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Immaginario collettivo e senso comune Il dibattito (e il conflitto) che si è acceso attorno ai decreti estivi del Governo per il contenimento della spesa pubblica, ove è prevista tra le tante anche una misura di “rimodulazione dell’organizzazione didattica della scuola primaria”, si è via via trasformato in un giudizio “tranchant” sulla attuale organizzazione della scuola elementare e in una ricostruzione spesso sommaria di quanto è avvenuto negli ultimi vent’anni, in particolare con la riforma degli ordinamenti del 1990 ed i programmi didattici del 1985. Sulle prime pagine dei giornali ha tenuto banco l’“amarcord” di molti intellettuali e “maitres a pansèe” circa le virtù magiche del maestro unico incontrato nella loro giovinezza (e forse la nostalgia è per quell’età che fugge via) e molti opinionisti si sono ingegnati a mettere in evidenza la mancanza di “anima” e l’anonimato o peggio la confusione che regnerebbe nelle nostre classi elementari, in preda ad un frenetico susseguirsi di figure docenti di poco peso e di scarso valore educativo. Attorno alla scuola elementare ed al suo futuro, problema legittimo e sensato (ma non si capisce perché ad ogni cambio di legislatura si debba “riformare” per prima sempre la scuola elementare), si è sviluppato una sorta di psicodramma sociale ove tutto e tutti si sono sentiti in dovere di intervenire, dalla reginetta dei concorsi di bellezza all’austero Ministro dell’Economia. Solo le maestre elementari hanno stentato ad ottenere un doveroso “diritto di tribuna”, se non altro per spiegare cos’è oggi la scuola elementare, quanto sia diventato complesso il rapporto con bambini così diversi, colorati, curiosi, ma immersi in una permanente vetrina di immagini, spot, schermi televisivi, stili di vita…, come non sia scontato attribuire un significato condiviso (da parte di insegnanti, bambini e genitori) all’andare a scuola ogni mattina, come sia difficile dialogare con genitori con aspettative spesso contraddittorie.
Elementare, scuola “popolare” La scuola elementare è un grande fenomeno sociale, prima ancora di essere una articolazione del sistema di istruzione; è un luogo universale che affronta da subito l’impatto con le nuove tendenze demografiche, sociali, culturali della popolazione del nostro paese. Oggi, ad esempio, accoglie nelle sue aule una quota crescente di bambini non italiani (siamo ora all’8,5%), ma in alcuni territori oltre il 15-20%, dovendo imparare a costruire nuove grammatiche di convivenza, a ridare senso all’alfabetizzazione funzionale, a praticare inedite forme di dialogo sociale. Se c’è conflitto attorno alla scuola elementare, al suo modo di essere, ai suoi valori, viene messa a repentaglio la funzione di “pacificazione sociale” (il richiamo è di C. Scurati) che questa istituzione diffusa ed estesa (sia nel suo insediamento che nei suoi tempi di funzionamento) ha svolto in Italia, non solo nell’età della Repubblica ma fin dall’unificazione del nostro paese. Tab. 1 – Il posizionamento della scuola elementare nel nostro sistema educativo. Scuola statale. A.s. 2007/08.
Fonte: MIUR, 2008 Le semplificazioni di queste settimane, il “ritorniamo al maestro unico” (unito magari al ripristino del voto, ad un orario scolastico ridotto, ad una scuola in bianco e nero, ivi compresi i grembiulini) non rendono ragione della delicatezza di questo “ambiente educativo di apprendimento” (la bella definizione è negli ineguagliati programmi didattici del 1985), ove ci si prende cura dei nostri piccoli, delle loro fragilità e del loro desiderio di autonomia e di crescita, in cui si cerca di trasformare il loro piacere di stare insieme (che è ancora il grande punto di forza della scuola) nella voglia di apprendere, di essere curiosi, di diventare competenti nella conoscenza del mondo che li circonda.
Facciamo pure i conti… E’ vero, ci sono le ragioni della spesa pubblica. E’ fin troppo facile evocare l’immagine insopportabile (!?) di tre maestre contemporaneamente in una classe (e sarebbe invece corretto ricordare che, semmai si tratta di tre figure che si alternano in due classi: quindi con un più contenuto rapporto 1,5 : 1). Ma altri dati, che non vengono mai citati, dovrebbero essere conosciuti per poter esprimere un giudizio anche in merito al rapporto costi-benefici. Intanto, il modello organizzativo della scuola elementare è assai vicino a quello di tutti gli altri segmenti scolastici, anzi, il rapporto docenti per classe (1,77) è inferiore (quindi più virtuoso) di quello della scuola media (2,10), delle superiori (1,93) e della scuola dell’infanzia (1,97). Semmai va ricordato che la presenza della scuola elementare in ogni contrada del nostro territorio (sono oltre 16.000 gli insediamenti scolastici) risponde ai caratteri di una scuola di comunità, ma che questo implica un elevato numero di classi e rapporti numerici (es.: alunni per classe) più bassi. Tab. 2 – Indicatori su alcuni aspetti del funzionamento delle scuole statali italiane. A.S. 2007/08.
