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Sezioni primavera: parliamone…

di Loretta Lega
Assessore alle politiche educative del Comune di Forlì

 

Le motivazioni di una proposta

Dopo un lungo tormentone durato mesi, finalmente (e un po’ tardivamente) la Conferenza Stato-Regioni-Autonomie locali ha approvato –il 14 giugno 2007- l’accordo quadro che consente di avviare la sperimentazione di sezioni primavera, cioè di strutture educative pensate e destinate a bambini dai 24 ai 36 mesi.

L’evento è stato circondato da tali e tanti distinguo, perplessità, contrarietà che forse vale la pena tentare di capire con un po’ più di serenità di che cosa si tratta, quali nuove opportunità si aprono per genitori e bambini, quali sono i rischi di un avvio così in salita.

Intanto, quali sono le motivazioni della proposta? Ne rammentiamo soprattutto due:

  1. l’esigenza di contrastare gli effetti dell’anticipo dell’età di accesso alla scuola dell’infanzia decretato nella riforma Moratti (Legge 53/2003) e a tutt’oggi non abrogato, offrendo alternative più consone al livello di qualità raggiunto in Italia dai servizi educativi 0-6 anni (meglio 0-3 e 3-6) e quindi più attente ai bisogni ed alle caratteristiche dell’infanzia. E’ sotto gli occhi di tutti come l’attuale anticipo, congelato con la CM 74/2006 sulle iscrizioni relative all’a.s. 2007-08 ai treenni che compiono gli anni entro il 28 febbraio, avviene in assenza di regole e criteri chiari e con precarietà di soluzioni. Risulta da fonti ministeriali (da meglio accertare) che ogni anno circa 70.000 bambini si avvarrebbero di tale anticipo.

  2. Offrire una risposta credibile ed in tempi ragionevoli alla forte domanda di servizi educativi per bambini al di sotto dei tre anni, che non trovano accoglienza nell’attuale disponibilità di posti negli asili nido e nei servizi integrativi. Risulta che oltre 50.000 siano i bambini che annualmente bussano inutilmente alle porte degli asili nido italiani.

Il tema dell’anticipo ci porterebbe molto lontano, qui va almeno osservato che mentre l’anticipo verso la scuola elementare sembra dettato da motivazioni pseudo-culturali (l’idea che accelerare il percorso di un anno scolastico offra –alla lunga- più opportunità), con una forte localizzazione geografica (pre valentemente le città del sud), l’anticipo verso la scuola dell’infanzia (parimenti imponente nelle regioni meridionali) sembra dettato largamente dall’assenza di altre opportunità (es.: rete di asili nido).

Insomma, il doppio anticipo (che rappresenta quasi sempre una forzatura nei confronti dei ritmi di sviluppo dei bambini e delle loro peculiarità di crescita) trova alimento soprattutto là ove ci sono servizi educativi 0-3 in quantità insufficiente o scuole dell’infanzia 3-6 anni di scarsa affidabilità. Nelle regioni ove esiste una forte cultura dei servizi 0-6 (es: Emilia-Romagna, Toscana, Trentino, ecc.) il “doppio” anticipo è un fenomeno del tutto marginale.

 

Le sezioni primavera già esistono

Un altro dato fa riflettere. Al di là del presunto “azzardo” che sarebbe rappresentato da una struttura non ancora collaudata, le sezioni primavera sono già diffuse in almeno otto regioni italiane su 21, sia come sezioni specifiche di nido collocate presso scuole dell’infanzia, come in Emilia-Romagna,, sia come tipologie alternative al nido classico (quindi assimilabili a centri gioco, spazio bambini, ecc.). C’è poi da aggiungere che alcuni comuni (citiamo Roma e Genova) hanno costruito progetti sperimentali di raccordo tra nido e materna, cercando di coniugare la ricerca di soluzioni innovative con la risposta alla domanda sociale dei genitori. Si tratta quindi di un oggetto “conosciuto” ed il legislatore nazionale (attraverso il comma 630 della legge finanziaria per il 2007) ha cercato di rendere possibile una maggiore diffusione di tali esperienze-pilota, coinvolgendo direttamente anche lo Stato (ma su questo delicato aspetto interverremo più avanti).

