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Gli elementi che concorrono al quadro-orario Ogni volta che si parla di riforme scolastiche, specie per le superiori, uno dei punti che genera maggiore interesse e maggiori polemiche (soprattutto tra gli “addetti ai lavori”) è il quadro orario. Certo, il quadro-orario è uno degli elementi basilari in cui si traducono concretamente finalità e obiettivi culturali di un certo tipo di Scuola “Un piano di studi è sempre una interpretazione concreta in un determinato momento storico, di una teoria della cultura e della scuola.” [i] Nei fatti il quadro orario di ogni tipologia di scuola, a livello nazionale, è il risultato di un compromesso tra: progetto pedagogico-culturale, esigenze formative degli studenti, problemi organizzativi, pressioni dei gruppi disciplinari e infine problemi di organici connessi alla formazione delle cattedre. La successione va intesa in senso ascendente, partendo proprio dall’ultimo, che dovrebbe essere tale, ma finisce per essere il primo elemento preso in considerazione dai “redattori” del quadro orario, almeno per il passato. Ora non c’è dubbio che si debba tener conto dell’impegno orario dei docenti onde evitare troppi “spezzoni” ( o “spezzatini” che dir si voglia) con un conseguente sovrabbondanza di discipline e una eccessiva “dispersione” di docenti su più sedi (tralascio la questione quantitativa sul numero di docenti, che attiene all’”economia dell’istruzione” e che si scontra spesso con i problemi occupazionali del personale). Solo che questo aspetto dovrebbe essere risolto “a valle” o “ a monte” a secondo di come lo si consideri: una revisione delle classi di concorso e una diversa impostazione di piani di studio delle Università e delle SISS, o come si chiameranno in futuro le future scuole di specializzazione per docenti. Ma così non è. Anche gli aspetti organizzativi sono importanti ai fini della determinazione del tempo-scuola: un carico orario eccessivo o troppo ristretto genera inevitabili problemi legati a questioni logistiche (mense, trasporti, locali) e alla necessità di personale ausiliario, cosa quest’ultima da non sottovalutare, nonché, nel I ciclo soprattutto, alle esigenze delle famiglie, specie quelle lavoratrici. In riferimento a quest’ultimo aspetto, occorrerebbe chiarire la differenza tra “servizio di istruzione”, in carico allo Stato, e servizio sociale, che dovrebbe spettare agli EELL e alle famiglie. Ma qui si aprirebbe una querelle senza fine, che finirebbe per mettere in discussione gran parte del “tempo pieno” specie nelle grandi città del Nord. I quadri orario non possono non risentire di tali problematiche, a patto che non condizionino in maniera eccessiva le progettazione curricolare. Sulle esigenze formative degli studenti credo non ci sia molto da soffermarsi, perché credo tutti concordino sul fatto che la mission principale della scuola sia quella di creare spazi e tempi di apprendimenti adeguati alla loro età, al tipo di studi e alle caratteristiche specifiche se non dei singoli dello “studente medio”.[ii] Eppure sembra che questo sia l’ultimo elemento da considerare.
