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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Prime riflessioni sulla “bozza di decreto” di sperimentazione per la scuola dell’infanzia e per le prime classi della scuola elementare

a cura di Mariella Spinosi

Art. 1
Progetto nazionale di sperimentazione

1. È promosso un progetto di sperimentazione in ambito nazionale al quale possono partecipare un numero limitato di scuole statali: non più di due circoli didattici per ogni provincia nonché due scuole paritarie per ogni capoluogo di Regione.

Sono coinvolti nel progetto di sperimentazione:

-          200 circoli didattici, presumibilmente 2 classi prime e 3 sezioni di scuola dell’infanzia per ogni circolo, (cfr. art. n. 7: “Flessibilità organizzativa nella scuola elementare”, commi 5 e 6 e “Indicazioni nazionali per i piani personalizzati delle attività educative nelle scuole dell’infanzia” [1] , paragrafo: “Vincoli organizzativi”, punto 3).

-          40 scuole paritarie (presumibilmente 2 classi prime e 3 sezioni di scuola dell’infanzia per ogni scuola paritaria)

Il termine “possono” sta ad indicare che il numero potrebbe essere anche inferiore, considerando il successivo “non più di…”. Ciò farebbe pensare ad un’iniziativa di poco conto (in passato, diverse sperimentazioni di analoga consistenza numerica sono state realizzate piuttosto in sordina, senza coinvolgere il Consiglio dei ministri, e senza risonanze sulla stampa nazionale).

In effetti, da un’analisi più approfondita sulla composizione di una direzione didattica relativa ai soggetti coinvolti, potrebbe risultare una sperimentazione più consistente rispetto alle premesse minimaliste degli stessi esponenti della maggioranza (il presidente del consiglio aveva suggerito un “assaggio” in tre scuole: una al nord, una al centro e una al sud; l’onorevole Giovanardi aveva mediato proponendone una 40).

Va ricordato, infatti, che ad ogni direzione didattica fanno capo in media circa 4 plessi di scuola elementare e di 2 o 3 plessi di scuola dell'infanzia, e che l’adesione alla sperimentazione delle duecento direzioni didattiche sembrerebbe intendersi per tutte le classi prime elementari e le sezioni dell’infanzia ivi comprese. In tal caso le 200 direzioni didattiche portano come conseguenza il coinvolgimento di circa 800 plessi e, mediamente, di 500 di scuole dell'infanzia (a ciò si aggiungono le 40 scuole paritarie comprensive dell’uno e dell’altro grado di scuola).

In totale ci saranno circa 2.500 classi, 6/7 mila docenti e oltre 50 mila bambini.

Una quantità ben superiore a quella ipotizzata all'indomani del no del Consiglio dei ministri alla sperimentazione generalizzata.

Potrebbe diventare un test interessante se accompagnata dai necessari supporti a livello nazionale e territoriale volti a conferire un carattere di attendibilità (se non proprio di scientificità). Cercheremo di capire, anche nel corso dell’analisi degli altri articoli del decreto, se ci saranno le condizioni reali perché la sperimentazione possa diventare una cosa seria (tempi adeguati, risorse disponibili, azioni di monitoraggio tempestive, sistemi di supporto e consulenza, verifiche dei processi e degli esiti…).

Il riferimento diretto alle “direzioni didattiche” farebbe presupporre l’esclusione degli istituti comprensivi. Ma, se non ci saranno ulteriori precisazioni in merito, si è propensi ad interpretare tale riferimento come un’imprecisione o omissioni piuttosto che come una volontà di esclusione, ciò almeno per due ordini di ragioni:

a)      perché gli istituti comprensivi rappresentano la tipologia di scuola più diffusa sul piano nazionale (3284 istituti comprensivi, contro 2703 circoli didattici e 2347 scuole medie);

b)      perché essi sono stati posti nelle condizioni di sperimentare più degli altri la flessibilità organizzativa, gli scambi professionali, i laboratori di ricerca, la personalizzazione dell’insegnamento… temi questi richiamati dall’attuale progetto di sperimentazione.

 

2. La sperimentazione, da attuarsi nell’anno scolastico 2002/2003, è volta ad attivare e a favorire laboratori di ricerca sui temi attinenti alla riforma degli ordinamenti scolastici nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole elementari e, per quest’ultime, limitatamente alla prima classe.

La questione dei laboratori, qui appena sfiorata, costituisce uno dei richiami più ricorrenti sia nei precedenti documenti del gruppo ristretto di lavoro (grl) coordinato dal prof. Bertagna, sia nei documenti allegati alla bozza di decreto (cfr “Raccomandazioni per l’attuazione delle Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati nella scuola primaria” [2] ). Si potrebbe, per questo, dedurre che “i laboratori di ricerca” oltre a costituire una modalità di approccio al sapere che la scuola è invitata a favorire, possono rappresentare anche oggetti della sperimentazione.

Secondo le Raccomandazioni (che non hanno carattere prescrittivo, ma orientativo), i laboratori previsti per la scuola primaria sono 6:

-          Attività informatiche

-          Attività di Lingue

-          Attività espressive

-          Attività di progettazione

-          Attività motorie e sportive

-          Larsa (laboratorio di recupero e sviluppo degli apprendimenti).

Secondo le stesse Raccomandazioni i laboratori possono essere predisposti all’interno dell’Istituto e/o tra più Istituti in rete, servendosi dell’organico d’Istituto e di rete a disposizione. Gli scambi professionali, che costituivano un’opportunità quasi esclusiva degli Istituti Comprensivi, si allargano, in tal modo, anche tra più istituti o ordini di scuola.

Abbastanza complesso risulta un possibile utilizzo dei docenti tra scuole diverse (in rete). E le difficoltà organizzativo-funzionali possono avere ripercussioni anche sui trattamenti di tipo contrattuale (regole, garanzie, obblighi…) ed economico (acquisizione di risorse per compensare eventuali impegni eccedenti, modalità, criteri…)

In ogni caso, tali docenti dovranno entrare a pieno titolo a far parte dell’équipe pedagogica che realizza l’apprendimento della scuola primaria, allo scopo di garantire una mediazione didattica adeguata e di operare in modo integrato per tempi e contenuti con gli altri docenti della classe.

Per gli istituti comprensivi, invece, questa indicazione rappresenta un’ulteriore formalizzazione di una consuetudine oramai acquisita (docenti li lingua straniera, musica, attività motorie… che operano sui tre gradi di scuola). Anche per questo motivo, sembra improbabile che il decreto voglia escluderli dalla sperimentazione (cfr. comma precedente).

I laboratori sono a carattere opzionale. L’alunno viene aiutato nella scelta dal docente tutor (cfr. art. 7 flessibilità organizzativa della scuola elementare) in accordo con gli altri docenti e la famiglia, ed ogni opzione è inserita nel Piano di studi personalizzato (cfr in Raccomandazioni elem: “I laboratori: consigli per l’uso”).

Pe la scuola dell’infanzia i laboratori suggeriti (cfr Raccomandazioni per lo svolgimento delle attività educative e didattiche nelle scuole dell’infanzia del sistema nazionale d’istruzione [3] ”) riguardano:

-          le attività di simulazione (gioco del far finta)

-          la fruizione e la produzione dei linguaggi non verbali

-          l’elaborazione di specifici progetti.

3. Nelle suddette scuole, ove esistano le condizioni, può essere sperimentata anche l’anticipazione della frequenza, limitatamente ad un circolo didattico per ciascuna provincia e a una scuola paritaria per ciascun capoluogo di Regione:

-   nella scuola dell’infanzia, per le bambine ed i bambini che compiono i tre anni di età entro il 28 febbraio 2003;

-   nelle classi prime della scuola elementare, per le bambine ed i bambini che compiono i sei anni di età entro il 28 febbraio 2003.

Qui si fa riferimento alle condizioni di fattibilità che in realtà non sono ancora annunciate. Esse vengono ricavate, a volte anche in termini inferenziali, nei commi e articoli successivi.

È abbastanza prevedibile che la questione dell’anticipo diventi il tema di maggiore interesse per le famiglie e di conseguenza anche per i media.

