Prime
riflessioni sulla “bozza di decreto” di sperimentazione per
la scuola dell’infanzia e per le prime classi della scuola
elementare
a
cura di Mariella Spinosi
Art.
1
Progetto
nazionale di sperimentazione |
1.
È promosso un progetto di sperimentazione in ambito nazionale
al quale possono partecipare un numero limitato di scuole
statali: non più di due circoli didattici per ogni provincia
nonché due scuole paritarie per ogni capoluogo
di Regione.
|
Sono
coinvolti nel progetto di sperimentazione:
-
200
circoli didattici, presumibilmente 2 classi prime e 3 sezioni
di scuola dell’infanzia per ogni circolo,
(cfr. art. n. 7:
“Flessibilità organizzativa nella scuola elementare”,
commi 5 e 6 e “Indicazioni nazionali per i piani
personalizzati delle attività educative nelle scuole dell’infanzia”, paragrafo: “Vincoli organizzativi”, punto 3).
-
40
scuole paritarie (presumibilmente 2 classi prime e 3 sezioni
di scuola dell’infanzia per ogni scuola paritaria)
Il termine
“possono” sta ad indicare che il numero potrebbe essere
anche inferiore, considerando il successivo “non più di…”.
Ciò farebbe pensare ad un’iniziativa di poco conto (in
passato, diverse sperimentazioni di analoga consistenza
numerica sono state realizzate piuttosto in sordina, senza
coinvolgere il Consiglio dei ministri, e senza risonanze sulla
stampa nazionale).
In
effetti, da un’analisi più approfondita sulla composizione
di una direzione didattica relativa ai soggetti coinvolti,
potrebbe risultare una sperimentazione più consistente
rispetto alle premesse minimaliste degli stessi esponenti
della maggioranza (il presidente del consiglio aveva suggerito
un “assaggio” in tre scuole: una al nord, una al centro e
una al sud; l’onorevole Giovanardi aveva mediato
proponendone una 40).
Va
ricordato, infatti, che ad ogni direzione didattica fanno capo
in media circa 4 plessi di scuola elementare e di 2 o 3 plessi
di scuola dell'infanzia, e che l’adesione alla
sperimentazione delle duecento direzioni didattiche
sembrerebbe intendersi per tutte le classi prime elementari e
le sezioni dell’infanzia ivi comprese. In tal caso le 200
direzioni didattiche portano come conseguenza il
coinvolgimento di circa 800 plessi e, mediamente, di 500 di
scuole dell'infanzia (a ciò si aggiungono le 40 scuole
paritarie comprensive dell’uno e dell’altro grado di
scuola).
In
totale ci saranno circa 2.500 classi, 6/7 mila docenti e oltre
50 mila bambini.
Una
quantità ben superiore a quella ipotizzata all'indomani del
no del Consiglio dei ministri alla sperimentazione
generalizzata.
Potrebbe
diventare un test interessante se accompagnata dai necessari
supporti a livello nazionale e territoriale volti a conferire
un carattere di attendibilità (se non proprio di
scientificità). Cercheremo di capire, anche nel corso dell’analisi
degli altri articoli del decreto, se ci saranno le condizioni
reali perché la sperimentazione possa diventare una cosa
seria (tempi adeguati, risorse disponibili, azioni di
monitoraggio tempestive, sistemi di supporto e consulenza,
verifiche dei processi e degli esiti…).
Il
riferimento diretto alle “direzioni didattiche” farebbe
presupporre l’esclusione degli istituti comprensivi. Ma, se
non ci saranno ulteriori precisazioni in merito, si è
propensi ad interpretare tale riferimento come un’imprecisione
o omissioni piuttosto che come una volontà di esclusione,
ciò almeno per due ordini di ragioni:
a)
perché
gli istituti comprensivi rappresentano la tipologia di scuola
più diffusa sul piano nazionale (3284 istituti comprensivi,
contro 2703 circoli didattici e 2347 scuole medie);
b)
perché
essi sono stati posti nelle condizioni di sperimentare più
degli altri la flessibilità organizzativa, gli scambi
professionali, i laboratori di ricerca, la personalizzazione
dell’insegnamento… temi questi richiamati dall’attuale
progetto di sperimentazione.
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2.
La sperimentazione, da attuarsi nell’anno scolastico
2002/2003, è volta ad attivare e a favorire laboratori di
ricerca sui temi attinenti alla riforma degli ordinamenti
scolastici nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole
elementari e, per quest’ultime, limitatamente alla prima
classe.
|
La
questione dei laboratori, qui appena sfiorata, costituisce uno
dei richiami più ricorrenti sia nei precedenti documenti del
gruppo ristretto di lavoro (grl) coordinato dal prof. Bertagna,
sia nei documenti allegati alla bozza di decreto (cfr
“Raccomandazioni per l’attuazione delle Indicazioni
nazionali per i Piani di studio personalizzati nella scuola
primaria”). Si potrebbe, per questo, dedurre che “i
laboratori di ricerca” oltre a costituire una modalità di
approccio al sapere che la scuola è invitata a favorire,
possono rappresentare anche oggetti della sperimentazione.
Secondo
le Raccomandazioni (che non hanno carattere prescrittivo, ma
orientativo), i
laboratori previsti per la scuola primaria sono 6:
-
Attività
informatiche
-
Attività
di Lingue
-
Attività
espressive
-
Attività
di progettazione
-
Attività
motorie e sportive
-
Larsa
(laboratorio di recupero e sviluppo degli apprendimenti).
Secondo
le stesse Raccomandazioni i laboratori possono essere
predisposti all’interno dell’Istituto e/o tra più
Istituti in rete, servendosi dell’organico d’Istituto e di
rete a disposizione. Gli scambi professionali, che
costituivano un’opportunità quasi esclusiva degli Istituti
Comprensivi, si allargano, in tal modo, anche tra più
istituti o ordini di scuola.
Abbastanza
complesso risulta un possibile utilizzo dei docenti tra scuole
diverse (in rete). E le difficoltà organizzativo-funzionali
possono avere ripercussioni anche sui trattamenti di tipo
contrattuale (regole, garanzie, obblighi…) ed economico
(acquisizione di risorse per compensare eventuali impegni
eccedenti, modalità, criteri…)
In
ogni caso, tali docenti dovranno entrare a pieno titolo a far
parte dell’équipe pedagogica che realizza l’apprendimento
della scuola primaria, allo scopo di garantire una mediazione
didattica adeguata e di operare in modo integrato per tempi e
contenuti con gli altri docenti della classe.
Per
gli istituti comprensivi, invece, questa indicazione
rappresenta un’ulteriore formalizzazione di una consuetudine
oramai acquisita (docenti li lingua straniera, musica,
attività motorie… che operano sui tre gradi di scuola).
Anche per questo motivo, sembra improbabile che il decreto
voglia escluderli dalla sperimentazione (cfr.
comma precedente).
I
laboratori sono a carattere opzionale. L’alunno viene
aiutato nella scelta dal docente tutor (cfr.
art. 7 flessibilità organizzativa della scuola elementare)
in accordo con gli altri docenti e la famiglia, ed ogni
opzione è inserita nel Piano di studi personalizzato (cfr
in Raccomandazioni elem: “I laboratori: consigli per l’uso”).
Pe
la scuola dell’infanzia i laboratori suggeriti (cfr
Raccomandazioni per lo svolgimento delle attività educative e
didattiche nelle scuole dell’infanzia del sistema nazionale
d’istruzione”) riguardano:
-
le
attività di simulazione (gioco del far finta)
-
la
fruizione e la produzione dei linguaggi non verbali
-
l’elaborazione
di specifici progetti.
|
3.
Nelle suddette scuole, ove esistano le condizioni, può essere
sperimentata anche l’anticipazione della frequenza,
limitatamente ad un circolo didattico per ciascuna provincia e
a una scuola paritaria per ciascun capoluogo di Regione:
-
nella
scuola dell’infanzia, per le bambine ed i bambini che
compiono i tre anni di età entro il 28 febbraio 2003;
-
nelle
classi prime della scuola elementare, per le bambine ed i
bambini che compiono i sei anni di età entro il 28 febbraio
2003.
|
Qui si fa riferimento
alle condizioni di fattibilità che in realtà non sono ancora
annunciate. Esse vengono ricavate, a volte anche in termini
inferenziali, nei commi e articoli successivi.
È
abbastanza prevedibile che la questione dell’anticipo
diventi il tema di maggiore interesse per le famiglie e di
conseguenza anche per i media.