Non è dunque accettabile una critica che si rivolga unicamente all’improvvisazione o all’estemporaneità della soluzione prospettata dalla finanziaria. E’ vero che i tempi sono capestro, a maggior ragione in questo momento se si intende attivare qualche esperienza fin dal prossimo mese di settembre, ma esiste un patrimonio di conoscenze pedagogiche, organizzative ed amministrative per il settore 0-6 anni che consente di affrontare con serenità la nuova sfida. Naturalmente sono necessarie più esplicite condizioni di accompagnamento ed una cabina di regia nazionale, di cui non c’è ancora traccia. Meglio sarebbe delimitare il progetto in una ottica effettivamente sperimentale a pochi casi, ma ben sostenuti e monitorati, piuttosto che puntare ad una generica estensione di un servizio di emergenza.

 

Al di là dell’anticipo

Va poi smentita anche l’impressione che le sezioni primavera siano la pura riproposizione dell’anticipo (aggravata dall’estensione fino a 24 mesi di un servizio che la Moratti aveva aperto ai bambini fino a 28 mesi) o siano un colpo mortale allo sviluppo di un moderno sistema di asili nido.

Sul primo punto va ricordato che la sezione primavera si rivolge ad una utenza certamente più ampia (da 24 a 36 mesi), ma la sua organizzazione è pensata esclusivamente in funzione di un gruppo “omogeneo” di bambini, in spazi adeguati, con gruppi ridotti (da 15 a 20 bambini) con un rafforzamento della presenza degli insegnanti/educatori (in modo da non superare il rapporto 1:10 che è tipico della sezione grandi dei nidi). Decisivo è poi il progetto pedagogico ad hoc, che possiamo riassumere nel concetto di apprendimento attraverso un ambiente di cura educativa, quindi con una attenzione forte al tema dell’accoglienza, del benessere, della corporeità, dell’accompagnamento delle prime forme di linguaggio, creatività, immaginazione. Tutt’altro rispetto al generico “rassemblement” di bambini di età diversa, senza riduzione numerica né rafforzamento di organico, connesso all’anticipo senza regole della Moratti.

In alcune realtà si assiste alla caccia al posto nella sezione dei due anni (sez. primavera), perché poi viene garantita una migliore continuità con le tre annualità successive della scuola dell’infanzia mediante adeguato raccordo pedagogico ed in molti casi anche con lo scorrimento delle figure adulte che, in parte continuano a seguire lo stesso gruppo di bambini. In alcune sperimentazioni, addirittura, lo stesso team degli educatori vede al proprio interno professionalità diverse, cioè insegnanti di scuola materna ed educatori di nido, coadiuvati da personale di assistenza. E’ vero, si tratta di casi non generalizzati, ma reali e dunque possibili. Comunque, con costi pur sempre inferiori a quelli del nido classico.

 

Un Nido non fa…primavera

E qui occorre evitare un altro equivoco, quello del presunto favore manifestato dal legislatore nei confronti delle sezioni primavera a scapito dell’esperienza storica dei nidi (che nascono in Italia con la legge 1044 del 1971). In 35 anni lo sviluppo dei nidi è avvenuto con velocità e potenzialità assai diverse da regione a regione (dal 27,8% dell’Emilia-Romagna di copertura della fascia di età 0-3 anni all’1,5% dele Puglie) e comunque si presenta ancora del tutto inadeguato rispetto alle esigenze. Gli ultimi dati parlano di un dato nazionale del 9,57%, mentre i parametri europei indicano una soglia ottimale del 33% di servizio per i potenziali utenti. E’ un obiettivo quasi irraggiungibile se paragonato a quanto si è riusciti a fare in 35 anni. Su questa vicenda sarebbe necessario fare una riflessione seria, perché non ci si può limitare a stigmatizzare la tradizionale carenza di fondi o i ritardi delle diverse amministrazioni. Certo, gli strumenti normativi sono da rinnovare ed è urgente arrivare ad una legge quadro nazionale per i servizi educativi 0-6 anni (od anche solo 0-3 se dovessero presentarsi difficoltà insormontabili)1 che consenta di abbattere i costi del servizio (sia sul versante degli utenti, che di quello dei gestori) riconoscendo l’asilo nido come servizio pubblico educativo e non come servizio a domanda individuale. Una sentenza della Corte Costituzionale che afferma il carattere educativo del nido, anzi afferente l’area dell’istruzione, potrebbe agevolare l’itinerario legislativo. Ma non basta. Si impone anche una riconsiderazione a tutto campo del tipo di servizio erogato dal nido, della domanda “sociale” dei genitori, del possibile ruolo delle “nuove tipologie” di servizio (centri bambini, centri gioco, mini-nidi, educatori domestici e/o familiari), ma anche delle misure sostitutive (esempio assegni “sabbatici” alla madre o al padre). Non è pensabile raggiungere i livelli europei se non si rendono flessibili le offerte di servizio educativo, con una lettura attenta dei contesti sociali, anche con un adeguato tasso di creatività, accompagnato da un rigoroso sistema di regolazione pubblica. E’ probabile che in alcune realtà ci sia una richiesta che si rivolge a strutture diverse dal nido, magari con tempi più ridotti di funzionamento

