Il silenzio assordante
ovvero Dalla Chiesa del silenzio al silenzio della Chiesa
Quando si parla di
scuola, formazione, educazione, bambini, giovani, famiglie, si parla di
futuro e vita allo stesso tempo individuale, personale e sociale, in un
oggi che guarda avanti proiettando valori laici della cittadinanza
dimensionabili nell’immanenza come conoscenze, capacità, competenze,
educazione al vivere civile, sociale e valori “altri” che vanno “oltre”
e investono le più alte espressioni dello spirito come quelle etiche,
esistenziali, religiose ecc. In pratica la scuola, voglio usare questa
metafora, può essere vista come il più grande “laboratorio sociale” in
cui pulsa la vita del Paese del cui presente e passato raccoglie
l’eredità, che elabora criticamente, arricchisce e proietta nel futuro,
cercando di assicurare un fecondo passaggio di testimone tra le diverse
generazioni, in un’equilibrata combinazione di tratti condivisi del
patrimonio culturale, frutto dei processi storici, e aperture verso
nuove frontiere necessitate dalle sfide che i cambiamenti del mondo
richiedono a società e individui.
Mi rendo conto che il
dibattito che si svolge nel Paese è quasi esclusivamente centrato sui
tagli assolutamente ingiustificabili a Scuola, Ricerca, Università, con
tutto ciò che questi si portano appresso in termini di ingiustizia
sociale e futuro scippato alle nuove generazioni; ma non posso tacere
sentimenti di pena e tristezza, che sconfinano nella nausea, se penso
che al Paese viene offerta una discussione su statistiche, indagini,
raffronti con altri paesi europei, mondiali, modelli costruiti dalla
nostalgia e da ricordi personali, non sulla base di una doverosa analisi
storica, specifiche e delimitate sofferenze del corpo scolastico
generalizzate, assolutizzate ed erette a tumore sociale contro il quale
l’unica cura imposta per decreto è il distacco della spina che lo tiene
in vita e costituisce la speranza per le future generazioni.
Non è l’unico momento
di crisi e non sarà nemmeno il solo per la nostra scuola, come del resto
per il Paese. E’ da questo, infatti, che essa mutua difficoltà,
sofferenze, ingiustizie, violenze che arrivano tra i banchi attraverso i
bambini/ragazzi/adolescenti che recano in sé i segni e le cicatrici,
spesso le ferite vive, dei patimenti che ad essi infligge un tessuto di
relazioni pesantemente condizionato dalle mine anti-uomo seminate da una
cultura dei media che celebra i famosi nelle loro isole, la ricchezza
facile ricavata dall’immagine del proprio corpo venduta come velina,
l’effimero successo raggiunto anche e solo col raccontare pateticamente
le proprie storie private in televisione, per farne oggetto di triste,
ancorché pruriginoso, spettacolo per un pubblico attanagliato dalla
vuoto e dal non senso della propria vita.
In altri momenti della
nostro passato recente o remoto le difficoltà e l’inadeguatezza storica
della scuola, il bisogno di una suo profondo cambiamento, sono stati
accompagnati da un grande dibattito di alto livello culturale,
consapevoli che il Paese, non il suo governo del momento, si giocava il
proprio futuro su quel fronte. E nel progetto di scuola futura si
specchiava la speranza di una società più colta, più umana, più capace
di affrontare le sfide e le insidie di un futuro in cui appare sempre
più difficile far trionfare nel mondo globalizzato la forza della
ragione, mentre si consolidava piuttosto la ragione della forza, della
competizione. E sono proprio queste ragioni della forza, che si sono
sostanziate nella teoria della guerra preventiva e in un neoliberismo
senza etica pubblica
,
che vediamo entrate in una profonda crisi in questi ultimi tempi, con
tutti i rischi che questa crisi comporta, soprattutto per le parti più
deboli della società come i giovani, le donne, gli anziani sui quali
vengono scaricati i costi maggiori e che, guarda caso, sono i principali
abitanti e condomini del pianeta scuola.
Questo dibattito alto
non c’è oggi, vuoi per la povertà di questa nuova destra italiana sempre
rivolta all’ indietro a raccattare qualche straccio ideologico dal
passato, nel quale essa stessa non crede, avendo come solo ed unico
punto di riferimento l’ultraliberismo alla Bush o Thatcher entrato, fra
l’altro, in coma profondo proprio con la crisi dei mercati finanziari
internazionali; vuoi per lo spiazzamento, il ritardo e la debolezza
culturale degli “altri” che, anziché guardare avanti e costruire
l’alternativa, inseguono la destra su un terreno ad essa congeniale,
cercando solo un’illusoria moderazione della portata devastante delle
sue politiche sociali.
C’erano lo spazio e
l’opportunità che almeno la Chiesa, in tale deserto, facesse sentire
alta e forte la sua voce e invece … silenzio. Un silenzio assordante,
incomprensibile, appena attenuato dalle voci di Famiglia Cristiana,
dell’Azione Cattolica, del Movimento Ecclesiale che, invece, si alzano
cercando di far capire la mancanza di Cristianesimo e di socialità nei
provvedimenti del governo. Eppure la Chiesa sa cos’è il silenzio,
soprattutto quello imposto da regimi che si fondono su intolleranze
autoritarie di ogni tipo, compreso quello religioso. Lo sa perché lo ha
sofferto, ma ora il suo silenzio se lo impone da sola per complicità e
calcolo tutto politico.