Per
le prime, infatti, possono costituire una modalità efficace
per risolvere alcuni problemi organizzativi (gli asili nido
sono costosi e rari, come pure il ricorso quotidiano a brave
babysitter). Per i media, è più facile parlare di aspetti
quantitativi piuttosto che avviare un complesso dibattito di
tipo pedagogico didattico che tutta la proposta di riforma
meriterebbe. Ciò che disturba, però, è proprio la mancanza
di una seria analisi in merito e il dubbio reale che la scelta
sia stata effettuata solo per motivi residuali viste le forti
opposizioni della scuola elementare, media e superiore a
ridurre di un anno i rispettivi corsi di studio, essendo
venuta a cadere l’ipotesi della scuola di base in un unico
segmento e volendo contestualmente far completare il corso di
studi entro il diciottesimo anno di età, in sintonia con le
scelte della maggior parte dei paesi europei.
La
questione dell’anticipo resta comunque controversa anche per
le stesse forze di maggioranza le quali, in più circostanze,
hanno mostrato opinioni diverse, a volte anche contrastanti.
|
4.
Ai fini di cui al comma precedente, viene consentita la
riapertura delle iscrizioni nei confronti degli alunni
interessati solo dopo che l’istituzione scolastica sia stata
inserita nel piano regionale di sperimentazione.
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La
riapertura delle iscrizioni può costituire un serio problema
soprattutto per i tempi ristretti rispetto all’inizio dell’anno
scolastico, considerando che alcune scuole riaprono il 9
settembre e che, per quella data, neanche il CNPI sarà in
grado di esprimere il parere obbligatorio richiesto (non
vincolante). Si prevede l’espressione di tale parere
il 10 settembre pv.
Le
scuole coinvolte, inoltre, dovranno essere inserite nel piano
regionale di sperimentazione definito in sede regionale.
Sembra che allo stato attuale (primi di settembre) poche siano
le direzioni regionali che abbiano avviato le necessarie
procedure.
Le
scuole, a questo proposito, si stanno ponendo alcune domande:
se la scelta sarà effettuata dall’amministrazione
indipendentemente dalla volontà delle stesse o se invece
saranno messe nelle condizioni di autoproporsu, fermo restando
la selezione finale dell’amministrazionese (che dovrebbe
avvenire su criteri trasparenti); se devono, quindi,
autocandidarsi solo sulla base di una bozza di decreto per
essere inserite nel piano, o se invece devono aspettare alcuni
“segnali” formali dell’ufficio scolastico regionale
(definizione di condizioni e criteri, procedure e modalità,
garanzie e supporti…).
Nel
caso di una scelta di tipo verticistico sicuramente potranno
essere accelerati i tempi, ma verrebbero a mancare le
condizioni di trasparenza, che possono influire negativamente
sulla scuola in genere. Inoltre un’adesione al piano senza
il necessario coinvolgimento degli organi collegiali (i tempi
lo fanno presupporre) partirebbe con ulteriori difficoltà.
Nella
prospettiva di un coinvolgimento democratico e partecipato, vanno
preparate, dall’ufficio scolastico regionale, le strategie
di condivisione con la
definizione di tempi e modalità, vanno interpellare
preventivamente tutte le scuole (in modo particolare quelle
che si presentano già con i requisiti essenziali), vanno
avviate azioni informative accurate perché esse possano
predisporre il progetto
di sperimentazione (cfr
art. 2, Requisiti del progetto).
La
mole di lavoro tecnico, malgrado la solerzia di cui gli stessi
uffici sicuramente daranno prova, fa prevedere tempi oltre l’inizio
della scuola.
Queste
difficoltà dovrebbero suggerire alle forze politiche di
soprassedere sulla questione dell’anticipo rimuovendola dal
pacchetto sperimentale, a meno che non si voglia avvalorare la
tesi che già un numero di scuole, superiore al fabbisogno,
abbia espresso la volontà di aderire al progetto sperimentale
inviando l’adesione al ministero e scavalcando così tutte
le procedure che
garantiscono democraticità e trasparenza.
|
5.
Per quanto riguarda la scuola dell’infanzia, la
sperimentazione dell’anticipo può essere attuata, oltre che
in presenza di effettive condizioni di fattibilità, previa
intesa con gli Enti Locali interessati.
|
Scuola
dell’infanzia
Si
fa di nuovo riferimento alle condizioni di fattibilità non
ancora esplicitate (vedi
sopra), ma qui l’intesa con gli Enti locali appare come
un presupposto ineludibile per le scuole che vogliono
sperimentare l’anticipo.
Non
si può ignorare che la presenza del nido è poco diffusa a
livello nazionale. Ci sono comuni che non si possono
permettere tale servizio, ci sono nidi che soddisfano solo una
percentuale della domanda. La possibilità dell’anticipo
costituisce sicuramente una novità interessante per gli Enti
locali che, in tal modo, si trovano ad ampliare il servizio
senza ulteriori ed onerosi impegni di bilancio. A partire da
queste considerazioni, è probabile che essi siano disposti a
ridislocare parte delle risorse, virtualmente economizzate, per venire incontro alle esigenze della
sperimentazione della riforma. Però, malgrado l’auspicabile
supporto dell’Ente locale, torna impellente la questione dei
tempi tecnici necessari per la predisposizione delle
condizioni, almeno di prima accoglienza, dei bambini di due
anni e mezzo. È abbastanza improbabile, infatti, che una
scuola, oltre agli spazi necessari, abbia già disponibili
nuovi arredi e nuovi materiali, indispensabili per questa
fascia di età, e docenti preparati in tal senso o disposti ad
acquisire immediatamente le nuove competenze richieste, senza
che siano chiariti neanche i vantaggi sul piano culturale e
professionale.
Un
problema ulteriore è costituito dall’individuazione degli
aventi diritto. Mentre per la scuola elementare (vedi
comma successivo) tale individuazione potrebbero essere
effettuata tra coloro che provengono dalla scuola dell’infanzia
dello stesso circolo didattico, nulla viene detto per l’individuazione
dei bambini per la scuola dell’infanzia. Si potrebbe
suggerire un orientamento analogo, cioè tra i bambini che
provengono dal corrispondente bacino di utenza, anche se l’iscrizione
alla scuola è da tempo liberalizzata.
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6.
Nella prima classe della scuola elementare, ai fini della
sperimentazione dell’anticipo, la individuazione dei bambini
è effettuata prioritariamente tra coloro che, avendone i
requisiti, provengano dalla scuola dell’infanzia nell’ambito
dello stesso circolo didattico.
|
Classe
prima elementare
Viene
indicata espressamente la priorità d’iscrizione a cinque
anni e mezzo per i bambini che provengono dalla scuola dell’infanzia
dello stesso circolo didattico.
Ciò appare abbastanza sensato anche per scoraggiare flussi
atipici di iscrizione sulla base di una possibilità data a
poche scuole. Va considerato, però, che da molti anni le
famiglie possono iscrivere i propri figli a qualsiasi scuola
indipendentemente dalla residenza.
E
inoltre: se una scuola può soddisfare anche altre richieste?
Saranno gli organi collegiali della stessa scuola a definire
le priorità? Sarà una decisione autonoma e responsabile del
dirigente (visti i tempi ristretti) in virtù delle attuali
nuove funzioni acquisite? O saranno suggerite nel piano
sperimentale dell’ufficio scolastico regionale?
Ed
ancora: se, come ribadito in più parti, l’iscrizione
anticipata (e quindi anche la partecipazione al piano
sperimentale) dipende dalla volontà dei genitori, come va
considerata la volontà dei genitori dei bambini comunque “obbligati”
che si trovano dentro lo stesso progetto? Non deve essere
acquisita anche la loro disponibilità? E una minoranza che
non è d’accordo può bloccare il progetto?
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Art.
2
Requisiti del progetto |
1.
Il progetto di sperimentazione, da elaborare a cura delle
scuole interessate in funzione di una piena valorizzazione
dell’autonomia scolastica, deve recare l’indicazione dei
contenuti, degli obiettivi, degli strumenti da utilizzare,
delle condizioni organizzative, dei procedimenti metodologici
prescelti e delle relative fasi di attuazione.
|
La
scuola deve produrre un progetto di sperimentazione. La
tipologia del progetto viene indicata in questo articolo, ma
va integrata recuperando anche quanto viene suggerito dalle
“Indicazioni” e “Raccomandazioni” che costituiscono i
documenti allegati alla bozza di decreto.
In
sintesi, il progetto di sperimentazione:
a)
ha
come quadro di riferimento le Indicazioni
Nazionali per i piani di studio personalizzati
e dalle relative Raccomandazioni
(art. 3 comma 1);
b)
deve
essere elaborato a cura delle scuole (art.
2 comma 1);
c)
deve
partire dalla verifica delle condizioni di fattibilità (art. 2 comma 2);
d)
deve
individuare le azioni di monitoraggio delle attività da porre
in essere in funzione dei risultati da raggiungere (art.