Per le prime, infatti, possono costituire una modalità efficace per risolvere alcuni problemi organizzativi (gli asili nido sono costosi e rari, come pure il ricorso quotidiano a brave babysitter). Per i media, è più facile parlare di aspetti quantitativi piuttosto che avviare un complesso dibattito di tipo pedagogico didattico che tutta la proposta di riforma meriterebbe. Ciò che disturba, però, è proprio la mancanza di una seria analisi in merito e il dubbio reale che la scelta sia stata effettuata solo per motivi residuali viste le forti opposizioni della scuola elementare, media e superiore a ridurre di un anno i rispettivi corsi di studio, essendo venuta a cadere l’ipotesi della scuola di base in un unico segmento e volendo contestualmente far completare il corso di studi entro il diciottesimo anno di età, in sintonia con le scelte della maggior parte dei paesi europei.

La questione dell’anticipo resta comunque controversa anche per le stesse forze di maggioranza le quali, in più circostanze, hanno mostrato opinioni diverse, a volte anche contrastanti.

4. Ai fini di cui al comma precedente, viene consentita la riapertura delle iscrizioni nei confronti degli alunni interessati solo dopo che l’istituzione scolastica sia stata inserita nel piano regionale di sperimentazione.

 

La riapertura delle iscrizioni può costituire un serio problema soprattutto per i tempi ristretti rispetto all’inizio dell’anno scolastico, considerando che alcune scuole riaprono il 9 settembre e che, per quella data, neanche il CNPI sarà in grado di esprimere il parere obbligatorio richiesto (non vincolante). Si prevede l’espressione di tale parere  il 10 settembre pv.

Le scuole coinvolte, inoltre, dovranno essere inserite nel piano regionale di sperimentazione definito in sede regionale. Sembra che allo stato attuale (primi di settembre) poche siano le direzioni regionali che abbiano avviato le necessarie procedure.

Le scuole, a questo proposito, si stanno ponendo alcune domande: se la scelta sarà effettuata dall’amministrazione indipendentemente dalla volontà delle stesse o se invece saranno messe nelle condizioni di autoproporsu, fermo restando la selezione finale dell’amministrazionese (che dovrebbe avvenire su criteri trasparenti); se devono, quindi, autocandidarsi solo sulla base di una bozza di decreto per essere inserite nel piano, o se invece devono aspettare alcuni “segnali” formali dell’ufficio scolastico regionale (definizione di condizioni e criteri, procedure e modalità, garanzie e supporti…).

Nel caso di una scelta di tipo verticistico sicuramente potranno essere accelerati i tempi, ma verrebbero a mancare le condizioni di trasparenza, che possono influire negativamente sulla scuola in genere. Inoltre un’adesione al piano senza il necessario coinvolgimento degli organi collegiali (i tempi lo fanno presupporre) partirebbe con ulteriori difficoltà.

Nella prospettiva di un coinvolgimento democratico e partecipato, vanno preparate, dall’ufficio scolastico regionale, le strategie di condivisione con la definizione di tempi e modalità, vanno interpellare preventivamente tutte le scuole (in modo particolare quelle che si presentano già con i requisiti essenziali), vanno avviate azioni informative accurate perché esse possano predisporre il progetto di sperimentazione (cfr art. 2, Requisiti del progetto).

La mole di lavoro tecnico, malgrado la solerzia di cui gli stessi uffici sicuramente daranno prova, fa prevedere tempi oltre l’inizio della scuola.

Queste difficoltà dovrebbero suggerire alle forze politiche di soprassedere sulla questione dell’anticipo rimuovendola dal pacchetto sperimentale, a meno che non si voglia avvalorare la tesi che già un numero di scuole, superiore al fabbisogno, abbia espresso la volontà di aderire al progetto sperimentale inviando l’adesione al ministero e scavalcando così tutte le  procedure che garantiscono democraticità e trasparenza.

5. Per quanto riguarda la scuola dell’infanzia, la sperimentazione dell’anticipo può essere attuata, oltre che in presenza di effettive condizioni di fattibilità, previa intesa con gli Enti Locali interessati.

Scuola dell’infanzia

Si fa di nuovo riferimento alle condizioni di fattibilità non ancora esplicitate (vedi sopra), ma qui l’intesa con gli Enti locali appare come un presupposto ineludibile per le scuole che vogliono sperimentare l’anticipo.

Non si può ignorare che la presenza del nido è poco diffusa a livello nazionale. Ci sono comuni che non si possono permettere tale servizio, ci sono nidi che soddisfano solo una percentuale della domanda. La possibilità dell’anticipo costituisce sicuramente una novità interessante per gli Enti locali che, in tal modo, si trovano ad ampliare il servizio senza ulteriori ed onerosi impegni di bilancio. A partire da queste considerazioni, è probabile che essi siano disposti a ridislocare parte delle risorse, virtualmente economizzate, per venire incontro alle esigenze della sperimentazione della riforma. Però, malgrado l’auspicabile supporto dell’Ente locale, torna impellente la questione dei tempi tecnici necessari per la predisposizione delle condizioni, almeno di prima accoglienza, dei bambini di due anni e mezzo. È abbastanza improbabile, infatti, che una scuola, oltre agli spazi necessari, abbia già disponibili nuovi arredi e nuovi materiali, indispensabili per questa fascia di età, e docenti preparati in tal senso o disposti ad acquisire immediatamente le nuove competenze richieste, senza che siano chiariti neanche i vantaggi sul piano culturale e professionale.

Un problema ulteriore è costituito dall’individuazione degli aventi diritto. Mentre per la scuola elementare (vedi comma successivo) tale individuazione potrebbero essere effettuata tra coloro che provengono dalla scuola dell’infanzia dello stesso circolo didattico, nulla viene detto per l’individuazione dei bambini per la scuola dell’infanzia. Si potrebbe suggerire un orientamento analogo, cioè tra i bambini che provengono dal corrispondente bacino di utenza, anche se l’iscrizione alla scuola è da tempo liberalizzata.

6. Nella prima classe della scuola elementare, ai fini della sperimentazione dell’anticipo, la individuazione dei bambini è effettuata prioritariamente tra coloro che, avendone i requisiti, provengano dalla scuola dell’infanzia nell’ambito dello stesso circolo didattico.

Classe prima elementare

Viene indicata espressamente la priorità d’iscrizione a cinque anni e mezzo per i bambini che provengono dalla scuola dell’infanzia dello stesso circolo didattico. Ciò appare abbastanza sensato anche per scoraggiare flussi atipici di iscrizione sulla base di una possibilità data a poche scuole. Va considerato, però, che da molti anni le famiglie possono iscrivere i propri figli a qualsiasi scuola indipendentemente dalla residenza.

E inoltre: se una scuola può soddisfare anche altre richieste? Saranno gli organi collegiali della stessa scuola a definire le priorità? Sarà una decisione autonoma e responsabile del dirigente (visti i tempi ristretti) in virtù delle attuali nuove funzioni acquisite? O saranno suggerite nel piano sperimentale dell’ufficio scolastico regionale?

Ed ancora: se, come ribadito in più parti, l’iscrizione anticipata (e quindi anche la partecipazione al piano sperimentale) dipende dalla volontà dei genitori, come va considerata la volontà dei genitori dei bambini comunque “obbligati” che si trovano dentro lo stesso progetto? Non deve essere acquisita anche la loro disponibilità? E una minoranza che non è d’accordo può bloccare il progetto?

 

Art. 2
Requisiti del progetto

1. Il progetto di sperimentazione, da elaborare a cura delle scuole interessate in funzione di una piena valorizzazione dell’autonomia scolastica, deve recare l’indicazione dei contenuti, degli obiettivi, degli strumenti da utilizzare, delle condizioni organizzative, dei procedimenti metodologici prescelti e delle relative fasi di attuazione.

La scuola deve produrre un progetto di sperimentazione. La tipologia del progetto viene indicata in questo articolo, ma va integrata recuperando anche quanto viene suggerito dalle “Indicazioni” e “Raccomandazioni” che costituiscono i documenti allegati alla bozza di decreto.

