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Sentieri interrotti di STEFANO STEFANEL Il trail blazer (tracciatore di sentieri) estivo Franco De Anna ha dato una nuova interessantissima lettura dell’attuale momento della scuola attraverso il richiamo al tempo passato, mai correttamente studiato (Cambiare “dal basso”: l’ordito e la trama, Educationduepuntozero, 26 luglio 2011). Giancarlo Cerini ha poi portato utilissime indicazioni sul futuro della scuola dal punto di vista degli istituti comprensivi (Toh! Chi si rivede? L’istituto comprensivo…, Edscuola, 3 agosto 2011). Infine Cinzia Mion e Pasquale D’Avolio hanno provato a discutere la professione del dirigente scolastico nell’epoca della macro organizzazione(Cinzia Mion, Quali dirigenti scolastici per una scuola destinata alla meritocrazia?, su Edscuola del 20 luglio 2011 e Pasquale D’Avolio, I “nuovi” D.S., su Edscuola del 27 luglio 2011)
Provo a proporre un ragionamento generale
seguendo questi sentieri estivi interrotti (come si diceva una volta,
Holzwege).
1. Sentiero De Anna
Autonomia operaia.
De Anna si richiama agli Anni Settanta e, suggestionato, lo seguo. Dice
che a quei tempi si facevano previsioni precise che poi i fatti hanno
sempre abbondantemente smentito. E che si facevano i conti sbagliati.
Nel riproporre un ricordo del passato spero di far riconoscere al
lettore alcuni passaggi dell’oggi. Nel 1977 a 21 anni ho partecipato a
Bologna al
Convegno sulla repressione.
La prima giornata l’ho trascorsa al PalaDozza a seguire l’assemblea
degli autonomi. Ricordo che hanno parlato Oreste Scalzone, Franca Rame,
il padre di Maurice Bignami che era latitante, Francesco “Bifo” Berardi
e molti altri i cui nomi sono spariti nella mia memoria e che magari
qualche volta vedo comparire piuttosto invecchiati in qualche
talk
show. All’ingresso del PalaDozza
sia i poliziotti, sia il servizio d’ordine del
Convegno
(Mimmo Pinto guidava gli ex di Lotta
Continua, poi c’erano quelli di Avanguardia Operaia e del Movimento dei
Lavoratori per il socialismo) ci hanno perquisiti tutti. Quando nel
tardo pomeriggio sono uscito da quell’assemblea mi chiedevo perché lo
Stato permettesse a cinquemila autonomi di stare tre giorni chiusi al
Pala Dozza per pianificare una rivolta armata
(“Autonomia operaia/Organizzazione/Lotta armata/ Perla rivoluzione”-
“Compagno Lo Russo/Sarai vendicato/Il proletariato/ Si è armato”, ecc.).
Ci sono arrivato alcuni anni dopo: nel Pala Dozza in quel settembre del
1977 c’erano 5.000 autonomi. In Italia in quel periodo c’erano 5.000
autonomi. Tutti gli autonomi d’Italia erano lì. Per cui non è stato
difficile controllarli tutti, prendere loro le misure e poi chiamarli a
rispondere di quello che avevano fatto o detto. Io avevo fatto lo
spettatore e nessuno mi ha cercato mai. Siamo ancora a quel punto:
scambiamo per punta dell’iceberg di un grande movimento di popolo quello
che invece è solo uno sparuto numero di irriducibili conservatori senza
idee e senza prospettive. Mentre camminavo per Bologna in quel 1977
temevo l’insurrezione armata pensando che se nel Pala Dozza erano 5.000
chissà quanti in Italia erano pronti ad insorgere. Invece il numero
nudo, crudo e completo era sempre quello: 5.000. E con quel numero non
si va da nessuna parte. La percezione di una protesta e di
un’indignazione spesso non va al di là di quanto si percepisce
direttamente. E questo riguarda anche la scuola di oggi e l’entità di
molta della sua protesta.
La società della conoscenza.
Franco De Anna stigmatizza un certo uso inflazionato del concetto di “società
della conoscenza”. Io credo che la
questione possa essere posta nel modo seguente: la scuola non può
decidere cosa fa parte della società della conoscenza, può solo decidere
se entrarvi o meno; la stragrande maggioranza degli insegnanti (e dei
dirigenti, magari me incluso) non fa parte della società della
conoscenza, perché cerca di tramandare un sapere obsoleto fermo ad una
cultura non inserita in una globalizzazione spinta com’è quella attuale.
Davanti al proliferare di
I’Pad e
Smartphone mi pare che le scuole
siano ancora concentrare sul produrre
know
how per le macchine da scrivere. La
società della conoscenza c’è e ha le sue regole, ma la scuola ha la
presunzione di governarle (fa la “mosca
cocchiera” per dirla con le parole
di un tempo) e non cerca di spazzare via i troppi lacci che la
paralizzano (classi di concorso, saperi datati, programmi di un secolo
fa, cultura soprattutto libresca, matematica inapplicabile, lingue
comunitarie insegnate attraverso le grammatiche, graduatorie centrate
sull’anzianità, ecc.). In questi ultimi mesi ho letto le proteste dei
dirigenti perché accorpano scuole, degli insegnanti di greco e latino
perché gli è stato tolto il monopolio di quegli insegnamenti, di quelli
di musica perché non viene capita la didattica dei flautini, di quelli
delle
scuole secondarie di secondo grado
per la riforma, ecc.: non su come è
organizzato il sistema dell’istruzione, ma sulla centralità del proprio
specifico insegnamento disciplinare o del proprio ruolo, ritenuto
diga
strategica della cultura occidentale.
Si scambia la propria disciplina elettiva e il proprio posto di lavoro
per la “società della conoscenza” e quella intanto si allontana.
