Caro Bertagna ti scrivo…
… ma ci sono gli spazi e i tempi per una
"vera" discussione?
di Giancarlo Cerini
Un po’ di storia
Le prime indiscrezioni sul contrastato disegno di
legge del Governo per la riforma della scuola sembrano mettere in
ombra le elaborazioni prodotte in queste ultime settimane dalla
commissione di studio incaricata dal Ministro Letizia Moratti di
apportare eventuali modifiche alla legge 30/2000. Anzi, qualcuno ha
già parlato di un vero e proprio accantonamento del pacchetto
Bertagna (dal nome del presidente del Gruppo Ristretto di Lavoro).
Ricordiamo che si tratta di tre documenti distinti:
- Il Rapporto iniziale (Bertagna 1), datato 18-11-2001, che
contiene un’ampia presentazione della proposta di riforma,
tuttavia criticata dagli stessi membri del Gruppo ristretto per
talune "forzature" e "ridondanze" nelle
argomentazioni;
- Il documento di accompagnamento (Bertagna 2), che illustra le
reazioni alla proposta, sondate attraverso focus group con
esperti e associazioni e visite ad un campione – per altro assai
ristretto – di scuole (di Palermo, L’Aquila e Torino);
- La sintesi finale (Bertagna 3), pubblicata in data 14-12-2001,
che presenta un approccio assai più problematico ai nodi critici
del riordino e si conclude con una serie di raccomandazioni ai
decisori politici.
Il disegno di legge in discussione è certamente il
frutto di questo lavoro istruttorio, anche se poi hanno preso il
sopravvento i veti incrociati tra le forze di maggioranza e le
conseguenti mediazioni in sedi politiche e tecniche assai ristrette.
Affiorano malumori all’interno della stessa compagine governativa
per il metodo ed i tempi troppo ristretti concessi per la valutazione
della proposta, che potrebbe sfociare nello strumento tecnico della
legge di delega.
Sarebbe controproducente (ai fini di una
indispensabile condivisione) affidare un processo di riforma di così
ampia portata ad una delega "blindata" all’esecutivo.
Inoltre, i progetti di legge, nella loro necessaria essenzialità, non
dicono tutto, perché motivazioni, presupposti, intenzioni, inferenze,
si devono dedurre dai lavori preparatori. A maggior ragione di fronte
ad un testo di riforma che, dopo tanto parlare, sembra quasi la
rassicurante riproposizione dell’esistente (con pochi ritocchi) o di
fronte al quale si sono levate opposte interpretazioni, vuoi di
prevalente continuità o di totale svolta, rispetto all’impostazione
della legge n. 30 del 10-2-2000.
Ecco perché è utile tornare ai diversi documenti
del Gruppo Bertagna, per interrogarli più a fondo, per operare un
supplemento di istruttoria, per approfondire quei punti critici che
con troppa disinvoltura sono stati dati per risolti nel disegno di
legge Moratti.
Si nota, nel passaggio dall’uno all’altro dei
documenti, una evoluzione delle proposte e delle argomentazioni. L’impianto
complessivo dell’ipotesi non viene modificato, ma certi aspetti sono
sottolineati con maggiore criticità (fino a delineare un abbandono di
scelte iniziali, come nel caso del discusso "credito
formativo" per la scuola dell’infanzia) ed altri vengono
lasciati più aperti (come l’eventuale riduzione della durata della
scuola secondaria da 5 a 4 anni). Anzi, in alcuni passaggi dell’ultimo
documento sembra trapelare una sorta di disincanto circa la concreta
possibilità di realizzare il disegno di una riforma che si troverebbe
ingiustamente sotto un "attacco ideologico" pregiudiziale,
non compresa nei suoi significati "democratici", a rischio
di una deriva secessionistica per l’attuazione della "devolution"
già prevista dalla legge costituzionale n. 3 del 18-10-2001.
Metodo "bipartisan", ma di altro profilo
Sia travaglio autentico della Commissione Bertagna
o sia captatio benevolentiae di fronte ai primi segnali di
dissenso, correttezza istituzionale vuole che si cerchi di produrre un’analisi
costruttiva nei confronti della proposta, perché quando sono in gioco
prospettive di sviluppo della scuola per i prossimi 10-15 anni (questi
sono i tempi minimi di maturazione delle riforme strutturali nella
scuola) occorre – di necessità – assumere un atteggiamento "bipartisan",
che cerchi i punti di convergenza piuttosto che reiterare fin troppo
facili posizioni di bandiera. I recenti esempi americano (di ampia
intesa tra repubblicani e democratici sul progetto Bush di riforma
della scuola pubblica) e spagnolo (di una riforma complessiva
avviata dal socialista Gonzales e proseguita dal conservatore Aznar)
dovrebbe spingere anche i governanti italiani verso possibili intese
con l’opposizione, senza farsi tentare dallo "stato di
grazia" di una maggioranza assicurata a priori.