Le “discipline” e le materie scolastiche E veniamo a quelle che vengono chiamate le lobby disciplinari. Sorvolo su qualsiasi “interesse di bottega” dei luminari o baroni universitari delle discipline, così come vado oltre gli interessi molto più concreti dei docenti delle varie discipline che temono di perdere il posto o che vedono assottigliarsi le loro speranze di impiego. Nella maggioranza dei casi le lobby sono sincere, vale a dire sono convintissime che la loro le loro discipline siano “fondamentali” e che una loro riduzione o addirittura scomparsa danneggi veramente la formazione dei giovani. Come non condividere la preoccupazione di chi teme una svalutazione del valore formativo della propria disciplina o magari giustamente ne difende l’utilità a fini pratici (penso ai docenti di lingue straniere), anche se chi scrive è più attento alle considerazioni del primo tipo, specie per una scuola del I ciclo o a indirizzo liceale? Ma qui bisognerebbe chiarire in cosa consista il valore formativo di una particolare disciplina e se questa “formatività” non possa essere “recuperata” altrove. Credo che in quasi tutte le discipline si possano ritrovare elementi di “formatività” trasversali a più discipline. Potrei fare l’esempio di latino, che a parere di tanti, racchiude in sé le caratteristiche non solo delle discipline linguistiche ma anche di quelle scientifiche (da un punto di vista logico e metodologico, si intende). Basterebbe allora insegnare solo latino? Certo che no, ma siamo convinti che molte delle competenze logico-linguistiche potrebbero essere acquisite senza sovraccaricare il curricolo di ore di italiano-latino-greco-lingua straniera e …matematica [iii]. Eppure i tre docenti delle discipline succitate (4 se ci aggiungiamo la matematica) vedrebbero lese le prerogative delle proprie discipline se si decidesse di progettare un percorso interdisciplinare o pluridisciplinare di 12 ore complessive invece delle 17 ora previste nei Licei classici (5+5+4+3). Sto parlando di una scuola dove i dipartimenti disciplinari lavorino unitariamente sugli e tra gli “assi culturali” più che sulle materie. E così una buona parte degli “obiettivi di apprendimento” in ambito grammaticale-sintattico potrebbero essere concordati collegialmente affidandoli a un unico docente. Potremmo superare le polemiche sulla mancanza di arte, musica nel biennio, perché nell’asse dei linguaggi ci possono rientrare tutte le discipline anche se a un livello certo di non avanzata formalizzazione. Condivido pertanto la risposta di Bruschi (“regista” della cabina di regia sui Licei) sulla mancanza di Diritto-economia nei bienni liceali. Ma l’insegnamento di storia-geografia di che cosa si occupa se trascura le “scienze sociali”, non intese naturalmente come discipline a sé? Ricordo che nel Progetto “Proteo” (evoluzione del Brocca) del 1996 si propose di eliminare la storia nel Biennio sollevando le più vibrate proteste, così come ci fu una sollevazione dei “geografi” sul Progetto 92 quando fu proposto di eliminare la geografia. La storia e la geografia per ritornare agli esempi citati prima, almeno nel biennio, possono rientrare nelle altre discipline o nell’ambito “antropologico”, se l’obiettivo non è la conoscenza sistematica della disciplina, bensì l’acquisizione di determinate abilità e competenze. Idem per il diritto e l’economia, su cui tanto si piange (quanti docenti rischiano il posto?) Una interessante proposta elaborata quasi 30 anni fa dal “Consiglio italiano per le scienze sociali”, che non ebbe fortuna, fu quella di elaborare un “programma” per le superiori articolato sui cosiddetti “Blocchi problematici” in cui confluivano storia, geografia, economia, diritto e sociologia. Mi limito ad esempi riguardanti l’area linguistica e storico-sociale che conosco meglio. Un discorso di “razionalizzazione” nello studio delle scienze fisiche e naturali sarebbe molto più importante, vista la vera e propria “lotta” senza quartiere tra fisici, biologi, naturalisti, chimici e altro. Ricordo soltanto il felice compromesso del Progetto Brocca che introdusse al Biennio l’insegnamento di “laboratorio di fisica-chimica”. Nella esperienza del mio Liceo negli anni 90 ricordo l’entusiasmo che pervase l’assistente di laboratorio, una figura poco considerata allora nei Licei scientifici.