Nelle realtà italiane più “mature”, ci riferiamo all’esperienza dell’Emilia-Romagna, gli alti tassi di presenza di servizi educativi 0-3 (vicini agli standard europei) sono resi possibili proprio dalla coesistenza di una pluralità di soluzioni: Reggio Emilia e Forlì, dove la copertura 0-3 oltrepassa il 40%, una quota del servizio è assicurata proprio dalla diffusione delle sezioni primavera sulla base della legislazione regionale di riferimento e dell’impegno dei privati, in particolare la FISM (Federazione Italiana Scuole Materne).

E’ anche pensabile che il classico modulo del nido comunale, per 45-60 bambini da 3 a 36 mesi, con le sezioni“lattanti-semidivezzi-divezzi-grandi”, con orari pieni, un organico robusto con diverse tipologie di personale (coordinatori, insegnanti, assistenti, guardarobieri, cuochi) sia difficilmente esportabile in altri contesti territoriali e che i costi (finanziari, tecnici, gestionali) siano ormai proibitivi anche per i Comuni con grandi tradizioni nel settore. Infatti qua e là sbucano tendenza alla “esternalizzazione” del servizio o all’affidamento a cooperative sociali o ad altri soggetti.

 

Prioritario diffondere i nidi e le scuole dell’infanzia

Nonostante gli alti costi per la costruzione di un asilo nido, stimabili in 25.000 euro per ogni posto-bambino, e di almeno 750,00 euro anno posto-bambino per assicurarne il funzionamento, è necessario incentivare lo sviluppo di una rete più estesa e capillare di nidi, là ove si presenta una forte domanda sociale. Ben venga il rilancio della finanziaria per il 2007, in cui un apposito fondo di 100 milioni di euro viene destinato alla costruzione di nuovi nidi (cui si aggiungono altri 50 milioni prelevabili dal fondo per le politiche sociali). Questo contributo, che andrebbe celermente reso disponibile a Regioni ed Enti locali evitando criteri “pilateschi” nella distribuzione, è però del tutto insufficiente per “aggredire” i ritardi storici del nostro paese e andrebbe almeno decuplicato, se si guarda all’Europa. Tuttavia siamo in presenza di una inversione di tendenza dopo alcuni anni di stasi. Ma non basterà.

Oltre che costruirli i nidi bisogna farli funzionare e qui entrano in gioco altri fattori di difficoltà, finanziarie e tecniche. Di dimensioni ottimali. Ad esempio solo 1.200 comuni in Italia (su 8.000 circa) hanno esperienza di gestione di nidi. 5.600 Comuni hanno una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti che rende problematico pensare ai modelli “classici” di servizi educativi. Si apre per questi territori un problema di flessibilità di soluzioni (gruppi integrati per l’età 0-6 anni, sezioni aggregate alle scuole dell’infanzia, piccoli gruppi) che deve però saper mantenere elevati gli standard di qualità, anche con apposite risorse aggiuntive. Il problema, pur presente nelle prime elaborazioni relative all’attuazione del comma 630, è stato prudentemente accantonato in sede di Accordo Stato-Regioni-Autonomie locali, ma è evidente che lo stesso dovrà essere riconsiderato se non si vuole privare una parte consistente del nostro paese di servizi educativi pubblici e di qualità.

E’ altresì impensabile avviare un nuovo servizio se non si hanno le “carte” a posto nei nidi e nella scuola dell’infanzia. Così lo stesso accordo del 14 giugno 2007 considera prioritario il piano di sviluppo dei nidi e la generalizzazione della scuola dell’infanzia. Per quest’ultima, infatti, risulta che non tutti i bambini in età regolare 3-6 anni abbiano la possibilità di frequentare la scuola dell’infanzia, statale, pubblica o paritaria. Spesso mancano gli edifici ad hoc (altro tasto dolente del nostro sistema scolastico), qualche volta non vengono assegnate le risorse umane sufficienti per assicurare un servizio educativo a pieno tempo (doppio organico). Prendiamo atto degli impegni assunti in sede politica e tecnica per risolvere questo annoso problema. Oltre alla quantità si pone anche il problema della qualità.

