Dall'aggiornamento alla formazione in servizio

di Giancarlo Cerini


Un profilo professionale "alto"

"Dimmi come formi un insegnante e ti dirò in quale considerazione tieni questa professione". La formazione iniziale ed in servizio dei docenti è una metafora sincera del loro profilo professionale e della loro identità. Il docente è un PROFESSIONISTA che opera in una ISTITUZIONE, perché la sua autonomia culturale e progettuale, la sua soggettività, si deve coniugare con l'etica di un progetto condiviso, evitando i riti della collegialità, ma anche l'alibi della libertà d'insegnamento.

Abbiamo sviluppato questo profilo nello schema seguente:


COLTO

TECNICO

professionista in una
istituzione

CREATIVO

RIFLESSIVO

Il docente è un professionista COLTO, perché gli compete un rapporto forte e continuo con i saperi disciplinari, con la loro evoluzione, con la loro traduzione in discipline scolastiche. Di ogni disciplina dovrà compiere una lettura "bruneriana", in grado di coglierne il valore formativo, di promozione di linguaggi, di metodi, di conoscenze.

E' un TECNICO, perché deve padroneggiare le tecniche della trasmissione culturale, della comunicazione, della relazione educativa; competenze che vanno dalla gestione del clima della classe all'uso dei materiali didattici, al sostegno attivo dell'apprendimento degli allievi.

E' un CREATIVO, perché è invitato a combinare in maniera originale ed espressiva le diverse variabili della situazione educativa. L'insegnante non è un istruttore. Una buona comunicazione con l'allievo è una risorsa decisiva: un bravo insegnante è in grado di imparare dagli allievi, di "adattare" alle loro caratteristiche le proprie strategie comunicative.

In definitiva è un professionista RIFLESSIVO, perché ha l'obbligo di scrutare sotto la scorza del curricolo esplicito, per capire come il "contesto" interagisce sulla formazione culturale e quindi cognitiva dei bambini e dei ragazzi. Ma in questo curricolo "implicito" un posto rilevante assumono le dinamiche relazionali ed affettive profonde, i conflitti, le emozioni, le fantasie.

Si tratta dunque di un profilo assai impegnativo della professionalità docente, che richiama specifiche conoscenze, competenze, attitudini, e che richiede scelte coerenti sul piano contrattuale e retributivo e un decente sistema di aggiornamento.

La "cattiva" formazione...

E' dal lontano 1974 (decreti delegati) che l'aggiornamento viene considerato un diritto-dovere degli insegnanti, necessario per adeguarsi allo sviluppo della cultura, all'evoluzione delle scienze dell'educazione, e partecipare alla ricerca educativa. L'aggiornamento professionale è dunque parte costitutiva dell'essere insegnante.

Dovremo però parlare di un diritto alla formazione, piuttosto che dell'obbligo di aggiornarsi per un numero determinato di ore. Non c'è formazione se non c'è autoformazione, autoapprendimento. Si cresce, si cambia, si apprende solo mediante un processo di ricerca, di studio, di rielaborazione, di applicazione in situazione.

Il meccanismo dell'art. 28 del Contratto di Lavoro (che istituisce un legame tra "normale" progressione di carriera e tempo dedicato all'aggiornamento) sembra invece aver innescato un processo del tutto formale, introducendo il principio dell'obbligo della formazione per almeno 100 ore ogni sessennio, e facendo balenare generosi e aggiuntivi benefici economici e giuridici. Scegliendo il "dovere" (formale) ci si dimentica del "diritto" (sostanziale) degli insegnanti (e degli altri operatori scolastici) a ricevere una buona formazione in servizio.

Ma vediamo quali sono gli aspetti salienti di questo "cattivo" aggiornamento.

La scarsità di risorse: "un libro a testa..."

Di fronte alle pur rilevanti novità del Contratto di lavoro (con l'obbligo di garantire una media di 16-17 ore di formazione annue) le risorse disponibili sul bilancio 1997 sono rimaste invariate (e quindi, sostanzialmente ridotte). Si tratta di 72 miliardi di lire (nemmeno il 2 per mille del bilancio della pubblica istruzione), cioè di circa £. 100.000 per addetto, che si riducono a £. 35.000 se ci riferiamo alla quota parte destinata ai collegi dei docenti. Sono rimaste lettera morta tutte le sollecitazioni per aumentare i fondi per l'aggiornamento. Siamo infatti a meno di un 1/3 del fabbisogno necessario per dare un minimo di dignità al settore. Inoltre, il recente aumento dei compensi per i "formatori", ma soprattutto il riconoscimento di nuove importanti funzioni come la progettazione, la documentazione, la tutorship, ecc. rischiano di essere vanificati, ricacciando l'aggiornamento nella consunta pratica della lezione frontale "mordi e fuggi".