Dai vescovi silenzio,
le uniche parole che risuonano sono quelle di Monsignor Diego Coletti,
responsabile scuola della conferenza episcopale italiana che ha
sentenziato : ”il problema dei risparmi è certamente sul tavolo ed è
ineccepibile….è inutile se non addirittura dannoso intervenire agitando
le piazze”. Sarebbe un utile servizio alla chiarezza sapere se queste
parole rappresentano il pensiero e, soprattutto, i sentimenti di tutti i
vescovi italiani.
Se così fosse, dobbiamo
dire che forse le più alte gerarchie ecclesiastiche non si accorgono che
meno scuola, meno formazione, meno conoscenza diventano meno diritti di
cittadinanza, meno uguaglianza civile e sostanziale, meno pari
opportunità, meno Costituzione, ma anche meno persona, meno cultura,
meno ricchezza interiore, meno speranza, meno possibilità di salvezza.
Non si accorgono che questi tagli, indifferenziati, selvaggi, fanno sì
che gli ultimi siano sempre di più e sempre più ultimi. Non si
accorgono che tagliando il tempo della scuola sottraggono ai poveri,
prima di tutto, la possibilità che venga loro restituita una speranza di
ascesa sociale che meccanismi economici disumani tolgono
quotidianamente. Non si accorgono che, pur con tutti i suoi problemi, la
scuola ha un ruolo virtuoso di supplenza rispetto al vuoto di cultura,
valori, etica, un vuoto favorito dalle peggiorate condizioni delle
famiglie e da una comunicazione sociale che spesso si connota per non
senso, mancanza di valori, cultura della violenza, della sopraffazione e
per l’adorazione di nuovi idoli, quali il denaro, il successo, la
competizione, il culto del corpo trasformato in immagine mercificata e
vendibile a scopo di profitto. Il meno scuola diventa un formidabile
assist all’edonismo materialista contro cui i vescovi dichiarano di fare
guerra aperta e senza quartiere. La scuola, suo malgrado, spesso si vede
costretta a supplire lo Stato nei quartieri e nei territori pervasi da
una diffusa cultura dell’illegalità; spesso si vede costretta a supplire
un famiglia sempre più sofferente e preda delle infinite contraddizioni
di questa società; spesso si vede costretta a far fronte anche
all’indebolimento di un magistero religioso quando questo smarrisce il
forte nesso che deve sempre esserci tra educazione religiosa, educazione
civile e sociale. Queste, oltre le sue “ordinarie”, sono le funzioni
della scuola che decreti e voti di fiducia, arroganza mascherata da
decisionismo, mancanza di rispetto istituzionale per minoranze politiche
e dissenso sociale colpiscono al cuore.
La Chiesa, quella
militante, sta con quei ragazzi che non vogliono essere deprivati del
proprio futuro, sta con quelle insegnanti che in tutti questi anni si
sono spesso caricate il mondo sulle spalle e hanno lavorato in silenzio
con i bambini, per ridare loro fiducia e speranza; sta con quei genitori
che vedono nella scuola il ruolo prioritario che essa ha nella società,
sta con tutti quei cittadini che riconoscono il valore assoluto della
scuola che attua il compito che le ha assegnato la nostra Costituzione.
Quello che si sta
perpetrando a danno della scuola della Repubblica è un misfatto senza
precedenti e la CHIESA non può rimanere in silenzio. La mancanza di
ascolto da parte del governo di tutte le istanze sociali, istituzionali,
professionali, scientifiche, la mancanza di rispetto anche nei confronti
dei propri parlamentari, oltre che dell’opposizione, mortificati da
decreti e voti di fiducia, l’arroganza degli atti e delle parole, da
quando in qua sono diventate virtù cristiane? Il silenzio fa venire
cattivi pensieri. Il silenzio è parente di complicità.
In queste settimane che
hanno visto centinaia e centinaia di migliaia di giovani, insegnanti,
genitori per le strade a reclamare il loro diritto allo studio, alla
conoscenza, al lavoro, al futuro, la CHIESA si è occupata d’altro, ha
parlato d’altro, come se niente accadesse nel corpo profondo della
nostra società. Tante persone che guardano al suo magistero hanno atteso
invano una parola che non è venuta. Peccato che quando poi è venuta, è
stata quella sbagliata e deludente di Monsignor Diego Coletti.
Non vorrei consegnarmi
al cattivo pensiero che questo silenzio sia il frutto del baratto col
mantenimento dei privilegi della Chiesa nell’ambito dell’istruzione.
Riduci pure tutto, basta che non tocchi insegnanti e insegnamento della
religione cattolica e scuole private, soprattutto le cattoliche. Le
recenti dichiarazioni di Berlusconi a proposito sembrano confermare
questa deprecabile tesi.
Meno statale, più
privato e confessionale è una visione miope, di basso profilo,
corporativa direi e difensiva dello Stato Chiesa, non dell’ecclesia
generalmente intesa come comunità di persone che condividono condizioni
di vita, cittadinanza, sentimenti, aspirazioni, valori comuni, paideia.
Dalla Chiesa è lecito
aspettarsi un messaggio di alto profilo che concili immanenza e
trascendenza, autorità e ascolto, congiuntura e diritti, potenza dei
primi e solitudine, abbandono degli ultimi, crisi del presente e
speranza nel futuro, conformismo indotto e riscatto personale attraverso
la cultura e la scuola.
Cosimo De Nitto
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