|
|
SCUOLA E MOBBINGCORAGGIOSI AVANZAMENTI DI DOTTRINA E GIURISPRUDENZAdi Eliana Flores
PARTE PRIMA - PREMESSA: ll termine mobbing (assalire con violenza) è stato osservato, circoscritto ed analizzato inizialmente nell’ambito dei comportamenti tra gli animali di piccola taglia che si accaniscono in gruppo verso un animale di taglia maggiore. Tra gli umani è un insieme di condotte vessatorie, aggressive, discriminatorie, delegittimanti e terrorizzanti a danno dei mobbizzati (vittime) da parte dei mobbers (carnefici), quasi sempre sostenuti indirettamente dai c.d. “sighted mobbers”, di solito colleghi di lavoro del mobbizzato, che con il loro comportamento solo in apparenza neutrale, passivo ed asettico non fanno altro che accrescere il fenomeno ed agevolare lo scopo ultimo del “disegno criminoso”, consistente nell’emarginazione e nell’espulsione del lavoratore dal luogo di lavoro. La tipizzazione ha quindi la sua fonte nell’ambito delle scienze psicologiche; da qualche anno lo studio si è esteso alle scienze giuridiche, grazie all’opera di ricercatori del diritto di avanguardia. Tale “degenerato umanesimo” si manifesta non solo nei luoghi di lavoro, ma anche in · ambienti militari nei confronti delle nuove reclute, · ambienti scolastici, con il fenomeno del “bullismo”, non escludendo comportamenti analoghi degli alunni nei confronti dell’insegnante, impedendo di svolgere le funzioni; (c.d. “mobbing ascendente”, che è una fattispecie particolare di mobbing il quale, di solito, invece, è discendente); · in ambito associativo, dove il fenomeno si registra a prescindere dall’esistenza di rapporti di lavoro; · in ambito familiare (v. sent. 21 febbraio 2000, trib. Torino), e persino nei · condomini. Ogni occasione di lavoro è “contagiosa” in tal senso, anche quelle nel mondo dello spettacolo: vedi il caso della cantante Mia Martini. Una serie di “misteri” vanno pian piano svelandosi proprio perché il fenomeno è stato oggetto di studio, riflessioni, comparazioni, quindi è stato “isolato” (delineato nelle cause, meccanismi ed effetti), ed è divenuto “riconoscibile”. E’ un processo di “raffinamento” di determinate sensibilità non solo aziendali, ma familiari, scolastiche, associative in genere. E’ evidente che fonte del mobbing non è tanto il luogo di lavoro, quanto la distorsione di determinate dinamiche relazionali che scatenano una serie di comportamenti ed effetti negativi. E paradossalmente proprio nelle scuole, luogo di formazione per antonomasia che il “bullismo dei piccoli e dei grandi” impera; è argomento sempre più ricorrente nei quotidiani ed altra stampa periodica. Oltre all’alterazione delle dinamiche relazionali purtroppo oggi si aggiunge altra fonte di mobbing con invasività crescente; scrive l’avv. Catalisano su Altalex: “Non a caso i luoghi ove maggiormente si utilizza il mobbing sono aziende o rami dotati di piena autonomia organizzativa ed economica con gestione diretta delle risorse e programmi di incentivizzazioni “discrezionali” da elargire ai dipendenti”: il mobbing sta cambiando! Soprattutto nella Pubblica Amministrazione, in quei comparti ove l’avanzamento economico e di carriera legato alla produttività è stato inizialmente accolto con favore, credendo ingenuamente che i lavoratori migliori finalmente potessero avere un riconoscimento rispetto ad altri, A.S.L. e le Istituzioni Scolastiche incluse, si è registrato che, prosegue l’avv. Catalisano: “Il potere, estremamente decentrato e troppo discrezionale, ad esempio per tutti, e non a caso, essendo la casistica maggiore, quello demandato ai dipartimenti aziendali o interaziendali delle A.S.L., sta comportando che la tattica del mobbing stia divenendo la strategia per la copertura di situazioni immorali o di abusivi interessi personali, economici o di esercizio del potere . Quando