I tempi e le procedure dell'aggiornamento: "bizantinismi..."

L'iter della predisposizione del Piano di aggiornamento appare eccessivamente dilatato (8-9 mesi per decidere un micro-finanziamento ad una scuola), con la conseguenza di "sfondare" necessariamente nell'anno scolastico successivo, con situazioni e bisogni spesso mutati. Assurdo poi appare il sistema dei controlli burocratici "romani", non più compatibile con la prospettiva dell'autonomia.

Anche i bizantinismi delle contrattazioni provinciali, con sindacati e delegazioni di parte pubblica spesso distratte o incompetenti nella materia, la superficialità delle conferenze di servizio, le frettolose attività istruttorie delle commissioni tecnico-scientifiche) contribuiscono ad impoverire i Piani provinciali, che finiscono con l'essere una "sommatoria" casuale e frammentata di quanto emerge dalle scuole, senza il necessario respiro strategico.

Il "sistema" misto: "avanti, c'è posto..."

Oggi il quadro delle offerte di aggiornamento appare assai ampliato, sulla base della regolamentazione che ha fatto seguito al DPR 399/88, ma con evidenti sovrapposizioni e sfalsamento dei tempi. Ad esempio, i progetti dei corsi di Enti e Associazioni si articolano per anno scolastico; i piani nazionali e provinciali per anno finanziario; le iniziative delle Università non vanno neppure "notificate" a qualche sede di coordinamento; i piani degli IRRSAE non sono sempre tempestivi; Provveditorati e Ministero si muovono con tempistiche proprie, spesso imprevedibili.

Sarebbe invece indispensabile pubblicare, prima dell'inizio di ogni anno scolastico, un "book" con le offerte di aggiornamento, da consegnare ad ogni operatore scolastico (con la descrizione delle opportunità e delle condizioni di partecipazione). Questo documento dovrebbe essere il risultato di un forum territoriale, in cui i diversi soggetti potrebbero essere invitati ad analizzare i bisogni formativi ed a raccordare le rispettive iniziative.

Se si ritiene che il coordinamento dell'informazione spetti al Provveditorato agli Studi (ma ci sono in merito opinioni diverse), occorre potenziare l'apposita "struttura della formazione", con adeguati supporti di personale e con precise connessioni con gli IRRSAE, gli Ispettori, i Centri di documentazione degli Enti locali.

Anche se meglio coordinato, va comunque mantenuto il sistema "misto" pubblico-privato (favorendo l'iniziativa di associazioni, istituti scientifici, enti) a garanzia di pluralismo culturale e di autonomia di ricerca. Non può esistere un aggiornamento di Stato o di Municipio.

Le condizioni di partecipazione: "vorrei, ma non posso..."

Si registra una notevole difformità di comportamenti all'interno dell'Amministrazione scolastica, circa le condizioni di partecipazione alle iniziative di aggiornamento, a partire dalla interpretazione dell'art. 28 del Contratto di Lavoro. Tale articolo prevede la possibilità di usufruire di 5 gg. annui di esonero dal servizio per partecipare ad attività di aggiornamento riconosciute (quindi pubbliche e private), previa sostituzione secondo le norme vigenti nei vari ordini e gradi scolastici. Risulta che questo articolo sia in larga parte disatteso dai Dirigenti scolastici, preoccupati per la legittimità della spesa.

Resta poi da interpretare il dispositivo di cui all'art. 453 del T.U. per partecipazione a Convegni e Congressi. Solo per i convegni, il Ministero nel decreto autorizzativo precisa che l'esonero non deve comportare oneri per l'amministrazione, ivi comprese spese per supplenze.

Insomma un "rompicapo": vagheggiamo di anno sabbatico, e poi fatichiamo a rendere operativi 5 giorni di esonero per aggiornarsi !

Il piano formativo di istituto: "a domanda, non risponde..."