In sintesi, il progetto di sperimentazione:

a)      ha come quadro di riferimento le Indicazioni Nazionali per i piani di studio personalizzati e dalle relative Raccomandazioni (art. 3 comma 1);

b)      deve essere elaborato a cura delle scuole (art. 2 comma 1);

c)      deve partire dalla verifica delle condizioni di fattibilità (art. 2 comma 2);

d)      deve individuare le azioni di monitoraggio delle attività da porre in essere in funzione dei risultati da raggiungere (art. 2 comma 2)

e)      deve contenere (art. 2 comma 1):

-        l’indicazione dei contenuti prescelti;

-        l’individuazione degli obiettivi da conseguire;

-        la selezione degli strumenti da utilizzare;

-        la descrizione delle condizioni organizzative;

-        la scelta dei procedimenti metodologici;

-        l’individuazione delle relative fasi di attuazione.

f)       deve essere recepito nel Piano dell’Offerta Formativa (art. 2 comma 3).

g)      deve essere realizzato in stretta collaborazione con le famiglie interessate (art. 2 comma 3).

Tutto questo richiede la disponibilità di tempi distesi. In che misura i collegi possano concretamente realizzare un progetto mirato partendo dalla conoscenza dei documenti (Indicazioni e Raccomandazioni, art. 3 comma 1) cui necessariamente devono far riferimento? Essi presentano difficoltà di lettura, non solo per la mole, ma soprattutto per i contenuti proposti e per il lessico utilizzato, che appare abbastanza difforme rispetto al dibattito avviato dalla precedente proposta di riforma e alla tradizione pedagogica e didattica della scuola italiana.

2. Il progetto di sperimentazione attesta l’avvenuta verifica delle condizioni di fattibilità e individua le azioni di monitoraggio delle attività da porre in essere in funzione dei risultati da raggiungere.

Qui si fa di nuovo riferimento alle condizioni di fattibilità che ancora non vengono esplicitate (cfr. art. 1, comma 3).

Le condizioni a carattere generale successivamente enunciate sono:

-          l’intesa con gli Enti locali (art. 1 comma 5)

-          la disponibilità di bilancio delle scuole (art. 2 comma 7)

-          le risorse acquisite in ambito regionale (art. 2 comma 7)

-          i finanziamenti nazionali (art. 2 comma 7)

Più implicite risultano invece le condizioni dei 100 circoli didattici e delle 20 scuole paritarie che sperimentano l’anticipo.

Ipotizziamone alcune:

-          la presenza di posti di fatto disponibili nelle sezioni e nelle classi prime;

-          la possibilità di dislocare alcune risorse (docenti di lingua inglese ed informatica) anche in prima classe elementare;

-          la possibilità di adattare spazi alle esigenze di bambini di due anni e mezzo;

-          la disponibilità dell’ente locale ad investire repentinamente almeno per le prime necessità (piccoli interventi strutturali, acquisto materiali…);

-          la presenza di una tradizione cooperativa tra nido e scuola dell’infanzia;

-          la disponibilità degli operatori scolastici a partecipare alla sperimentazione;

-          l’adesione degli organi collegiali;

-          la predisposizione di azioni di monitoraggio e di verifica.

Resta dubbia la possibilità di avere a disposizione altri docenti oltre la dotazione organica assegnata, o di fondi comunque mirati alla sperimentazione, oltre una possibile di  ridistribuire le risorse, da parte dell’Ufficio scolastico regionale, in maniera più attenta a tali esigenze.

3. La sperimentazione è recepita nel Piano dell’Offerta Formativa e viene realizzata in stretta collaborazione con le famiglie interessate.

Doveroso ed ovvio appare il richiamo alla collaborazione con le famiglie, ma dati i tempi ristretti, non va ignorato o sottovalutato il naturale rallentamento dei processi decisionali.

Se la sperimentazione deve essere recepita (giustamente) nel POF, se questo deve essere presentato ai genitori, seppure in versione ridotta, all’atto dell’iscrizione, i tempi che la scuola ha a disposizione per aderire al piano regionale, realizzare il progetto e inserirlo nel POF, vanno collocati prima della riapertura formale delle iscrizioni. Ma l’istituzione scolastica deve, comunque, preventivamente fare una ricognizione sul numero dei bambini teoricamente interessati e sulla disponibilità, seppure informale, delle famiglie. Ci sono, quindi azioni interdipendenti abbastanza complesse. A ciò si aggiunge anche la disponibilità dei genitori degli alunni già iscritti al primo anno della scuola dell’infanzia e alla prima classe elementare. La tempistica attuale sembra però abbastanza lontana dal garantire tutto ciò.

4. L’utilizzazione dei docenti e del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, ai fini della realizzazione della sperimentazione, avviene nel rispetto dei complessivi obblighi di servizio, previsti dai contratti collettivi, che possono essere assolti anche sulla base di una apposita programmazione plurisettimanale.

Va analizzata la possibilità di utilizzare gli incentivi previsti dall’attuale normativa (funzioni aggiuntive per il personale amministrativo, risorse del fondo d’istituto, risorse per l’autonomia, per la formazione e l’aggiornamento, altre provenienti da cespiti diversi…). Dovranno essere rispolverate le norme contrattuali che riguardano la flessibilità dell’orario di servizio anche per gli uffici e per il personale amministrativo. Se si pensa, infatti, che la scuola dell’infanzia potrebbe articolarsi su modelli che vanno dalle 1000 alle 1800 ore complessive annuali (cfr. Indicazioni nazionali per l’a scuola dell’infanzia), la flessibilità degli orari degli uffici amministrativi diventa in tal modo oltre che una necessità anche un’urgenza. Ma le norme attualmente vigenti (contratti nazionali) sono ancora piuttosto restrittive.

5. Il progetto di sperimentazione riguarda tutti gli aspetti pedagogici e metodologico-didattici, secondo quanto indicato nei successivi articoli.

 

Non esiste, dunque, solo una sperimentazione dell’ “anticipo” senza affrontare contestualmente i problemi di ordine pedagogico, didattico e metodologico ad esso connesse.

Sembrerebbe, inoltre, che l’adesione alla sperimentazione comporti l’accettazione di tutto il pacchetto previsto dalla bozza di decreto e dai documenti allegati.

Appare, comunque, evidente l’omissione dell’aspetto curricolare (omissione che ricorre ancora laddove si parla di raccordo e continuità – art. 5, commi 1 e 2)

Né qui vengono riportati i temi dell’organizzazione che sembrano costituire una delle condizioni di partenza piuttosto che un oggetto di studio.

6. Nella scuola elementare, la possibilità di attivare l’insegnamento della lingua straniera (inglese) e l’alfabetizzazione informatica rappresenta la condizione essenziale per l’adesione alla sperimentazione.

 

L’insegnamento dell’inglese e l’avvio all’alfabetizzazione informatica non costituisce una novità assoluta, neanche se riferita alla prima classe elementare come viene annunciata dai mass media, ma viene a porsi come una garanzia per i bambini inseriti nel progetto sperimentale.

Anche se la stessa legge di riforma degli ordinamenti della scuola elementare (148/1990) aveva garantito l’insegnamento della seconda lingua, tendenzialmente a partire dalla terza classe, molte scuole erano state in grado di anticiparlo anche in prima elementare. I numerosi interventi volti alla diffusione delle tecnologie informatiche e comunicative avevano posto le istituzioni scolastiche nelle condizioni di predisporre interventi educativi in tal senso anche nelle prime classi. Naturalmente, ciò non può considerarsi una soluzione ovunque diffusa.

Dovendo ricorrere, presumibilmente, all’organico esistente, le scuole interessate dovranno ridislocare le  risorse, a livello di circolo, anche nelle classi prime. Già, per esempio, se si articolano le  9 ore previste per la terza, quarta e quinta elementare su tutte e  le  5 classi, assegnando a ciascuna solo due delle tre ore settimanali attualmente previste dalla norma, già si verrebbe a soddisfare facilmente questa condizione.

Ma ciò comporta anche una riduzione delle prestazioni già garantite per alcune classi.

7. Le innovazioni sperimentali possono essere realizzate tenendo conto delle disponibilità di bilancio delle singole istituzioni scolastiche interessate, delle risorse acquisibili in ambito regionale e di finanziamenti mirati a livello nazionale, comunque attualmente presenti in bilancio.

In questo comma viene fornito un primo elenco di condizioni:

-          disponibilità di bilancio delle scuole

-          risorse acquisite in ambito regionale

-          finanziamenti nazionali

Si chiarisce, innanzitutto, che le scuole devono avere già risorse a disposizione da investire nella sperimentazione (sperando che tale scelta non vada a svantaggio di altre classi). Ciò non significa, però che l’ufficio regionale, nell’ambito delle risorse assegnate alla direzione regionale, non possa favorire le scuole “sperimentali” con una quota di finanziamento aggiuntivo volto, per esempio, alla formazione del personale. Non è chiaro, invece, se a livello nazionale, possono essere riutilizzati fondi eventualmente accantonati o non impiegati nel precedente esercizio finanziario.