2 comma 2)
e)
deve
contenere (art. 2 comma
1):
-
l’indicazione
dei contenuti prescelti;
-
l’individuazione
degli obiettivi
da conseguire;
-
la
selezione degli strumenti da utilizzare;
-
la
descrizione delle condizioni
organizzative;
-
la
scelta dei procedimenti metodologici;
-
l’individuazione
delle relative fasi
di attuazione.
f)
deve
essere recepito nel Piano dell’Offerta Formativa (art. 2 comma 3).
g)
deve
essere realizzato in stretta collaborazione con le famiglie
interessate (art. 2
comma 3).
Tutto
questo richiede la disponibilità di tempi distesi. In che
misura i collegi possano concretamente realizzare un progetto
mirato partendo dalla conoscenza dei documenti
(Indicazioni e Raccomandazioni,
art. 3 comma 1) cui necessariamente devono far
riferimento? Essi presentano difficoltà di lettura, non solo
per la mole, ma soprattutto per i contenuti proposti e per il
lessico utilizzato, che appare abbastanza difforme rispetto al
dibattito avviato dalla precedente proposta di riforma e alla
tradizione pedagogica e didattica della scuola italiana.
|
2.
Il progetto di sperimentazione attesta l’avvenuta verifica
delle condizioni di fattibilità e individua le azioni di
monitoraggio delle attività da porre in essere in funzione
dei risultati da raggiungere.
|
Qui
si fa di nuovo riferimento alle condizioni di fattibilità che
ancora non vengono esplicitate (cfr.
art. 1, comma 3).
Le
condizioni a carattere generale successivamente enunciate
sono:
-
l’intesa
con gli Enti locali (art.
1 comma 5)
-
la
disponibilità di bilancio delle scuole (art.
2 comma 7)
-
le
risorse acquisite in ambito regionale (art.
2 comma 7)
-
i
finanziamenti nazionali (art.
2 comma 7)
Più implicite risultano invece le
condizioni dei 100 circoli didattici e delle 20 scuole
paritarie che sperimentano l’anticipo.
Ipotizziamone alcune:
-
la presenza di posti di fatto
disponibili nelle sezioni e nelle classi prime;
-
la possibilità di dislocare
alcune risorse (docenti di
lingua inglese ed informatica) anche in prima classe
elementare;
-
la possibilità di adattare spazi
alle esigenze di bambini di due anni e mezzo;
-
la disponibilità dell’ente
locale ad investire repentinamente almeno per le prime
necessità (piccoli interventi strutturali, acquisto materiali…);
-
la presenza di una tradizione
cooperativa tra nido e scuola dell’infanzia;
-
la
disponibilità degli operatori scolastici a partecipare alla
sperimentazione;
-
l’adesione degli organi
collegiali;
-
la predisposizione di azioni
di monitoraggio e di verifica.
Resta
dubbia la possibilità di avere a disposizione altri docenti
oltre la dotazione organica assegnata, o di fondi comunque
mirati alla sperimentazione, oltre una possibile di
ridistribuire le risorse, da parte dell’Ufficio
scolastico regionale, in maniera più attenta a tali esigenze.
|
3.
La sperimentazione è recepita nel Piano dell’Offerta
Formativa e viene realizzata in stretta collaborazione con le
famiglie interessate.
|
Doveroso
ed ovvio appare il richiamo alla collaborazione con le
famiglie, ma dati i tempi ristretti, non va ignorato o
sottovalutato il naturale rallentamento dei processi
decisionali.
Se
la sperimentazione deve essere recepita (giustamente) nel POF,
se questo deve essere presentato ai genitori, seppure in
versione ridotta, all’atto dell’iscrizione, i tempi che la
scuola ha a disposizione per aderire al piano regionale,
realizzare il progetto e inserirlo nel POF, vanno collocati
prima della riapertura formale delle iscrizioni. Ma l’istituzione
scolastica deve, comunque, preventivamente fare una
ricognizione sul numero dei bambini teoricamente interessati e
sulla disponibilità, seppure informale, delle famiglie. Ci
sono, quindi azioni interdipendenti abbastanza complesse. A
ciò si aggiunge anche la disponibilità dei genitori degli
alunni già iscritti al primo anno della scuola dell’infanzia
e alla prima classe elementare. La
tempistica attuale sembra però abbastanza lontana dal
garantire tutto ciò.
|
4.
L’utilizzazione dei docenti e del personale amministrativo,
tecnico ed ausiliario, ai fini della realizzazione della
sperimentazione, avviene nel rispetto dei complessivi obblighi
di servizio, previsti dai contratti collettivi, che possono
essere assolti anche sulla base di una apposita programmazione
plurisettimanale.
|
Va
analizzata la possibilità di utilizzare gli incentivi
previsti dall’attuale normativa (funzioni aggiuntive per il
personale amministrativo, risorse del fondo d’istituto,
risorse per l’autonomia, per la formazione e l’aggiornamento,
altre provenienti da cespiti diversi…). Dovranno essere
rispolverate le norme contrattuali che riguardano la
flessibilità dell’orario di servizio anche per gli uffici e
per il personale amministrativo. Se si pensa, infatti, che la
scuola dell’infanzia potrebbe articolarsi su modelli che
vanno dalle 1000 alle 1800 ore complessive annuali (cfr.
Indicazioni nazionali per l’a scuola dell’infanzia),
la flessibilità degli orari degli uffici amministrativi
diventa in tal modo oltre che una necessità anche un’urgenza.
Ma le norme attualmente vigenti (contratti nazionali) sono
ancora piuttosto restrittive.
|
5.
Il progetto di sperimentazione riguarda tutti gli aspetti
pedagogici e metodologico-didattici, secondo quanto indicato
nei successivi articoli.
|
Non
esiste, dunque, solo una sperimentazione dell’ “anticipo”
senza affrontare contestualmente i problemi di ordine
pedagogico, didattico e metodologico ad esso connesse.
Sembrerebbe,
inoltre, che l’adesione alla sperimentazione comporti l’accettazione
di tutto il pacchetto previsto dalla bozza di decreto e dai
documenti allegati.
Appare,
comunque, evidente l’omissione dell’aspetto curricolare
(omissione che ricorre ancora laddove si parla di
raccordo e continuità – art.
5, commi 1 e 2)
Né
qui vengono riportati i temi dell’organizzazione che
sembrano costituire una delle condizioni di partenza piuttosto
che un oggetto di studio.
|
6.
Nella scuola elementare, la possibilità di attivare l’insegnamento
della lingua straniera (inglese) e l’alfabetizzazione
informatica rappresenta la condizione essenziale per l’adesione
alla sperimentazione.
|
L’insegnamento
dell’inglese e l’avvio all’alfabetizzazione informatica
non costituisce una novità assoluta, neanche se riferita alla
prima classe elementare come viene annunciata dai mass media,
ma viene a porsi come una garanzia per i bambini inseriti nel
progetto sperimentale.
Anche
se la stessa legge di riforma degli ordinamenti della scuola
elementare (148/1990) aveva garantito l’insegnamento della
seconda lingua, tendenzialmente a partire dalla terza classe,
molte scuole erano state in grado di anticiparlo anche in
prima elementare. I numerosi interventi volti alla diffusione
delle tecnologie informatiche e comunicative avevano posto le
istituzioni scolastiche nelle condizioni di predisporre
interventi educativi in tal senso anche nelle prime classi.
Naturalmente, ciò non può considerarsi una soluzione ovunque
diffusa.
Dovendo
ricorrere, presumibilmente, all’organico esistente, le
scuole interessate dovranno ridislocare le
risorse, a livello di circolo, anche nelle classi
prime. Già, per esempio, se si articolano le
9 ore previste per la terza, quarta e quinta elementare
su tutte e le
5 classi, assegnando a ciascuna solo due delle tre ore
settimanali attualmente previste dalla norma, già si verrebbe
a soddisfare facilmente questa condizione.
Ma
ciò comporta anche una riduzione delle prestazioni già
garantite per alcune classi.
|
7.
Le innovazioni sperimentali possono essere realizzate tenendo
conto delle disponibilità di bilancio delle singole
istituzioni scolastiche interessate, delle risorse acquisibili
in ambito regionale e di finanziamenti mirati a livello
nazionale, comunque attualmente presenti in bilancio.
|
In questo comma viene
fornito un primo elenco di condizioni:
-
disponibilità
di bilancio delle scuole
-
risorse
acquisite in ambito regionale
-
finanziamenti
nazionali
Si
chiarisce, innanzitutto, che le scuole devono avere già
risorse a disposizione da investire nella sperimentazione
(sperando che tale scelta non vada a svantaggio di altre
classi). Ciò non significa, però che l’ufficio regionale,
nell’ambito delle risorse assegnate alla direzione
regionale, non possa favorire le scuole “sperimentali” con
una quota di finanziamento aggiuntivo volto, per esempio, alla
formazione del personale. Non è chiaro, invece, se a livello
nazionale, possono essere riutilizzati fondi eventualmente
accantonati o non impiegati nel precedente esercizio
finanziario.
