molte zone di montagna dal Piemonte alla Toscana al Friuli. Di pratiche innovative nelle Scuole di montagna si
occupa da anni la Fondazione Sanpaolo di Torino, che indice annualmente
un Concorso denominato “Centomontagne”: un archivio di “buone pratiche”
al quale possono attingere tutte le Scuole del paese, di montagna e no. I CONTI
…… NON DEVONO TORNARE? Ma c’è il problema dei costi. Indubbiamente il
costo-alunni in montagna è decisamente superiore rispetto a quello della
città. I casi riportati dall’indagine di TUTTOSCUOLA con esempi
eclatanti[iv]
fanno riflettere, ma il discorso non può essere generalizzato e
soprattutto bisogna tener presente il dato complessivo. Come viene
affermato nel Documento sulle scuole di montagna elaborato a Sestino
(AR) nel 2009 “Le piccole scuole non rappresentano un costo aggiuntivo
se si esce dalla logica economicistica e si guarda ai costi sociali e
culturali che la scomparsa delle sedi più decentrate può comportare
senza tener conto anche dei costi reali degli altri servizi legati alla
scuola e che sparirebbero con la scuola L’abbandono dei paesi, specie
decentrati e di montagna, da parte delle famiglie giovani, che si
trasferiscono in città o in pianura, comporta un costo oltre sociale,
anche economico per garantire gli essenziali diritti di assistenza alla
popolazione anziana. Privare un paese della Scuola significa indurre
allo spopolamento e alla presa in carico da parte delle istituzioni dei
servizi di assistenza che la permanenza dei giovani può garantire a
minor costo”. Pertanto diversamente da quanto si affermava nello stesso
documento di Sestino con un paragrafo paradossale, alla fine “I CONTI
TORNANO”. Si può tuttavia pensare a un intervento aggiuntivo
da parte degli Enti locali, dalla Regione ai Comuni, o addirittura delle
famiglie per salvaguardare dei presidi scolastici la cui valenza appaia
degna di una salavaguardia, al di là dei parametri? Nell’art. 64 della
L. 133/2008, il tema veniva toccato, laddove si affermava
al comma 4 f-ter)
“nel caso di chiusura o accorpamento degli istituti scolastici
aventi sede nei piccoli comuni, lo Stato, le regioni e gli enti locali
possono prevedere specifiche misure finalizzate alla riduzione del
disagio degli utenti” Evidentemente qui si partiva già dalla chiusura o
accorpamento e le misure erano volte e ridurre il disagio nei
trasferimenti degli alunni. Ma si potrebbe verificare il caso che
l’intervento sia finalizzato proprio ad evitare la chiusura, sempre
tenendo presenti comunque gli interessi degli alunni, ai quali non
gioverebbe il mantenimento comunque sia del servizio in loco, specie
quando i numeri siano insostenibili da un punto di vista educativo e
didattico. Mi riferisco in sostanza a casi in cui i parametri per la
formazione delle classi porterebbero più che alla chiusura del plesso a
un diffondersi di “pluriclassi”, cosa che si sta già verificando in
molte realtà, soprattutto a seguito del DPR 81/2009 (limite massimo
portato a 19 invece dei 13 precedenti). In casi del genere ad esempio si
sa che la Regione Piemonte ha previsto interventi a favore delle
Comunità montane nel cui territorio esistono Scuole di montagna con
queste “criticità”, così da integrare gli organici con personale assunti
“a progetto”. E laddove ad esempio non si voglia chiudere un plesso di
Scuola dell’infanzia sottodimensionato, perché non pensare a un orario
solo mattutino con personale dello Stato (attualmente l’organico prevede
2 insegnanti nelle sedi con 40 ore settimanali) integrando le ore
pomeridiane con personale pagato dal Comune con un piccolo contributo
delle famiglie? Parlo di situazioni particolari in cui lo spostamento di
bambini di 3/5 anni a Km di distanza risultasse improponibile; esistono
diverse soluzioni in questi casi, dal volontariato alle parrocchie fino
all’assunzione di personale temporaneo. In fondo la gran parte dei
Comuni si sobbarca le spese per i “centri estivi” o per altri servizi
all’infanzia. Il contributo da parte delle famiglie aveva provocato
forti reazioni quando ai tempi della Riforma Moratti si paventava un
contributo delle famiglie o degli EELL per l’orario opzionale-aggiuntivo,
che poi in effetti non partì per mancanza di organico statale.
L’intervento finanziario delle famiglie per l’istruzione in Italia non
ha grande considerazione, il che non sempre è un dato positivo. Se
andiamo a guardare le statistiche internazionali, i consumi delle
famiglie italiane per l’istruzione sono tra i più bassi in assoluto, ma
magari siamo ai primi posti per altri consumi voluttuari. E’ vero
che non si può cominciare dai più “deboli”, dalla montagna. A costo di
attirarmi le maggiori reprimende, chi scrive non troverebbe scandaloso
che il tempo pieno, laddove è semplicemente “tempo lungo” a vantaggio
delle famiglie, comportasse un intervento integrativo da parte degli
EELL, i quali potrebbe avvalersi della “fiscalità generale o del
sostegno delle stesse famiglie. Con
l’attuazione del Titolo V e il passaggio di competenze alle Regioni si
tratterà di trovare le soluzioni più adeguate al contesto con il
sostegno e la partecipazione dei Comuni montani, a cui l’UNCEM
(l’Associazione che li rappresenta a livello nazionale e locale)
potrebbe offrire il supporto tecnico-organizzativo.
* da “Rivista
dell’istruzione” n. 4/2010 Direttore G. Cerini, Maggioli Editore
[i] Di tali scuole ne
esistono ancora in molte valli alpine e non solo in Italia.
Qualche anno fa ebbe un certo successo un film
“Essere ed avere” del regista
francese Nicholas Philibert,
il quale descrive appunto la realtà di una piccola realtà
scolastica in un angolo della Francia
[ii] Si legga a tal proposito
il prezioso volume edito l’anno scorso da Il Mulino-Ariel :
La sfida dei territori
nella Green economy, a cura di Enrico Borghi con prefazione
di Enrico Letta
[iii] Carla MAROTTA: “Scuola
di montagna” in Voci della Scuola 2010, Tecnodid
[iv]
Considerando
che mediamente una piccola scuola strutturata su 3 classi si
avvale di 4-5 insegnanti e di una unità di personale ausiliario,
si può stimare che per il solo personale statale i costi per
stipendi e accessori, oneri riflessi compresi, si aggirino
mediamente intorno ai 180-200 mila euro all’anno, con un costo
medio per alunno intorno ai 7 mila euro all’anno. Se la scuola,
come a volte capita, è organizzata a tempo pieno il costo pro
capite sale a 9,5 mila euro l’anno. Circa il doppio di una
scuola standard con 20 alunni per classe”.
Dal Dossier di TUTTOSCUOLA “Risparmi e qualità” sul sito
www.tuttoscuola.it
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