Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

SOTTO IL SEGNO DELLA CROCE

di Gianna Valente

Ogni volta mi sorprende l’ardore infuocato con cui ci si accapiglia sul Crocifisso in aula. Francamente  trovo ugualmente insulsi tanto  l’obbligo di esporlo tanto l’obbligo rimuoverlo. I simboli sono immagini straordinariamente potenti, in un colpo d’occhio evocano un universo di storie, significati, tradizioni, sentimenti. Ma sono significativi solo per chi li conosce, per chi li ama o li teme. Mi posso sconvolgere se vedo in un’aula il disegno di una svastica, ma se c’è una Corda Sacra shintoista o la Ruota della Dottrina di Budda forse non me ne accorgo nemmeno, al massimo mi incuriosisco, ma mediamente mi fa lo stesso effetto della pubblicità di una palestra nella sala di attesa del dottore. E perché a chi non è credente dovrebbe fare male la Croce, non la incontra forse in tutte le strade e in tutte le piazze d’Italia?  Io non sono credente, ma non per questo mi sento friggere addosso l’acqua santa, come in un esorcismo, o vado retro alla sola vista della Croce. Però soprattutto sono infastidita da questo obbligo di dover scegliere, come se fosse una decisione della vita: Avanti dillo chiaro: tu da che parte stai, di qua o di là? decidi una volta per sempre vuoi la carne o vuoi il pesce?  Mi rendo conto che paragonare la scelta di esporre il Crocifisso a quella di una pietanza al ristorante può sembrare blasfemo. Ma un simbolo rimane totalmente vuoto e privo di significati se resta lì appeso al muro. Al contrario, anche se non c’è l’effige stampata sulla parete, l’esempio limpido e coerente di un docente che testimonia quotidianamente la fratellanza, la carità, la fede e la speranza, lascia un’impronta indelebile nei bambini che vi “sono stati esposti”. Talvolta alla fine dell’anno chiedo alle maestre se nelle loro aule ci sia il crocifisso, ebbene molte non se lo ricordano neanche se c’è o non c’è. Cosa stiamo a fare la guerra su una cosa così?  Scusatemi se insisto su particolari irriverenti, ma è molto più sentita la presenza o meno di una tenda che quella del Crocifisso.  Nella mia scuola che è internazionale e interculturale non rinunciamo mai ai simboli, non ragioniamo “per sottrazione” amputando tutto ciò che non è simile in tutte le culture, ma ragioniamo “per addizione” accogliendo insieme alle nostre tradizioni quelle dei bambini che vengono da paesi lontani. Il nostro  Crocifisso e il nostro Presepe non sono mai in pericolo, ma sono benvenuti anche i segni del loro culto se ce li portano e ce li spiegano, perché la ricchezza di tutti si moltiplica con quello che ciascuno porta di suo. Certo non  ammetteremmo mai a scuola la svastica o  segnali di sottomissione e di mortificazione, ma questo è tutto un altro discorso, un campo assai controverso  che  mi posso permettere di trascurare per ora perché per fortuna non tocca l’innocenza dei bambini.

Ma perché allora sono così infastidita da queste diatribe? Dal punto di vista pragmatico me la posso cavare con poco, ecco fatto, in due righe ho già risposto. Certo però lo so benissimo che i significati impliciti, le filosofie sottostanti, gli aspetti semiologici, politici, non si possono spiegare in due parole,  e per giunta nessuno li vuole stare davvero a sentire.  Ma non riesco a liberarmi dell’impressione  che di solito ti interrogano solo per contarsi. E vogliono il crocifisso anche per avere il timbro visibile, il distintivo ufficiale, una targa esplicita di appartenenza. Ecco, questo uso strumentale del simbolo mi irrita in maniera quasi insopportabile. E’ un oggetto caro per le suggestioni dell’infanzia,  che non mi pesa, e che tutto sommato mi interessa anche poco, ma ecco che al pensiero che mi vogliano obbligare a indossare  un distintivo, che vogliano piantarmi una bandierina sulla testa, farmi rientrare per forza in una conta per dichiarare vinti e vincitori …il nervosismo aumenta di ora in ora e all’ennesimo annuncio del mio Ministro quasi …. mi ritrovo  anch’io armata fino ai denti pronta per l’ennesima guerra santa.

