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Valutare nel terzo millennio
Prendiamo un bimbo/a all’inizio della sua carriera scolastica negli anni duemila. Come valutare il suo operato? Il/la docente responsabile prima riflette sull’ambiente in cui vive l’alunno/a, sulla società che lo/la circonda, sulla scuola in cui si opera, sugli strumenti che si hanno a disposizione per insegnare efficacemente. Poi si domanda se lui/lei stesso è in grado di insegnare nella situazione e con le persone sempre diverse che si trova dinanzi, si aggiorna sulle modalità didattiche e metodologiche che ritiene possano portare a un innalzamento dei risultati di tutti/e, non di pochi. Sa che le persone sono costantemente in “movimento” interiore nel luogo del “dialogo” che il bimbo/a e se stesso/a sono in grado di costruire con gli altri, tra pari e con gli adulti di riferimento. Si accorge di ogni “domanda” in ogni attimo della giornata di lezione, si accorge dei gesti, degli sguardi, delle battute d’arresto, degli errori e delle riprese. Si chiede quali strade abbiano portato all’errore e quali ai successi. Fa socializzare ai bimbi, per mezzo della conversazione pedagogica, le strade più economiche che hanno portato a risultati positivi e quelle che hanno condotto all’errore. Soprattutto l’insegnante evita accuratamente di scrivere su quaderni, fogli, disegni…giudizi come “bravo”, “bravissimo”, ecc. I bambini e le bambine, se guidati con costanza a un apprendimento per l’apprendimento, non si pongono neanche più il problema di quanto siano stati bravi, ma vogliono semplicemente capire dalla conversazione il perché di un risultato che non corrisponde alle loro e alle nostre attese. Desiderano correggersi e capire. Quando comprendono, si illuminano di una luce rara, duratura, si sentono forti e pronti a proseguire. L’insegnante che vuole lasciare il segno più efficace spende tutto il tempo di cui ha necessità la classe per accettare le discussioni che hanno valore pedagogico e educativo, non si allarma mai se “il programma non va avanti”. L’unico programma che conta è quello che crea un clima proficuo per la circolazione degli apprendimenti e dello scambio nella ricerca. La ricaduta sul programma “ministeriale” sarà poi eccezionale. L’insegnante che vuole apprendimenti interiorizzati, fa ricerca lui/lei, lascia fare ricerca ai bimbi, anche per prove ed errori. Si segna costantemente i progressi e le regressioni, si scrive su un taccuino le proprie riflessioni su ciò che lui/lei stesso crede siano i propri punti deboli e di forza, modifica le strategie di attacco alle difficoltà, non insiste sulle vie che lo hanno portato all’insuccesso nell’insegnamento, anche se ritiene di aver tentato il tutto per tutto. Non è mai così. Soffre parecchio, ma poi si riprende perché analizza le questioni da altri punti di vista, anche quelli degli alunni, delle alunne e delle loro famiglie. Ricorda in ogni istante che la valutazione è un atto dovuto di grande impatto, sia emotivo sia razionale e pragmatico, perciò non dà né voti, né giudizi sintetici perché sa che sono estremamente riduttivi del percorso che ha analizzato nei quadrimestri di vita e di scuola dei bimbi. Soprattutto di vita. Sa anche che apponendo voti o definizioni sintetiche scatterebbe l’unico meccanismo possibile nelle situazioni che prevedono differenze di giudizio, e cioè l’attenzione delle persona imparante sul “voto” e non sull’apprendere in sé e “per sé” E’ “comprensivo/a” con gli alunni e le alunne perché ha imparato a analizzare prima se stesso/a e a capire che gli errori di valutazione li compie soprattutto su di sé quando si mortifica e si dà del cretino in tutti quei momenti in cui non ce la fa a insegnare come vorrebbe, invece di lavorare sul proprio vissuto di insegnante e di crescita culturale in campo educativo. Sa per esperienza di studio che la valutazione è un campo su cui si sono scritti e tentati mille modi più o meno esplorati e ricercati, ma che nessuno di essi ha portato all’annullamento di comportamenti asociali o di avversione allo studio, perciò si predispone a un’etica del valutare “comprensiva” dell’umanità e delle competenze di base e in evoluzione degli alunni e delle alunne. Il valutatore insegnante può tentare di cambiare strada anche rispetto alle scelte di valutazione del legislatore, se queste non prevedono attenzione alle persone imparanti. Se ne trova una o più che rendono la classe e gli alunni e le alunne forti, pronti ad autocorreggersi, sereni nell’atto di apprendere, felici di condividere gioie e dolori nell’atto della conoscenza è un insegnante insegnante. Se poi le famiglie lo/la seguono, cambiano esse stesse modalità nel sistema dei premi e delle punizioni e dei giudizi anche in casa, se si aprono ad abbracciare i figli e le figlie per come sono, molto più facilmente ne avranno un ritorno positivo a 360 gradi. La legge sull’autonomia ci dà l’opportunità di fare innovazione, leggiamola attentamente. Proponiamo nuove strade, ricerchiamone altre che prevedano il successo anche degli ultimi e degli stanchi di apprendere. L’apprendimento è una gioia per tutti/e soprattutto se non passa necessariamente sotto le forche caudine delle prove continue e individuali, dei voti, dei giudizi sintetici. Diviene una gioia per i timidi, per gli introversi, per gli ipercinetici, per i burloni, per i cosiddetti bulli (che chissà perché lo sono diventati!!!), per gli ansiosi, per i lenti e per i “missili” che possono immettere un po’ di carburante nei motori altrui e al contempo ricevere qualche stoppata di riflessione e revisione al proprio. Nelle situazioni di degrado totale, gli alunni e le alunne possono farsi comunità che dalla e nella sofferenza “prendono” la vita e la “danno” con i/le loro maestri/e che li spronano ad acquisire certificazioni utili per l’esistenza! (E qui si apre il discorso delle sovvenzioni economiche statali alle esperienze più qualificate che stanno venendo a mancare sempre più, altro che voti!!!). Ci sono tante sperimentazioni in atto, anche se ancora poche e sporadiche, diamo a queste tutta la forza di cui hanno bisogno. Proviamo insieme a verificare che un altro modo e soprattutto un altro mondo è possibile. Facciamolo vedere. Mostriamolo in tutta la sua potenza unificatrice. Facciamo amare la scuola attraverso la condivisione del momento dialogico. Che cosa ci costa? Credo che più che altro ne avremmo benefici sia a livello locale di singolo istituto, sia nazionale nell’affrontare la dispersione. Un 4 o un 5 sugli elaborati e sui documenti ufficiali distruggono anche il migliore degli insegnamenti, ovviamente non sempre nel caso di situazioni familiari protette e consapevoli, bensì proprio per quelle a rischio, per i ragazzi e le ragazze più fragili. Neppure le scuole superiori dovrebbero tirarsi indietro dallo sperimentare e applicare nuove terapie valutative: esse cambiano il mondo! Altro che i voti!
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