Vengono
messe alla prova: la responsabilità della scuola autonoma; la
capacità nell’organizzazione delle risorse dell’ufficio
scolastico regionale e, naturalmente, il tipo di impegno per
la sperimentazione della riforma all’interno delle politiche
nazionali.
|
8.
La sperimentazione è assistita e sostenuta da strutture di
supporto, consulenza e monitoraggio di livello locale e
nazionale.
|
Quali
sono le strutture di supporto, di consulenza e monitoraggio?
Se ne prevedono a livello nazionale per un pilotaggio generale
del’iniziativa sperimentale, e locali per mettere le scuole
nelle condizioni di essere aiutate costantemente a risolvere i
principali problemi.
L’istituzione
di tali strutture costituisce un compito dell’Ufficio
scolastico regionale contestualmente alla stesura del piano
regionale di sperimentazione ad opera dell’Osservatorio
regionale (cfr art. 11).
Mentre
la composizione di quest’ultimo organismo viene definito
dall’artico 11, comma 3, nulla si dice della composizione
delle strutture di supporto. L’ufficio scolastico regionale
potrebbe far ricorso alle figure tecniche attualmente
esistenti (dirigenti, ma anche responsabili degli ex uffici
studio, personale comandato…). Però, la mancanza di sevizi
tecnici (già previsti dal DPR 347/2000 e mai di fatto
realizzati) pone problemi di diversa natura.
|
Art.
3
Quadro di riferimento dell’iniziativa |
1.
Il quadro di riferimento dell’iniziativa sperimentale
è costituito dalle allegate Indicazioni
Nazionali per i piani di studio personalizzati
e dalle relative Raccomandazioni,
riferite specificatamente alla scuola dell’infanzia ed alla
scuola elementare, con esclusivo riguardo, per quest’ultimo
grado di studi, alla prima classe.
|
Le
scuole che intendono realizzare il progetto di sperimentazione
devono far riferimento alle Indicazioni
Nazionali alle
relative Raccomandazioni.
I primi esplicitano
i livelli essenziali di prestazione a cui tutte le scuole sono
tenute per garantire il diritto personale, sociale e civile
all’istruzione e alla formazione di qualità. Le
seconde costituiscono le
condizioni per l’attuazione dei piani di studio
personalizzati per la scuola primaria e per la scuola
dell’infanzia.
Le
Raccomandazioni, che hanno carattere orientativo e non
prescrittivo, sono
documenti molto corposi. Quelli per la scuola dell’infanzia
sviluppano 56 pagine, quelli per la scuola primaria 73,
comprensivi entrambi di modelli esemplificativi.
Gli
insegnanti chiamati a redigere il progetto non possono
ignorare tali documenti. Ma senza entrare nel merito dei
contenuti (specialmente per la parte delle esemplificazioni),
vanno evidenziate alcune difficoltà oggettive di lettura,
dovute ad un periodare piuttosto ridondate, alle scelte
terminologiche non sempre usuali, ai nuovi significati
attribuite ai termini pedagogici e didattici. Su questi ultimi
i docenti non hanno ancora avuto la possibilità di
esercitarsi, sia perché reduci dal precedente dibattito sulla
riforma Berlinguer-De Mauro, sia perché abituati ad alcune
proprie consuetudini lessicali. Tali documenti non essendo
stati, inoltre, preceduti da note divulgative, dibattiti,
forum… rischiano di rimanere, per la scuola, ancora a lungo
privi di attrazione.
Sulla
questione del lessico, va sottolineata una certa
preoccupazione anche da parte degli estensori delle
Raccomandazioni (che restano comunque anonimi – chi ha
elaborato i documenti? – sono figli illegittimi?) tanto che
si suggeriscono, nel documento stesso, alcune interpretazioni.
Se, per un verso, ciò potrebbe aiutare gli insegnanti a
ricostruire un linguaggio condiviso, per un altro, potrebbe
interferire con l'autonomia didattica degli stessi (obiettivi
e competenze di Stato?) creando possibili disagi a livello
tecnico/scientifico.
|
2.
All’interno del quadro di riferimento si segnalano i
seguenti aspetti:
a.
la
progettazione, nel quadro degli obiettivi generali e specifici
di apprendimento, di piani di studio personalizzati,
attraverso l’individuazione di obiettivi correlati alla
maturazione delle competenze degli allievi, al tempo scuola,
all’articolazione delle attività didattiche per classe e
per gruppi laboratoriali ed alle risorse organizzative dell’istituto;
b.
la
compilazione del Portfolio delle competenze individuali ai
fini dell’orientamento e della valutazione degli allievi;
c.
la
flessibilità del modello
organizzativo;
d.
la
continuità educativa e didattica per la gestione dell’anticipo
scolastico e per la qualificazione del collegamento tra asili
nido, scuola dell’infanzia e scuola elementare;
e.
la
nuova organizzazione della funzione docente (prevalenza,
tutoraggio, coordinamento) e le conseguenti esigenze di
formazione in servizio.
|
a.
Obiettivi specifici, piani di studio, competenze…, pur
essendo termini che fanno parte della storia della nostra
scuola, i docenti si pongono il problema se i significati
attribuiti nel documento corrispondono alla loro
interpretazione. C’è una tradizione che fa ricorso ad un
linguaggio abbastanza condiviso (se non altro all’interno di
ogni singolo ordine di scuola), permane l’eco del dibattito
culturale degli ultimi anni (il documento dei saggi, le
competenze dei curricoli della legge 30/2000), ci sono le
nuove scelte terminologiche dell’attuale proposta di riforma
(documenti Bertagna, Indicazioni e Raccomandazioni nazionali…).
È naturale che gli insegnanti siano abbastanza disorientati;
occorre, per questo, ancora di più favorire un’ampia
riflessione collegiale per poter costruzione il progetto di
sperimentazione, almeno per acquisire la consapevolezza dei
problemi che vanno progressivamente affrontati.
b.
Il port-folio costituisce una novità che potrebbe stimolare
notevolmente tutta la scuola, non solo i soggetti interessati
alla sperimentazione. Seguire il percorso del bambino
attraverso uno strumento che garantisca una maggiore
trasparenza e sistematicità è stata sempre avvertita come
una reale esigenza dai docenti, ma anche dalle stesse
famiglie. Fino ad oggi, la questione non è stata mai
affrontata in maniera organica, seppure qualche volta è stata
oggetto di attenzione a livello istituzionale.
Sarebbe,
comunque, opportuna una maggiore chiarezza sia sull’uso del
documento, sia sui confini tra scuola e famiglia in materia di
valutazione. A ciò si aggiunge la necessità di formare i
docenti interessati, a partire dalle diverse esperienze già
realizzate, sia a livello locale in alcune scuole dell’infanzia
ed elementari particolarmente sensibili, sia livello europeo e
internazionale.
c.
La flessibilità fa parte della cultura della scuola dell’infanzia
e della scuola primaria, anche se sono ancora presenti nel
nostro sistema scolastico alcuni modelli “irrigiditi” che
provengono da interpretazioni di natura amministrativa della
legge 148/1990. Ma l’autonomia, per un verso, il
contenimento degli organici, per un altro, già da alcuni anni
hanno posto le scuole nelle condizioni di ottimizzare le
risorse eliminando sprechi e ridondanze. L’ipotesi di una
sperimentazione incentrate sul docente prevalente per 21 ore
frontali (minimo 18) potrebbe “raffreddare” la
flessibilità piuttosto che enfatizzarla.
d.
Il collegamento con il nido si pone con
maggiore necessità, anche se i bambini frequentati il
nido costituiscono una percentuale molto bassa.
La
continuità, posta però solo sulla questione dell’anticipo,
potrebbe risultare di tipo minore, specialmente se si pensa
che nell’arco della bozza di decreto non si fa alcun cenno
ai guadagni indubbi che gli istituti comprensivi hanno
acquisito dal 1995 in poi e che potrebbero costituire buone
pratiche spendibili per tutto il processo innovativo.
e.
Per lo sviluppo dell’autonomia e della qualità della
scuola, maggiormente efficace potrebbe risultare la
possibilità di sperimentare una serie di modelli flessibili.