si compiono comportamenti illegali o ai limiti della legalità, che altri intuiscono, il mobbing diviene una forma di autodifesa atta a costringere al silenzio o all’ignavia coloro che potrebbero impedirla. Si creano in tal modo connivenze che tendono ad escludere e, meglio ancora eliminare, i soggetti che non vogliono far parte del “giro”. Il problema è di ordine culturale. Sottolinea l’avv. Titone che “Esistono vere e proprie strategie aziendali messe in atto a questo scopo, ed è molto preoccupante. E’ importante sottolineare che il fenomeno non colpisce solo i più deboli come gli anziani, i disabili, i divers,i ma soprattutto le persone più oneste, più creative e più attive”, negando paradossalmente principi fondanti di convivenza civile dell’attuale epoca storica che ha fatto dell’integrazione, dell’accoglienza delle diversità culturali presenti nella collettività e dell’esercizio della cittadinanza attiva la sua bandiera. E le modalità di esercizio delle azioni di mobbing? Da un’indagine UILCA Piemonte in collaborazione con l’istituto di ricerca ARES è risultato che vengono messe in atto utilizzando cinque diverse strategie: · negare alla vittima la possibilità di esprimere il proprio punto di vista, pertanto addirittura la negazione del diritto di manifestazione del pensiero, (21% dei casi); · isolarla (46%); · calunniarla (46%); · sminuirne la professionalità con mansioni umilianti (38%); · minarne la salute psico-fisica anche attraverso reiterati procedimenti disciplinari (7%). Di qui la rilevanza della ricerca della esatta qualificazione giuridica. E questo è il primo ed anche più rilevante problema, pena lo svilimento del concetto e la sua sostanziale inutilizzazione giuridica. PARTE SECONDA - DEFINIZIONI:
Ormai ci siamo. Di mobbing nelle scuole se ne parla sempre più, pur in assenza di disposizioni legislative specifiche che in maniera incontrovertibile ne statuiscano gli elementi costitutivi (quel che non poté il Legislatore lo fecero i mobbizzati ed i giudici!). La mancanza a tutt’oggi di una legge ordinaria è senz’altro causata dalla difficoltà di concordare una definizione che non lasci senza previsione le variegate condotte mobbizzanti, oltre che dalla plurioffensività delle stesse, le quali ledono ora un bene giuridico (professionalità, integrità fisica…), ora un altro (onore, dignità); il fenomeno “mobbing” è denso di complessità, ma già si può anticipare che, a prescindere da una normativa specifica di previsione e tutela, vi è abbondante normativa generale cui riferirsi, ma questo sarà oggetto della parte terza. Vedi in proposito, una per tutte, interessanti ed estese argomentazioni III sez.Tar Lazio, reperibile per esteso in: http://www.militari.org/scuole/varie/19092004/sentenza_mobbing.doc. Ogni schiera di diversità e di conflitti può esser vista come fonte culturale insostituibile nella costruttiva dialettica propria di ogni ambiente di lavoro, ma in modo particolare delle istituzioni scolastiche, che dovrebbero, per missione innata, schivare qualsiasi tendenza omologante o totalizzante, quindi discriminante e causa di danno. Ma quale può essere il confine tra l’esistenza di cellule transitorie di crisi, ed azioni o progetti dolosamente prevaricatori, che facciano assurgere ad un insieme di fatti una qualificazione giuridicamente rilevante di mobbing ed aprire la strada alla sindacabilità giurisdizionale o meglio, alla loro positivizzazione? La circolazione di informazioni di “casi scolastici” e pronunzie sul “bulling at work” dei docenti sempre più corposi, innestati sul substrato della ricerca psicologica, sociologica, neuropsichiatrica e di medicina del lavoro, hanno contribuito in modo determinante ad una presa di coscienza: si sta imparando a definirne il perimetro delle azioni ad esso ascrivibili ed a distinguerlo da