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Gli stranieri e la scuola italiana

di STEFANO STEFANEL

La presenza di alunni stranieri in Italia sta aumentando quotidianamente senza che questo riesca a modificare in modo sostanziale l’approccio complessivo della scuola italiana nei confronti della provenienza culturale ed educativa di un alunno. Molto ampia è la casistica e proprio per questo è del tutto inutile elencare le varie tipologie di straniero che possono frequentare le nostre scuole. Si può solo notare come la semplice distinzione tra comunitario ed extracomunitario, ormai di uso comune nella nostra società, non sia ancora stata introdotta nel gergo scolastico: se, infatti, linguisticamente un comunitario e un extracomunitario possono avere le stesse difficoltà, le coordinate culturali di riferimento tra le due categorie sono molto diverse. Qualsiasi elencazione dimenticherebbe, però, sicuramente qualche tipologia, con cui ora le scuole hanno a che fare. Credo sia invece utile analizzare la questione degli stranieri delle scuole evidenziando due punti della questione:

  • lo straniero e l’amministrazione;

  • lo straniero e la didattica.

La C.M. n° 28/2007 sugli esami conclusivi del primo ciclo, da questo punto di vista, è stata un eccellente esempio di come si possa essere al tempo stesso prescrittivi e confusi. Da un lato si invita a “tutelare” lo straniero, dall’altro gli si impongono esami scritti uguali a quelli dei suoi compagni, anche se la “tutela” permette proprio di evidenziare le difficoltà linguistiche dello straniero in funzione dell’utilizzo veicolare della lingua italiana. La questione della seconda lingua scritta è stata ancora più sintomatica, con scuole che hanno introdotto quella prova salvo poi accorgersi che alcuni alunni (bocciati o stranieri o provenienti da altre scuola) quella seconda lingua non l’avevano studiata mai. Una scuola che vuole essere seria e tendere verso il “successo formativo” di tutti i suoi alunni dovrebbe avere una maggior cura per l’apprendimento delle lingue straniere. Se un alunno (italiano) per due anni ha frequentato una scuola in cui il bilinguismo era inglese/tedesco e al terzo anno si trasferisce in una scuola dove il bilinguismo è inglese/francese cosa si fa? Gli si fa perdere il francese e si attiva un corso speciale per lui di tedesco? Gli si fa frequentare la terza in tedesco e se non capisce niente pazienza? Lo si esonera dalla seconda lingua? E poi all’esame come si fa? E le competenze acquisite? Se questo ragionamento lo si estende agli alunni stranieri e alle loro madrelingue non utilizzate e non “riconfigurabili” ecco che allora dovrebbe apparire nella sua chiarezza la distanza tra ciò che la scuola è oggi e ciò che dovrebbe essere.

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Lo straniero e l’amministrazione. Pare che per le scuole il problema dello straniero dal punto di vista amministrativo sia secondario. Le Linee guida per l’ accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri emanate dal ministero il 1° marzo 2006 giustamente non distinguono i minori in rapporto alla eventuale clandestinità, in quanto questo è un problema che non riguarda la scuola, ma semmai le forze di polizia o le amministrazioni locali. Molto più preoccupato è il Ministero per quello che riguarda l’obbligo scolastico e l’integrazione:

  • Gli alunni privi di documentazione anagrafica o in posizione di irregolarità, vengono iscritti con riserva in attesa della regolarizzazione. L'iscrizione con riserva non pregiudica il conseguimento dei titoli conclusivi dei corsi di studio delle scuole di ogni ordine e grado.(art. 45 del D.P.R. n. 394/99).“

  • L’iscrizione scolastica con riserva non costituisce un requisito per la regolarizzazione della presenza sul territorio italiano, né per il minore, né per i genitori.”