Siamo altresì convinti che questa sia la richiesta
che proviene dal mondo della scuola e degli operatori, che non
vogliono essere trasformati in un campo di battaglia per eserciti
contrapposti.
Certamente esistono oggi molti punti di divergenza
tra maggioranza ed opposizione:
- sulle scelte iniziali del nuovo Governo (blocco della legge
30/00, rallentamento dell’autonomia, sospensione dei progetti di
innovazione nella scuola dell’infanzia, buio sulla formazione
degli insegnanti);
- sulle misure previste nella finanziaria (che al di là del
dettaglio tecnico, del comma più o meno "ricucito" con
i sindacati, lancia un segnale di "disimpegno" nei
confronti della scuola pubblica);
- su altre iniziative discutibili (come il recente blocco della
riforma dell’amministrazione scolastica o la nomina di
commissioni di studio a "senso unico", scarsamente
rappresentative della scuola reale).
Ma il dissenso sulla politica quotidiana non può
esimere da una riflessione più argomentata, punto su punto, sulle
proposte che sono state offerte all’attenzione dell’opinione
pubblica (pur in modi che hanno lasciato poco spazio alle voci
critiche). Le riforme destinate a rimanere nel tempo non possono non
scaturire da una lettura di ciò che la scuola ha
"costruito" negli ultimi anni e che non può essere "bypassato"
con proposte troppo lontane (o sentite come tali) dalla cultura della
scuola e dei suoi operatori. Lo stesso effetto "ottico" –presunto
o reale – di distanziamento dalla scuola reale è stato uno dei
limiti patiti dal progetto riformatore del precedente Governo (ci
riferiamo, in particolare, all’idea di scuola di base).
Siamo convinti che nelle esperienze migliori della
scuola tanti insegnanti esprimono una capacità di lavoro che va ben
al di là di quanto viene "visto" dall’opinione pubblica e
di quanto viene "riconosciuto" dai pubblici poteri. Abbiamo
netta la sensazione che la scuola sia più avanti di quella che viene
delineata nel progetto di riforma (sia nei documenti Bertagna, sia nel
disegno di legge). E’ di lì che bisogna ripartire: dalle buone
pratiche della scuola dell’infanzia (la scuola "più
amata" dagli italiani e che non si potrà manomettere con troppa
disinvoltura), dall’attuazione generosa della riforma della scuola
elementare (e ora delle proposte di curricoli verticali negli
istituti comprensivi), dalle sperimentazioni innovative dei curricoli
delle scuole secondarie (e dal loro legame con il mondo della
cultura e delle imprese), dai gruppi di insegnanti impegnati nella ricerca
didattica e professionale.
Il confronto con queste esperienze è un banco di
prova decisivo per analizzare i segni di una riforma
"democratica" (di ampliamento di nuove opportunità per
tutti), pluralistica (di confronto tra le culture politiche, sociali,
scientifiche presenti nel nostro paese), di qualità ed efficienza (e
quindi di effettiva praticabilità). La mancata presa in carico di
questo corpo vivo della scuola condannerebbe i nuovi progetti ad una
palese sterilità. Spesso le riforme sulla carta, pur pubblicate sulla
Gazzetta Ufficiale, non si trasformano in riforme praticate nella
realtà delle scuole, nelle classi, tra gli studenti e gli allievi.
Ma allora, quali sono le domande, le questioni, i
nodi irrisolti che questo corpo "vivo" della scuola esprime
e che vorrebbe porre ai decisori di futuro? Le abbiamo raggruppate in
tre grandi aree: i punti di criticità, i punti di condivisione, le
questioni aperte.
Gli aspetti di "criticità"
Non per pregiudizio, dobbiamo partire dai punti di
criticità del documento, contenuti anche nella versione "Bertagna
3", perché la loro mancata "rimozione" rischia di
inficiare ogni possibile dialogo costruttivo. Analizziamo, allora, i
limiti più significativi segnalati da molti operatori scolastici:
- Riduzione dell’obbligo scolastico a sole otto annualità
rispetto alle nove attuali (anzi, lo stesso concetto di obbligo
scolastico scompare) e anticipazione della scelta tra diversi
canali di formazione a 14 anni, con la minaccia di un’ulteriore
anticipazione "strisciante" nella fascia della scuola
media.
- Differenziazione in tre filiere dei percorsi formativi dopo i 14
anni (licei, istruzione/formazione professionale, formazione in
alternanza con il lavoro), caratterizzate da esiti
qualitativamente diversi, che anticipano gerarchie sociali (ad
esempio, tra chi esercita ruoli dirigenziali e chi no).