Le condizioni di organizzazione della scuola dell’infanzia non sempre rispondono a criteri di qualità. Non ci riferiamo solo ai rischi connessi ad una forte presenza del settore privato (circa 30%), che spesso sfugge ad una logica seria di controllo e verifica (nonostante la legge di parità del 2000), ma alle stesse difficoltà in cui si dibatte la scuola statale, con alti numeri di bambini, una compresenza ridotta all’osso, scarso coordinamento pedagogico, miserrime risorse per materiali di consumo e attrezzature didattiche. Se non si affrontano alla radice tali penurie, sarà difficile trovare consenso per sperimentazioni di nuovi servizi che potrebbero apparire di nicchia. Il patto politico, cioè, deve essere completo: sì alle sezioni primavera, come arricchimento del vantaglio dei servizi offerti, ma anche decisa insistenza per generalizzazione e qualificazione dei due segmenti fondamentali: lo 0-3 ed il 3-6.

 

Sezioni primavera: copiare dai modelli “vincenti”

Le necessarie premesse politiche che abbiamo delineato non debbono però affievolire l’obiettivo di utilizzare anche la possibilità offerta dalla legge finanziaria per il 2007 con il comma 630. L’attivazione di una sezione primavera non è semplice, tuttavia la sua fattibilità in tempi medio-brevi appare certamente alla portata di molti soggetti (pubblici e privati) e comunque più agevole dell’impianto di un intero nido “classico”.

Intanto è possibile sfruttare la rete fisica delle scuole dell’infanzia che in qualche caso appaiono anche sottoutilizzate e che in molti territori sono le uniche strutture esistenti. Un intervento di manutenzione straordinaria o di ampliamento parziale con aule e servizi ad hoc può costituire la premessa per l’avvio del nuovo servizio educativo in condizioni di sicurezza. La presenza di bambini dai 24 ai 36 mesi (si potrebbe dare la precedenza alla fascia dei più grandi) richiede accortezza negli allestimenti, la presenza di spazi per il riposo, il relax, il gioco, l’adeguata dotazione di servizi igienici, la disponibilità di aree interne ed esterne attrezzate con maxi-strutture ecc.

Un punto delicato riguarda il personale docente. Intanto vanno definiti rigorosi parametri numerici: negli standard indicati dall’accordo si fa riferimento al rapporto massimo tra educatori e bambini pari a 1:10 (che sarebbe corretto intendere come rapporto da mantenere in ogni momento della giornata).

Trattandosi, poi, di una “sperimentazione” è buona norma riservare questa esperienza solo al personale disponibile, magari prevedendo adeguati incentivi. In alcune esperienze è stato possibile abbinare due professionalità diverse educatori provenienti dal nido ed insegnanti di scuola dell’infanzia quasi a suggellare con un team integrato l’idea di una età di transizione in cui mettere a fuoco non solo i bisogni dei bambini (cura, benessere, autonomia) ma anche le sue potenzialità (logiche, linguistiche, apprenditive in generale), anzi non mettendo in contrapposizione la “cura” con l’”apprendimento” ma vedendoli come due aspetti interagenti dello sviluppo. Il bambino cresce bene se trova un ambiente accogliente, se il suo dinamismo “quasi” naturale trova adulti in grado di capirlo, leggerlo, rilanciarlo, con proposte adeguate e con le mille occasioni della vita quotidiana.

Giustamente l’accordo propone la stipula di convenzioni, ad esempio tra privati e Comuni, ma anche tra Comune e Stato per la migliore organizzazione dell’esperienza, anche per la messa in comune di risorse e competenze. In tale accordo è possibile calmierare ed equilibrare i costi per i genitori in modo che la retta per la frequenza di una sezione primavera sia più vicina a quella di un nido che non a quella della scuola dell’infanzia.

La formula finanziaria escogitata, sotto forma di bonus di 30.000 euro per ogni nuova sezione attivata consente un uso flessibile delle risorse, ivi compreso il recupero all’esterno delle competenze di cui non si dispone all’interno dell’istituzione. Ad esempio una convenzione con una cooperativa sociale per acquisire educatori di nido o altre figure educative.

 

Ma lo Stato che fa?

