Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Riflessioni, dubbi, domande sul valutare alle “elementari”…

di Claudia Fanti

Le alunne e gli alunni, dalla scuola dell’infanzia in avanti, dovranno essere seguiti (o inseguiti?) da un cospicuo portfolio delle competenze, che dovrebbe inglobare, oltre alla consueta  scheda di valutazione, con crediti e debiti formativi, una parte contenente materiale scolastico  significativo prodotto, osservazioni degli insegnanti sui loro stili di apprendimento, notazioni su lavori individuali e produzioni di rilievo, conclusioni orientative che scaturirebbero da indagini per mezzo di test sulle attitudini compilati anche dai bambini, caratteristiche degli alunni, emerse nei colloqui tra insegnanti e genitori o da questionari predisposti per le famiglie. Nella pratica il credo valutativo della Riforma incomberebbe sugli insegnanti con carico di adempimenti burocratici che potrebbero seriamente compromettere lo spazio e il tempo della didattica e della ricerca metodologica.  Per le bambine e i bambini potrebbe esserci il rischio di una valutazione continua, invadente, senza possibilità di scampo. Per loro la scuola potrebbe diventare la fabbrica delle certificazioni. Per gli alunni più deboli sia nel contesto familiare, sia in quello sociale, sia in campo scolastico, la valutazione potrebbe diventare un meccanismo che tutto registra, anche il minimo respiro di libertà.

1)   Mi chiedo come si possa valutare, in tal modo e tanto presto, il presente vivente della soggettività che non credo sia il presente, bensì la stessa “soggettività bambina” in cui tutto ha luogo e che è attraversata dall’altro/a che insegna e dagli altri che abitano e hanno abitato il suo corpo e la sua memoria.

2)   Credo che il sociale sia il senso della soggettività in generale… ancor più di “quella bambina”, che é ed è già stata in contatto con gli altri, le altre, che contribuiscono e hanno contribuito al suo essere nel mondo scolastico in un certo modo, ma ancora è soggettività nascente e indefinibile. Perciò “selezionare” una documentazione personalizzata di percorso e non un’altra potrebbe presentare il rischio di imporre la visione dell’adulto docente del ciò che vale/non vale, attestando,  della produzione di una bambina o di un bambino, un aspetto a scapito di un altro “non percepito” o “non ancora percepibile” o “non stimolato a divenire percepibile”.

3)   Ritengo che il nostro lavoro di insegnanti elementari, anche quello della valutazione, dovrebbe muoversi nella dimensione dell’attesa mai soddisfatta che la bambina e il bambino si raccontino e raccontino di sé anche nel momento dell’apprendimento e nella costruzione dei rapporti e delle relazioni nelle pratiche quotidiane di apprendimento cooperativo dentro la classe.

4)   Nella attuale società, in cui non siamo più “soli”, soprattutto a scuola, grazie, e non a causa, dell’inserimento degli stranieri, diviene sempre più necessario non dimenticare cosa significa stimolare e creare apprendimenti: forse non significa soltanto tollerare, accogliere, dialogare, bensì essere nella posizione di chi “vuole” l’altro/a, di chi prende dentro di sé l’altro/a per incontrarlo/a senza precocemente orientarlo/a e valutarlo/a per orientarlo/a. Se vogliamo che tutti abbiano pari opportunità, come ci insegna la Costituzione, la nostra scuola elementare dovrà diventare ancora di più di quanto già non lo sia la scuola che ascolta e che attende i ritmi di ognuno nel rispetto delle storie, delle memorie delle soggettività.

5)   Non dovremmo mai dimenticare, prima di riflettere sulla valutazione, come sono i/le nostre/i bambine/i quando entrano in prima elementare, quali sono le loro prime richieste, cosa considerano prioritario.

     E’ veramente l’apprendere come lo intendono alcuni fra noi adulti (obiettivi,   unità di apprendimento, verifiche…) che li interessa e li fa crescere?

6)   Va condivisa da noi docenti delle elementari e dai bambini nel rapporto insegnamento/apprendimento la preoccupazione per i risultati      dell’istituzione- propaggine del ministero?