Vengono messe alla prova: la responsabilità della scuola autonoma; la capacità nell’organizzazione delle risorse dell’ufficio scolastico regionale e, naturalmente, il tipo di impegno per la sperimentazione della riforma all’interno delle politiche nazionali.

8. La sperimentazione è assistita e sostenuta da strutture di supporto, consulenza e monitoraggio di livello locale e nazionale.

Quali sono le strutture di supporto, di consulenza e monitoraggio? Se ne prevedono a livello nazionale per un pilotaggio generale del’iniziativa sperimentale, e locali per mettere le scuole nelle condizioni di essere aiutate costantemente a risolvere i principali problemi.

L’istituzione di tali strutture costituisce un compito dell’Ufficio scolastico regionale contestualmente alla stesura del piano regionale di sperimentazione ad opera dell’Osservatorio regionale (cfr art. 11).

Mentre la composizione di quest’ultimo organismo viene definito dall’artico 11, comma 3, nulla si dice della composizione delle strutture di supporto. L’ufficio scolastico regionale potrebbe far ricorso alle figure tecniche attualmente esistenti (dirigenti, ma anche responsabili degli ex uffici studio, personale comandato…). Però, la mancanza di sevizi tecnici (già previsti dal DPR 347/2000 e mai di fatto realizzati) pone problemi di diversa natura.

 

Art. 3
Quadro di riferimento dell’iniziativa

1.  Il quadro di riferimento dell’iniziativa sperimentale è costituito dalle allegate Indicazioni Nazionali per i piani di studio personalizzati e dalle relative Raccomandazioni, riferite specificatamente alla scuola dell’infanzia ed alla scuola elementare, con esclusivo riguardo, per quest’ultimo grado di studi, alla prima classe.

Le scuole che intendono realizzare il progetto di sperimentazione devono far riferimento alle Indicazioni Nazionali alle relative Raccomandazioni. I primi esplicitano i livelli essenziali di prestazione a cui tutte le scuole sono tenute per garantire il diritto personale, sociale e civile all’istruzione e alla formazione di qualità. Le seconde costituiscono le condizioni per l’attuazione dei piani di studio personalizzati per la scuola primaria e per la scuola dell’infanzia.

Le Raccomandazioni, che hanno carattere orientativo e non prescrittivo, sono documenti molto corposi. Quelli per la scuola dell’infanzia sviluppano 56 pagine, quelli per la scuola primaria 73, comprensivi entrambi di modelli esemplificativi.

Gli insegnanti chiamati a redigere il progetto non possono ignorare tali documenti. Ma senza entrare nel merito dei contenuti (specialmente per la parte delle esemplificazioni), vanno evidenziate alcune difficoltà oggettive di lettura, dovute ad un periodare piuttosto ridondate, alle scelte terminologiche non sempre usuali, ai nuovi significati attribuite ai termini pedagogici e didattici. Su questi ultimi i docenti non hanno ancora avuto la possibilità di esercitarsi, sia perché reduci dal precedente dibattito sulla riforma Berlinguer-De Mauro, sia perché abituati ad alcune proprie consuetudini lessicali. Tali documenti non essendo stati, inoltre, preceduti da note divulgative, dibattiti, forum… rischiano di rimanere, per la scuola, ancora a lungo privi di attrazione.

Sulla questione del lessico, va sottolineata una certa preoccupazione anche da parte degli estensori delle Raccomandazioni (che restano comunque anonimi – chi ha elaborato i documenti? – sono figli illegittimi?) tanto che si suggeriscono, nel documento stesso, alcune interpretazioni. Se, per un verso, ciò potrebbe aiutare gli insegnanti a ricostruire un linguaggio condiviso, per un altro, potrebbe interferire con l'autonomia didattica degli stessi (obiettivi e competenze di Stato?) creando possibili disagi a livello tecnico/scientifico.

2. All’interno del quadro di riferimento si segnalano i seguenti aspetti:

a.    la progettazione, nel quadro degli obiettivi generali e specifici di apprendimento, di piani di studio personalizzati, attraverso l’individuazione di obiettivi correlati alla maturazione delle competenze degli allievi, al tempo scuola, all’articolazione delle attività didattiche per classe e per gruppi laboratoriali ed alle risorse organizzative dell’istituto;

 

b.    la compilazione del Portfolio delle competenze individuali ai fini dell’orientamento e della valutazione degli allievi;

 

 

 

 

 

c.    la flessibilità del modello organizzativo;

 

 

 

 

 

d.    la continuità educativa e didattica per la gestione dell’anticipo scolastico e per la qualificazione del collegamento tra asili nido, scuola dell’infanzia e scuola elementare;

e.    la nuova organizzazione della funzione docente (prevalenza, tutoraggio, coordinamento) e le conseguenti esigenze di formazione in servizio.

 

 

a. Obiettivi specifici, piani di studio, competenze…, pur essendo termini che fanno parte della storia della nostra scuola, i docenti si pongono il problema se i significati attribuiti nel documento corrispondono alla loro interpretazione. C’è una tradizione che fa ricorso ad un linguaggio abbastanza condiviso (se non altro all’interno di ogni singolo ordine di scuola), permane l’eco del dibattito culturale degli ultimi anni (il documento dei saggi, le competenze dei curricoli della legge 30/2000), ci sono le nuove scelte terminologiche dell’attuale proposta di riforma (documenti Bertagna, Indicazioni e Raccomandazioni nazionali…). È naturale che gli insegnanti siano abbastanza disorientati; occorre, per questo, ancora di più favorire un’ampia riflessione collegiale per poter costruzione il progetto di sperimentazione, almeno per acquisire la consapevolezza dei problemi che vanno progressivamente affrontati.

b. Il port-folio costituisce una novità che potrebbe stimolare notevolmente tutta la scuola, non solo i soggetti interessati alla sperimentazione. Seguire il percorso del bambino attraverso uno strumento che garantisca una maggiore trasparenza e sistematicità è stata sempre avvertita come una reale esigenza dai docenti, ma anche dalle stesse famiglie. Fino ad oggi, la questione non è stata mai affrontata in maniera organica, seppure qualche volta è stata oggetto di attenzione a livello istituzionale.
Sarebbe, comunque, opportuna una maggiore chiarezza sia sull’uso del documento, sia sui confini tra scuola e famiglia in materia di valutazione. A ciò si aggiunge la necessità di formare i docenti interessati, a partire dalle diverse esperienze già realizzate, sia a livello locale in alcune scuole dell’infanzia ed elementari particolarmente sensibili, sia livello europeo e internazionale.

c. La flessibilità fa parte della cultura della scuola dell’infanzia e della scuola primaria, anche se sono ancora presenti nel nostro sistema scolastico alcuni modelli “irrigiditi” che provengono da interpretazioni di natura amministrativa della legge 148/1990. Ma l’autonomia, per un verso, il contenimento degli organici, per un altro, già da alcuni anni hanno posto le scuole nelle condizioni di ottimizzare le risorse eliminando sprechi e ridondanze. L’ipotesi di una sperimentazione incentrate sul docente prevalente per 21 ore frontali (minimo 18) potrebbe “raffreddare” la flessibilità piuttosto che enfatizzarla.

d. Il collegamento con il nido si pone con maggiore necessità, anche se i bambini frequentati il nido costituiscono una percentuale molto bassa.
La continuità, posta però solo sulla questione dell’anticipo, potrebbe risultare di tipo minore, specialmente se si pensa che nell’arco della bozza di decreto non si fa alcun cenno ai guadagni indubbi che gli istituti comprensivi hanno acquisito dal 1995 in poi e che potrebbero costituire buone pratiche spendibili per tutto il processo innovativo.

e. Per lo sviluppo dell’autonomia e della qualità della scuola, maggiormente efficace potrebbe risultare la possibilità di sperimentare una serie di modelli flessibili. Già nel 1996 la circolare n. 116 aveva parlato di gruppo docenti e di ambiti; la circolare n. 335 del 29 luglio 1998 (sulla gestione dell'organico funzionale di circolo nella scuola elementare) faceva riferimento al gruppo di insegnamento; e nella circolare n. 99 del 12 aprile 1999, relativa alla Scuola materna statale, si parlava di gruppo docente e di organizzazione del lavoro. Sono documenti che testimoniano forti evoluzioni organizzative delle scuole post Orientamenti/1991 e post legge 148/1990.
Una prevalenza applicata in maniera rigida (18-21 ore frontali per la prima classe di scuola elementare) rischia di rimandare indietro il processo di cambiamento anche nella logica dell’ottimizzazione delle risorse.