Già nel 1996 la circolare n. 116 aveva parlato di gruppo docenti e di ambiti; la circolare n. 335 del 29 luglio 1998
(sulla gestione dell'organico funzionale di circolo nella
scuola elementare) faceva riferimento al gruppo
di insegnamento; e
nella circolare n. 99 del 12 aprile 1999, relativa alla Scuola materna statale, si parlava di gruppo
docente e di organizzazione del lavoro. Sono documenti che
testimoniano forti evoluzioni organizzative delle scuole post
Orientamenti/1991 e post legge 148/1990.
Una
prevalenza applicata in maniera rigida (18-21 ore frontali per
la prima classe di scuola elementare) rischia di rimandare
indietro il processo di cambiamento anche nella logica dell’ottimizzazione
delle risorse.
|
Art.
4
Obiettivi generali e specifici e piani di studio
personalizzati |
2.
Gli
obiettivi generali del processo educativo, nonché gli
obiettivi specifici di apprendimento della scuola dell’infanzia
e della scuola elementare sono quelli contenuti nelle Indicazioni
Nazionali per i piani di studio personalizzati (allegati 1
e 1a) e nelle relative Raccomandazioni
di attuazione (allegati 2 e 2a).
|
Gli
obiettivi generali e specifici vanno definiti sulla base delle
Indicazioni e delle Raccomandazioni
nazionali: ad essi i docenti e le istituzioni scolastiche,
nella propria autonomia, faranno riferimento per l’organizzazione
e lo svolgimento delle attività educative.
Tali rimandi sono dovuti, trattandosi di sperimentazione
di un nuovo progetto di riforma.
Le
Indicazioni hanno
carattere prescrittivo, le Raccomandazioni
hanno carattere orientativo.
Per
la scuola dell’infanzia, le Raccomandazioni
rivisitano gli Orientamenti emanati nel 1991, con gli
aggiornamenti resi necessari dai mutamenti degli assetti
sociali e pedagogici intervenuti nel tempo intercorso. Le
Raccomandazioni della scuola primaria ridefiniscono
complessivamente il nuovo profilo dei curricoli precisando
linguaggi, metodi, strategie… non solo attraverso
specificazioni concettuali, ma anche attraverso modelli ed
esemplificazioni. Tale profilo si riferisce alla scansione
verticale prevista dalla legge di riforma (1+2+2), che ha
soppiantato quella a ritmo biennale prevista dai documenti
elaborati dal gruppo ristretto di lavoro presieduto dal prof.
Bertagna.
La
biennalità avrebbe favorito la continuità del curricolo
verticale specialmente attraverso il biennio di raccordo tra
la quinta classe elementare e la prima classe media.
|
Art.
5
Continuità educativa e raccordi con i servizi educativi e con
la scuola dell’infanzia
|
1.
La
scuola dell’infanzia cura l’attivazione di forme di
raccordo con i servizi educativi pre-scolastici ed in
particolare con l’asilo nido, soprattutto laddove si
sperimenti anche l’anticipazione della frequenza.
|
Il
richiamo alla continuità educativa e didattica per la
gestione dell’anticipo scolastico dell’art. 3
(comma 2, punto d) viene qui arricchito suggerendo azioni
specifiche di raccordo con i servizi educativi prescolastici.
Fino ad oggi, a parte alcune realtà avanzate (scuole materne
comunali, nidi, sezioni primavera dei servizi privati… di
poche regioni del centro nord), le esperienze di continuità
tra nido e scuola materna sono state piuttosto inconsistenti.
Tutto da inventare, poi, con le strutture private, sia quelle
di pregio, sia quelle molto vicine al vecchio “badantato”
o all’odierno “babysitteraggio”
|
2. La
scuola elementare attiva forme di raccordo pedagogico,
didattico ed organizzativo con la scuola dell’infanzia. I
progetti di continuità, che descrivono anche le modalità di
rapporto con i genitori degli alunni nonché forme di
valorizzazione della cultura e della comunità di appartenenza
dei bambini, trovano esplicita formulazione nei piani dell’offerta
formativa dell’istituzione scolastica. Tali progetti possono
prevedere la costituzione di team integrati tra docenti della
scuola elementare e quelli della scuola dell’infanzia.
|
Il
raccordo pedagogico didattico e organizzativo tra scuola
materna e scuola dell’infanzia costituisce uno degli aspetti
fondamentali del progetto di sperimentazione. L’insistenza
nella bozza di decreto sulla questione della continuità
sembra quasi una risposta a coloro che hanno mostrato forti
perplessità di fronte al ripristino dei tre segmenti di
scuola dopo la sospensione della legge 30/2000.
Particolarmente
difficile appare, tuttavia, la possibilità di contare
proficuamente ed efficacemente sui team integrati tra docenti
dei due ordini di scuola in un sistema che è destinato oramai
a rimanere diviso.
Per
un trentennio, infatti, ci sono state sollecitazioni
istituzionali e amministrative volte a superare gli steccati
anche attraverso la ricerca di strategie per una progressiva
integrazione tra professionalità differente. Nel 1992 un
complesso DM seguito da una articolatissima circolare (n. 339
del 16.11.1992) hanno tentato di sollecitare azioni più
sistematiche di raccordo didattico, pedagogico e curricolare.
Ma nulla di importante è veramente avvenuto prima dell’istituzione
degli istituti comprensivi. L’attuale richiamo alla
continuità, dentro una proposta di riforma che non modifica
gli aspetti strutturali della scuola, e ignora anche gli
istituti comprensivi, appare dunque come un déjà
vu.
In
questo comma non si fa cenno ad un eventuale raccordo
curricolare (vedi anche art. 2, comma 5). È una semplice dimenticanza? È una
scelta di principio (minimizzare, ignorare o non riconoscere
il curricolo nella scuola dell’infanzia e nella scuola
elementare)? O è una rinuncia dettata dal c.d. buon senso,
considerando le difficoltà incontrate nelle passate
esperienze?
Va,
comunque, posto in evidenza che la scansione proposta per il
quinquennio elementare dal disegno di legge 1306 del 14.3.2002
(1+2+2) potrebbe favorire molto di più il raccordo con la
scuola dell’infanzia piuttosto che quello con la scuola
media.
|
Art. 6
Flessibilità organizzativa nella scuola dell’infanzia |
1. La sperimentazione nella scuola dell’infanzia comporta un’accentuazione
della flessibilità organizzativa, da articolare con
particolare riguardo rispetto:
- alla
riorganizzazione delle sezioni;
- alla
ristrutturazione degli spazi;
- alla
rimodulazione dei tempi;
- alla
ridefinizione delle attività ricorrenti di vita quotidiana;
-
al potenziamento dei tempi riservati all’accoglienza.
|
Molte
sono state le esperienze del passato che hanno approfondito i
problemi organizzativi nell’ottica della flessibilità.
Vanno ricordati, per esempio, i progetti “Ascanio” e “Alice”,
come pure va ricordato il provvedimento volto ad introdurre
gradualmente gli indicatori di qualità per la scuola dell’infanzia,
sospeso nell’estate 2001.
Nelle
“Indicazioni nazionali” (paragrafo:
Vincoli organizzativi) si
dice che la flessibilità dell’orario dovrà essere in
relazione dell’età dei bambini, delle esigenze delle
famiglie, delle condizioni socio-ambientali e delle
convenzioni con enti ed istituzioni del territorio per lo
svolgimento di determinate attività o servizi. Le scuole che
sperimentano l’anticipo, quindi, hanno un numero assai
consistente di variabili da controllare nell’ottica della
flessibilità.
La
gestione di tante variabili richiede un livello di
elaborazione alto e un tempo disteso per la progettazione
delle iniziative connesse, su cui, invece, la sperimentazione
sembra proprio non poter contare.
Inoltre,
nelle Indicazioni si
forniscono riferimenti, circa l’organizzazione del tempo
scolastico, a modelli articolati su 1000, 1300, 1600 e 1800
ore, secondo le modalità che i Piani dell’Offerta Formativa devono stabilire Va comunque precisato che attualmente la scuola mette a
disposizione un modello che prevede, nella maggior parte dei
casi, 1440 ore, che derivano dalle 36 settimane (dalla seconda
di settembre all’ultima di giugno) per otto ore giornaliere,
escluso il sabato. Un’offerta formativa di 1.600/1.800 ore
annue pone sicuramente ulteriori problemi, specialmente se
connessi con un organico che tende a ridursi piuttosto che ad
ampliarsi.
|
2.
Nel caso in cui l’iniziativa sperimentale preveda
anche l’anticipazione della frequenza, attraverso specifiche
intese con gli Enti Locali, viene curata la collaborazione con
gli asili nido del territorio, anche al fine di avvalersi di
specifiche figure professionali in essi presenti.
|
Ritorna
ancora il concetto che l’intesa con l’ente locale deve
costituire una delle condizioni per sperimentare l’anticipo (cfr.
art. 1, comma 5).