Dai Programmi ai Curricoli per competenze Si tratta di ripensare ai curricoli, avendo presenti come dicevo prima, due indicazioni di fondo: una nuova teoria della cultura e della Scuola, che superi il vecchio enciclopedismo e la frammentazione disciplinare, e la “sostenibilità” del quadro orario da parte degli studenti. Di fronte a un ridimensionamento orario della propria disciplina l’obiezione solita dei docenti è che così non si riesca a sviluppare un “programma adeguato” della materia. La base del ragionamento sono ancora i programmi, i contenuti, più che gli obiettivi e le competenze. Si tratta naturalmente di “adeguare” contenuti agli obiettivi e su questa base costruire il monte-ore annuale o pluriennale, avendo presenti il “profilo in uscita” e la “sostenibilità” di cui si parlava prima. Invece solitamente il discorso viene rovesciato. Mi piace citare l’obiezione di un insegnante di storia il quale faceva presente che i programmi di storia di oggi richiedono tempi maggiori rispetto al passato …. dal momento che la storia contemporanea comprende un secolo in più! Facile ribattere che se fosse così, non si vede come risolvere il problema nel 2200, con altri due secoli da aggiungere (!) E stesso discorso si dovrebbe fare per le discipline scientifiche: di quanto si amplierebbe nel 2200 il programma di Fisica o Chimica e delle “nuove scienze” che nel frattempo nascerebbero? Prima di decidere se per matematica siano necessarie 3 o 4 ore settimanali, si tratta di accordarsi su quali sono gli obiettivi “irrinunciabili” (i nuclei fondanti o il syllabus, come veniva indicato dai matematici) e quali invece possono essere integrativi; oppure, rifacendomi a quanto dicevo prima, se una disciplina debba necessariamente comparire nel curricolo oppure le competenze che attraverso essa vogliamo raggiungere sono già presenti in altre discipline.
Problemi pratici-organizzativi o didattici? Vorrei accennare in fondo a un problema pratico sollevato da molti docenti: “Con 2 ore alla settimana, come faccio a spiegare e interrogare almeno due volte nel quadrimestre gli alunni?” Mi astengo dalla risposta, non perché consideri banale l’obiezione, ma perché la questione richiama un complesso di problemi didattici, molto concreti, su cui ritengo il discorso meriterebbe un ampio approfondimento. Ancora una volta le questioni del quadro orario si intersecano con quelli di una didattica ferma in genere a modelli non più proponibili, ma che permangono ampiamente negli istituti superiori. Su questi dovrebbe soffermarsi molto la formazione dei docenti in vista dei nuovi Licei
Conclusioni In sostanza occorre decidersi se si intende continuare con l’attuale sovraccarico dei curricoli (perfino nei Licei si era arrivati a 34/35 ore) o si vuole davvero puntare a un ridimensionamento orario (il termine usato un tempo era il “dimagrimento dei curricoli”) con l’individuazione di un “nucleo forte” basato più sulle conoscenze-abilità-competenze che sul numero delle discipline o sulla loro durata. Era il vecchio dilemma dello stesso “Brocca” e, se i ricordi non mi ingannano, fu proprio Bertagna nel Convegno di Fiuggi del 94 a proporre alcuni “rimedi” che in epoca pre-autonomia potevano essere visti come azzardati ma che oggi appaiono pienamente legittimi: trimestralizzazione o quadrimestralizzazione delle discipline, insegnamenti intensivi per alcune discipline in particolari periodi dell’anno con “compensazioni” periodiche, moduli pluridisciplinari ecc.) Tutte “complicazioni”, si intende; è così semplice stabilire l’orario settimanale annuale e che assembli il maggior numero di discipline possibili.
[i] dal Progetto Brocca, “Studi e Documenti degli Annali della P.I. 59/60della P.I.”, Le Monnier, 1992) [ii] Quando parlo di “tipologia di studi” non posso non fare le opportune distinzioni tra un corso basato prevalentemente sull’apprendimento teorico, che richiede una rielaborazione personale o “domestica” più ampia e quello che richiede un tempo notevole nelle esercitazioni pratiche. Sottolineare queste differenze (tra Licei e istituti professionali) non vuol dire essere classisti, gerarchizzare le tipologie di Istituti, ma semplicemente realisti e qui non vado oltre. Così spero non mi si attacchi per l’uso, puramente metodologico, dello “studente medio”, che magari non esiste nella realtà, ma è pur sempre un punto di riferimento “ideale”. [iii] Si veda a tal proposito l’interessantissimo articolo di Tiriticco “Linguaggi e matematica: due assi veramente distinti? su www.edscuola.it
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