 

Art. 4
Obiettivi generali e specifici e piani di studio personalizzati

2.       Gli obiettivi generali del processo educativo, nonché gli obiettivi specifici di apprendimento della scuola dell’infanzia e della scuola elementare sono quelli contenuti nelle Indicazioni Nazionali per i piani di studio personalizzati (allegati 1 e 1a) e nelle relative Raccomandazioni di attuazione (allegati 2 e 2a).

Gli obiettivi generali e specifici vanno definiti sulla base delle Indicazioni e delle Raccomandazioni nazionali: ad essi i docenti e le istituzioni scolastiche, nella propria autonomia, faranno riferimento per l’organizzazione e lo svolgimento delle attività educative. Tali rimandi sono dovuti, trattandosi di sperimentazione di un nuovo progetto di riforma.

Le Indicazioni hanno carattere prescrittivo, le Raccomandazioni hanno carattere orientativo.

Per la scuola dell’infanzia, le Raccomandazioni rivisitano gli Orientamenti emanati nel 1991, con gli aggiornamenti resi necessari dai mutamenti degli assetti sociali e pedagogici intervenuti nel tempo intercorso. Le Raccomandazioni della scuola primaria ridefiniscono complessivamente il nuovo profilo dei curricoli precisando linguaggi, metodi, strategie… non solo attraverso specificazioni concettuali, ma anche attraverso modelli ed esemplificazioni. Tale profilo si riferisce alla scansione verticale prevista dalla legge di riforma (1+2+2), che ha soppiantato quella a ritmo biennale prevista dai documenti elaborati dal gruppo ristretto di lavoro presieduto dal prof. Bertagna.

La biennalità avrebbe favorito la continuità del curricolo verticale specialmente attraverso il biennio di raccordo tra la quinta classe elementare e la prima classe media.

 

Art. 5
Continuità educativa e raccordi con i servizi educativi e con la scuola dell’infanzia

1.       La scuola dell’infanzia cura l’attivazione di forme di raccordo con i servizi educativi pre-scolastici ed in particolare con l’asilo nido, soprattutto laddove si sperimenti anche l’anticipazione della frequenza.

Il richiamo alla continuità educativa e didattica per la gestione dell’anticipo scolastico dell’art. 3 (comma 2, punto d) viene qui arricchito suggerendo azioni specifiche di raccordo con i servizi educativi prescolastici. Fino ad oggi, a parte alcune realtà avanzate (scuole materne comunali, nidi, sezioni primavera dei servizi privati… di poche regioni del centro nord), le esperienze di continuità tra nido e scuola materna sono state piuttosto inconsistenti. Tutto da inventare, poi, con le strutture private, sia quelle di pregio, sia quelle molto vicine al vecchio “badantato” o all’odierno “babysitteraggio”

2. La scuola elementare attiva forme di raccordo pedagogico, didattico ed organizzativo con la scuola dell’infanzia. I progetti di continuità, che descrivono anche le modalità di rapporto con i genitori degli alunni nonché forme di valorizzazione della cultura e della comunità di appartenenza dei bambini, trovano esplicita formulazione nei piani dell’offerta formativa dell’istituzione scolastica. Tali progetti possono prevedere la costituzione di team integrati tra docenti della scuola elementare e quelli della scuola dell’infanzia.

Il raccordo pedagogico didattico e organizzativo tra scuola materna e scuola dell’infanzia costituisce uno degli aspetti fondamentali del progetto di sperimentazione. L’insistenza nella bozza di decreto sulla questione della continuità sembra quasi una risposta a coloro che hanno mostrato forti perplessità di fronte al ripristino dei tre segmenti di scuola dopo la sospensione della legge 30/2000.

Particolarmente difficile appare, tuttavia, la possibilità di contare proficuamente ed efficacemente sui team integrati tra docenti dei due ordini di scuola in un sistema che è destinato oramai a rimanere diviso.

Per un trentennio, infatti, ci sono state sollecitazioni istituzionali e amministrative volte a superare gli steccati anche attraverso la ricerca di strategie per una progressiva integrazione tra professionalità differente. Nel 1992 un complesso DM seguito da una articolatissima circolare (n. 339 del 16.11.1992) hanno tentato di sollecitare azioni più sistematiche di raccordo didattico, pedagogico e curricolare. Ma nulla di importante è veramente avvenuto prima dell’istituzione degli istituti comprensivi. L’attuale richiamo alla continuità, dentro una proposta di riforma che non modifica gli aspetti strutturali della scuola, e ignora anche gli istituti comprensivi, appare dunque come un déjà vu.

In questo comma non si fa cenno ad un eventuale raccordo curricolare (vedi anche art. 2, comma 5). È una semplice dimenticanza? È una scelta di principio (minimizzare, ignorare o non riconoscere il curricolo nella scuola dell’infanzia e nella scuola elementare)? O è una rinuncia dettata dal c.d. buon senso, considerando le difficoltà incontrate nelle passate esperienze?

Va, comunque, posto in evidenza che la scansione proposta per il quinquennio elementare dal disegno di legge 1306 del 14.3.2002 (1+2+2) potrebbe favorire molto di più il raccordo con la scuola dell’infanzia piuttosto che quello con la scuola media.

 

Art. 6
Flessibilità organizzativa nella scuola dell’infanzia

1.  La sperimentazione nella scuola dell’infanzia comporta un’accentuazione della flessibilità organizzativa, da articolare con particolare riguardo rispetto:

-    alla riorganizzazione delle sezioni;

-    alla ristrutturazione degli spazi;

-    alla rimodulazione dei tempi;

-    alla ridefinizione delle attività ricorrenti di vita quotidiana;

-    al potenziamento dei tempi riservati all’accoglienza.

Molte sono state le esperienze del passato che hanno approfondito i problemi organizzativi nell’ottica della flessibilità. Vanno ricordati, per esempio, i progetti “Ascanio” e “Alice”, come pure va ricordato il provvedimento volto ad introdurre gradualmente gli indicatori di qualità per la scuola dell’infanzia, sospeso nell’estate 2001.

Nelle “Indicazioni nazionali” (paragrafo: Vincoli organizzativi) si dice che la flessibilità dell’orario dovrà essere in relazione dell’età dei bambini, delle esigenze delle famiglie, delle condizioni socio-ambientali e delle convenzioni con enti ed istituzioni del territorio per lo svolgimento di determinate attività o servizi. Le scuole che sperimentano l’anticipo, quindi, hanno un numero assai consistente di variabili da controllare nell’ottica della flessibilità.

La gestione di tante variabili richiede un livello di elaborazione alto e un tempo disteso per la progettazione delle iniziative connesse, su cui, invece, la sperimentazione sembra proprio non poter contare.

Inoltre, nelle Indicazioni si forniscono riferimenti, circa l’organizzazione del tempo scolastico, a modelli articolati su 1000, 1300, 1600 e 1800 ore, secondo le modalità che i Piani dell’Offerta Formativa devono stabilire Va comunque precisato che attualmente la scuola mette a disposizione un modello che prevede, nella maggior parte dei casi, 1440 ore, che derivano dalle 36 settimane (dalla seconda di settembre all’ultima di giugno) per otto ore giornaliere, escluso il sabato. Un’offerta formativa di 1.600/1.800 ore annue pone sicuramente ulteriori problemi, specialmente se connessi con un organico che tende a ridursi piuttosto che ad ampliarsi.

 

2.  Nel caso in cui l’iniziativa sperimentale preveda anche l’anticipazione della frequenza, attraverso specifiche intese con gli Enti Locali, viene curata la collaborazione con gli asili nido del territorio, anche al fine di avvalersi di specifiche figure professionali in essi presenti.

Ritorna ancora il concetto che l’intesa con l’ente locale deve costituire una delle condizioni per sperimentare l’anticipo (cfr. art. 1, comma 5).