Piuttosto che azzerare un modello organizzativo costruito nel corso degli anni sarebbe necessario interrogarsi su questa presenza distribuita della scuola elementare nel territorio, sui suoi vantaggi e svantaggi, sulla flessibilità del modello organizzativo nei diversi contesti (piccole scuole, tempo pieno, aree urbane a forte immigrazione). L’organico funzionale, abbozzato a metà degli anni ’90 proprio a seguito delle prime verifiche della riforma modulare della scuola elementare, ma mai attuato, sarebbe la via maestra anche per ridurre eventuali zone di spreco e commisurare le risorse all’effettiva complessità dell’organizzazione scolastica (numero degli allievi, orari di funzionamento, situazioni di disagio, ecc.). Questo approccio, che stempera anche la querelle di “quanti insegnanti in classe?” è da considerare un fondamentale istituto di autonomia, in quanto “demanda al progetto responsabile delle scuole la competenza circa l’impiego del personale…per tutte le attività didattiche previste” (CM n. 53 del 12-2-1998).
Da dove veniamo Ma l’emergenza sui conti pubblici, da sola, non spiega la disputa di oggi sulla scuola elementare. C’è dell’altro. C’è una forte rimessa in discussione dei principi pedagogici (delle cd. fumisterie psicopedagogiche, a detta di autorevoli rappresentanti dell’establishment politico) sui quali si è costruita la nuova scuola elementare dagli anni settanta ad oggi. Certamente l’ordinamento attuale risale all’accoppiata programmi-riforma del 1985-1990, ma il profilo pedagogico viene da prima, dall’avvio del tempo pieno (1971), dalla introduzione dei concetti di valutazione formativa, flessibilità organizzativa, integrazione scolastica (1977), dai primi vagiti della ricerca sul curricolo, dalla ambizione “bruneriana” dell’incontro con la cultura fin da piccoli, del ruolo formativo dei sistemi simbolici e dei linguaggi che danno forma al pensiero. Dunque, è il tema della alfabetizzazione culturale che sostiene l’idea di una pluralità di presenze di insegnanti nella scuola elementare, oltre che nella scuola dell’infanzia (lì, il “doppio” organico paritario delle due docenti nasce nel 1978 con la legge 463). Negli anni ’80 ci sarà pure stata la pressione dell’occupazione dei maestri (ma va ricordato che in quegli anni il rapporto medio di alunni per classe (fuori controllo) si elevò da 14 a 18 e che si realizzò un consistente aumento del tempo-scuola e dei servizi erogati alle famiglie. Ma a noi piace ricordare piuttosto le suggestioni del dibattito culturale di allora, le passioni suscitate dai programmi didattici (con impegnativi piani obbligatori di formazione in servizio), la ri-scoperta delle discipline e di una buona didattica nell’organizzare lo sviluppo progressivo della conoscenza.
Alle radici del team docente Non basta un solo docente per aiutare i bambini ad incontrare la ricchezza dei saperi. E’ un’idea povera (e forse benevolmente paternalistica) quella che vorrebbe affidare ad una sola figura il “filtro” dei tanti stimoli che giungono spesso disordinatamente ai bambini (linguaggi, forme espressive, gadget tecnologici, strumenti, riferiti al mondo dell’arte, della musica, delle scienze, della storia, delle lingue, ecc.), ma che vanno riorganizzati, ristrutturati, rielaborati per conoscere la realtà, per comprenderla, per descriverla. Ogni disciplina può diventare una “finestra aperta” sul mondo, non però se viene trasmessa come un corpus statico di conoscenze già date, ma perché ognuna è uno spazio simbolico da percorrere e da agire (ecco la didattica “operativa”) maneggiando –di volta in volta- immagini, rappresentazioni, simboli, codici che “alimentano” e “vestono” l’intelligenza (Olson). Sono gli insegnanti i portatori di questi diversi saperi, ed è bene che ne siano competenti, appassionati (non basta sapere di tutto un po’, in tono minore, perché tanto ci sono i bambini). Anche il maestro di scuola è persona “colta”. Ma è bene che padroneggi anche tutte le arti della mediazione didattica; solo in questo modo l’incontro tra bambini e saperi, tra esperienza e conoscenza (Dewey) può produrre apprendimento generativo, quadri di riferimento, abilità e competenze. Magari attraverso quella “conversazione animata” che si sviluppa ogni mattina in classe (Bruner).