sporadiche, occasionali, fisiologiche, non intenzionali vessazioni, sia perché il fenomeno mobbing sta assumendo proporzioni sempre più rilevanti, soprattutto dopo l’attribuzione della dirigenza scolastica ai vecchi presidi, ma anche perché il lavoratore-docente più del funzionario ministeriale ha competenze psicologiche, sociologiche, relazionali, che accresce nel quotidiano, quantitativamente e qualitativamente, proprio per la particolarità delle mansioni chiamato ad offrire: alla “diagnosi” di fattispecie mobbizzanti ci sta arrivando prima e meglio degli altri lavoratori! Insomma, è più agevole per un docente “trasportare in scala sui grandi”, analogicamente, le storie di bullismo respirate in classe con i propri studenti, fatte di prevaricazioni, disequilibri, prepotenze, intenti palesemente distruttivi, bugie, sabotaggi, squilibri comunicativi. . . facendo le dovute differenze! L’attribuzione della dirigenza scolastica rappresenta un punto di cesura nella storia della scuola italiana anche per l’analisi del mobbing, ed è emblematico come vi sia stato l’incremento di pronunzie giurisprudenziali in merito proprio negli ultimi cinque anni. E’ accaduto quanto già riscontrato anche in altri settori della pubblica amministrazione, come quello sanitario, in seguito al riassetto introdotto inizialmente con il d. lgs. N. 29\1993 e successive modifiche ed integrazioni, fino al d. lgs. N. 165\2001. La vecchia struttura rigida dal punto di vista organizzativo e la posizione mansionale sostanzialmente omogenea di tutti i docenti comportava un sistema di gestione delle risorse finanziarie ed umane che lasciava poco spazio a moduli e\o modelli di impianto “aziendalistico”, ed in tal senso era maggiormente garantista; il passaggio da un “format” all’altro del sistema-scuola ha comportato e comporta spesso, nella pratica, uno sviamento semantico di locuzioni quali “rapporto di fiducia”, “discrezionalità”, “flessibilità organizzativa”, “autonomia finanziaria”, etc…, entro cui si innesta con fecondità crescente qualsivoglia deterioramento dell’ambiente lavorativo. Ormai nelle scuole si registrano punte del 45% (vedi relazione al progetto di legge n. 0466 del Consigliere Silvia Ferretto Clementi – Regione Lombardia)! E’ anche la mancata condivisione di una “mission” aziendale della scuola curvata su tautologici, ingessati modelli autoritaristici che può spingere il docente a reagire verso un’ottica di gestione partecipata e diventare terreno fertile per attacchi e soprusi. Spesso assumono la qualifica di mobbizzati i sindacalisti maggiormente attivi! A questo punto
l’aggressore-dirigente cerca di far credere che la vittima-docente
(divenuta tale sol perché ha avuto capacità di contrapposizione
verso l’autorità, manifestando magari un pensiero diverso),
ha un cattivo carattere o addirittura è insana di mente, per cui la
convivenza è impossibile, omettendo riferimenti a quello che era
prima dei arbitrii o quello che è in altri contesti non sfavorevoli;
questa svalutazione spesso è “accompagnata” in modo
silente dal gruppo degli acquiescenti. L’operazione strategica che viene posta in essere è un transfert sul mobbizzato dell’ambiente scolastico ad alto deficit organizzativo e consistente degrado partecipativo; questo transfert viene spesso aggravato se la reazione della vittima che reagisce al mobber invita al confronto ed al dialogo piuttosto che al mantenimento dello status quo ed all’indifferenza. Ed allora il mobbing può divenire addirittura strumento di espulsione forzata (induzione alle dimissioni volontarie) da una posizione lavorativa caratterizzata ad elevata stabilità reale, che non è suscettibile di risoluzione ad nutum; insomma, due piccioni con una fava: estromissione del docente scomodo per far posto magari ad un affiliato dei mobbers! Vedi in proposito