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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Caro Bertagna ti scrivo… 

… ma ci sono gli spazi e i tempi per una "vera" discussione?

di Giancarlo Cerini

 

Un po’ di storia

Le prime indiscrezioni sul contrastato disegno di legge del Governo per la riforma della scuola sembrano mettere in ombra le elaborazioni prodotte in queste ultime settimane dalla commissione di studio incaricata dal Ministro Letizia Moratti di apportare eventuali modifiche alla legge 30/2000. Anzi, qualcuno ha già parlato di un vero e proprio accantonamento del pacchetto Bertagna (dal nome del presidente del Gruppo Ristretto di Lavoro).

Ricordiamo che si tratta di tre documenti distinti:

  1. Il Rapporto iniziale (Bertagna 1), datato 18-11-2001, che contiene un’ampia presentazione della proposta di riforma, tuttavia criticata dagli stessi membri del Gruppo ristretto per talune "forzature" e "ridondanze" nelle argomentazioni;
  2. Il documento di accompagnamento (Bertagna 2), che illustra le reazioni alla proposta, sondate attraverso focus group con esperti e associazioni e visite ad un campione – per altro assai ristretto – di scuole (di Palermo, L’Aquila e Torino);
  3. La sintesi finale (Bertagna 3), pubblicata in data 14-12-2001, che presenta un approccio assai più problematico ai nodi critici del riordino e si conclude con una serie di raccomandazioni ai decisori politici.

Il disegno di legge in discussione è certamente il frutto di questo lavoro istruttorio, anche se poi hanno preso il sopravvento i veti incrociati tra le forze di maggioranza e le conseguenti mediazioni in sedi politiche e tecniche assai ristrette. Affiorano malumori all’interno della stessa compagine governativa per il metodo ed i tempi troppo ristretti concessi per la valutazione della proposta, che potrebbe sfociare nello strumento tecnico della legge di delega.

Sarebbe controproducente (ai fini di una indispensabile condivisione) affidare un processo di riforma di così ampia portata ad una delega "blindata" all’esecutivo. Inoltre, i progetti di legge, nella loro necessaria essenzialità, non dicono tutto, perché motivazioni, presupposti, intenzioni, inferenze, si devono dedurre dai lavori preparatori. A maggior ragione di fronte ad un testo di riforma che, dopo tanto parlare, sembra quasi la rassicurante riproposizione dell’esistente (con pochi ritocchi) o di fronte al quale si sono levate opposte interpretazioni, vuoi di prevalente continuità o di totale svolta, rispetto all’impostazione della legge n. 30 del 10-2-2000.

Ecco perché è utile tornare ai diversi documenti del Gruppo Bertagna, per interrogarli più a fondo, per operare un supplemento di istruttoria, per approfondire quei punti critici che con troppa disinvoltura sono stati dati per risolti nel disegno di legge Moratti.

Si nota, nel passaggio dall’uno all’altro dei documenti, una evoluzione delle proposte e delle argomentazioni. L’impianto complessivo dell’ipotesi non viene modificato, ma certi aspetti sono sottolineati con maggiore criticità (fino a delineare un abbandono di scelte iniziali, come nel caso del discusso "credito formativo" per la scuola dell’infanzia) ed altri vengono lasciati più aperti (come l’eventuale riduzione della durata della scuola secondaria da 5 a 4 anni). Anzi, in alcuni passaggi dell’ultimo documento sembra trapelare una sorta di disincanto circa la concreta possibilità di realizzare il disegno di una riforma che si troverebbe ingiustamente sotto un "attacco ideologico" pregiudiziale, non compresa nei suoi significati "democratici", a rischio di una deriva secessionistica per l’attuazione della "devolution" già prevista dalla legge costituzionale n. 3 del 18-10-2001.

 

Metodo "bipartisan", ma di altro profilo

Sia travaglio autentico della Commissione Bertagna o sia captatio benevolentiae di fronte ai primi segnali di dissenso, correttezza istituzionale vuole che si cerchi di produrre un’analisi costruttiva nei confronti della proposta, perché quando sono in gioco prospettive di sviluppo della scuola per i prossimi 10-15 anni (questi sono i tempi minimi di maturazione delle riforme strutturali nella scuola) occorre – di necessità – assumere un atteggiamento "bipartisan", che cerchi i punti di convergenza piuttosto che reiterare fin troppo facili posizioni di bandiera. I recenti esempi americano (di ampia intesa tra repubblicani e democratici sul progetto Bush di riforma della scuola pubblica) e spagnolo (di una riforma complessiva avviata dal socialista Gonzales e proseguita dal conservatore Aznar) dovrebbe spingere anche i governanti italiani verso possibili intese con l’opposizione, senza farsi tentare dallo "stato di grazia" di una maggioranza assicurata a priori.