  • In mancanza dei documenti, la scuola iscrive comunque il minore straniero, poiché la posizione di irregolarità non influisce sull’esercizio di un diritto-dovere riconosciuto. Il contenuto delle norme citate nel precedente paragrafo esclude che vi sia un obbligo da parte degli operatori scolastici di denunciare la condizione di soggiorno irregolare degli alunni che stanno frequentando la scuola e, quindi, esercitano un diritto riconosciuto dalla legge.”

Ci sono però molti altri problemi amministrativi che non vengono valutati nella loro peculiarità e che invece sono di fondamentale importanza per poter produrre interventi efficienti ed efficaci:

  • situazione scolastica dello straniero e rapporto tra la scuola frequentata e quella italiana: credo a pochi Dirigenti scolastici o Direttori dei servizi generali e amministrativi e a nessuna segreteria sia venuto in mente di desumere da Internet o da altre fonti la tipologia della scuola da cui proviene lo straniero, in modo da permettere un’analisi preliminare sul percorso dello studente straniero senza limitarsi a dedurlo da osservazioni fatte attraverso il buon senso, mediatori linguistici non sempre attendibili, lettura di pagelle o schede provenienti da Paesi lontani e spesso incomprensibili; penso sia necessario che le scuole comincino a studiare da quali sistemi scolastici provengono i loro studenti stranieri, così come dovrebbero iniziare a prestare ascolto alle varie declinazioni dell’autonomia scolastica italiana, visto che non è colpa degli studenti stranieri o italiani se nel mondo o in Italia non si insegna come nella scuola in cui sono capitati temporaneamente;

  • situazione familiare dello studente straniero: il concetto di famiglia italiana spesso non corrisponde a quello di altre popolazioni, per questo motivo è bene che la scuola conosca, nei limiti del possibile e di quanto permesso dal D.lgs 196/2003, la situazione familiare dell’alunno straniero, con chi vive, come vive, dove vive;

  • situazione linguistica dell’alunno straniero e della sua famiglia: nel sistema di governance proprio dell’autonomia scolastica le scuole devono fornire ai cittadini Livelli essenziali di prestazione e garantire loro la tutela di diritti inalienabili (sicurezza, salute, privacy, trasparenza, diritto all’apprendimento, ecc.), pertanto qualora le competenze linguistiche dello studente e della sua famiglia non siano adeguate alla penetrazione pur minima dell’idioma della burocrazia italiana è la scuola che deve mettere l’alunno straniero e la sua famiglia in grado di capire quali sono i suoi diritti, come la scuola li tutela, quali sono le prestazioni che la scuola fornisce. Senza una capacità linguistica adeguata tutto il rapporto tra la scuola e la famiglia straniere è basato sull’enigma e la vaghezza1;

  • oggettiva penetrazione delle comunicazioni: banalmente il Dirigente scolastico deve vigilare affinché le comunicazioni che vengono inviate dalla scuola alle famiglie abbiano un’oggettiva penetrazione; è impensabile inviare comunicazioni scritte in corsivo a famiglie che leggono ideogrammi, anche perché famiglie non in grado di comprendere la grafia corsiva difficilmente possono dedurre cosa è scritto su un diario in una scrittura manuale; anche la comunicazione burocratica deve essere redatta in modo comprensibile per il destinatario, pena una mancanza grave nell’erogazione di un servizio dovuto.

I lati amministrativi sono presenti nella vita scolastica di ogni alunno, ma assumono una valenza molto significativa nel caso di alunni con cittadinanza straniera. Se una delle caratteristiche fondamentali della pubblica amministrazione, riformata a partire dalla legge 241/90, è quella della trasparenza e se l’autonomia scolastica nasce in una cornice che vuole responsabilità e valutazione come basi fondative del sistema statale della governance il problema di come gli alunni stranieri e le loro famiglie vengono informati e “governati” è un problema non generico di servizi ai cittadini, di loro diritti, di soddisfazione dell’utente. Da queste situazioni una pubblica amministrazione seria e responsabile non può prescindere, perché le linee di civiltà di una società, anche sul versante amministrativo, non sono negoziabili. Prima infatti di poter esercitare un suo diritto un utente deve poter capire perfettamente che cosa un’amministrazione pubblica chiede e offre. Se questo “utente” è un minore straniero, tutto questo diventa particolarmente importante e delicato.