Il piano rappresenta una novità importante del Contratto, ma al momento si configura quasi sempre come "mera" presa d'atto delle partecipazioni a titolo più o meno individuale dei docenti alle diverse iniziative (una vera e propria "diaspora" di corsi, corsetti). Per rovesciare questa tendenza è necessario promuovere una seria attività di programmazione della formazione, azione per la quale il Dirigente scolastico potrebbe essere affiancato dal Referente dell'aggiornamento e dallo specifico Dipartimento (o gruppo di lavoro), due novità previste dalla CM 376/95. Il referente per l'aggiornamento può rappresentare una nuova figura su cui investire con appositi momenti di formazione, di supporto, di documentazione.

Anche le attività di auto-formazione (la cosiddetta tipologia comma e) dell'art. 28) che possono essere promosse dal collegio dei docenti o da gruppi dello stesso, sono un'opportunità nuova, che però non può essere abbandonata a se stessa. Anche in questo caso sono necessarie indicazioni operative, forme -anche minime- di finanziamento, un investimento progettuale, sostegno ai tutor, documentazione e socializzazione delle iniziative, ecc.

La "buona" formazione

Nelle ultime direttive (in particolare nella CM 376/95) sono contenute alcune intuizioni positive, ma la realtà "normale" è al di sotto di ogni accettabile livello di guardia. Occorre al più presto orientarsi verso alcune priorità, qui appena accennate, per tentare di migliorare la situazione attuale.

Incrementare le risorse finanziarie

Le risorse economiche vanno decisamente incrementate, re-investendo le economie che si ottengono con le "razionalizzazioni" per la valorizzazione della professionalità. I fondi andrebbero almeno triplicati (rispetto ai 72 miliardi previsti per il 1997, di cui solo 26 per i collegi dei docenti). Sarebbe un segnale forte garantire per legge una quota minima per la formazione e la ricerca, all'interno del bilancio della Pubblica Istruzione (ad esempio dell'ordine dell'1%). Altra misura emblematica sarebbe la possibilità di detrarre le spese di formazione (corsi, libri, convegni) dalla dichiarazione annuale dei redditi, come spese di produzione.

In concreto, sarebbe opportuno che ogni scuola disponesse di un budget ordinario annuale medio di circa 4 milioni per attività di formazione, documentazione, ricerca. Un simile incentivo dovrebbe accompagnare l'avvio dell'autonomia scolastica, che è anche autonomia di ricerca. Sono necessari, per questa prima distribuzione, circa 60 miliardi ogni anno. Ogni scuola potrebbe così ordinariamente disporre di un budget, con cui avviare diversi tipi di attività (corsi, gruppi, consulenze, ecc.).

Il meccanismo attuale della proposta di progetti dalle scuole, della successiva valutazione e selezione e del finanziamento provinciale, andrebbe mantenuta solo per progetti "aggiuntivi", di particolare valore, specie se consorziati a livello di più scuole o territoriali. Il Piano provinciale non dovrebbe più "raccogliere" ciò che le scuole propongono, ma "rilanciare" nuove offerte, proponendo iniziative che interpretino bisogni e priorità.

Differenziare le iniziative

La necessità di richiedere finanziamenti su progetti condivisi dall'intero collegio dei docenti porta spesso a progetti onnicomprensivi (dei veri e propri "blob" socio-psico-pedagogici) a scapito degli approfondimenti "disciplinari". A tal fine è necessario differenziare le attività di aggiornamento, tra ciò che può avvenire a livello di scuola e ciò che va lasciato ad altri livelli (territoriali).

La formazione in servizio "centrata sulla scuola" (secondo la felice definizione di R.Bolam) deve essere finalizzata alla soluzione di specifici problemi di carattere didattico, metodologico, organizzativo e relazionale, tipici di uno specifico contesto operativo. La formazione si inserisce quindi nelle strategie di autoanalisi, di sviluppo, di miglioramento, indispensabili all'autonomia scolastica, ed ha un fortissimo legame con l'esperienza di lavoro, assumendo un carattere empirico, fattuale, di redditività a breve termine (secondo le suggestioni più volte poste da Hubermann).

La formazione sul territorio è orientata invece agli aspetti disciplinari, presso scuole-polo di rete (da specializzare) o centri-risorse anche di enti locali, sotto forma di laboratori didattici (di ricerca, sviluppo, produzione, adattamento di curricoli). Tali centri dovrebbero curare anche le connessioni con le sedi universitarie, gli istituti scientifici e culturali, le associazioni professionali e di disciplina.