Siamo altresì convinti che questa sia la richiesta che proviene dal mondo della scuola e degli operatori, che non vogliono essere trasformati in un campo di battaglia per eserciti contrapposti.

Certamente esistono oggi molti punti di divergenza tra maggioranza ed opposizione:

  • sulle scelte iniziali del nuovo Governo (blocco della legge 30/00, rallentamento dell’autonomia, sospensione dei progetti di innovazione nella scuola dell’infanzia, buio sulla formazione degli insegnanti);
  • sulle misure previste nella finanziaria (che al di là del dettaglio tecnico, del comma più o meno "ricucito" con i sindacati, lancia un segnale di "disimpegno" nei confronti della scuola pubblica);
  • su altre iniziative discutibili (come il recente blocco della riforma dell’amministrazione scolastica o la nomina di commissioni di studio a "senso unico", scarsamente rappresentative della scuola reale).

Ma il dissenso sulla politica quotidiana non può esimere da una riflessione più argomentata, punto su punto, sulle proposte che sono state offerte all’attenzione dell’opinione pubblica (pur in modi che hanno lasciato poco spazio alle voci critiche). Le riforme destinate a rimanere nel tempo non possono non scaturire da una lettura di ciò che la scuola ha "costruito" negli ultimi anni e che non può essere "bypassato" con proposte troppo lontane (o sentite come tali) dalla cultura della scuola e dei suoi operatori. Lo stesso effetto "ottico" –presunto o reale – di distanziamento dalla scuola reale è stato uno dei limiti patiti dal progetto riformatore del precedente Governo (ci riferiamo, in particolare, all’idea di scuola di base).

Siamo convinti che nelle esperienze migliori della scuola tanti insegnanti esprimono una capacità di lavoro che va ben al di là di quanto viene "visto" dall’opinione pubblica e di quanto viene "riconosciuto" dai pubblici poteri. Abbiamo netta la sensazione che la scuola sia più avanti di quella che viene delineata nel progetto di riforma (sia nei documenti Bertagna, sia nel disegno di legge). E’ di lì che bisogna ripartire: dalle buone pratiche della scuola dell’infanzia (la scuola "più amata" dagli italiani e che non si potrà manomettere con troppa disinvoltura), dall’attuazione generosa della riforma della scuola elementare (e ora delle proposte di curricoli verticali negli istituti comprensivi), dalle sperimentazioni innovative dei curricoli delle scuole secondarie (e dal loro legame con il mondo della cultura e delle imprese), dai gruppi di insegnanti impegnati nella ricerca didattica e professionale.

Il confronto con queste esperienze è un banco di prova decisivo per analizzare i segni di una riforma "democratica" (di ampliamento di nuove opportunità per tutti), pluralistica (di confronto tra le culture politiche, sociali, scientifiche presenti nel nostro paese), di qualità ed efficienza (e quindi di effettiva praticabilità). La mancata presa in carico di questo corpo vivo della scuola condannerebbe i nuovi progetti ad una palese sterilità. Spesso le riforme sulla carta, pur pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, non si trasformano in riforme praticate nella realtà delle scuole, nelle classi, tra gli studenti e gli allievi.

 

Ma allora, quali sono le domande, le questioni, i nodi irrisolti che questo corpo "vivo" della scuola esprime e che vorrebbe porre ai decisori di futuro? Le abbiamo raggruppate in tre grandi aree: i punti di criticità, i punti di condivisione, le questioni aperte.

 

Gli aspetti di "criticità"

Non per pregiudizio, dobbiamo partire dai punti di criticità del documento, contenuti anche nella versione "Bertagna 3", perché la loro mancata "rimozione" rischia di inficiare ogni possibile dialogo costruttivo. Analizziamo, allora, i limiti più significativi segnalati da molti operatori scolastici:

  1. Riduzione dell’obbligo scolastico a sole otto annualità rispetto alle nove attuali (anzi, lo stesso concetto di obbligo scolastico scompare) e anticipazione della scelta tra diversi canali di formazione a 14 anni, con la minaccia di un’ulteriore anticipazione "strisciante" nella fascia della scuola media.
  2. Differenziazione in tre filiere dei percorsi formativi dopo i 14 anni (licei, istruzione/formazione professionale, formazione in alternanza con il lavoro), caratterizzate da esiti qualitativamente diversi, che anticipano gerarchie sociali (ad esempio, tra chi esercita ruoli dirigenziali e chi no).
  3. Concezione antiquata della dimensione disciplinare delle conoscenze, come organizzazione in sé compiuta e chiusa dei saperi (impropriamente definita "secondaria"), trascurando gli aspetti formativi dell’incontro iniziale dei bambini con i sistemi simbolico-culturali (ridotto a mera evidenza senso-percettiva e impropriamente confinata nella "primarietà").
  4. Totale sottovalutazione dell’impianto culturale e "disciplinare" degli attuali programmi della scuola dell’infanzia (campi di esperienza), elementare (ambiti) e media (discipline) e della conseguente organizzazione del lavoro degli insegnanti; ripristino, per la scuola primaria, di un modello assai povero di team docente (negando di fatto il concetto di pluralità docente), con una esplicita gerarchizzazione tra insegnanti (all’interno dello stesso livello scolastico o tra i diversi tradizionali livelli).
  5. Netta separazione tra una quota "tradizionale" del curricolo (gestita in termini di insegnamento frontale e senza nessun accenno alla compresenza) e quota "innovativa" (presentata come laboratorio didattico extracurricolare, ma affidata ad una totale aleatorietà di negoziazione con le famiglie e precarietà negli organici docenti).
  6. Approccio moralistico ai problemi della dispersione e delle difficoltà di apprendimento, visti quasi esclusivamente come debolezza dell’impegno e della volontà personali, a prescindere da un’analisi delle condizioni socio-culturali di appartenenza degli allievi e dell’adeguatezza dei contesti didattici predisposti dalla scuola.
  7. Enfasi sui meccanismi e procedure valutative standardizzate (senza una necessaria analisi critica del loro impatto sulla didattica), visti come unici indicatori di qualità, con forme di pubblicizzazione dei risultati scolastici che rischiano di incentivare una competitività scorretta tra le scuole.
  8. Vaghezza sulle fondazioni culturali degli eventuali nuovi piani di studio, silenzio sulla dimensione dei contenuti di conoscenza, ambiguità dei concetti di obiettivi formativi e di competenze.
  9. Nessun ripensamento dei profili terminali della scuola secondaria superiore e dei relativi percorsi curricolari, in relazione ad una ipotizzata riduzione (a 4 anni) della durata del corso di studi (rispetto agli attuali 5 anni) e conseguente scomparsa della funzione attribuita al biennio secondario obbligatorio nella legge 30/2000.
  10. Affidamento al solo sistema universitario dei processi di formazione in servizio e di professionalizzazione dei docenti, con un sistema di accertamento di crediti accademici che sottovaluta la dimensione della ricerca didattica e scientifica e dei guadagni professionali che si realizzano nella scuola.

 

I punti di attenzione

Possiamo, ora, evidenziare alcuni punti di interesse contenuti nei documenti Bertagna, che devono essere comunque commisurati ai punti critici prima esposti, ma sui quali si potrebbero avviare momenti di approfondimento, posto che esista – da parte della attuale maggioranza – l’effettiva volontà politica e tecnica del confronto e non, invece, la logica attuale del "punto e a capo":

  1. Una maggiore flessibilità nei percorsi formativi, sia tra curricoli scolastici a tempo pieno o in alternanza con esperienze di lavoro, sia per le tipologie (percorsi più esplicitamente culturali, altri più orientati verso settori professionali), sia per la differenziazione delle durate e dei titoli conseguibili.
  2. Il possibile intreccio tra i diversi percorsi formativi (scolastici e non), con meccanismi di integrazione e alternanza che riconoscono anche il valore formativo delle esperienze di lavoro.
  3. La definizione di standard nazionali nel sistema delle certificazioni professionali e l’irrobustimento della filiera professionale, anche con sbocchi verso il sistema universitario e para-universitario.
  4. L’attivazione di meccanismi di riallineamento delle competenze degli allievi nella fase di ingresso alla istruzione superiore (universitaria e non), mediante moduli a durata variabile (fino ad un anno), cogestiti da scuola e università/formazione superiore.
  5. Il ritmo biennale impresso al curricolo, che rende possibile la differenziazione interna ad ogni biennio di percorsi, tempi, obiettivi e verifiche formative. Il sistema di valutazioni diagnostiche/formative all’inizio di ogni biennio sembra finalizzato ad una progettazione modulata sui bisogni della classe e degli allievi.
  6. La disponibilità di informazioni valutative su base standardizzata, prioritariamente per incentivare pratiche autovalutative delle scuole.
  7. La definizione di un’area irrinunciabile del curriculum, non negoziabile con l’utenza, relativa ai saperi fondamentali da proporre agli allievi.
  8. L’individuazione di filiere/indirizzi di istruzione secondaria caratterizzati da poche discipline, coese, coerenti e compatte (con una quota flessibile destinata non all’ampliamento, ma alla eventuale intensificazione del "core curriculum").
  9. Il rinnovamento del sistema di formazione dei docenti, impegnativo ed esteso, largamente unitario e omogeneo, caratterizzato dall’equilibrio tra saperi disciplinari e saperi professionali, con un accesso agevolato e guidato alla professione (mediante tirocinio retribuito).
  10. Il riconoscimento della continuità/coerenza del curricolo come principio ispiratore della formazione di base, nell’ambito di una auspicata generalizzazione dell’istituto comprensivo dai 3 ai 14 anni.