Ma insomma cominciamo a pensare a cose più serie. Mi piacerebbe che si sviluppasse un dibattito  vero sull’insegnamento della Religione Cattolica a scuola. OK, nessuno lo vuole eliminare, è previsto dalla nostra Costituzione in seguito ai Patti Lateranensi, così come è previsto che si possano avviare intese anche con altre religioni per il loro insegnamento nelle scuole di Stato. Quelli che, secondo me, sono assolutamente da rivedere sono i termini dell’Intesa rispetto alla collocazione oraria e al peso, del tutto sproporzionato, che tale insegnamento ha, per esempio nella scuola Elementare. Con la nuova riforma della scuola Primaria secondo il nostro Ministro il tempo scolastico settimanale dovrebbe essere di 24 ore. A regime, rispetto all’anno in corso ci saranno 6 ore settimanali in meno che bisognerà pur sottrarre a qualche insegnamento. Per molti di noi è un dolore immenso, una perdita disastrosa,  fate conto come vedersi stracciare in faccia il biglietto vincente al superenalotto: la nostra scuola era ai primi posti nel mondo, ma si dovrà tagliare un quinto del tempo scuola, oltre che un terzo dei suoi docenti …. eppure, ben inteso, le due ore di religione sono sempre lì, al centro della giornata scolastica. Insomma riduciamo tutto, le ore di italiano, di matematica, di scienze,  di inglese, tagliamo i bidelli, sforbiciate  da tutte le parti, ma se andate a vedere il numero dei docenti di Religione è raddoppiato negli ultimi anni ed è destinato ad aumentare ancora sensibilmente perché in fondo nella scuola primaria chiamare i docenti della Curia  è l’unico trucco per avere qualche ora di docenza in più. E poi diciamolo chiaro, sono persone sensibili e generose, sono maestri prima di tutto, e se talvolta chiedi loro di lasciarti quel ragazzino che ha bisogno di imparare la divisione durante l’orario di IRC di solito non si impuntano….se solo non dovessi nel frattempo intrattenere piacevolmente i non avvalentisi. Va bene, non facciamo guerre di religione, ma un po’ di sacrosanto buon senso ci vorrà o no? Alla nuova  disciplina “Cittadinanza e Costituzione” introdotta con gran risonanza dal Ministro è assegnata, sulla carta, un’ora alla settimana e 0 insegnanti. Insomma i valori della democrazia della convivenza civile nella scuola di Stato valgono la metà della Religione Cattolica e non meritano un docente dedicato. Questo tanto per dire, perché l’ho detto io stessa poco fa che queste non sono discipline in senso proprio, sono valori, stili educativi trasversali che si trasmettono con l’esempio, che entrano come il respiro nell’anima dei ragazzi mentre si spiega qualsiasi disciplina, mentre si corregge, mentre si interroga. Se un docente ha uno stile democratico, profondamente rispettoso dei diritti e delle opinioni di tutti, anche i suoi studenti acquisiranno questo stile, se è direttivo e arrogante  può parlare quanto vuole dell’articolo 3 della Costituzione ma i suoi alunni assorbiranno molto di più i suoi messaggi non verbali delle sue parole: se con la sua autorità prevarica e irride i più deboli insegnerà il bullismo. Ora i docenti non sono selezionati in base a queste caratteristiche, quindi lasciamo da parte questi aspetti così soggettivi che comunque sono fuori dalle nostre possibilità di manovra. O stiamo forse pensando a sistemi di  reclutamento dei docenti sulla base delle loro qualità morali? Limitiamoci a considerare che la scuola deve trasmettere prima di tutto gli strumenti della conoscenza: leggere, scrivere, fare di conto, saper usare la logica, servirsi dei linguaggi e delle metodologie disciplinari per conoscere il mondo, la storia, la tecnologia. Ogni scuola al suo livello, anche la scuola