A loro volta le iniziative di formazione degli IRRSAE dovrebbero caratterizzarsi per la loro esemplarità. Si tratterà di corsi ben fatti, in cui si sperimentano metodologie formative particolarmente efficaci; oppure di iniziative che si rivolgono ad un target mirato: dirigenti, formatori, sperimentatori. In entrambi i casi ci dovrà essere un indotto ulteriore, di spendibilità dei materiali didattici, di diffusione dei pacchetti formativi, di utilizzazione delle persone formate in veste di formatori (più agevolatori e tutor che "esperti").

Organizzare l'aggiornamento

Le strutture dell'aggiornamento sono ancora quelle regolamentate dal DPR 419/74, con una lievitazione del ruolo "amministrativo" e "gestionale" del Provveditorato agli Studi a scapito di quello dell'IRRSAE. La creazione degli Uffici Aggiornamento e la articolazione di Piani provinciali sono una novità di questi ultimi anni. L'evoluzione fattuale testimonia comunque l'esigenza di un punto di riferimento tecnico ed amministrativo a livello territoriale.

La proposta che ci sentiamo di sostenere prevede l'abolizione degli attuali Distretti Scolastici (come organismi di rappresentanza inter-istituzionale, da sostituire con la pratica delle Conferenze di Servizio) per trasformarli in Centri risorse, cioè in Centri di servizi alle scuole ed agli insegnanti (sulla base di modelli esistenti in Francia, Spagna e Gran Bretagna). In tali Centri dovrebbero essere consolidate in rete le risorse pubbliche e quelle private, oggi disperse e isolate. Il decentramento degli IRRSAE potrebbe appoggiarsi su tale rete, in connessione con le strutture di documentazione degli Enti locali e dei Provveditorati agli studi. In questo contesto è da valorizzare il ruolo dell'associazionismo degli insegnanti (con un minimo di supporto pubblico). La struttura territoriale dovrebbe essere promossa mediante una convenzione che associ più soggetti ed avvalersi delle nuove tecnologie per il trattamento della documentazione e per il collegamento alle reti telematiche.

Un tale Centro è il luogo dove emergono e si mettono alla prova nuove professionalità. Ad esempio, è possibile incontrarvi i "formatori" mentre svolgono funzioni di informazione-assistenza-consulenza (il cosiddetto "sportello").

Le funzioni di un Centro-risorse riguardano, in sintesi: la consulenza alle scuole, la ricerca didattica e curricolare, la documentazione, la duplicazione e produzione di materiali e sussidi, la formazione in servizio, l'ospitalità a gruppi e associazioni.

Migliorare la qualità e i metodi della formazione

Sulla qualità delle iniziative di formazione occorre essere più rigorosi, con particolare riferimento alle iniziative da ammettere a finanziamento provinciale (iniziative di secondo livello). Vanno quindi qualificati i momenti relativi a:

- progettazione (sulla base di una duplice lettura di bisogni delle persone e bisogni delle istituzioni);

- staff di conduzione (che affianca la figura del direttore del corso e si fa carico della gestione "interattiva" dell'attività);

- metodologie formative (comprimendo le lezioni frontali -al di sotto del 50 % del monte ore del corso- a vantaggio di analisi di caso, simulazioni, ricerca/azione, documentazione e produzione);

- verifica (passando dall'ormai diffusa pratica del "gradimento dell'utente" alla valutazione dei cambiamenti ed ai miglioramenti apportati al lavoro in classe).

Tali esigenze rimandano ancora una volta al ruolo di figure, strutture, servizi, cioè a quella rete di supporto "tecnico" necessaria a scuole che saranno presto dotate di larga autonomia organizzativa e didattica.

Esperienze già svolte hanno inoltre dimostrato la notevole produttività del "credito formativo" (cioè di un'autonoma attività di ricerca, studio, documentazione, rielaborazione, ecc.): i corsi che l'hanno convalidato hanno visto elevarsi i livelli di interesse, di partecipazione, di qualità. Anche attraverso metodologie come il credito formativo, si pongono al centro del processo di aggiornamento non solo contenuti di conoscenze, ma capacità progettuali, relazioni, atteggiamenti, in definitiva l'apprendere ad apprendere.