- Concezione antiquata della dimensione disciplinare delle
conoscenze, come organizzazione in sé compiuta e chiusa dei
saperi (impropriamente definita "secondaria"),
trascurando gli aspetti formativi dell’incontro iniziale dei
bambini con i sistemi simbolico-culturali (ridotto a mera evidenza
senso-percettiva e impropriamente confinata nella "primarietà").
- Totale sottovalutazione dell’impianto culturale e
"disciplinare" degli attuali programmi della scuola dell’infanzia
(campi di esperienza), elementare (ambiti) e media (discipline) e
della conseguente organizzazione del lavoro degli insegnanti;
ripristino, per la scuola primaria, di un modello assai povero di
team docente (negando di fatto il concetto di pluralità docente),
con una esplicita gerarchizzazione tra insegnanti (all’interno
dello stesso livello scolastico o tra i diversi tradizionali
livelli).
- Netta separazione tra una quota "tradizionale" del
curricolo (gestita in termini di insegnamento frontale e senza
nessun accenno alla compresenza) e quota "innovativa"
(presentata come laboratorio didattico extracurricolare, ma
affidata ad una totale aleatorietà di negoziazione con le
famiglie e precarietà negli organici docenti).
- Approccio moralistico ai problemi della dispersione e delle
difficoltà di apprendimento, visti quasi esclusivamente come
debolezza dell’impegno e della volontà personali, a prescindere
da un’analisi delle condizioni socio-culturali di appartenenza
degli allievi e dell’adeguatezza dei contesti didattici
predisposti dalla scuola.
- Enfasi sui meccanismi e procedure valutative standardizzate
(senza una necessaria analisi critica del loro impatto sulla
didattica), visti come unici indicatori di qualità, con forme di
pubblicizzazione dei risultati scolastici che rischiano di
incentivare una competitività scorretta tra le scuole.
- Vaghezza sulle fondazioni culturali degli eventuali nuovi piani
di studio, silenzio sulla dimensione dei contenuti di conoscenza,
ambiguità dei concetti di obiettivi formativi e di competenze.
- Nessun ripensamento dei profili terminali della scuola
secondaria superiore e dei relativi percorsi curricolari, in
relazione ad una ipotizzata riduzione (a 4 anni) della durata del
corso di studi (rispetto agli attuali 5 anni) e conseguente
scomparsa della funzione attribuita al biennio secondario
obbligatorio nella legge 30/2000.
- Affidamento al solo sistema universitario dei processi di
formazione in servizio e di professionalizzazione dei docenti, con
un sistema di accertamento di crediti accademici che sottovaluta
la dimensione della ricerca didattica e scientifica e dei guadagni
professionali che si realizzano nella scuola.
I punti di attenzione
Possiamo, ora, evidenziare alcuni punti di
interesse contenuti nei documenti Bertagna, che devono essere comunque
commisurati ai punti critici prima esposti, ma sui quali si potrebbero
avviare momenti di approfondimento, posto che esista – da parte
della attuale maggioranza – l’effettiva volontà politica e
tecnica del confronto e non, invece, la logica attuale del "punto
e a capo":
- Una maggiore flessibilità nei percorsi formativi, sia tra
curricoli scolastici a tempo pieno o in alternanza con esperienze
di lavoro, sia per le tipologie (percorsi più esplicitamente
culturali, altri più orientati verso settori professionali), sia
per la differenziazione delle durate e dei titoli conseguibili.
- Il possibile intreccio tra i diversi percorsi formativi
(scolastici e non), con meccanismi di integrazione e alternanza
che riconoscono anche il valore formativo delle esperienze di
lavoro.
- La definizione di standard nazionali nel sistema delle
certificazioni professionali e l’irrobustimento della filiera
professionale, anche con sbocchi verso il sistema universitario e
para-universitario.
- L’attivazione di meccanismi di riallineamento delle competenze
degli allievi nella fase di ingresso alla istruzione superiore
(universitaria e non), mediante moduli a durata variabile (fino ad
un anno), cogestiti da scuola e università/formazione superiore.
- Il ritmo biennale impresso al curricolo, che rende possibile la
differenziazione interna ad ogni biennio di percorsi, tempi,
obiettivi e verifiche formative. Il sistema di valutazioni
diagnostiche/formative all’inizio di ogni biennio sembra
finalizzato ad una progettazione modulata sui bisogni della classe
e degli allievi.
- La disponibilità di informazioni valutative su base
standardizzata, prioritariamente per incentivare pratiche
autovalutative delle scuole.
- La definizione di un’area irrinunciabile del curriculum, non
negoziabile con l’utenza, relativa ai saperi fondamentali da
proporre agli allievi.