Va indagato con molta accuratezza come le scuole possono “avvalersi” di specifiche figure professionali degli enti locali.

La nostra scuola dell’infanzia non è attrezzata né strutturalmente né professionalmente ad accogliere bambini di due anni e mezzo. I comuni invece hanno in loro attivo molte esperienze, alcune delle quali anche eccellenti. Come è possibile far tesoro di queste esperienze? Che tipo di “contaminazione” positiva è possibile favorire? Con quali modalità si possono definire accordi (convenzioni) utili ad avvalersi delle competenze professionali dei docenti dei nidi?

Si possono, certamente, prevedere semplici incontri informativi, consulenziali e di coordinamento pedagogico, più articolate iniziative di formazione, incontri per la realizzazione di progetti educativi comuni con possibile scambi professionali. In tal caso sarebbe la scuola dell’infanzia ad avere bisogno del supporto di puericultrici, bambinaie, coordinatrici di nidi. Si tratterebbe di un prestito professionale a senso unico, piuttosto che di uno scambio professionale biunivoco. Forse si potrebbe ipotizzare dell’impiego di alcune figure del nido anche nella scuola dell’infanzia tramite la stipula di apposite convenzioni. Ma, allo stato attuale tale prospettiva sembra piuttosto difficile da realizzare.

3.  In caso di anticipo della frequenza, é consentita la costituzione di una sezione formata solo da 8/10 bambini al di sotto dei tre anni ovvero la proporzionale riduzione degli iscritti nelle sezioni comprendenti bambini di età diverse.

Di una certa complessità potrebbe risultare l’organizzazione di sezioni in presenza di bambini al di sotto dei tre anni. Un’ipotesi potrebbe essere la costituzione di una specie di sezione “primavera”, in presenza di almeno otto bambini di due anni e mezzo, e in un contesto scolastico in cui si tende a privilegiare le sezioni omogenee; la ridistribuzione sulle altre sezioni, riducendone la consistenza, in presenza di un numero inferiore ad otto, o in un contesto in cui si privilegia la sezione eterogenea.

Analizzando il problema da una prospettiva più generale, è necessario avere l’esatta conoscenza delle risorse esistenti sul piano nazionale e regionale, un quadro chiaro ed analitico dei bisogni generali e specifici di ogni istituzione scolastica (ivi comprese le attività innovative già in atto) per poter ridistribuire le risorse a vantaggio delle scuole che intendono sperimentare l’anticipo. Non si può, comunque, ignorare il pericolo di un ulteriore appesantimento della situazione generale (v. riduzione degli organici), se si intende salvaguardare una quota parte di risorse da assegnare alle sezioni interessate alla sperimentazione (insegnanti, incentivi economici per il personale, formazione mirata…)

 

Art. 7
Flessibilità organizzativa nella scuola elementare

1.  La sperimentazione comporta, per ogni classe prima, un’organizzazione della prestazione docente in team, la cui flessibilità è caratterizzata da una differenziazione di funzioni, connesse alla presenza di un docente prevalente, al fine di corrispondere a precisi compiti educativi.

 

Il docente prevalente non costituisce una novità nella nostra ultima tradizione scolastica (flessibilità e ottimizzazione delle risorse imposte dall’autonomia). Lo è invece il docente con una netta differenziazione di funzioni.

L’insegnante prevalente, così come previsto dalla bozza di decreto, prefigura una vera e propria "figura di sistema" e introduce una serie di problemi di ordine culturale e professionale, che vanno approfonditi attraverso il confronto con le associazioni, le università, gli istituti di ricerca… (senza escludere il parere del C.N.P.I.), ma anche di tipo sindacale che investono diversi livelli di contrattazione.

C’è inoltre la questione della scelta delle figure prevalenti. È il collegio che avrai il compito di segnalare al dirigente (o esprimere parere circa) i docenti e l’affidamento ad essi delle  predette nuove funzioni? O sarà esclusiva responsabilità del dirigente? In entrambi i casi dovranno essere definiti e condivisi alcuni criteri. Trattandosi di materia di “utilizzazione del personale”, in che misura le RSU avranno voce in capitolo?

Tale differenziazione di ruoli mette pure in discussione le competenze disciplinari acquisite in questi anni, grazie all’organizzazione modulare richiesta dalla 148/2000. Il modello professionale ormai interiorizzato dagli insegnanti, potrebbe essere messo in crisi con un nuovo processo di riadattamento che potrebbe pericolosamente ricondurre alla genericità piuttosto che alla specializzazione.

2.  Il docente prevalente del team assicura in ciascuna classe una presenza temporale fino a 21 ore e comunque non meno di 18 ore settimanali di insegnamento frontale.

 

La prescrittività quantitativa (dalle 18 ore alle 21 ore di insegnamento su una sola classe) e qualitativa (insegnamento frontale) del tipo di prevalenza può costituire un elemento di rigidità, piuttosto che di flessibilità per una scuola oramai autonoma e che vanta una lunga tradizione di sperimentazione e generalizzazione di vari modelli organizzativi. Tale scelta appare, decisamente, in totale controtendenza.

3.  Il docente prevalente cura la continuità educativa e didattica e il rapporto con le famiglie ed assicura, altresì, la coerenza e la gradualità dei percorsi formativi di ogni alunno, facilitandone e potenziandone le relazioni interpersonali ed educative. Il docente prevalente svolge, pertanto, funzioni di coordinatore del team docente e di tutor nei confronti degli alunni, curando la compilazione del portfolio delle competenze, in collaborazione con le famiglie.

 

Vengono qui definite le funzioni del docente prevalente (oltre quella dell’insegnamento).

Malgrado le Indicazioni fornite nel documento “prescrittivo” (Indicazioni elem.) laddove si dice che “la scelta del docente prevalente si esercita secondo le norme regolamentari e contrattuali stabilite”, non si possono ignorare i problemi e le conseguenze derivanti da questa operazione.

Costituendo, l’esercizio delle funzioni assegnate, una “novità” anche sul piano giuridico, diventa incerto ed opinabile l’utilizzo di vecchie norme (seppure vigenti, ma non ancora riviste alla luce della riforma) e tanto più di un contratto oramai scaduto.

I vincoli organizzativi, chiaramente elencati nel documento prescrittivi (Indicazioni) mettono a rischio:

-          la pari dignità tra docenti del team;

-          i tempi per l’elaborazione collegiale della programmazione;

-          la progettazione educativa, metodologica e didattica;

-          i tempi per la condivisione di modelli didattici;

-          la possibilità di una riflessione sistematica sugli stili educativo-professionali.

Sono aspetti questi che hanno costituito il “patrimonio” e la “dote” della scuola elementare che si sperava poter estendere anche alla scuola materna e superiore; ora invece rischia di essere disperso e azzerato in nome di una nuova organizzazione del lavoro scolastico ispirata, forse, anche da altre logiche (risparmio della spesa pubblica).

Va inoltre segnalato che le innumerevoli funzioni attribuite al docente prevalente finiranno col comportare un sovraccarico di lavoro sul piano didattico, disciplinare, metodologico e relazionale (con gli alunni, con i colleghi, con i genitori…). Tali incarichi vanno poi a tradursi necessariamente in ulteriori attività sul piano burocratico-amministrativo.

4.  Per lo svolgimento di tali funzioni il docente prevalente utilizza le ore mancanti al completamento dell’orario di servizio nel limite di 3 ore settimanali da prestare in un arco temporale anche plurisettimanale.

Se è chiaro che il docente prevalente può contare su un tempo (3 ore) non di insegnamento da utilizzare flessibilmente, piuttosto oscure restano invece le modalità di gestione delle attività di coordinamento del team, dal momento che non sono rinvenibili ore analoghe per i docenti non prevalenti.

Sembrerebbe quindi profilarsi un ruolo gerarchizzato anche per la mancanza gli spazi di confronto collegiale, di scambi professionali oltre che di spazi per la progettazione organizzativa e la programmazione didattica, sostituiti forse da un lavoro solitario ed autonomo, seppure nobile ed oneroso, cui il docente prevalente dovrà rispondere in prima persona.

5.  La presenza del docente prevalente comporta che, in relazione all’organizzazione didattica della scuola elementare in cui sono previsti tre insegnanti ogni due classi, le iniziative di sperimentazione di cui al presente decreto risultano più agevolmente realizzabili nei plessi in cui sono presenti più di due classi prime.