Primaria. E’ possibile che in tutto questo debba avere un peso così  preponderante l’insegnamento della Religione Cattolica? E’ giusto nei confronti di chi appartiene ad un’altra religione o che semplicemente non crede in Dio? O vogliamo dire che chi non crede in Dio non ha etica, non ha valori, non ha principi e dobbiamo assolutamente inculcaglieli per via endovenosa? Secondo me dobbiamo assolutamente trovare la maniera di insegnare sì la religione nella scuola di Stato, in obbedienza all’Intesa, e anche tutte le altre religioni se si sottoscrivono altre intese in tal senso,ma FUORI DELL’ORARIO SCOLASTICO. Fuori dalle ore obbligatorie, di pomeriggio, di domenica, durante l’estate, facciamo trentacinque settimane di scuola all’anno e una settimana intensiva la dedichiamo alla Religione , ma per favore somministriamola solamente a chi se ne vuole avvalere. Se si mantiene l’ora di religione così nel bel mezzo della mattinata scolastica  i genitori non possono venire a ritirare i figli nel cuore della giornata lavorativa e riaccompagnarli a scuola dopo la religione. L’attuale organizzazione è enormemente costosa, perché sottrae un’esagerazione di ore alle discipline di studio e costa allo Stato il doppio di quello che costano gli insegnanti di Religione (che per conto mio è già troppo) perché costringono le scuole ad organizzare in contemporanea alla Religione attività alternative con  un significato molto modesto e per un numero esiguo di bambini. Insomma alle scuole dispiace programmare cose veramente utili e interessanti se ne può usufruire solo un numero limitato di bambini, quelli che non fanno religione, mentre la maggioranza, che si avvale della religione, ne rimane esclusa. E così si finisce per rimanere nel vago, nel superfluo, nell’intrattenimento educativo sottraendo il doppio delle ore a materie e discipline più formali che sono il cuore, la missione, il significato stesso della scuola. Diamoci una mossa, lasciamo perdere le battaglie sui crocifissi e pensiamo piuttosto a risparmiare dove si può e a riportare la scuola al suo compito istituzionale di trasmissione dei saperi. Il curricolo sui valori è implicito in tutte le discipline: nelle opere letterarie, musicali, artistiche, nello studio della storia, delle conquiste scientifiche, nell’intervento umano sulla natura che modifica la geografia fisica e politica della terra, nelle espressioni del corpo e nelle regole dello sport , nel rigore di certe dimostrazioni matematiche, come nella relatività delle convenzioni euclidee. I valori sono nell’aria che i nostri allievi respirano, sono scritti nella pulizia, nell’ordine e nella cura riservata al luogo nel quale vivono (che idea si faranno mai di una cosa pubblica “sgarrupata” e fatiscente) e imparano l’impegno e la serietà dall’impegno e dalla serietà dei loro genitori e dei loro docenti, (ma che guerra ìmpari rispetto ai modelli imperanti di usa e getta/vincere facile/apparire prima di tutto/ denaro è potere/ il mondo è dei furbi!) e il valore dell’istruzione lo assorbono dal credito che la famiglia, che la società assegnano alla scuola. Che valore potranno dare mai alla istruzione e alla scuola se la famiglia e la società la mettono all’ultimo posto, se giornali e tivù razzolano a gara per scovare i peggiori esempi (sono solo quelli che fanno audience) se i vari ministri si disputano il privilegio di affossarla, denigrarla impoverirla e infamarla, sempre ,ben inteso, con il nobile intento, tutto verbale, di salvarla e redimerla dalla sua miserevole condizione ?.

Ci consoli almeno il pensiero che in ogni caso non mancherà mai un bel crocifisso sulla fossa della cara estinta.


La pagina
- Educazione&Scuola©