- L’individuazione di filiere/indirizzi di istruzione secondaria
caratterizzati da poche discipline, coese, coerenti e compatte
(con una quota flessibile destinata non all’ampliamento, ma alla
eventuale intensificazione del "core curriculum").
- Il rinnovamento del sistema di formazione dei docenti,
impegnativo ed esteso, largamente unitario e omogeneo,
caratterizzato dall’equilibrio tra saperi disciplinari e saperi
professionali, con un accesso agevolato e guidato alla professione
(mediante tirocinio retribuito).
- Il riconoscimento della continuità/coerenza del curricolo come
principio ispiratore della formazione di base, nell’ambito di
una auspicata generalizzazione dell’istituto comprensivo dai 3
ai 14 anni.
I nodi problematici
In conclusione, presentiamo ora una serie di nodi
problematici che appaiono nel documento Bertagna 3. Si tratta di punti
comunque problematici per qualsiasi proposta di riforma degli
ordinamenti, non decisamente affrontati neppure nelle precedenti
ipotesi di riforma e fortemente elusi dal disegno di legge ora in
discussione. Su tali questioni è più che mai necessario un
approfondimento bipartisan. Se si condivide l’obiettivo di un’offerta
di opportunità diverse, ma di pari livello formativo; se si vuole
valorizzare un approccio alla conoscenza più disinteressato e
riflessivo (in tutti i settori: umanistico, scientifico, tecnologia),
ma anche un approccio più orientato all’operatività, alla
trasformazione, al legame con il mondo del lavoro, ma senza
prefigurare gerarchie sociali e immodificabili, a che età tutto ciò
può avvenire? In quali strutture scolastiche e formative? Con quali
relazioni tra i diversi sistemi?
Ecco alcune questioni riassunte per punti:
- Necessità di una valutazione più serena del significato e
delle conseguenze (vantaggi e svantaggi) della uscita dal sistema
scolastico a 18 anni, anche nel rapporto con le modifiche
apportate di recente alla diversa durata dei curricoli
universitari.
- Nel caso di una conferma dell’uscita a 18 anni, esigenza di
una comparazione più approfondita tra vantaggi e svantaggi di una
diversa durata del ciclo di base (8 o 7 anni) o del ciclo
secondario (5 o 4 anni), in termini di obiettivi formativi e
assetti curricolari, di aumento/diminuzione di opportunità
formative. La valutazione di impatto dovrebbe prevedere esplicite
ipotesi di utilizzo qualificato dei docenti eventualmente
eccedenti nel settore destinatario di "riduzione".
- Attenzione alle condizioni di qualificazione della scuola dell’infanzia,
alla sua espansione, all’integrazione tra diverse tipologie di
gestione con garanzia di standard verificati pubblicamente, alla
salvaguardia della durata triennale, agli "scompensi" di
un eventuale obbligo scolastico anticipato. Uno scorrimento a 5
anni dell’inizio della scuola primaria è sconsigliabile per
ragioni pedagogiche e perché segnerebbe la scomparsa
istituzionale della scuola dell’infanzia (ridotta ad un solo
biennio). L’apertura a bambini di età più ridotta (due anni,
due anni e mezzo) richiederebbe una tale quantità di attenzioni e
di risorse (rapporti numerici ridotti, restyling di ambienti e
strutture, riqualificazione del personale, ecc.) da non poter
essere presa alla leggere.
- Impegno per un piano pluriennale, con incentivi e sostegni e con
il coinvolgimento degli enti locali, che porti ad una
generalizzazione dell’istituto comprensivo come ambiente idoneo
a realizzare un curricolo verticale unitario di base, nel quale il
principio dell’individualizzazione didattica, della
personalizzazione dei percorsi deve avere come finalità la
sostanziale equivalenza dei risultati e non la precoce
discriminazione.
- Individuazione più esplicita dei vantaggi connessi alle riforme
prospettate, in termini di sviluppo professionale e di condizioni
giuridiche ed economiche per i docenti, e di qualità degli
ambienti scolastici (strutture, ecc.). In particolare, appare
urgente l’avvio di un piano di formazione in servizio, da
intendersi come sistema permanente di opportunità offerte ai
docenti ed alle scuole, nell’ottica di sistemi di
supporto/consulenza alla didattica (reti e centri risorse) e di
sostegno alla crescita individuale dei docenti (ad esempio, sotto
forma di una credit card formativa).
- Riconoscimento di un profilo largamente unitario della funzione
docente, con riconoscimento dei diversi impegni professionali, del
lavoro "sommerso", delle responsabilità assunte all’interno
della scuola, con prospettive di sviluppo verso l’alto di
carriera. Incentivazione di modelli organizzativi più articolati,
con assunzione di responsabilità (anche differenziate) in ordine
alla ricerca didattica, ai sistemi di autovalutazione, ai rapporti
con il territorio, alla cura degli ambienti didattici.
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