Va
indagato con molta accuratezza come le scuole possono “avvalersi”
di specifiche figure professionali degli enti locali.
La
nostra scuola dell’infanzia non è attrezzata né
strutturalmente né professionalmente ad accogliere bambini di
due anni e mezzo. I comuni invece hanno in loro attivo molte
esperienze, alcune delle quali anche eccellenti. Come è
possibile far tesoro di queste esperienze? Che tipo di “contaminazione”
positiva è possibile favorire? Con quali modalità si possono
definire accordi (convenzioni) utili ad avvalersi delle
competenze professionali dei docenti dei nidi?
Si
possono, certamente, prevedere semplici incontri informativi,
consulenziali e di coordinamento pedagogico, più articolate
iniziative di formazione, incontri per la realizzazione di
progetti educativi comuni con possibile scambi professionali.
In tal caso sarebbe la scuola dell’infanzia ad avere bisogno
del supporto di puericultrici, bambinaie, coordinatrici di
nidi. Si tratterebbe di un prestito professionale a senso
unico, piuttosto che di uno scambio professionale biunivoco.
Forse si potrebbe ipotizzare dell’impiego di alcune figure
del nido anche nella scuola dell’infanzia tramite la stipula
di apposite convenzioni. Ma, allo stato attuale tale
prospettiva sembra piuttosto difficile da realizzare.
|
3.
In caso di anticipo della frequenza, é consentita la
costituzione di una sezione formata solo da 8/10 bambini al di
sotto dei tre anni ovvero la proporzionale riduzione degli
iscritti nelle sezioni comprendenti bambini di età diverse.
|
Di
una certa complessità potrebbe risultare l’organizzazione
di sezioni in presenza di bambini al di sotto dei tre anni. Un’ipotesi
potrebbe essere la costituzione di una specie di sezione “primavera”,
in presenza di almeno otto bambini di due anni e mezzo, e in
un contesto scolastico in cui si tende a privilegiare le
sezioni omogenee; la ridistribuzione sulle altre sezioni,
riducendone la consistenza, in presenza di un numero inferiore
ad otto, o in un contesto in cui si privilegia la sezione
eterogenea.
Analizzando
il problema da una prospettiva più generale, è necessario
avere l’esatta conoscenza delle risorse esistenti sul piano
nazionale e regionale, un quadro chiaro ed analitico dei
bisogni generali e specifici di ogni istituzione scolastica
(ivi comprese le attività innovative già in atto) per poter
ridistribuire le risorse a vantaggio delle scuole che
intendono sperimentare l’anticipo. Non si può, comunque,
ignorare il pericolo di un ulteriore appesantimento della
situazione generale (v. riduzione degli organici), se si
intende salvaguardare una quota parte di risorse da assegnare
alle sezioni interessate alla sperimentazione (insegnanti,
incentivi economici per il personale, formazione mirata…)
|
Art. 7
Flessibilità organizzativa nella scuola elementare
|
1. La sperimentazione comporta, per ogni classe prima, un’organizzazione
della prestazione docente in team, la cui flessibilità è caratterizzata da una
differenziazione di funzioni, connesse alla presenza di un
docente prevalente, al fine di corrispondere a precisi compiti
educativi.
|
Il
docente prevalente non costituisce una novità nella nostra
ultima tradizione scolastica (flessibilità e ottimizzazione
delle risorse imposte dall’autonomia). Lo è invece il
docente con una netta differenziazione di funzioni.
L’insegnante
prevalente, così come previsto dalla bozza di decreto,
prefigura una vera e propria "figura di sistema" e
introduce una serie di problemi di ordine culturale e
professionale, che vanno approfonditi attraverso il confronto
con le associazioni, le università, gli istituti di ricerca…
(senza escludere il parere del C.N.P.I.), ma anche di tipo
sindacale che investono diversi livelli di contrattazione.
C’è
inoltre la questione della scelta delle figure prevalenti. È
il collegio che avrai il compito di segnalare al dirigente (o
esprimere parere circa) i docenti e l’affidamento ad essi
delle predette
nuove funzioni? O sarà esclusiva responsabilità del
dirigente? In entrambi i casi dovranno essere definiti e
condivisi alcuni criteri. Trattandosi di materia di “utilizzazione
del personale”, in che misura le RSU avranno voce in
capitolo?
Tale
differenziazione di ruoli mette pure in discussione le
competenze disciplinari acquisite in questi anni, grazie all’organizzazione
modulare richiesta dalla 148/2000. Il modello professionale
ormai interiorizzato dagli insegnanti, potrebbe essere messo
in crisi con un nuovo processo di riadattamento che potrebbe
pericolosamente ricondurre alla genericità piuttosto che alla
specializzazione.
|
2.
Il docente prevalente del team assicura in ciascuna
classe una presenza temporale fino a 21 ore e comunque non
meno di 18 ore settimanali di insegnamento frontale.
|
La
prescrittività quantitativa (dalle 18 ore alle 21 ore di
insegnamento su una sola classe) e qualitativa (insegnamento
frontale) del tipo di prevalenza può costituire un elemento
di rigidità, piuttosto che di flessibilità per una scuola
oramai autonoma e che vanta una lunga tradizione di
sperimentazione e generalizzazione di vari modelli
organizzativi. Tale scelta appare, decisamente, in totale
controtendenza.
|
3.
Il docente prevalente cura la continuità educativa e
didattica e il rapporto con le famiglie ed assicura, altresì,
la coerenza e la gradualità dei percorsi formativi di ogni
alunno, facilitandone e potenziandone le relazioni
interpersonali ed educative. Il docente prevalente svolge,
pertanto, funzioni di coordinatore del team docente e di tutor
nei confronti degli alunni, curando la compilazione del portfolio
delle competenze, in collaborazione con le famiglie.
|
Vengono
qui definite le funzioni del docente prevalente (oltre quella
dell’insegnamento).
Malgrado
le Indicazioni fornite nel documento “prescrittivo” (Indicazioni elem.) laddove si dice che “la scelta del docente
prevalente si esercita secondo le norme regolamentari e
contrattuali stabilite”, non si possono ignorare i problemi
e le conseguenze derivanti da questa operazione.
Costituendo,
l’esercizio delle funzioni assegnate, una “novità”
anche sul piano giuridico, diventa incerto ed opinabile l’utilizzo
di vecchie norme (seppure vigenti, ma non ancora riviste alla
luce della riforma) e tanto più di un contratto oramai
scaduto.
I
vincoli organizzativi, chiaramente elencati nel documento
prescrittivi (Indicazioni)
mettono a rischio:
-
la
pari dignità tra docenti del team;
-
i
tempi per l’elaborazione collegiale della programmazione;
-
la
progettazione educativa, metodologica e didattica;
-
i
tempi per la condivisione di modelli didattici;
-
la
possibilità di una riflessione sistematica sugli stili
educativo-professionali.
Sono
aspetti questi che hanno costituito il “patrimonio” e la
“dote” della scuola elementare che si sperava poter
estendere anche alla scuola materna e superiore; ora invece
rischia di essere disperso e azzerato in nome di una nuova
organizzazione del lavoro scolastico ispirata, forse, anche da
altre logiche (risparmio della spesa pubblica).
Va
inoltre segnalato che le innumerevoli funzioni attribuite al
docente prevalente finiranno col comportare un sovraccarico di
lavoro sul piano didattico, disciplinare, metodologico e
relazionale (con gli alunni, con i colleghi, con i genitori…).
Tali incarichi vanno poi a tradursi necessariamente in
ulteriori attività sul piano burocratico-amministrativo.
|
4.
Per lo svolgimento di tali funzioni il docente
prevalente utilizza le ore mancanti al completamento dell’orario
di servizio nel limite di 3 ore settimanali da prestare in un
arco temporale anche plurisettimanale.
|
Se
è chiaro che il docente prevalente può contare su un tempo
(3 ore) non di insegnamento da utilizzare flessibilmente,
piuttosto oscure restano invece le modalità di gestione delle
attività di coordinamento del team, dal momento che non sono
rinvenibili ore analoghe per i docenti non prevalenti.
Sembrerebbe
quindi profilarsi un ruolo gerarchizzato anche per la mancanza
gli spazi di confronto collegiale, di scambi professionali
oltre che di spazi per la progettazione organizzativa e la
programmazione didattica, sostituiti forse da un lavoro
solitario ed autonomo, seppure nobile ed oneroso, cui il
docente prevalente dovrà rispondere in prima persona.
|
5.
