|
|
Sui diritti
naturali dei bambini
di Margherita Marzario
Abstract: L’Autrice invita a guardare i bambini con i loro occhi
riscoprendone la natura e la naturalezza. Anche se la Convenzione Internazionale sui
Diritti dell’Infanzia del 1989 (cosiddetta Convenzione di New York) ha
rappresentato un grande traguardo, vista con gli occhi di un bambino è
mera tecnica, priva di umanizzazione, un testo in cui il bambino è visto
come un adulto con gli stessi diritti di un adulto, trattato con il
linguaggio degli adulti. Per questo l’ex-maestro Gianfranco Zavalloni ha
formulato una sorta di decalogo di diritti naturali dei bambini con
diritti da loro avvertiti come bisogni e con parole a loro vicine:
diritto all’ozio; diritto a sporcarsi; diritto agli odori, diritto al
dialogo, diritto all’uso delle mani; diritto a un “buon inizio”; diritto
alla strada; diritto al selvaggio; diritto al silenzio; diritto alle
sfumature. La prima proposizione, “il diritto all’ozio, a
vivere momenti di tempo non programmati dagli adulti” va letta con
l’ultima “il diritto alle sfumature, a vedere il sorgere del sole e il
suo tramonto, ad ammirare, nella notte, la luna e le stelle”. In tal
modo richiamano l’art. 31 della Convenzione di New York di cui
costituiscono il fondamento perché il bambino, prima di partecipare
liberamente e pienamente alla vita culturale ed artistica, deve
“prendere parte, capire” (dal significato etimologico di partecipare) la
vita in generale. L’ozio filosoficamente significa respiro, quiete,
riflessione, interiorità, qualità necessarie per il tanto decantato
sviluppo pieno e armonico della personalità del bambino.
“Il diritto al dialogo, ad ascoltare e poter prendere la parola,
interloquire e dialogare” col “diritto al silenzio, ad ascoltare il
soffio del vento, il canto degli uccelli, il gorgogliare dell’acqua”
rappresentano la sublimazione dell’art. 12 della Convenzione del 1989
perché il bambino prima di divenire “capace di formarsi una propria
opinione”, “esprimerla liberamente e in qualsiasi materia” e di
raggiungere un “grado di maturità” deve saper parlare (i termini
“bambino” e “infanzia” fanno riferimento allo stato di chi non sa
parlare). Oggi si parla tanto di comunicazione ma si trascura spesso che
la prima condizione è saper parlare o avere un codice comune. Inoltre il
bambino ha diritto ad essere ascoltato non solo in procedimenti con
valore giuridico ma in ogni momento. Il dialogo comporta comprensione,
relazione e il silenzio comporta accettazione, attesa, rispetto, cura,
tutti elementi dell’educazione che, tra deleghe e rese, si fa sempre più
artefatta e rarefatta conforme alla liquidità della società nonostante
il gran parlare. L’educazione è un processo naturale quotidiano
attraverso il quale si diventa insieme ciò che, o meglio, chi si è. Le
locuzioni “prendere la parola” (che è diverso dal semplice parlare),
“interloquire”, “dialogare” non hanno solo un valore cognitivo,
informativo, ma indicano interazione, comunicazione, considerazione
dell’altro, coinvolgimento interiore, catarsi, tutto quello che è
chiamato “intelligenza emotiva”, quindi in questo esprimono educazione
anche alla gestione dei conflitti[1]
in un’epoca di esacerbata conflittualità. Interessante “il diritto alla strada, a giocare
in piazza liberamente, a camminare per le strade”, che rappresenta un
ritorno al passato quando la strada non era semplicemente una via di
circolazione o, peggio, un pericolo, ma un ambiente di vita, di
socializzazione, di “sviluppo della cultura” (art. 9 comma 1
Costituzione). La strada non deve essere per il bambino solo oggetto di
educazione stradale ma tornare ad essere elemento del paesaggio storico
e artistico (art. 9 comma 2 Costituzione), quindi ambiente fruibile,
tassello della comunità educante. L’educazione, la vita stessa è una
strada da percorrere liberamente insieme (uno dei significati di
coeducazione). L’aggettivo “naturale” è usato nella nostra
legislazione per definire la famiglia quale “società naturale” nell’art.
29 della nostra Costituzione e nell’art. 147 cod. civ. “Doveri verso i
figli” per definire l’“inclinazione naturale” dei figli. La Convenzione
di New York è andata oltre definendo nella Premessa la famiglia “quale
ambiente naturale per la crescita e il benessere”. La famiglia, quindi,
non è solo società, un gruppo di persone e una rete di relazioni, ma un
ambiente, complesso delle condizioni esterne in cui si sviluppa, vive e
opera un essere umano. Rinviando alla Carta di Ottawa per la promozione
della salute del 1986 in cui si parla di “ambiente naturale” (mentre nel
documento europeo “Salute 21 – Salute per tutti nel 21° secolo” del
marzo 1999 si parla restrittivamente di “ambiente fisico”) quale
condizione primaria per la salute, si evince la rilevanza e
l’insostituibilità della famiglia quale “ambiente naturale” per la
salute della persona e dell’intera comunità. Nell’art. 3 lett. d della
legge 28 agosto 1997 n. 285 “Disposizioni per la promozione di diritti e
di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza” si legge l’espressione
“fruizione dell’ambiente urbano e naturale”. Da tutto questo si può
affermare che ogni bambino ha diritto ad una famiglia perché per natura
ogni essere vivente fa parte di una famiglia e vi rimane fino al
raggiungimento della propria autonomia e ogni bambino ha diritto ad
essere quello verso cui si sente spinto. E noi adulti abbiamo il dovere
di ridare ad ogni bambino la natura (in ogni sua accezione, tra cui
nascita, forza che genera) e la naturalezza.
[1]
Maria Martello, “Sanare i
conflitti. Le buone pratiche per diventare adulti”, ed. Guerini,
Milano, 2010.
|
La pagina
- Educazione&Scuola©