7)   E’ di un catalogo di prodotti, di quelli meglio confezionati, che hanno bisogno le bambine e i bambini, le famiglie e noi per migliorare la qualità della scuola elementare in situazione di insegnamento/apprendimento, è del “nostro” portfolio che avranno bisogno i docenti degli altri ordini di scuola per “conoscere” le/gli alunne/i che “consegneremo” loro?

8)   La valutazione sommativa e quella formativa come dovrebbero coniugarsi, e a che cosa “servirebbe” allora la formativa se permanesse la sommativa?

9)   Non sarebbe meglio un uso efficace dell’osservazione piuttosto che un uso “efficiente” per la produzione, per la fabbrica dei prodotti individuali? Ci sono troppe variabili in gioco alle elementari che si frappongono tra noi e le storie dei nostri alunni per poter orientare e misurare, variabili che condizionano il binomio insegnamento/apprendimento. Variabili che sono il “tutto”, la globalità del bambino fatto di corpo, mani, cinque sensi, relazioni, emozioni, vissuti quotidiani e quotidianamente in costruzione.

10)         E poi, a quale essere umano si pensa e per quale società? Quale filosofia di fondo si cela dietro la preoccupazione della personalizzazione e della scoperta delle “attitudini” individuali per “fotografarle” tanto presto in un portfolio?

11)         Individualizzazione è una cosa che facciamo ogni santo giorno per sostenere, sviluppare, stimolare…personalizzazione invece assomiglia a privatizzazione del rapporto educativo e del rapporto alunno/docente/famiglia in una commistione di ruoli che potrebbe portare alla scuola supermarket, alla mercificazione dei contenuti disciplinari.

La scuola del “ti offro questo in base alle tue attitudini” potrebbe poi portare alla riduzione dello sforzo per apprendere ciò che “non piace” immediatamente annullando anche la capacità creativa di trovare risoluzioni per problemi e scoperte “difficili” in un falso concetto di libertà.

Personalizzare e potenziare soprattutto ciò che “piace” potrebbe voler dire mirare al ribasso, togliere lo stimolo ad affrontare ciò che si ritiene poco appetibile, difficile, altro da sé.

Comunque, a parte ogni considerazione sulla burocratizzazione, il pericolo maggiore è quello di creare scuole- fabbriche di carta per la valutazione, fabbriche di documentazione anche superficiale e farraginosa, scuole che forse non avrebbero più il tempo di essere propositive in termini di innovazione valutativa.

Inoltre, valutare un bambino o una bambina dovrebbe essere un’attività fatta di attenta osservazione, ascolto dei suoi processi per giungere a soluzioni più o meno adeguate, iniezioni costanti di autostima dentro un sistema di relazioni interpersonali che si intrecciano negli apprendimenti di coppia o di gruppo; valutare dovrebbe significare nostro coinvolgimento di docenti nelle relazioni per scoprire quali metodologie adottare per far fronte al disagio o alle incomprensioni che a volte nascono proprio da vuoti affettivi formatisi in quella stessa famiglia che dovrebbe compilare il portfolio collaborando con i docenti. Bisognerebbe stare molto attenti al modo in cui coinvolgere la famiglia nel momento valutativo. L’insegnante, se non propositivo e fortemente consapevole del proprio ruolo, infatti, potrebbe trasformarsi in una specie di maestro privato, di quelli delle case aristocratiche di un tempo, costretto in qualche modo ad accontentare l’utenza e a modellare il proprio insegnamento alle richieste.

Se mai, invece, si dovrebbero incrementare i momenti di dialogo istituzionale con i genitori (per trovare soluzioni, comunicare e confrontare stili educativi diversi…) sacrificando alcuni tempi dedicati oggi per incontri di altro tipo.

Per concludere, temo che l’ansia continua della documentazione rischierà di far svaporare le occasioni più impreviste che si creano nel rapporto insegnamento/apprendimento, iniettando in esso il timore di non far rientrare subito nel portfolio le scoperte e le belle cose che si realizzano!

23 maggio 2004


La pagina
- Educazione&Scuola©