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Lo straniero e la didattica. Quando l’alunno straniero ha avuto un congruo inquadramento amministrativo, può allora partire la reale personalizzazione del suo percorso formativo e didattico. Segnalerei ancora un passaggio fondamentale del documento ministeriale:

“Uno degli obiettivi prioritari nell’integrazione degli alunni stranieri è quello di promuovere l’acquisizione di una buona competenza nell’italiano scritto e parlato, nelle forme ricettive e produttive, per assicurare uno dei principali fattori di successo scolastico e di inclusione sociale. Gli alunni stranieri, al momento del loro arrivo, si devono confrontare con due diverse strumentalità linguistiche:

  • la lingua italiana del contesto concreto, indispensabile per comunicare nella vita quotidiana (la lingua per comunicare)

  • la lingua italiana specifica, necessaria per comprendere ed esprimere concetti, sviluppare l’apprendimento delle diverse discipline e una riflessione sulla lingua stessa (la lingua dello studio).

“La lingua per comunicare può essere appresa in un arco di tempo che può oscillare da un mese a un anno, in relazione all’età, alla lingua d’origine, all’utilizzo in ambiente extrascolastico. Per apprendere la lingua dello studio, invece, possono essere necessari alcuni anni, considerato che si tratta di competenze specifiche. Lo studio della lingua italiana deve essere inserito nella quotidianità dell’apprendimento e della vita scolastica degli alunni stranieri, con attività di laboratorio linguistico e con percorsi e strumenti per l’insegnamento intensivo dell’italiano. L’apprendimento e lo sviluppo della lingua italiana come seconda lingua deve essere al centro dell’azione didattica. Occorre, quindi, che tutti gli insegnanti della classe, di qualsivoglia disciplina, siano coinvolti (…) Una volta superata questa fase, va prestata particolare attenzione all’apprendimento della lingua per lo studio perché rappresenta il principale ostacolo per l’apprendimento.”

Il documento ministeriale precisa con chiarezza qual è lo scenario entro cui l’alunno straniero deve essere inserito. La predominanza dell’apprendimento dell’italiano deve essere tangibile e consistente ed andare al di là dei contenuti degli apprendimenti disciplinari, la personalizzazione del percorso non può prescindere dalle reali esigenze e capacità dell’alunno. Tutto questo diventa complicato ed inattuabile se ci si lega ad un’idea di standard di alunno italiano medio a cui lo straniero difficilmente assomiglierà. Anche le Linee guida sottovalutano, però, alcuni ulteriori problemi di carattere linguistico e culturale:

  • spesso l’italiano per l’alunno straniero è una Lingua 3: molti africani o russofoni, infatti, parlano un inglese veicolare molto essenziale, ma comunque più vario del loro italiano;

  • spesso i riferimenti culturali e linguistici dell’italiano non sono percepibili e comprensibili dalla struttura linguistica di supporto dell’alunno straniero.

Quelli che ho segnalato sono due problemi enormi, che rischiano, se non vengono affrontati con competenza e tempestività, di rendere impraticabile il percorso scolastico dell’alunno straniero. Barbara Ischinger, direttore per l’Istruzione dell’Ocse, in Indicatori Ocse 2006 ha scritto: “la valutazione PISA rivela che l’ambiente sociale svolge, nel determinare le prestazioni di uno studente in paesi come la Germania, la Francia e l’Italia, un ruolo anche maggiore che negli Stati Uniti”.2 Questa frase è molto significativa per la scuola italiana dove la supponenza di troppi insegnanti fa ritenere che l’ancoraggio ad arcaici sistemi didattici sia democratico e universale, mentre è solo selettivo attraverso la dispersione. Una frase successiva potrebbe essere un monito per il sistema dell’insegnamento italiano, che ancora oggi stenta ad inquadrare il concetto di apprendimento nella sua reale dimensione: “A Hong Kong, comunque, le alte aspettative per gli studenti si accompagnano ad un ambiente didattico altamente incoraggiante, dove gli studenti riferiscono costantemente che gli insegnanti mostrano interesse all’apprendimento di ogni studente, danno un ulteriore aiuto quando gli studenti ne hanno bisogno e continuano a spiegare fino a quando tutti gli studenti abbiano capito. Invece, gli studenti di tutti i paesi economicamente importanti d’Europa, ed in modo particolare di Germania, Francia, Italia, Polonia e Paesi Bassi, hanno rivelato livelli significativamente più bassi di sostegno da parte degli insegnanti”3.