La presenza del docente prevalente comporta che, in
relazione all’organizzazione didattica della scuola
elementare in cui sono previsti tre insegnanti ogni due
classi, le iniziative di sperimentazione di cui al presente
decreto risultano più agevolmente realizzabili nei plessi in
cui sono presenti più di due classi prime.
|
La
presenza di almeno due classi in un plesso di scuola
elementare viene a porsi quasi come requisito per le scuole
che intendono avviare la sperimentazione. Questa scelta, che
immediatamente potrebbe sembrare abbastanza ovvia, se
sottoposta ad una semplice analisi fa nascere qualche dubbio.
La maggior parte delle istituzioni scolastiche elementari sono
articolate su plessi in verticale, in molte scuole coesistono
pochi moduli, all’interno di un unico corso, che convivono
con classi di tempo pieno, in alcune scuole di montagna non è
rinvenibile neppure un corso completo. Solo nei grandi centri
prevale il modello in orizzontale. La sottovalutazione di
questa realtà ha comportato già notevoli problemi in fase di
attuazione della legge 148/1990. È attendibile, quindi, una
sperimentazione che si fonda su un aspetto minoritario della
nostra scuola escludendo tutte le istituzioni nei piccoli
centri e, comunque, la maggior parte degli istituti
comprensivi?
|
6.
Il terzo docente del team, non impegnato quale docente prevalente, interviene nelle classi prime a tempo normale
interessate, sia per lo svolgimento delle attività educative,
sia in veste di responsabile di attività laboratoriali,
secondo le indicazioni contenute nel progetto sperimentale.
|
Sarà
piuttosto difficile convincere il terzo docente ad assumere
una funzione decisamente meno importante o comunque da “reinventare”
in ancora non definite attività laboratoriali. E a chi sarà
affidata, anche in questo caso, l'individuazione e la scelta
del docente non prevalente? Al collegio dei docenti, ad
eventuali commissioni, allo staff del dirigente, solo al
dirigente?
La
frantumazione degli interventi, conseguente alle proposte
organizzative e alle condizioni stesse della sperimentazione,
può provocare una forma di disaffezione alla classe o
deresponsabilizzazione nei confronti della complessità del
progetto formativo, rendendo meno efficace la stessa azione
didattica
|
Art. 8
Portfolio
delle competenze
|
1.
La scuola accompagna ciascun bambino con un portfolio
(o cartella) delle competenze, a mano a mano sviluppate, che
comprende:
-
una descrizione accurata dei percorsi seguiti e dei
progressi educativi raggiunti;
-
una documentazione significativa, attraverso gli
elaborati degli alunni.
|
La
costituzione di un port-folio delle competenze che accompagni
ciascun alunno, è un’esigenza reale. Pur appartenendo alla
nostra scuola una particolare sensibilità nel rilevare la
progressione dei processi educativi e di sviluppo degli
allievi, non è allo stesso modo rinvenibile una vera e
propria cultura valutativa.
Per questo è importante mettere a disposizione dei
docenti aiuti, supporti, documentazione, buone pratiche volte
tutte ad accompagnarli adeguatamente in questo percorso di
ricerca professionale e ad evitare anche dannose forme di
improvvisazione.
Nelle
Indicazioni per la scuola primaria, il portfolio viene meglio
precisato nella sua struttura e funzione.
Struttura
-
Comprende una
sezione dedicata alla valutazione
e un’altra riservata all’orientamento
-
Richiede, per la sua
compilazione il coinvolgimento dell’alunno e la
collaborazione con la famiglia.
-
Raccoglie:
-
materiali
prodotti dall’allievo individualmente o in gruppo
-
prove
scolastiche significative relative alla padronanza degli
obiettivi specifici di apprendimento;
-
osservazioni
dei docenti e della famiglia sui metodi di apprendimento;
-
commenti
su lavori personali ed elaborati significativi;
-
indicazioni
che emergono dall’osservazione sistematica, dai colloqui e
anche da questionari o test in ordine alle personali
attitudini e agli interessi più manifesti.
Funzione
-
Migliorare
le pratiche di insegnamento;
-
stimolare
lo studente all’autovalutazione e alla conoscenza di sé in
vista della costruzione di un personale progetto di vita;
-
corresponsabilizzare
i genitori nei processi educativi..
|
2.
Il portfolio
delle competenze individuali è compilato ed aggiornato, in
stretta collaborazione con la famiglia, a cura,
rispettivamente, dei docenti di sezione della scuola dell’infanzia
e del docente prevalente della scuola elementare.
|
Il
port-folio è compilato ed aggiornato dal docente coordinatore-tutor, in collaborazione con tutte le figure che si
fanno carico dell’educazione e degli apprendimenti di
ciascun bambino, a partire anzitutto dai genitori e dagli
stessi allievi, chiamati ad essere sempre protagonisti
consapevoli della propria crescita
Si
tratta, però, di capire se e in che misura i docenti non
prevalenti (di laboratorio) si sentiranno responsabilizzati e
in grado di apportare un contributo fattivo. L’attività di
osservazione, documentazione, valutazione necessita di momenti
di riflessione comune e di confronto collegiale. Se non sono
garantite le condizioni, se non sono previsti tempi
istituzionali ad hoc, la compilazione del portfolio potrebbe
costituire un momento solo formale e burocratico, poco utile
ad aiutare l’alunno nella sua crescita.
Si
potrebbe, inoltre, determinare che la responsabilità
valutativa, vada a confluire quasi esclusivamente sul docente
prevalente sia perché è quello che, alla fine, sarà in
grado di avere il “polso della situazione” per la presenza
quasi esclusiva nella “sua” classe, sia perché
istituzionalmente è chiamato a renderne conto.
|
3.
Nella scuola elementare la valutazione periodica e
finale, sulla base della normativa vigente, certifica le
competenze acquisite tramite le unità di apprendimento
elaborate durante il percorso scolastico.
|
La
valutazione costituisce un problema permanente. Le ultime
versioni di documenti valutativi nella scuola elementare non
hanno contribuito a migliorarne l’efficacia. Diverse sono le
scuole di pensiero che hanno generato negli anni molteplici
ipotesi, alcune anche contrastanti (standardizzazione,
personalizzazione). La questione ha bisogno di essere
supportata non solo da indicazioni istituzionali, ma da
attività di ricerca e di sperimentazione.
|
Art. 9
Formazione
del personale
|
1.
Nel quadro delle iniziative di formazione destinate a
tutto il personale della scuola, vengono assicurate ai docenti
e ai dirigenti scolastici coinvolti nella sperimentazione
opportune azioni di formazione in servizio, con metodologie
qualificate ed interattive. Tali attività possono realizzarsi
all’interno della scuola, anche in forma della
ricerca-azione o in gruppi di miglioramento, in collegamento
con i servizi del territorio, le reti di scuole e gli istituti
universitari e di ricerca.
|
Le
indicazioni riferite al supporto formativo per gli insegnanti
coinvolti nella sperimentazione richiamano le idee più
innovative, che non si limitano a dare indicazioni sui modelli
di “addestramento” intorno a tematiche specifiche, ma
riguardano l’insieme dei percorsi di sviluppo professionale.
Riferimenti adeguati vanno rintracciati soprattutto nelle
direttive sulla formazione e aggiornamento dell’ultimo
quinquennio (si ricorda, in maniera particolare, la Direttiva
210/1999).
Ma,
oltre la sollecitazione a costruire progetti di formazione che
superino la logica degli usuali setting
d’aula, oltre l’invito ad avvalersi di modalità
interattive, nulla viene detto in merito alle risorse di cui
ogni scuola può disporre.
L’ultima
direttiva sulla formazione (74/2002) pur cercando di
interpretare i bisogni più immediati e diretti delle scuole,
consistenti proprio nel poter disporre con sicurezza di un
proprio budget finanziario e nell’avere indicazioni precise
circa le priorità da raggiungere, non ha predisposto un
budget consistente da utilizzare prioritariamente per
affrontare le questioni più impellenti della riforma (seppure
inserita nel quadro delle priorità).
Tutte
le scuole, comunque, hanno a disposizione un budget che si
aggira intorno ai 2.500 euro, a ciò si aggiungeranno
sicuramente alcune quote che l’ufficio scolastico regionale
potrebbe assegnare agli istituti che partecipano alla
sperimentazione, avendo a disposizione un fondo pari al 10/15%
dell’ammontare delle intere risorse per l’aggiornamento.
Non
basteranno sicuramente le risorse economiche assegnate (quelle
certe su cui di fatto poter contare), occorre la
disponibilità e la competenza dei gruppi di supporto che l’ufficio
scolastico regionale deve costituire, come pure la scelta di
forme di aggiornamento che meglio di altre possano
corrispondano ai bisogni formativi di professionisti adulti.
|
2.