La domanda di unitarietà Sono queste le ragioni nobili del team docente, la sollecitazione a prendersi cura insieme (come gruppo di docenti competenti ed appassionati dei “saperi”) dell’educazione di un gruppo di bambini, incrementando la qualità degli stimoli culturali e della mediazione didattica, attraverso la cooperazione, la condivisione, la riflessione comune (nasce di qui il tempo obbligatorio dedicato alla programmazione ed alla verifica del lavoro settimanale da realizzare in classe). Evidentemente ci sono anche dei rischi in questo elogio della pluralità. Sono possibili dei tradimenti. Può diventare prevalente la separazione dei saperi (con il suo corredo precoce di quaderni, di ore, di cattedre, di insegnanti) a scapito di una indispensabile esigenza di unitarietà dell’insegnamento, di una ricostruzione “sensata” delle tante sollecitazioni culturali che i ragazzi ormai ricevono, anche a scuola. E’ un problema che ben conosciamo, che non possiamo porre a carico dei soli maestri elementari e del loro team (a “geometria variabile”): ricordiamoci dei 9 docenti di una prima media o dei 12 insegnanti di una classe di istituto tecnico? Qual è l’impatto dello specialismo degli insegnanti (tant’è che la loro identità spesso si identifica con la loro disciplina, la prof… di matematica) sul senso unitario dell’apprendere dei ragazzi? Che dire delle tendenze più recenti della ricerca epistemologica che raccomandano la connessione e la convergenza tra le discipline, unica azione che consente di metterne in evidenza la loro forza generativa. Come promuovere le discipline di confine (l’ecologia, la cosmologia, le scienze della terra, ecc.) che si presentano senza dubbio come quelle più stimolanti per il pensiero (Morin)? Come imbrigliare il ricorrente dibattito sulle abilità trasversali, sulle competenze, sulle life skills?
Necessità di una evoluzione positiva Non sempre l’organizzazione modulare ha mantenuto l’impegno di qualificare l’incontro con le discipline attraverso la partecipazione diretta dei bambini, attraverso il loro agire, manipolare, eseguire, osservare, rappresentare, costruire, comunicare, ecc. azioni che spesso sono sacrificate quando l’insegnamento disciplinare tende a far prevalere un approccio “mentalista”, contenutistico, piuttosto che operativo-costruttivo. E’ un forte richiamo a riscoprire il senso dell’unitarietà dell’insegnamento, a non farsi prendere dall’ansia da programmi, da una didattica “insegnativa” (la definizione è di E. Damiano), a riscoprire tempi più distesi magari attraverso un’organizzazione didattica per ambiti (tipica della riforma del 1990) o per aree (come richiamato nelle Indicazioni per il 2007). La pluralità dei docenti è nata per arricchire la relazione educativa con i bambini, per offrire un ambiente più equilibrato, presentare più punti di vista sulle cose e non una unica “lettura” semplificata della realtà. Qualche volta queste motivazioni si sono appannate, facendo prevalere la logica tipica della scuola secondaria. Occorre riscoprirle. Non solo per allontanare lo spauracchio del ripristino del maestro unico (evento che –di fatto- appare improbabile, tenendo conto della varietà di presenze nella scuola: docenti per il tempo pieno, per il sostegno, per la lingua straniera, altre figure ecc.), ma per tener fermo il principio per cui si decise di superare quella figura, cioè per rendere più efficace l’azione didattica degli insegnanti, per far interagire esperienze e vissuti dei bambini con nuovi stimoli culturali, per dare consistenza ed unitarietà alle esperienze di apprendimento, per costruire motivazioni e senso per le cose che si fanno insieme a scuola. Di fronte alle semplificazioni di oggi, ai blitz finanziari, alla nostalgia verso la figura del maestro unico, riteniamo che attorno al futuro della scuola elementare si debba sviluppare un dibattito ampio, che possa aiutare a reinterpretare anche bisogni ed esigenze espresse malamente dalla “vertenza maestro unico”. Ci riferiamo: - alle funzioni di cura educativa (di accoglienza, ascolto, orientamento, accompagnamento, esplorazione delle potenzialità e degli stili di apprendimenti di ogni alunno); sono funzioni delicate e quasi intime, da condividere tra tutti i docenti di un team, studiando al meglio l’esercizio di forme di tutorialità verso gli alunni; - al coordinamento del team docente, cioè di un gruppo di professionisti, che devono garantire coesione, tenuta del compito, documentazione dei percorsi, integrazione degli apporti; - al rapporto tra le diverse discipline, anche con diversa consistenza oraria (ad esempio, più lingua italiana e matematica), alla loro aggregazione in ambiti e aree (che è responsabilità attribuita al collegio dei docenti), ai ritmi della settimana, all’equilibrio di una giornata e di una settimana “distesa.
Sono questioni che non possono essere affrontate a colpi di decreti legge e regolamenti amministrativi, ma aprendo un forte confronto a tutto campo sul senso della scuola elementare oggi, sulle sue tipologie organizzative, sui suoi punti di criticità e sulle sue positività, sulle sue virtù e sugli eventuali sprechi, contenendo con la saggia riflessione lo straripante impatto emotivo che essa ha con l’immaginario di genitori, opinione pubblica, gente comune, uomini di cultura.
* Questo articolo apparirà nel prossimo numero di “Insegnare” rivista del CIDI |
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