 

I nodi problematici

In conclusione, presentiamo ora una serie di nodi problematici che appaiono nel documento Bertagna 3. Si tratta di punti comunque problematici per qualsiasi proposta di riforma degli ordinamenti, non decisamente affrontati neppure nelle precedenti ipotesi di riforma e fortemente elusi dal disegno di legge ora in discussione. Su tali questioni è più che mai necessario un approfondimento bipartisan. Se si condivide l’obiettivo di un’offerta di opportunità diverse, ma di pari livello formativo; se si vuole valorizzare un approccio alla conoscenza più disinteressato e riflessivo (in tutti i settori: umanistico, scientifico, tecnologia), ma anche un approccio più orientato all’operatività, alla trasformazione, al legame con il mondo del lavoro, ma senza prefigurare gerarchie sociali e immodificabili, a che età tutto ciò può avvenire? In quali strutture scolastiche e formative? Con quali relazioni tra i diversi sistemi?

 

Ecco alcune questioni riassunte per punti:

  1. Necessità di una valutazione più serena del significato e delle conseguenze (vantaggi e svantaggi) della uscita dal sistema scolastico a 18 anni, anche nel rapporto con le modifiche apportate di recente alla diversa durata dei curricoli universitari.
  2. Nel caso di una conferma dell’uscita a 18 anni, esigenza di una comparazione più approfondita tra vantaggi e svantaggi di una diversa durata del ciclo di base (8 o 7 anni) o del ciclo secondario (5 o 4 anni), in termini di obiettivi formativi e assetti curricolari, di aumento/diminuzione di opportunità formative. La valutazione di impatto dovrebbe prevedere esplicite ipotesi di utilizzo qualificato dei docenti eventualmente eccedenti nel settore destinatario di "riduzione".
  3. Attenzione alle condizioni di qualificazione della scuola dell’infanzia, alla sua espansione, all’integrazione tra diverse tipologie di gestione con garanzia di standard verificati pubblicamente, alla salvaguardia della durata triennale, agli "scompensi" di un eventuale obbligo scolastico anticipato. Uno scorrimento a 5 anni dell’inizio della scuola primaria è sconsigliabile per ragioni pedagogiche e perché segnerebbe la scomparsa istituzionale della scuola dell’infanzia (ridotta ad un solo biennio). L’apertura a bambini di età più ridotta (due anni, due anni e mezzo) richiederebbe una tale quantità di attenzioni e di risorse (rapporti numerici ridotti, restyling di ambienti e strutture, riqualificazione del personale, ecc.) da non poter essere presa alla leggere.
  4. Impegno per un piano pluriennale, con incentivi e sostegni e con il coinvolgimento degli enti locali, che porti ad una generalizzazione dell’istituto comprensivo come ambiente idoneo a realizzare un curricolo verticale unitario di base, nel quale il principio dell’individualizzazione didattica, della personalizzazione dei percorsi deve avere come finalità la sostanziale equivalenza dei risultati e non la precoce discriminazione.
  5. Individuazione più esplicita dei vantaggi connessi alle riforme prospettate, in termini di sviluppo professionale e di condizioni giuridiche ed economiche per i docenti, e di qualità degli ambienti scolastici (strutture, ecc.). In particolare, appare urgente l’avvio di un piano di formazione in servizio, da intendersi come sistema permanente di opportunità offerte ai docenti ed alle scuole, nell’ottica di sistemi di supporto/consulenza alla didattica (reti e centri risorse) e di sostegno alla crescita individuale dei docenti (ad esempio, sotto forma di una credit card formativa).
  6. Riconoscimento di un profilo largamente unitario della funzione docente, con riconoscimento dei diversi impegni professionali, del lavoro "sommerso", delle responsabilità assunte all’interno della scuola, con prospettive di sviluppo verso l’alto di carriera. Incentivazione di modelli organizzativi più articolati, con assunzione di responsabilità (anche differenziate) in ordine alla ricerca didattica, ai sistemi di autovalutazione, ai rapporti con il territorio, alla cura degli ambienti didattici.

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