Il modello pedagogico, in definitiva, è quello di una sezione “grandi” di nido aggregata alla scuola dell’infanzia. Un’interpretazione rigida di questo principio porterebbe ad assimilare il nuovo servizio alle tipologie integrative di nido (e questo è certamente corretto dal punto di vista giuridico), facendolo ricadere sotto la legislazione regionale (cioè 21 leggi regionali o provinciali diverse) e riservandone la gestione ai Comuni o ai privati (debitamente autorizzati). Lo Stato che è il detentore del pacchetto di maggioranza delle scuole dell’infanzia (con il 55% della copertura) si chiamerebbe fuori. Ma è la stessa legge finanziaria a chiedere l’intervento dello Stato, attraverso lo strumento della sperimentazione di ordinamento (art. 11 del Dpr 275/99 sull’autonomia).

Trattandosi di modificare l’età di accesso ad un servizio si sperimentano prima gli effetti. Questa interpretazione è stata però in questo momento accantonata per privilegiare il riferimento al quadro legislativo dei nidi (competenza delle Regioni) e per non inquietare le organizzazioni sindacali già sul piede di guerra per il possibile utilizzo del personale docente in un servizio non strettamente attinente la scuola dell’infanzia.

Poiché la sezione “primavera” –dice l’accordo- è anche un servizio integrativo della scuola dell’infanzia, la copertura giuridica per la scuola statale è offerta anche dall’autonomia che consente di “integrare” ed “arricchire” l’offerta formativa, fornendo servizi ed opportunità ordinariamente non previste dal normale curricolo. Come quando tra i 14 ed i 16 anni la scuola chiede aiuto alla formazione professionale e ad altre agenzie per contrastare l’insuccesso scolastico. A tal fine sono però necessarie delibere tecniche del collegio dei docenti (con l’elaborazione di un progetto) e politiche del consiglio di istituto (per richiedere il nuovo servizio). In caso di indisponibilità di personale docente statale (sia perché tutto impegnato sui posti normali, sia perché non ne viene assegnato di aggiuntivo) è possibile anche per la scuola statale accedere al bonus dei 30.000 euro e ricercarsi in “esterno” le competenze di cui ha bisogno per attivare il nuovo servizio.

Si dirà: perché azzardare queste nuove modalità così lontane dal normale modo di fare scuola? Ma qui ritorna il problema del rapporto tra istituzioni, cittadini, i loro diritti, le loro aspettative, ed operatori della scuola con le loro tutele e le loro professionalità. Se si considera improprio l’utilizzo di docenti di scuola dell’infanzia per la fascia 2-3 anni e si vuole confermare l’intervento dello Stato, si vada a definire un nuovo profilo professionale (docente? educatore?) e si coprano i posti necessari con personale adeguato e competente. Nel frattempo però, qualche buona sperimentazione potrebbe aiutare a capire il “senso” ed i “vantaggi”, ma anche gli eventuali limiti del progetto.

 

Come fare per attivare una sezione primavera

La Nota del Ministero della P.I. n. 235 del 21 giugno 2007 definisce le modalità operative per l’attivazione delle sezioni primavera.

Intanto occorre tenere distinta la procedura per la richiesta del contributo finanziario per l’attivazione di una sezione primavera (25.000 o 30.000 euro in base all’orario di apertura del servizio), che è di competenza del Ministero della pubblica istruzione, dalla procedura per l’autorizzazione al funzionamento del nuovo servizio educativo che, in base alla legislazione vigente in ogni regione, è normalmente di competenza del Comune. I tempi potrebbero essere anche differenziati. L’istanza per ottenere il contributo dovrà essere presentata dal soggetto gestori (Comune, scuola paritaria, scuola statale, privato “convenzionato”) entro il 10 luglio 2007 all’Ufficio Scolastico Regionale (USR) per il tramite dell’Ufficio Scolastico Provinciale del territorio.

La domanda dovrà contenere una serie di dichiarazioni indispensabile (titolarità giuridica del soggetto, localizzazione del servizio, numero dei bambini interessati, orari di funzionamento, quadro degli operatori, disponibilità di locali idonei ecc.) e, soprattutto, dovrà essere allegato un progetto pedagogico-didattico che illustri le caratteristiche educative dell’iniziativa. La domanda dovrà essere coerente con i criteri che regolano, comune per comune, le procedure per l’autorizzazione del servizio che dovrà poi essere richiesta all’ente locale.