anche: http://www.orizzontescuola.it/modules.php?name=News&file=article&sid=7508 Il mobbing come “pratica”, strumento di gestione del personale, pertanto uso distorto di poteri e\o diritti della dirigenza, che pone in essere comportamenti commissivi ed omissivi di per sé leciti: quando la finalizzazione è conforme a quanto enunciato nelle disposizioni che gli attribuiscono questi diritti e poteri, nulla quaestio, ma se di fatto questi ultimi vengono utilizzati per finalità contrastanti, ci troviamo in situazione di pertinenza con il mobbing strategico. Esempio: respingere una domanda di congedo per migliorare il servizio in quel momento temporale, magari congiunturale, è espressione di un potere legittimo; quando la finalità è vessare il lavoratore, l’uso ne è distorto. Si prende di mira lo status personale ovvero lo status lavorativo per porre in essere una declinazione più o meno articolata di attacchi, in forma individuale o collettiva, di cui si offre una traccia di seguito: CLASSIFICAZIONE CONDOTTE SUBITE DAL MOBBIZZATO: MOBBING ACTIVITIES a – ambito personale 1. palesi o velate minacce 2. attacchi reiterati in pubblico, insulti, umiliazioni, ridicolizzazioni 3. diffusione di maldicenze 4. violenza fisica 5. molestie sessuali 6. discriminazioni razziali, di genere, religiose, politiche, sindacali, di opinione… 7. imitazione cinesica, prossemica, posturale. . .
b – ambito lavorativo 1. critiche continue alla persona sul lavoro 2. sistematiche allusioni indirette 3. assegnazione di compiti dequalificanti 4. svuotamento mansionale formale o di fatto 5. assegnazione per il lavoro di locali angusti, insalubri, inidonei 6. inattività forzata 7. accuse generiche (“non sai fare niente”, “sei un buono a nulla”, “ti pagano inutilmente”) 8. mancata risposta a richieste verbali o scritte del lavoratore 9. tendenza ad ignorare il lavoratore, emarginazione dolosa 10.mancato accesso alle informazioni aziendali ovvero all’attività lavorativa 11.deliberata non risoluzione di problemi organizzativi di lunga durata 12.reiterate richieste impossibili, contraddittorie, inconciliabili, esorbitanti, incongrue, umilianti 13.reiterato inadempimento ovvero inadeguatezza circa le disposizioni sulla sicurezza e la privacy 14.induzione all’errore 15.sottrazione di mansioni per “avocazione” del superiore gerarchico 16.sottrazione di corrispondenza 17.reiterati provvedimenti disciplinari, mancato rispetto del codice disciplinare, sproporzionalità ed arbitrarietà delle sanzioni 18.sanzioni disciplinari ingiuriose 19.sabotaggio lavorativo 20.estromissione del lavoratore da progetti di formazione ed aggiornamento professionale adeguati 21.ostruzionismo nel far esprimere opinioni, pensieri, punti di vista 22.eccessive ed immotivate forme di controllo da parte del dirigente 23.invito a trasferimento o dimissioni 24.disconoscimento datoriale di diritti e meriti magari accompagnate dall’assegnazione di benefici immeritati ad altri soggetti 25.provocazioni dolose al fine di procurare reazioni incontrollate 26. ricatti morali posti in essere dal dirigente al fine di evitare di concedere diritti contrattuali, come giorni di congedo, etc… 27.pregiudizio ovvero inibizione della carriera mediante assegnazione di incarichi a terzi senza garanzie procedurali 28.affiancamento di altro soggetto alla vittima professionalmente qualificata con lo scopo di minarne l’autonomia e controllarne l’attività 29.trasferimenti non richiesti presso altra sede 30.comportamento antisindacale 31.ingiustificata rimozione da incarichi già affidati. E’ interessante notare come non tutte le su menzionate azioni od omissioni integrano illeciti amministrativi, civilistici ovvero reati penalmente rilevanti; gli atti persecutori, secondo l’interpretazione della Corte Costituzionale, possono risultare “se