 

La presenza di almeno due classi in un plesso di scuola elementare viene a porsi quasi come requisito per le scuole che intendono avviare la sperimentazione. Questa scelta, che immediatamente potrebbe sembrare abbastanza ovvia, se sottoposta ad una semplice analisi fa nascere qualche dubbio. La maggior parte delle istituzioni scolastiche elementari sono articolate su plessi in verticale, in molte scuole coesistono pochi moduli, all’interno di un unico corso, che convivono con classi di tempo pieno, in alcune scuole di montagna non è rinvenibile neppure un corso completo. Solo nei grandi centri prevale il modello in orizzontale. La sottovalutazione di questa realtà ha comportato già notevoli problemi in fase di attuazione della legge 148/1990. È attendibile, quindi, una sperimentazione che si fonda su un aspetto minoritario della nostra scuola escludendo tutte le istituzioni nei piccoli centri e, comunque, la maggior parte degli istituti comprensivi?

6.  Il terzo docente del team, non impegnato quale docente prevalente, interviene nelle classi prime a tempo normale interessate, sia per lo svolgimento delle attività educative, sia in veste di responsabile di attività laboratoriali, secondo le indicazioni contenute nel progetto sperimentale.

 

Sarà piuttosto difficile convincere il terzo docente ad assumere una funzione decisamente meno importante o comunque da “reinventare” in ancora non definite attività laboratoriali. E a chi sarà affidata, anche in questo caso, l'individuazione e la scelta del docente non prevalente? Al collegio dei docenti, ad eventuali commissioni, allo staff del dirigente, solo al dirigente?

La frantumazione degli interventi, conseguente alle proposte organizzative e alle condizioni stesse della sperimentazione, può provocare una forma di disaffezione alla classe o deresponsabilizzazione nei confronti della complessità del progetto formativo, rendendo meno efficace la stessa azione didattica

 

Art. 8
Portfolio delle competenze

1.  La scuola accompagna ciascun bambino con un portfolio (o cartella) delle competenze, a mano a mano sviluppate, che comprende:

-    una descrizione accurata dei percorsi seguiti e dei progressi educativi raggiunti;

-    una documentazione significativa, attraverso gli elaborati degli alunni.

La costituzione di un port-folio delle competenze che accompagni ciascun alunno, è un’esigenza reale. Pur appartenendo alla nostra scuola una particolare sensibilità nel rilevare la progressione dei processi educativi e di sviluppo degli allievi, non è allo stesso modo rinvenibile una vera e propria cultura valutativa.  Per questo è importante mettere a disposizione dei docenti aiuti, supporti, documentazione, buone pratiche volte tutte ad accompagnarli adeguatamente in questo percorso di ricerca professionale e ad evitare anche dannose forme di improvvisazione.

Nelle Indicazioni per la scuola primaria, il portfolio viene meglio precisato nella sua struttura e funzione.

Struttura

- Comprende una sezione dedicata alla valutazione e un’altra riservata all’orientamento

- Richiede, per la sua compilazione il coinvolgimento dell’alunno e la collaborazione con la famiglia.

- Raccoglie:

-   materiali prodotti dall’allievo individualmente o in gruppo

-   prove scolastiche significative relative alla padronanza degli obiettivi specifici di apprendimento;

-   osservazioni dei docenti e della famiglia sui metodi di apprendimento;

-   commenti su lavori personali ed elaborati significativi;

-   indicazioni che emergono dall’osservazione sistematica, dai colloqui e anche da questionari o test in ordine alle personali attitudini e agli interessi più manifesti.

Funzione

-   Migliorare le pratiche di insegnamento;

-   stimolare lo studente all’autovalutazione e alla conoscenza di sé in vista della costruzione di un personale progetto di vita;

-   corresponsabilizzare i genitori nei processi educativi..

2.  Il portfolio delle competenze individuali è compilato ed aggiornato, in stretta collaborazione con la famiglia, a cura, rispettivamente, dei docenti di sezione della scuola dell’infanzia e del docente prevalente della scuola elementare.

Il port-folio è compilato ed aggiornato dal docente coordinatore-tutor, in collaborazione con tutte le figure che si fanno carico dell’educazione e degli apprendimenti di ciascun bambino, a partire anzitutto dai genitori e dagli stessi allievi, chiamati ad essere sempre protagonisti consapevoli della propria crescita

Si tratta, però, di capire se e in che misura i docenti non prevalenti (di laboratorio) si sentiranno responsabilizzati e in grado di apportare un contributo fattivo. L’attività di osservazione, documentazione, valutazione necessita di momenti di riflessione comune e di confronto collegiale. Se non sono garantite le condizioni, se non sono previsti tempi istituzionali ad hoc, la compilazione del portfolio potrebbe costituire un momento solo formale e burocratico, poco utile ad aiutare l’alunno nella sua crescita.

Si potrebbe, inoltre, determinare che la responsabilità valutativa, vada a confluire quasi esclusivamente sul docente prevalente sia perché è quello che, alla fine, sarà in grado di avere il “polso della situazione” per la presenza quasi esclusiva nella “sua” classe, sia perché istituzionalmente è chiamato a renderne conto.

3.  Nella scuola elementare la valutazione periodica e finale, sulla base della normativa vigente, certifica le competenze acquisite tramite le unità di apprendimento elaborate durante il percorso scolastico.

La valutazione costituisce un problema permanente. Le ultime versioni di documenti valutativi nella scuola elementare non hanno contribuito a migliorarne l’efficacia. Diverse sono le scuole di pensiero che hanno generato negli anni molteplici ipotesi, alcune anche contrastanti (standardizzazione, personalizzazione). La questione ha bisogno di essere supportata non solo da indicazioni istituzionali, ma da attività di ricerca e di sperimentazione.

 

Art. 9
Formazione del personale

1.  Nel quadro delle iniziative di formazione destinate a tutto il personale della scuola, vengono assicurate ai docenti e ai dirigenti scolastici coinvolti nella sperimentazione opportune azioni di formazione in servizio, con metodologie qualificate ed interattive. Tali attività possono realizzarsi all’interno della scuola, anche in forma della ricerca-azione o in gruppi di miglioramento, in collegamento con i servizi del territorio, le reti di scuole e gli istituti universitari e di ricerca.

Le indicazioni riferite al supporto formativo per gli insegnanti coinvolti nella sperimentazione richiamano le idee più innovative, che non si limitano a dare indicazioni sui modelli di “addestramento” intorno a tematiche specifiche, ma riguardano l’insieme dei percorsi di sviluppo professionale. Riferimenti adeguati vanno rintracciati soprattutto nelle direttive sulla formazione e aggiornamento dell’ultimo quinquennio (si ricorda, in maniera particolare, la Direttiva 210/1999).

Ma, oltre la sollecitazione a costruire progetti di formazione che superino la logica degli usuali setting d’aula, oltre l’invito ad avvalersi di modalità interattive, nulla viene detto in merito alle risorse di cui ogni scuola può disporre.

L’ultima direttiva sulla formazione (74/2002) pur cercando di interpretare i bisogni più immediati e diretti delle scuole, consistenti proprio nel poter disporre con sicurezza di un proprio budget finanziario e nell’avere indicazioni precise circa le priorità da raggiungere, non ha predisposto un budget consistente da utilizzare prioritariamente per affrontare le questioni più impellenti della riforma (seppure inserita nel quadro delle priorità).

Tutte le scuole, comunque, hanno a disposizione un budget che si aggira intorno ai 2.500 euro, a ciò si aggiungeranno sicuramente alcune quote che l’ufficio scolastico regionale potrebbe assegnare agli istituti che partecipano alla sperimentazione, avendo a disposizione un fondo pari al 10/15% dell’ammontare delle intere risorse per l’aggiornamento.

Non basteranno sicuramente le risorse economiche assegnate (quelle certe su cui di fatto poter contare), occorre la disponibilità e la competenza dei gruppi di supporto che l’ufficio scolastico regionale deve costituire, come pure la scelta di forme di aggiornamento che meglio di altre possano corrispondano ai bisogni formativi di professionisti adulti.

2.  La partecipazione ad attività di formazione deve essere certificata e costituisce un portfolio delle competenze del docente.

