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A scuola dai tedeschi? Spunti per un
governo “tecnico…” di Giancarlo Cerini Italia-Germania: 4 a 3? Il meeting italo-tedesco organizzato il 10-11
novembre 2011 a Berlino dall’ANDIS (Associazione Nazionale Dirigenti
Scolastici) è stato breve ma intenso. Le relazioni ascoltate nella
prestigiosa sede (Rathaus) del Senato dello Stato berlinese e le visite
a 5 strutture scolastiche e formative del territorio della città-stato
hanno consentito di mettere a fuoco un quadro significativo
dell’istruzione pubblica tedesca e di trovare spunti utili anche per
l’evoluzione del sistema educativo italiano. E’ prevedibile, infatti, che il nuovo “governo”
tecnico italiano guardi maggiormente alle virtuose capitali del
nord-Europa piuttosto che a quelle, alquanto in affanno, dei paesi che
si affacciano sul Mediterraneo. Dunque, è utile avvicinarsi al sistema
tedesco con attenzione, andando oltre i nostri scontati stereotipi. Intanto, quali sono le certezze (teutoniche…) del
sistema tedesco?
a)
La scuola viene considerata una struttura
funzionale all’inserimento delle nuove generazioni nella società (ogni
persona al posto giusto!), attraverso una pluralità di “filiere”
formative che conducono verso sbocchi predefiniti, molto legati ai
fabbisogni del mercato del lavoro. Di qui il mito del sistema duale
(metà scuola, metà lavoro), ma anche la gerarchizzazione evidente dei
percorsi, con il ginnasio che resta il traguardo ambito dalle (per le)
classi dirigenti, anche se l’istruzione professionalizzante gode di un
prestigio maggiore che da noi. Pure il panettiere avrà la sua
qualificazione e questo comunque innalza i livelli di cittadinanza.
b)
La canalizzazione verso i diversi
percorsi è assai precoce, avviene infatti al termine di una scuola
elementare di soli 4 anni (non a
caso, però, a Berlino la primaria si prolunga fino al sesto anno). La
scelta successiva si gioca fortemente sul rendimento scolastico,
rilevato dagli insegnanti. L’ammissione alle diverse scuole secondarie
assume dunque un carattere meritocratico e questo rende più selettivo
l’intero sistema. La valutazione degli allievi anche nella scuola di
base è frequente e si basa su una scala a sei livelli.
c)
Dopo gli esiti deludenti delle
rilevazioni Pisa del decennio scorso, il sistema ha reagito. E’ stato
stimolato il miglioramento dei risultati attraverso la definizione di
standard nazionali di apprendimento, l’intensificazione delle
valutazioni (anche esterne), l’attenzione a ciò che succede (o non
succede) in classe, la formazione continua dei docenti.
d)
La gestione della scuola è assai
de-burocratizzata, il personale amministrativo è ridotto all’osso e lo
stesso dirigente dedica una parte del suo tempo (almeno un terzo)
all’insegnamento diretto in classe. Ciò fa presupporre che la sua
leadership sia fortemente orientata agli aspetti educativi e didattici,
piuttosto che alla gestione in senso stretto (che comunque gli compete).
Il ruolo dell’amministrazione scolastica locale (tutto avviene a livello
dei 20 stati-Lander) sembra più autorevole e occhiuta qui che in Italia. Un sistema fortemente canalizzato Naturalmente, queste virtù hanno un costo, non
tanto in termini finanziari (un allievo berlinese “costa” circa 6.200
euro, rispetto ai 6.000 euro di uno studente italiano), ma con scelte
valoriali, ad esempio in termini di inclusione. I ragazzi con handicap
frequentano strutture speciali ed anche gli alunni con lievi ritardi
nell’apprendimento sono dirottati verso gruppi e classi differenziate. La padronanza della lingua tedesca è un passaggio
obbligato per l’integrazione scolastica ed il successo formativo. La
notevole presenza di allievi immigrati (i turchi al primo posto, gli
italiani al secondo, ma solo al settimo per “successo” nel ginnasio)
pone sfide ardite al sistema educativo tedesco, con una domanda più
forte di integrazione e di attenzione alle diversità. Si guarda con
attenzione al modello italiano di integrazione dei disabili. Ci ha colpito, nella visita ad una scuola primaria
con forte presenza di non tedeschi (anche italiani, tanto da meritare
una sezione bilingue), la scelta di comporre classi eterogenee per
livelli di età (in prima, dunque, ci saranno bambini di 6-7-8 anni, che
poi scivolano in classi quarte omogenee per età). Pluriclassi nel centro
di Berlino! Ovviamente no, ma la scelta di classi pluri-livello obbliga
il docente a diversificare la didattica, a favorire il lavoro a piccoli
gruppi, a promuovere l’autonomia e l’apprendimento cooperativo. Non
nascondiamoci il fatto che le nostre mono-classi, solo
apparentemente omogenee,
finiscono con il diventare destinatarie di un insegnamento frontale e
monocorde. Efficienza e uso delle risorse Posto che nel sistema scolastico tedesco non sono
previste supplenze brevi (se non per assenze superiori a 3 mesi), né
personale ausiliario (ma solo un custode tuttofare), dove vengono
re-impiegati i risparmi così ottenuti? Certamente, in una retribuzione
più alta dei docenti (anche se le 28 ore settimanali di insegnamento -
di 45 minuti - appaiono comunque impegnative), oltre che in alcune
figure da noi inesistenti, come quella dell’educatore professionale.