esaminati singolarmente, anche leciti, legittimi o irrilevanti dal punto di vista giuridico…”, assumendo, nel contempo, “rilievo quali elementi della complessiva condotta caratterizzata nel suo insieme dall’effetto…” e risolvendosi, normalmente, in “disturbi di vario tipo e, a volte, patologie psicotiche, complessivamente indicati come sindrome da stress postraumatico”. Affinché, gli atti in questione possano assumere rilievo di elementi facenti parte di una condotta complessiva mobbizzante, è sufficiente che essi, ancorché legittimi, siano vessatori. Non costituisce mobbing infatti, come detto in precedenza, lo stato di fisiologica dialettica tra le diverse componenti scolastiche, soprattutto in sede collegiale, in quanto mera conseguenza di tensioni suscitate dalla problematica componibilità delle rispettive posizioni, obiettivi e metodologie didattiche; tutto questo anzi è una risorsa insostituibile. Né costituisce mobbing l’occasionale ricorso, da parte del dirigente scolastico, a misure di ordine organizzativo illegittime, o l’assunzione, sempre da parte di costui, di sporadici contegni illeciti, specie se non accompagnate dall’elemento psicologico del dolo, ossia complessivamente e consapevolmente preordinate ad escludere il docente da ogni ambito decisionistico ovvero all’auto-eliminazione dall’ambiente lavorativo. Merita una riflessione la fattispecie del “demansionamento” con riferimento allo status di docente, perchè a prima vista può sembrare difficile che il dirigente possa operare la modifica in peius delle mansioni dedotte in contratto del mobbizzando; invece si riscontrano nella pratica casi di un: - demansionamento quantitativo: es., riduzione dell’orario di cattedra; - demansionamento qualitativo: tutte quelle condotte di per sé anche non rilevanti per il diritto, ma che di fatto non considerano la professionalità del docente in senso dinamico, non valutando l’intero patrimonio professionale e culturale del lavoratore, e che pertanto si risolvono in un effettivo sottodimensionamento. Heins Leymann (www.leymann.se) definisce il mobbing come “una forma di terrorismo psicologico che implica un atteggiamento ostile e non etico posto in essere in forma sistematica da uno o più soggetti, di solito nei confronti di un unico individuo che, a causa di tale persecuzione, si viene a trovare in una condizione indifesa e diventa oggetto di continue attività vessatorie e persecutorie che ricorrono con una frequenza sistematica e nell’arco di un periodo di tempo non breve, causandogli considerevoli sofferenze mentali, psicosomatiche e sociali” L'Associazione contro lo Stress Psico-sociale ed il Mobbing, fondata in Germania nel 1993, definisce ufficialmente il mobbing "una comunicazione conflittuale sul posto di lavoro tra colleghi o tra superiori e dipendenti nella quale la persona attaccata viene posta in una posizione di debolezza e aggredita direttamente o indirettamente da una o più persone in modo sistematico, frequentemente e per un lungo periodo, con lo scopo e/o la conseguenza della sua estromissione dal mondo del lavoro. Questo processo viene percepito dalla vittima come una discriminazione". Una definizione abbastanza aperta è quella elaborata nel 2001 da Medici del Lavoro, suscettibile di vasta applicazione e pubblicata nel n. 1 – vol. 92 “La medicina del Lavoro”: “il mobbing è
comunemente definito una forma di violenza psicologica esercitata
quasi sempre con intenzionalità lesiva, ripetuta in modo iterativo
con modalità polimorfe; l’azione persecutoria è intrapresa per un
periodo determinato, arbitrariamente stabilito in almeno sei mesi,
ma con ampia variabilità dipendente dalle modalità di attuazione e
dei tratti della personalità dei soggetti, con la finalità o la
conseguenza dell’estromissione del soggetto da quel posto di lavoro”.