Non credo sia molto complicato traslare quanto scritto dalla Ischinger agli alunni stranieri, vista la loro subalternità rispetto alle capacità di supporto non generico dei docenti italiano e dei mezzi messi in campo in tal senso dalla scuola italiana. Non si tratta tanto di insegnare italiano come Lingua 2, ma capire in che lingua pensa l’alunno straniero, quali possibilità linguistiche hanno certe lingue madri nei confronti delle metafore o delle allegorie italiane, in che modo certi linguaggi possono trasferire informazioni su complesse astrazioni di tipo matematico o scientifico, in che modo certe competenze linguistiche o culturali possono essere certificate, sia che afferiscano a lingue con alto valore di spendibilità (spagnolo, cinese o russo), sia che afferiscano a lingue con una spendibilità limitata (ghanese, swahili, arabo, ecc.). E parlo di spendibilità odierna e generica in riferimento alla lingua italiana, non di spendibilità generale in riferimento alla globalizzazione, anche perché questa seconda spendibilità mi sembra troppo ampia e complessa per poter essere certificata dall’odierna scuola italiana. Esiste poi un altro gravissimo problema ed è quello degli alunni stranieri senza una madrelingua da intendersi come la intendiamo noi. Se provate a chiedere agli alunni stranieri che frequentano la Scuola secondaria in che lingua pensano vi troverete di fronte a grosse sorprese: alcuni alunni pensano in piu’ lingue, nessuna delle quali è da loro conosciuta perfettamente nel senso che noi diamo a questo termine nell’Occidente europeo. La mancata padronanza di una Lingua 1 nella sua completezza e complessità pone l’alunno straniero davanti a scogli spesso insormontabili per la comprensione anche di semplici astrazioni proprie della lingua italiana.4


1 Cito due casi relativi alla scuola di cui sono Dirigente. Il primo è quello di una bambina cinese che veniva regolarmente lasciata a scuola per due o tre ore dopo la fine delle lezioni perché ai genitori le maestre avevano spiegato che a scuola la bambina era sempre sorvegliata e non poteva scappare o farsi male, senza assicurarsi che i genitori cinesi avessero capito che tutto ciò si riferiva al solo orario scolastico e non alle necessità della famiglia. La cosa andò avanti per un certo periodo in quanto non fu semplice contattare la famiglie, interloquire con lei e correggere la comunicazione che ritenevano di aver ricevuto dalle maestre Il secondo caso è quello di un ragazzino cinese che alla fine dell’esame di quinta elementare (nell’ultimo anno di quell’esame) non accettò di alzarsi dal banco finché non gli portai il diploma che attestava a che aveva superato quell’esame.

2 Indicatori Ocase 2006, a cura di Branca Spadolini, Armando, Roma 2006. Il volume contiene le parti A (Risultati degli Istituti d’Istruzione e influenza dell’apprendimento) e D (L’ambiente scolastico e l’organizzazione delle scuole) del rapporto dell’Ocse Uno sguardo sull’educazione 2006, pag. 21.

3 Id, pagg. 23 e 24.

4 Aluisi Tosolini, Educazione interculturale, ovvero: una stella che danza, in www.pavonerisorse.it (26 febbraio 2006). Il testo di Tosolini è il più completo e sistematico commento alle Linee guida ministeriali.


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