E’ quindi necessario un contatto preliminare tra soggetti gestori potenzialmente interessati e Comune, per valutare insieme la domanda/offerta di servizi educativi, le concrete possibilità di attivazione del servizio, le eventuali forme di collaborazione. In alcuni Comuni ad esempio Forlì già ora è prevista una convenzione tra soggetti gestori di sezioni primavera e Amministrazione Comunale: a fronte di un contributo annuo pari ad € 691,45 per ogni iscritto, l’Ente privato si impegna ad accogliere nelle sue strutture i bambini della fascia di età. In altri casi vengono offerte agevolazioni per servizi di supporto (mense, ecc.). Non è da escludere una vera e propria forma di co-gestione alle spese, con la messa a disposizione di particolari figure professionali assenti dall’organigramma del soggetto gestore.

Non sono operazioni facili, ma si rivelano indispensabili se s vuole potenziare la rete dei servizi educativi tra 0 e 6 anni di un territorio.

La “governance” (cioè il poter decidere attraverso forme adeguate di concertazione tra soggetti diversi) è indispensabile per la buona riuscita di questa iniziativa. Sia a livello di territorio comunale, per le ragioni che abbiamo appena dette, sia a livello regionale (ove sarà definita la graduatoria delle richieste di contributi –ad un tavolo congiunto USR-Regione-ANCI, sia a livello nazionale ove opera una cabina di regia rappresentativa di tutti i partners dell’impresa (Ministero della P.I., Ministero delle politiche per la famiglia, Ministero della Solidarietà sociale, Regioni e ANCI). Durante l’estate 2007, sarà già possibile conoscere i destinatari dei contributi finanziari per rendere possibile l’avvio delle iniziative a partire dai primi mesi dell’a.s. 2007-08.

La normativa in materia richiede il pieno riconoscimento della competenza delle Regioni in tema di servizi educativi 0-3 anni, per i quali comunque lo Stato dovrebbe emanare norme generali e fissare i livelli essenziali delle prestazioni. La procedura scelta dalla legge finanziaria per il 2007 (che vale, comunque solo un anno) privilegia il rapporto diretto centro-periferie (Ministero-soggetti gestori) nella convinzione –probabilmente giusta- che solo in questo modo sia possibile accelerare i tempi ed erogare i fondi messi a disposizione (circa 30 milioni di euro). Si tratta di una procedura del tutto eccezionale, adottata per far fronte ad una emergenza. Va da sé che occorrerà tornare nell’alveo delle regole del decentramento reale che, però, possono già essere messe alla prova facendo funzionare le tre cabine di regia evocate nell’accordo (comunale, regionale, nazionale). Non solo per gestire le richieste ed erogare i contributi, ma soprattutto per impiantare un rigoroso sistema di monitoraggio e di verifica di ciò che si andrà a realizzare e per avviare un efficace azione di formazione e di supporto agli operatori impegnati in quella che è e rimane, al momento, una iniziativa di carattere sperimentale.


 

Per saperne di più:

Rivista dell’istruzione, n. 1 gennaio-febbraio 2007, Maggioli, Rimini (Contiene un nucleo monografico dedicato alle sezioni primavera con interventi di G.Cerini, N.Masini, M.Sciotti, documenti, esemplificazioni e dati). Nel dossier è riportata anche la Convenzione del Comune di Forlì (5-12-2005) con la FISM per il funzionamento delle sezioni primavera.

G.Cerini, Nidi di primavera in “Scuola dell’infanzia”, Giunti, Firenze, n. 4, 1 dicembre 2006.

Atti del convegno “La sfida di primavera” tenutosi a Modena il giorno 28 aprile 2007 organizzato da USR Emilia-Romagna, IRRE EER, Comune di Modena, Regione Emilia-Romagna, FISM. L relazioni sono reperibili sul sito di MEMO, il Centro di documentazione “Sergio Neri” del Comune di Modena, all’indirizzo: http://istruzione.comune.modena.it/scuolamosito/IndexMemo.jsp

Intervista al Vice ministro dell’istruzione Mariangela Bastico, in merito alle sezioni primavera apparsa sulla Rivista “Bambini”, edizioni Junior, 2006. Prelevabile dal sito: http://www.bastico.it/files/articolo/intervista_Bambinim%20dic2006.pdf

La Regione Emilia-Romagna mette a disposizione informazioni, documentazione e news sui servizi educativi per l’infanzia in appositi siti dedicati.

Cfr. http://www.emiliaromagnasociale.it/emiliaromagnasociale/index.htm

1 Proposta di legge di iniziativa popolare, presentata dalla Consulta “G.Rodari” iscritta all’ordine del giorno dei lavori parlamentari.


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