Le pratiche.
In Italia ci sono delle bellissime esperienze scolastiche e molti
docenti sono molto bravi. Stanno dentro il sistema, ma non fanno
sistema. Le pratiche non sono trasferibili praticamente mai e sono
legate al singolo docente, non alla scuola in cui nascono.
Educationduepuntozero
è attualmente il luogo privilegiato del confronto e della vetrina e vi
si vede una scuola viva e capace di innovare. Ma bisogna stare attenti a
non scambiare quello che appare sul sito come la punta di un iceberg,
perché probabilmente quello che appare è il “gruppo completo”. Le
pratiche non possono diventare “buone” per delibera del collegio
docenti, né possono essere imposte per decreto. Devono trasformarsi in
curricolo e scalzare il nozionismo dei programmi. Questo forse ci
porterebbe nella società della conoscenza e fuori dalle secche della
protesta e della contestazione fatta da pochi in rappresentanza di se
stessi.
2. Sentiero Cerini
L’intervento
di Cerini è condivisibile in ogni suo punto. Se Cerini facesse un po’
più di sistema troverebbe in Italia molto più seguito e molta più forza.
Racconto a lui e ai lettori un piccolo aneddoto. Dal 6 luglio di
quest’anno a seguito del D.L. 98/2011 non esistono più
Circoli
didattici e
Scuole
secondarie di 1° grado. A Udine in
questo momento ci sono quattro
Circoli
didattici e tre
Scuole
secondarie di 1° grado: il Comune
in accordo con le scuole aveva già pronto per fine giugno un
dimensionamento per
cinque Istituti comprensivi
(media 1.300 alunni) per proporlo alla Regione per l’a.s. 2012/2013.
Visto il decreto di inizio luglio il Comune di Udine, i Dirigenti delle
scuole udinese, le forze politiche presenti i consiglio comunale, l’
Ufficio scolastico regionale del Friuli Venezia Giulia erano d’accordo
per far partire il tutto dal 1° settembre 2011. Bastava un decreto della
Regione Friuli Venezia Giulia sull’ambito di Udine. I sindacati hanno
detto di rinviare e l’Assessore non ha firmato un dimensionamento già
accettato. I Dsga da sette diventavano cinque e alcuni collaboratori
scolastici avrebbero dovuto cambiare scuola. Fine della comprensività
virtuosa. Questa la situazione di Udine oggi. Non è difficile immaginare
cosa si scatenerà nel resto d’Italia per garantire il “piccolo è bello”.
Davanti a
tutto questo io credo che si debba rilanciare la verticalizzazione e non
fermarla al 1° ciclo, ma
spingerla fino al 2° ciclo,
per toglierlo da quel suo isolamento didattico tutt’altro che virtuoso.
Il problema non è solo il passaggio dalla quinta “elementare” alla prima
“media”, ma anche dalla terza “media” alla prima “superiore”, partendo
dal concetto che le scuole secondarie di secondo grado non hanno proprio
nulla di “superiore” e sono al massimo “successive”. Io credo che sia
necessario forzare la verticalizzazione per creare strutture di
quartiere o zona forti e competitive.
3. Sentiero D’Avolio e Mion.
Poiché non
condivido il pessimismo di fondo di Pasquale D’Avolio e Cinzia Mion
cerco di percorrere questo “sentiero interrotto” sulla dirigenza
fornendo alcune considerazioni sintetiche. Il d.lgs 165/2001 prescrive:
“il dirigente scolastico promuove gli interventi per assicurare la
qualità dei processi formativi e la collaborazione delle risorse
culturali, professionali, sociali ed economiche del territorio, per
l'esercizio della libertà di insegnamento, intesa anche come libertà di
ricerca e innovazione metodologica e didattica, per l'esercizio della
libertà di scelta educativa delle famiglie e per l'attuazione del
diritto all'apprendimento da parte degli alunni.”.
La “qualità dei processi formativi” e
“il diritto di apprendimento da parte degli alunni” stanno nella
missione dirigenziale per cui chiedo:
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si garantiscono
controllando quanti veli ha la carta igienica acquistata dalla scuola o
verificando i meccanismi didattici messi in atto dai docenti assegnati
alla scuola?
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si garantiscono
esasperando il personale con 495 circolari all’anno o garantendo la
trasparenza e il rigore dei processi di valutazione?
-
si garantiscono
coordinando l’azione di redazione dei curricoli o costringendo i docenti
a consegnare entro metà novembre le programmazioni fatte col taglia e
incolla?
-
si garantiscono
eliminando l’arbitrio da didattica e valutazione o controllando che gli
alunni portino sempre il libretto a scuola?
-
si garantiscono
lavorando all’integrazione della didattica tradizionale con quella
multimediale e laboratoriale o contando i metri quadrati che ogni
collaboratore scolastico deve pulire? Ritenere che un
dirigente scolastico con pochi alunni e pochi docenti possa fare molta
innovazione e ricerca è illusorio. Ed è illusorio anche pensare che
sdoppiando la dirigenza e dividendo l’amministrazione dalla didattica si
vada da qualche parte. Questo, tra l’altro, è quello che chiedono i Dsga
d’Italia, che vorrebbero la doppia dirigenza.
Così
il “direttore didattico” ogni volta che ha bisogno di un foglio di carta
deve andare dal “direttore amministrativo” a compilare moduli per avere
il foglio di carta. La questione
non riguarda la mole di lavoro (che c’è ma è alla portata di tutti), ma
la qualità del proprio impegno. Davanti alla scelta c’è chi sceglie di
occuparsi della qualità della la carta igienica a velo e chi invece
degli standard linguistici degli alunni della scuola che dirige. Ma è
una scelta che si fa sia in una scuola di 2.100 alunni sia in una scuola
di 210 alunni. |
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