L’educatore, presente nella scuola elementare fino alla classe quarta,
svolge importanti compiti di supporto educativo: dall’assistenza alla
mensa, al gioco, alle attività integrative pomeridiane, ma anche 10 ore
di compresenza settimanale in classe con il docente titolare. Lo stato degli edifici appare più adeguato, le
tecnologie sono più diffuse, la formazione in servizio maggiormente
apprezzata e ricercata dai docenti. Il fatto è che per diventare
insegnanti stabili bisogna farsi apprezzare per la preparazione e la
qualità del lavoro che si farà in classe. Analogamente, la scelta dei dirigenti è più curata
che da noi ed è previsto un lungo periodo di
prova/osservazione/professionalizzazione. A.A.A. qualità cercasi… Anche il sistema tedesco si interroga sulla sua
qualità ed il sistema di valutazione appare fortemente strutturato ed
imperniato su un corpo ispettivo “tonico” ed attrezzato. Le scuole sanno
che ogni 5 anni (o anche più di frequente, se qualcosa non funziona)
saranno visitate per 3 giorni da una equipe capitanata dall’ispettore
(aspettatevelo sul portone della scuola fin dalle 7,00 del mattino e
salutatelo non prima delle 21,00!). Del gruppo fanno parte anche un
docente accreditato, oltre che un capo d’istituto. La visita prende spunto dall’autovalutazione
interna, raccoglie testimonianze, documenti, evidenze sugli indicatori
più significativi. Lo schema ricorda quello del CAF, il Common
Assessment Framework europeo, ma poi l’osservazione esterna si dirige
senza esitazioni all’interno delle classi, ove si vorrebbe verificare la
produttività ed efficienza nell’uso del tempo e dei materiali, il
rispetto dei curricoli, ma anche la qualità della mediazione didattica
messa in atto dal docente e del ruolo attivo che si richiede agli
allievi. Forse si è capito che il punteggio PISA si incrementa non tanto
perché si intensifica l’insegnamento frontale, ma perché si costruisce
un ambiente di apprendimento articolato e motivato, in grado di
stimolare l’iniziativa attiva dei ragazzi. I problemi sono comuni Insomma, il sistema scolastico tedesco appare assai
ben congegnato (e questo ce l’aspettavamo…), ma anch’esso è alle prese
con i problemi di tutti i sistemi scolastici europei e quindi anche del
nostro. Si tratta infatti di:
a)
migliorare la qualità della scuola e dei
risultati, anche attraverso un sistema di valutazione esterna che regoli
lo sviluppo del sistema (senza interventi espulsivi, pare), basato su un
efficiente servizio ispettivo;
b)
prendersi cura della professionalità dei
docenti, con una più mirata selezione del personale e la sua stabilità
all’interno di un istituto scolastico che li apprezza e li sa
accogliere;
c)
favorire l’inclusione di ceti, culture,
etnie, nel rispetto dell’identità linguistica del paese, ma in un’ottica
sicuramente democratica;
d)
rendere più efficace il sistema di
governance, nella riconferma dell’approccio federale al governo (le
politiche scolastiche dei 16 Lander sono uno stimolo per le nostre 20
regioni), ma riconoscendo che ci sono livelli nazionali da presidiare
(standard) e livelli locali di responsabilità da incentivare
(sussidiarietà);
e)
ridurre all’essenziale la dimensione
burocratico-gestionale, anche con un accorto utilizzo delle tecnologie e
spostando il focus della dirigenza verso i fattori che possono produrre
migliori risultati negli apprendimenti. Si tratta di una agenda chiara, che offre qualche
speranza credibile per uscire dalla marginalità in cui è stata cacciata
(si è cacciata) la scuola italiana. Riferimenti bibliografici F.Frabboni, G.Wallnofer, N.Belardi, W.Wiater,
Le parole della pedagogica.
Teorie italiane e tedesche a confronto, Bollati Boringhieri, Torino,
2007. R.Prott e C.Preissing (a cura di),
Integrare le diversità. Un
curriculum per l’educazione dell’infanzia. Programma educativo di
Berlino, Edizioni Junior, Bergamo, 2006. Eurydice,
Il dirigente scolastico in Europa in “Bollettino di informazione
internazionale”, novembre 2009.
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