La partecipazione ad attività di formazione deve
essere certificata e costituisce un portfolio delle competenze
del docente.
|
Il
portfolio per il docente non costituisce ancora un obbligo per
la scuola né un diritto per il soggetto. Per introdurlo
necessitano indicazioni più precise se non proprio un vero
dispositivo normativo (materia contrattuale?).
Non
costituisce un problema insormontabile la realizzazione di una
“cartella” in cui raccogliere sistematicamente le diverse
attestazioni di partecipazione alle varie esperienze
formative. Ciò che rappresenta invece un terreno nuovo da
esplorare è “la certificazione delle competenze”
acquisite a seguito di tali esperienze formative e soprattutto
la valutazione della ricaduta sulla qualità degli esiti degli
studenti.
Ma
un portfolio per il docente ha senso se diventa spendibile
anche professionalmente (sviluppo di carriera), altrimenti
potrebbe rappresentare solo una sterile ed inutile
documentazione.
|
3.
Nell’ambito del progetto di sperimentazione le scuole
devono prevedere tempi adeguati per attività collegiali di
progettazione, documentazione, preparazione dei materiali,
verifica e valutazione.
|
Se
alle scuole che partecipano alla sperimentazione si richiede
(come è giusto) di stare dentro un processo di ricerca-azione
e di miglioramento, ad esse vanno garantite le condizioni di
fattibilità. I tempi di progettazione, di riflessione
collegiale sull’esperienza avviata, di documentazione di
verifica e di valutazione costituiscono oltre che un diritto
anche una necessità ed un’urgenza. Si tratta di capire dove
vanno recuperati. Se è solo il docente prevalente che ne può
usufruire agevolmente vengono automaticamente a cadere tali
condizioni.
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Art. 10
Quadro regionale delle scuole aderenti alla sperimentazione
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1.
Il Direttore Generale regionale, nell’ambito delle
indicazioni e istruzioni fornite dal Dipartimento per lo
Sviluppo dell’Istruzione, redige, in collaborazione con l’I.R.R.E
ed i responsabili dei Centri di Servizi Amministrativi, il
piano regionale delle istituzioni scolastiche inserite nel
programma nazionale di sperimentazione, nel rispetto dei
limiti previsti dall’art. 1, commi 1 e 2.
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La
prima operazione a cura degli uffici scolastici regionale è
la redazione del piano
di sperimentazione. Tale piano deve essere curato
utilizzando alcune risorse: responsabili dei CSA e IRRE.
Abbastanza
inopportuna appare l’omissione della risorsa tecnica, vuoi
dei dirigenti tecnici (ex ispettori) vuoi dei componenti degli
ex uffici studi, del personale docente e dirigente comandato
presso gli uffici della direzione regionale.
Tale
indicazione della bozza di decreto sembra voglia lasciar
intendere una idea di sperimentazione solo in chiava
amministrativa.
Al
Direttore regionale competente, dunque, la scelta delle
scuole? Si tratta di capire se essa viene effettuata su
precise indicazioni del centro, se costituisce un’autonoma
responsabilità del territorio attraverso la struttura tecnica
di riferimento (responsabili CSA e IRRE), se, come, e sulla
base di quali indicazioni le scuole possono autoproporsi.
I
tempi ristretti fanno propendere per una interpretazione dell’operazione
in maniera verticistica, anche se un progetto che vuole
influire sul futuro della scuola avrebbe invece bisogno di un’ampia
partecipazione.
Sarebbe
importante che, comunque, in questa fase (primi giorni di
settembre) tutte le scuole ricevessero da parte dell’ufficio
scolastico regionale le informazioni non tanto relative ai
documenti ministeriali (bozza di decreto, Indicazioni e
Raccomandazioni) rinvenibili in internet, quanto piuttosto
quelle relative ai criteri, tempi, procedure adottate a
livello regionale. La presenza di una sede visibile (gruppo
tecnico) deputata a selezionare (su criteri trasparenti) le
proposte delle scuole costituirebbe un secondo criterio di
garanzia.
Ma
queste procedure volte ad assicurare la trasparenza delle
operazioni potrebbero essere messe in crisi dalla ristrettezza
dei tempi che andrebbe a “giustificare” operazioni opache
e verticistiche.
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2.
Il Direttore Generale regionale interviene, a seguito
di motivate richieste da parte delle scuole interessate alla
sperimentazione, per assicurare le risorse disponibili, anche
con il ricorso ai finanziamenti previsti dalla legge 18
dicembre 1997, n. 440.
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Sappiamo
che il 10% della quota per il sostegno dell’autonomia viene
accantonata a livello regionale per interventi di tipo
compensativo o innovativo (progetti di ricerca, qualità ecc).
Si tratta di capire come gli uffici scolastici regionali
andranno ad interpretare questo comma. Le scuole che
sperimentano hanno bisogno sicuramente di risorse fresche, ma
potrebbe verificarsi che ciò possa andare a penalizzare tutte
le altre, che comunque costituiscono la quasi totalità.
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Art.
11
Organismi di supporto e sviluppo della
sperimentazione |
1.
Al fine di sostenere le iniziative di sperimentazione e
di dare sviluppo al processo di qualificazione della scuola
dell’infanzia e della scuola elementare, vengono istituiti
un Osservatorio nazionale ed un Osservatorio regionale.
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L’istituzione
di un osservatorio per iniziative di monitoraggio costituisce
sicuramente un’idea in sé vincente. Ma ci saranno le
condizioni tecniche e le risorse finanziarie perché tale
struttura abbia la possibilità di rispondere efficacemente al
compito? Abbiamo avuto, nel recente passato, esperienze simili
abbastanza nobili (es., osservatorio handicap), ma anche meno
nobili (es., per la formazione del personale della scuola,
soprattutto delle funzioni obiettivo) che alla fine non sempre
si sono rivelate efficaci. Nel secondo caso, non potendo la
struttura contare su alcun supporto tecnico, ha finito per
diventare un organismo solo consultivo.
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2.
L’Osservatorio Nazionale è istituito presso il Dipartimento
per lo sviluppo dell’istruzione del MIUR, con la funzione di
definire criteri per l’attuazione ed il monitoraggio del
progetto nazionale di sperimentazione. La composizione dell’Osservatorio
Nazionale è definita con decreto del Ministro.
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Dovendo
l’Osservatorio a livello nazionale definire anche i criteri
di attuazione della sperimentazione, si presuppone che esso
non solo sia già stato costituito, ma che sia effettivamente
in piena attività operativa (ma segnali in tal senso non sono
evidenti: quando è stato costituito, da chi è composto,
quando si incontrano, come sono articolati i compiti…).
È
importante che tutte le operazioni decentrate a livello locale
abbiano un riferimento, seppure solo di indirizzo, a livello
nazionale, ma il tempo di una anno, previsto per la
sperimentazione, quasi vanifica la possibilità di rendere
attendibili gli esiti della sperimentazione, ed efficaci gli
organismi di supporto connessi. Le migliori esperienze ci
dicono che un anno non è sufficiente neppure a rodare il
funzionamento di una macchina.
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3.
L’Osservatorio
regionale è istituito, con provvedimento del Direttore
Generale presso ogni Ufficio scolastico regionale, per lo
svolgimento dei compiti indicati al comma precedente. Il
predetto Osservatorio è composto dal Direttore Generale
regionale, che lo presiede, dai responsabili dei Centri di
Servizi Amministrativi, da un rappresentante dell’I.R.R.E.,
degli Enti Locali interessati e delle scuole paritarie. L’Osservatorio
si avvale di gruppi tecnici di supporto alle istituzioni
scolastiche coinvolte nella sperimentazione per la
realizzazione della iniziativa.
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Questo
comma stabilisce la composizione delle varie componenti dell’osservatorio
a livello regionale:
-
Direttore
generale;
-
Responsabili
CSA;
-
Rappresentante
IRRE
-
Rappresentante
Enti locali interessati
-
Rappresentante
scuole paritarie
Come
si evince, viene omessa la componente tecnica. Probabilmente
la sperimentazione per coloro che l’hanno ideata rappresenta
solo un’operazione di tipo amministrativo.
Sicuramente
la componente tecnica verrà utilizzata per la costruzione
delle strutture di supporto e di consulenza da realizzare sia
a livello locale sia a livello nazionale (crf
art. 2, comma 8).
L’esclusione
di tale apporto anche in fase organizzativa implica l’idea
di una funzione tecnica di semplice supporto alla funzione
amministrativa senza che la competenza tecnica possa
interfere, con proficue contaminazioni, sulle politiche
formative.
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