Definizione del Comitato ristretto della Commissione Lavoro del Senato del 2 febbraio 2005: “1. Ai fini della presente legge, si intende per violenza o persecuzione psicologica ogni atto o comportamento adottati dal datore di lavoro, dal committente, da superiori ovvero da colleghi di pari grado o di grado inferiore, con carattere sistematico, intenso e duraturo, finalizzati a danneggiare l’integrità psico-fisica della lavoratrice o del lavoratore”, consultabile in : http://db.formez.it/FontiNor.nsf/41351c8f7df8433ac1256e1a002fc7c6/C0DF6445F97B58F9C1256FB400355008/$file/schema%20di%20testo%20unificato%20sul%20mobbing.rtf Harald Ege fornì qualche anno fa il primo schema che indicava alcuni punti per individuare la fattispecie, oggetto di costanti ricostruzioni sulla base delle esperienze concrete che di giorno in giorno guadagnano la “notizia”: 1 – ambiente lavorativo, non tanto come luogo della “consumazione” delle azioni od omissioni, in quanto queste possono realizzarsi anche altrove, ma piuttosto come “fonte” delle stesse; 2 – frequenza o “diuturnitas”, ripetitività e sistematicità delle condotte vessatorie (pertanto non occasionali) riconducibili ad un unico intento. Quindi una serie di azioni od omissioni, anche se non mancano autorevoli pareri di chi ritiene che un’unica condotta lesiva e vessatoria i cui effetti dannosi hanno però carattere di permanenza possa soddisfare comunque la fattispecie; 3 – durata, individuabile almeno in alcuni mesi; 4 – condotte costrittive, coercitive, oppressive, privative, violente, vessatorie, prevaricatrici, intimidatorie, screditanti.. 5 – dislivello,
elemento qualificante del mobbing discendente e del bossing (politica dirigenziale pianificata di razionalizzazione
del personale), anche se il dislivello può essere anche psicologico o
numerico, pertanto riscontrabile anche nel
mobbing orizzontale. 6 – andamento a fasi successive o progressive, sviluppo incrementale delle condotte: a – fase zero – precondizione rappresentata da un contesto di lavoro disarmonico; per quanto riguarda le pubbliche amministrazioni, istituzioni scolastiche incluse, lo sforzo del Legislatore, dagli inizi degli anni 90, è stato nella direzione di accrescimento di equilibri, trasparenza, legalità, benessere organizzativo, partecipazione. Quando questi fattori sono carenti nell’azione amministrativa, ci troviamo di fronte ad un inquietante segnale, precursore di un clima di tensione generalizzata, a sua volta substrato naturale per l’impianto delle successive fasi nelle quali si cercherà di “scaricare” sul mobbizzato le negatività e le criticità di “qualcuno” ovvero del “sistema”; prassi amministrative chiare, etiche, organizzazioni del lavoro non costrittive, con esplicitazione di responsabilità, ruoli e mansioni, viceversa, permettono sane interazioni (vedi direttiva del Dipartimento della Funzione Pubblica del 24 marzo 2004); b – fase uno – individuazione della vittima che viene scelta anche per circostanze indipendenti dal rapporto di lavoro, come le opinioni politiche, religiose, aspetto fisico, handicap, successi professionali, colore della pelle, carattere, vicende personali (separazione, divorzio, malattie, vincita al gioco, rientro da una malattia o maternità, etc..). Il mobbizzato può essere dotato sia di personalità docile e remissiva ovvero creativa e rivoluzionaria, che “disturba” un’organizzazione aziendale ibernata in cui risultano cristallizzate “assi di potere” le quali non lasciano spazio per confronti, flessibilità ed innovazione. Fa notare il dott. Gilioli, neuro-psichiatra del Centro di Disadattamento lavorativo presso la Clinica del Lavoro di Milano che questa dinamica del “gruppo” è frequentissima non solo negli ambienti di lavoro, ma anche nei casi di micro e macro-criminalità ed è emersa addirittura all’epoca della vicenda “tangentopoli”. I soggetti c.d. “a