La recente pesante sconfitta della Casa delle Libertà alle elezioni
regionali sta cementando nell’opinione pubblica nazionale
l’impressione che le prossime elezioni politiche segneranno il
passaggio del governo del Paese nelle mani dell’Unione. Questa
situazione politica può portare ulteriore instabilità nella scuola
italiana, già martoriata da anni di riforme tentate e non riuscite.
Uno dei motivi che portarono alla netta vittoria della Casa delle
Libertà nel 2001 fu la promessa elettorale che sarebbe stata abrogata
immediatamente la legge 30 del 2000, nota come “Riordino dei cicli”.
Penso che nessuno abbia dimenticato il clima che regnava nella scuola
quando c’era al governo il centrosinistra e l’accoglienza che la
piazza riservò a Berlinguer e a De Mauro quando perseguirono l’intento
riformatore. Il centrodestra colse quel clima, ma, una volta vinte le
elezioni, scambiò l’ostilità per la Riforma Berlinguer-De Mauro con un
consenso per una possibile Riforma Moratti. Si è visto che non è
andata così e che il dissenso per la Riforma Moratti è stato ancora
maggiore di quello per la Riforma Berlinguer. Si registra
l’impressione, oggi, nelle scuole che una delle spinte a votare per
l’Unione venga dalla certezza che una volta al governo il
centrosinistra cancellerà la Riforma Moratti.
C’è un altro dato,
meno noto e dibattuto, che forse si dovrebbe tenere presente. Nel 2000
il Consiglio d’Europa indicò i sei obiettivi che l’Unione Europea
avrebbe dovuto raggiungere nel settore dell’istruzione e della
formazione entro il 2010. In Italia di questi obiettivi si comincia a
discutere ora, quando sono passati 5 dei 10 anni utili per
raggiungerli: è arduo ritenere che in 5 anni noi riusciremo a
raggiungere obiettivi tarati per essere raggiunti in 10 anni, ma
sperare non nuoce. Ricordo i sei obiettivi che gli Stati membri devono
raggiungere entro il 2010: l’aumento degli investimenti complessivi
per l’istruzione; la diminuzione dell’abbandono scolastico; l’aumento
dei laureati in matematica, scienze e tecnologia; l’apprendimento
lungo tutto l’arco della vita; l’acquisizione del diploma di
scuola secondaria da parte del maggior numero possibile di persone
anche in età non scolare; il miglioramento delle competenze
fondamentali in literacy rilevate con le indagini OCSE-PISA.
L’Unione Europea centra la sua attenzione sulla crescita
dell’istruzione superiore, possibile però solo se la scuola primaria
ha posto le basi per competenze durature.
Dal 2000 al 2010
l’Italia rischia di vivere tre tentativi di riforma della scuola:
quello di Berlinguer-De Mauro, quello della Moratti, quello del futuro
Ministro dell’Istruzione. L’abrogazione della legge 53 del 2003,
infatti, sarebbe nient’altro che una nuova riforma, che si inserirebbe
su quella introdotta da soli due anni nella scuola primaria e
secondaria di 1° grado e da nemmeno un anno nella scuola superiore. Io
credo che questo non solo allontanerebbe l’Italia dal raggiungimento
degli obiettivi fissati a Lisbona, ma introdurrebbe nuovi elementi di
conflittualità e instabilità, tali da far regredire pericolosamente
tutto il sistema dell’istruzione e della formazione professionale
italiano, col solo risultato di rendere il nostro Paese e i nostri
giovani meno competitivi.
Mantenere la
Riforma Moratti così com’è però non mi pare possibile, visto anche il
modo in cui l’Unione l’ha osteggiata. Né mi pare sensato che la Casa
delle Libertà si ostini a portare avanti una Riforma contro il Paese.
L’unica soluzione che intravedo è quella di riformare la Moratti
attraverso un accordo molto ampio. Quando dico molto ampio mi
riferisco all’80% del Parlamento: finché questo accordo non si
raggiunge si continua a trattare. La legge riformata in questo modo
dovrebbe prevedere la clausola che una suo ulteriore cambiamento
richiederebbe sempre l’80% del Parlamento a favore. Solo in questo
modo si darebbe stabilità al Sistema Scuola per almeno 10 anni e si
potrebbe tornare a parlare di apprendimento, insegnamento,
organizzazione, organici, dirigenza, ecc. al di fuori degli
schieramenti politici e dentro l’ambito professionale e pedagogico.
Credo che la scuola abbia bisogno di questa stabilità al di là dei
suoi meriti: il suo alto tasso di conservatorismo e di immobilismo non
si scalfisce imponendo riforme dall’alto, ma avviando un processo
formativo completo che parta dalla conoscenza dagli indirizzi europei
e arrivi fino all’analisi puntuale dei risultati del Progetti
OCSE-PISA e delle prove INVALSI da poco concluse. Inoltre vanno
rivisti i contratti nazionali del personale (docente e ata) in modo
che siano più rispondenti alle reali esigenze della scuola e della
società italiana. Tutto questo si può fare raggiungendo quell’accordo
di cui dicevo sopra, che trasmetta ai lavoratori della scuola l’idea
che finalmente si è arrivati ad un punto di stabilità non discutibile.
Serve un ampio accordo per traghettare la scuola verso esiti migliori,
condivisi, controllabili, riformabili.
Si tratta di
stabilire alcuni punti chiave da cui non scostarsi (autonomia,
revisione dello stato giuridico dei docenti, stabilizzazione della
dirigenza, determinazione degli standard e degli obiettivi specifici
di apprendimento, riforma degli organi collegiali, ecc.) e poi
iniziare un processo di riforma dal basso che produca
contemporaneamente più autonomia e meno leggi, più ricerca didattica e
meno ripetitività, più valutazione e meno prepotenza. Non è una sfida
difficile perché del conflitto a scuola non ne può più nessuno:
genitori, alunni, docenti, personale ausiliario, uffici scolastici
regionali, centri servizi amministrativi, sindacati, associazioni
professionali, ecc. vogliono tornare in un alveo di professionalità
estranea alle diverse visioni politiche. E credo che anche le forze
politiche e parlamentari non vedrebbero di cattivo occhio un largo
accordo sul destino dei nostri figli e del nostro futuro.