Il portfolio per il docente non costituisce ancora un obbligo per la scuola né un diritto per il soggetto. Per introdurlo necessitano indicazioni più precise se non proprio un vero dispositivo normativo (materia contrattuale?).

Non costituisce un problema insormontabile la realizzazione di una “cartella” in cui raccogliere sistematicamente le diverse attestazioni di partecipazione alle varie esperienze formative. Ciò che rappresenta invece un terreno nuovo da esplorare è “la certificazione delle competenze” acquisite a seguito di tali esperienze formative e soprattutto la valutazione della ricaduta sulla qualità degli esiti degli studenti.

Ma un portfolio per il docente ha senso se diventa spendibile anche professionalmente (sviluppo di carriera), altrimenti potrebbe rappresentare solo una sterile ed inutile documentazione.

3.  Nell’ambito del progetto di sperimentazione le scuole devono prevedere tempi adeguati per attività collegiali di progettazione, documentazione, preparazione dei materiali, verifica e valutazione.

Se alle scuole che partecipano alla sperimentazione si richiede (come è giusto) di stare dentro un processo di ricerca-azione e di miglioramento, ad esse vanno garantite le condizioni di fattibilità. I tempi di progettazione, di riflessione collegiale sull’esperienza avviata, di documentazione di verifica e di valutazione costituiscono oltre che un diritto anche una necessità ed un’urgenza. Si tratta di capire dove vanno recuperati. Se è solo il docente prevalente che ne può usufruire agevolmente vengono automaticamente a cadere tali condizioni.

 

Art. 10
Quadro regionale delle scuole aderenti alla sperimentazione

1.  Il Direttore Generale regionale, nell’ambito delle indicazioni e istruzioni fornite dal Dipartimento per lo Sviluppo dell’Istruzione, redige, in collaborazione con l’I.R.R.E ed i responsabili dei Centri di Servizi Amministrativi, il piano regionale delle istituzioni scolastiche inserite nel programma nazionale di sperimentazione, nel rispetto dei limiti previsti dall’art. 1, commi 1 e 2.

La prima operazione a cura degli uffici scolastici regionale è la redazione del piano di sperimentazione. Tale piano deve essere curato utilizzando alcune risorse: responsabili dei CSA e IRRE.

Abbastanza inopportuna appare l’omissione della risorsa tecnica, vuoi dei dirigenti tecnici (ex ispettori) vuoi dei componenti degli ex uffici studi, del personale docente e dirigente comandato presso gli uffici della direzione regionale.

Tale indicazione della bozza di decreto sembra voglia lasciar intendere una idea di sperimentazione solo in chiava amministrativa.

Al Direttore regionale competente, dunque, la scelta delle scuole? Si tratta di capire se essa viene effettuata su precise indicazioni del centro, se costituisce un’autonoma responsabilità del territorio attraverso la struttura tecnica di riferimento (responsabili CSA e IRRE), se, come, e sulla base di quali indicazioni le scuole possono autoproporsi.

I tempi ristretti fanno propendere per una interpretazione dell’operazione in maniera verticistica, anche se un progetto che vuole influire sul futuro della scuola avrebbe invece bisogno di un’ampia partecipazione.

Sarebbe importante che, comunque, in questa fase (primi giorni di settembre) tutte le scuole ricevessero da parte dell’ufficio scolastico regionale le informazioni non tanto relative ai documenti ministeriali (bozza di decreto, Indicazioni e Raccomandazioni) rinvenibili in internet, quanto piuttosto quelle relative ai criteri, tempi, procedure adottate a livello regionale. La presenza di una sede visibile (gruppo tecnico) deputata a selezionare (su criteri trasparenti) le proposte delle scuole costituirebbe un secondo criterio di garanzia.

Ma queste procedure volte ad assicurare la trasparenza delle operazioni potrebbero essere messe in crisi dalla ristrettezza dei tempi che andrebbe a “giustificare” operazioni opache e verticistiche.

2.  Il Direttore Generale regionale interviene, a seguito di motivate richieste da parte delle scuole interessate alla sperimentazione, per assicurare le risorse disponibili, anche con il ricorso ai finanziamenti previsti dalla legge 18 dicembre 1997, n. 440.

Sappiamo che il 10% della quota per il sostegno dell’autonomia viene accantonata a livello regionale per interventi di tipo compensativo o innovativo (progetti di ricerca, qualità ecc). Si tratta di capire come gli uffici scolastici regionali andranno ad interpretare questo comma. Le scuole che sperimentano hanno bisogno sicuramente di risorse fresche, ma potrebbe verificarsi che ciò possa andare a penalizzare tutte le altre, che comunque costituiscono la quasi totalità.

 

 

Art. 11
Organismi di supporto e sviluppo della sperimentazione

1.  Al fine di sostenere le iniziative di sperimentazione e di dare sviluppo al processo di qualificazione della scuola dell’infanzia e della scuola elementare, vengono istituiti un Osservatorio nazionale ed un Osservatorio regionale.

L’istituzione di un osservatorio per iniziative di monitoraggio costituisce sicuramente un’idea in sé vincente. Ma ci saranno le condizioni tecniche e le risorse finanziarie perché tale struttura abbia la possibilità di rispondere efficacemente al compito? Abbiamo avuto, nel recente passato, esperienze simili abbastanza nobili (es., osservatorio handicap), ma anche meno nobili (es., per la formazione del personale della scuola, soprattutto delle funzioni obiettivo) che alla fine non sempre si sono rivelate efficaci. Nel secondo caso, non potendo la struttura contare su alcun supporto tecnico, ha finito per diventare un organismo solo consultivo.

2. L’Osservatorio Nazionale è istituito presso il Dipartimento per lo sviluppo dell’istruzione del MIUR, con la funzione di definire criteri per l’attuazione ed il monitoraggio del progetto nazionale di sperimentazione. La composizione dell’Osservatorio Nazionale è definita con decreto del Ministro.

Dovendo l’Osservatorio a livello nazionale definire anche i criteri di attuazione della sperimentazione, si presuppone che esso non solo sia già stato costituito, ma che sia effettivamente in piena attività operativa (ma segnali in tal senso non sono evidenti: quando è stato costituito, da chi è composto, quando si incontrano, come sono articolati i compiti…).

È importante che tutte le operazioni decentrate a livello locale abbiano un riferimento, seppure solo di indirizzo, a livello nazionale, ma il tempo di una anno, previsto per la sperimentazione, quasi vanifica la possibilità di rendere attendibili gli esiti della sperimentazione, ed efficaci gli organismi di supporto connessi. Le migliori esperienze ci dicono che un anno non è sufficiente neppure a rodare il funzionamento di una macchina.

3.    L’Osservatorio regionale è istituito, con provvedimento del Direttore Generale presso ogni Ufficio scolastico regionale, per lo svolgimento dei compiti indicati al comma precedente. Il predetto Osservatorio è composto dal Direttore Generale regionale, che lo presiede, dai responsabili dei Centri di Servizi Amministrativi, da un rappresentante dell’I.R.R.E., degli Enti Locali interessati e delle scuole paritarie. L’Osservatorio si avvale di gruppi tecnici di supporto alle istituzioni scolastiche coinvolte nella sperimentazione per la realizzazione della iniziativa.

Questo comma stabilisce la composizione delle varie componenti dell’osservatorio a livello regionale:

-          Direttore generale;

-          Responsabili CSA;

-          Rappresentante IRRE

-          Rappresentante Enti locali interessati

-          Rappresentante scuole paritarie

Come si evince, viene omessa la componente tecnica. Probabilmente la sperimentazione per coloro che l’hanno ideata rappresenta solo un’operazione di tipo amministrativo.

Sicuramente la componente tecnica verrà utilizzata per la costruzione delle strutture di supporto e di consulenza da realizzare sia a livello locale sia a livello nazionale (crf art. 2, comma 8).

L’esclusione di tale apporto anche in fase organizzativa implica l’idea di una funzione tecnica di semplice supporto alla funzione amministrativa senza che la competenza tecnica possa interfere, con proficue contaminazioni, sulle politiche formative.

 



[1] Verranno successivamente indicati con il solo termine “Indicazioni inf.”

[2] Verranno successivamente indicati con il solo termine “Raccomandazioni elem.”

[3] Verranno successivamente indicati con il solo termine “Raccomandazioni inf”


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