rischio” secondo un’attività di ricerca della stessa Clinica del Lavoro di Milano sono riconducibili a quattro categorie: 1 – i creativi; 2 – gli onesti; 3 – i disabili; 4 – i superflui; c – fase due – inizio del mobbing vero e proprio con destinazione sulla vittima delle prime condotte; d – fase tre – la vittima può non rendersi conto immediatamente dei mutati andamenti aziendali in cui si trova ad esplicare il proprio “lavoro molesto”, bensì avvertire innanzitutto dei disturbi psico-fisici “in occasione di lavoro”; E – fase quattro – “ esplosione” tra le parti e di fronte a terzi del fenomeno; fase accompagnata e sostenuta da crescenti colpevolizzazioni della vittima circa la sua personalità debole, problemi di salute fisica e mentale che intaccano il lavoro, manie di persecuzione, etc…. f – fase cinque – c.d. “doppio mobbing”, in cui la vittima fortemente pressata sul lavoro ne “vomita” in famiglia gli effetti, ed i congiunti, magari ignari dell’esatta portata del problema contribuiscono al potenziamento del circolo vizioso isolando anche tra le mura domestiche il mobbizzato “intrattabile”; g – fase sei – “implosione” della vittima, ossia licenziamento, dimissioni, malattie, aborto, mobilità, suicidio, omicidio, anoressia, bulimia, alcolismo… h – fase sette – la vittima “eliminata” fisicamente, moralmente, professionalmente, paradossalmente assume una duplice valenza: da una parte rafforza la politica tautologica del rigido modello di government dirigistico chiuso alla governance , dall’altro nella “semiotica aziendale” assume un preciso messaggio comunicazionale. 7 – intento persecutorio, la volontarietà delle condotte, come intenzionalità delle azioni od omissioni, escludendo la responsabilità per colpa, ontologicamente in contrasto con la definizione di mobbing. Ciò non toglie che chi subisce comportamenti colposi possa trovare tutela nell’ambito delle norme statuali specifiche. La maggior parte
delle pronunzie giurisprudenziali sono d’accordo con questi
elementi; altre aggiungono: Testualmente la sentenza del 22 febbraio 2003 del Tribunale di Como, recita: “Il mobbing, ovvero quella situazione di disagio provocata al lavoratore dall'ambiente di lavoro, si compone di un elemento oggettivo, consistente in ripetuti soprusi posti in essere da parte dei superiori e, in particolare, in pratiche - di per sè legittime sebbene biasimevoli - dirette a danneggiare il lavoratore e a determinarne l'isolamento all'interno del contesto lavorativo, e di un elemento psicologico, a sua volta consistente, oltre che nel dolo generico - "animus nocendi" -, anche nel dolo specifico di nuocere psicologicamente al lavoratore, al fine di emarginarlo dal gruppo e allontanarlo dall'impresa. Incombe sull'attore l'onere di provare la realizzazione dei comportamenti mobbizzanti, la ricorrenza del dolo e l'effettività del danno, nonché il relativo nesso causale”. Questo elemento (lo scopo dell’espulsione dall’ambiente lavorativo) potrebbe anche non esserci perché la finalizzazione dei comportamenti mobbizzanti può essere variegata: es.: insieme di condotte che facciano sì che il lavoratore rimanga nel suo posto di lavoro, ma ricondotto ad uno stato di emarginazione, per cui non si rende conto, ad es. della retribuzione che gli spetta ovvero di altri diritti, oppure un insieme di condotte denigratorie con lo scopo di rivalità sentimentali. L’estromissione può anche essere preordinata e realizzarsi “virtualmente”: Tribunale Tempio Pausania, 10 luglio 2003 “La nozione di "mobbing", che trae origine dall'elaborazione della sociologia e psicologia del lavoro, va intesa quale forma di comunicazione ostile ed immorale diretta in maniera sistematica da uno o più individui ("mobber" o gruppo di "mobber") verso un altro individuo (mobbizzato) che si viene a trovare in una posizione di mancata difesa; ovvero, costituisce "mobbing" un processo di comunicazioni e di azioni conflittuali tra colleghi o tra superiori in cui la persona attaccata e messa in una posizione di debolezza e mancanza di difese, aggredita direttamente e indirettamente, da una o più persone con aggressioni sistematiche, frequenti e protratte nel tempo il cui fine consiste nell'estromissione, reale o virtuale, della vittima dal luogo di lavoro”. Anche la pluralità dei mobbers non è elemento qualificante, neppure dal punto di vista processuale perché la legittimazione passiva è sempre del datore di lavoro, in quanto l’art. 2087 del Codice Civile, norma di chiusura in materia di sicurezza sul luogo di lavoro, configura un obbligo di intervento ogni qual volta vi sia una condizione lavorativa comunque soggetta ad un rischio, anche in assenza di disciplina regolamentare. Integrità psico-fisica e personalità morale devono essere salvaguardate in ogni caso anche in caso di mobbing orizzontale. Cassazione civile, sez. lav., 23 marzo 2005, n. 6326: “ Il datore di lavoro risponde del danno da mobbing (vale a dire l'aggressione alla sfera psichica del lavoratore) ex art. 2087 c.c., a nulla rilevando che le condotte materiali siano state poste in essere da colleghi pari grado della vittima, in quanto quel che rileva unicamente è che il datore sapesse - ovvero potesse sapere - di quanto stava accadendo”. E T.A.R. Lazio, sez. III, 25 giugno 2004, n. 6254 – R.F. contro MIUR: “Nel caso in cui il ricorrente faccia valere un'ipotesi di responsabilità al tempo stesso contrattuale ed extracontrattuale della p.a. resistente - nella specie chiedendo il risarcimento dei danni discendenti da una condotta di mobbing attuata nei suoi confronti - trova applicazione la disciplina dell'onere probatorio più favorevole al ricorrente, ossia quello contrattuale, con la conseguenza che spetta al datore di lavoro dimostrare di aver posto in essere tutte le misure necessarie per tutelare l'integrità psico-fisica del dipendente”. Interessante è altresì l’enucleazione di una fattispecie di mobbing c.d. patologico (saggio del dr. Sergio Sabetta su: http://www.altalex.com/index.php?idstr=29&idnot=7443): “Vi sono aspetti che avvicinano il fenomeno in esame agli studi sulla personalità del delinquente dal colletto bianco, in particolare alla teoria del Sutherland delle associazioni differenziali che vengono a scostarsi dai modelli legati alla patologia individuale. Egli afferma che questo tipo di criminalità ha come origine il contatto e l’apprendimento dei modelli e delle tecniche dell’ambiente di appartenenza e sebbene il comportamento sia criminale, come nel caso del mobbing, l’autore dello stesso non si considera criminale né subisce lo stigma del crimine in quanto beneficia della larga impunità di cui godono i colletti bianchi né del resto il soggetto corrisponde allo stereotipo comune del crimine” Ogni argomentazione risulta comunque aperta ad osservazioni e quindi va comunque problematizzata. Orbene, se il “riconoscimento” empirico della fattispecie è una criticità alle spalle, resta il passaggio da questo ad una definizione giuridicamente rilevante, all’emersione degli elementi tipizzanti del mobbing: operazione di interpretazione che consenta di far guadagnare i “rilievi” raccolti sul campo ad elementi qualificanti e costitutivi del fenomeno. Molti Paesi europei hanno già norme che individuano e sanzionano anche penalmente il mobbing. La Svezia è stato il primo paese a dotarsi di una legge specifica, ed in Francia nel 2002 il mobbing è punito dal punto di vista civile, penale e vi è addirittura un’inversione dell’onere della prova che è riversata sul datore di lavoro in sede processuale. Sarà l’analisi del prossimo punto. Quest'opera è stata rilasciata sotto la licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.5. http://creativecommons.org/licenses/by-nc/2.5/legalcode
|
La pagina
- Educazione&Scuola©