|
|
AL VIA IL FEDERALISMO FISCALE? ANCORA
MOLTO DA FARE PER L’ISTRUZIONE di Gian Carlo Sacchi Quasi tutti emanati i decreti applicativi della
legge 42/2009, anche se permangono screzi tra stato e regioni sui
meccanismi sanzionatori nei confronti di quegli enti territoriali che
non sono in linea con i rapporti spese - costi standard. E’ già stata
avviata la fase di indagine sui bilanci di comuni e province, anche al
fine di pervenire già dall’autunno prossimo alla elaborazione dei
documenti contabili non più centrati sulla così detta “spesa storica”,
ma sui “fabbisogni standard”, che anziché essere coperta da
trasferimenti statali si finanziano con tributi propri. I fautori del federalismo combattono la spesa
storica perché mantiene gli sprechi (più spendi e più richiedi), mentre
con la nuova strategia, una volta accertati i costi da coprire
obbligatoriamente in base alle “funzioni fondamentali” stabilite per
legge, si lascia margine di manovra agli enti locali per la gestione
virtuosa dei servizi con il
recupero dei risparmi realizzati. Ancora non tutto è chiaro sul fronte delle entrate,
soprattutto nella riorganizzazione degli attuali tributi a sostegno
delle competenze degli enti, in relazione alla diversificazioni delle
funzioni e delle caratteristiche dei territori, ma la strada intrapresa
vuole significare che non potrà più verificarsi la politica dei così
detti “tagli lineari”, indiscriminati, e se una regione gestisce i
servizi in modo più vantaggioso, potrà anche calare le tasse, viceversa
chi ha più spese dello standard le dovrà aumentare per i
suoi cittadini, fatto salvo
un fondo perequativo per andare incontro a chi ha meno capacità fiscale
rispetto ai fabbisogni standard. Tutto questo sembra abbordabile trattandosi di
materie già di competenza degli enti territoriali, ma quando si tratta
di istruzione occorre fermarsi di fronte al perdurare del centralismo
statale con particolare riferimento alla dipendenza del personale. Non è stato attuato il decentramento previsto dal
DL 112/1998, non è stato applicato il nuovo Titolo quinto della
Costituzione ed oggi ci troviamo un decreto che prevede di nuovo la
definizione dei “livelli essenziali delle prestazioni” (LEP) che devono
essere garantiti per legge su tutto il territorio nazionale. Prima dunque è necessario sapere in quale
prospettiva di governo si colloca la questione fiscale in questo
settore; assimilarlo quasi automaticamente alla sanità cozza contro il
fatto che il sistema sanitario è regionale, compresi gli stipendi degli
addetti, ed alla base non ci sono entità autonome come le scuole che
hanno rilevanza costituzionale. Il sistema dell’istruzione, che oggi si allarga
alla formazione professionale, agli asili nido, ai provvedimenti per il
diritto allo studio ed all’edilizia scolastica, ha un governo
multilivello e quindi la
spesa deve essere composta
sulla base di competenze attribuite allo stato, alle regioni, alle
province, ai comuni ed alle autonomie scolastiche. Gli interventi per la salute tendono alla
stabilizzazione, mentre quelli per l’educazione sono dinamici,
improntati a seguire il cambiamento, sia nella crescita delle persone
(successo formativo), sia nei fabbisogni sociali (competenze). Definire
i LEP dunque vuol dire guardare al decentramento, ai diritti
costituzionalmente garantiti, alla cittadinanza sociale. I passaggi nella riforma della pubblica
amministrazione del 1997 e nel riordino costituzionale del 2003 erano
chiari, ma sono rimasti lettera morta; qualcosa è stato fatto in più per
l’autonomia didattica e organizzativa delle scuole nel 1999, ma molto
anche di questo è rimasto a mezz’aria, come ad esempio quella
finanziaria, che oggi si ripropone con alle spalle i rapporti con gli
enti locali e l’autofinanziamento delle scuole stesse. Se più di un
decennio non è bastato per mettere in carreggiata il sistema formativo
in un’ottica territoriale, con il pericolo che siano le scuole e non gli
enti locali sulle quali potrebbero essere scaricate le funzioni
amministrative oggi dell’amministrazione scolastica (si veda una certa
concezione delle reti scolastiche), forse la strada più breve per
arrivare al federalismo è appunto quella dei LEP (anche se una bozza di
accordo per l’applicazione del predetto titolo quinto è pronta da tempo,
ma il governo non la firma): una legge nazionale che recuperi le
questioni del governo del sistema, l’identità degli stessi LEP, le
modalità di finanziamento e di valutazione, atteso che le prima citate
funzioni fondamentali, almeno di comuni e province, sono già indicate
nel D.Leg.vo 216/2010. Quella dei LEP è l’occasione nono solo per fare il
punto su competenze e finanziamenti, ma per il rilancio del valore della
formazione nel nostro Paese, che oggi sembra entrato in un cono d’ombra,
evitando che ad esempio una volta coperto il valore per gli asili nido
questi non vengano poi realizzati in un territorio dove le donne non
lavorano: si sa che lavoro e servizi sono strettamente collegati,
consentendo la distrazione delle risorse verso altri obiettivi. Essi
hanno dunque una funzione educativa sia per ciò che accade dentro la
scuola, sia fuori di essa, nella comunità, degli amministratori, ma
anche dei cittadini e dei giovani a livello di crescita e di costruzione
della cittadinanza. I federalisti ritengono altresì che questa sia
un’azione di moralizzazione rispetto alla finalizzazione delle risorse e
che aumenti il controllo sociale sull’azione politica e amministrativa. Nella classificazione delle spese regionali c’è
dunque l’istruzione tra quelle per le quali è necessaria la definizione
dei LEP per poter mettere mano alle questioni finanziarie. Essi sono
stabiliti, dice il D.Leg.vo 68/2011, prendendo a riferimento “macroaree
di intervento……Per ciascuna delle macroaree sono definiti i costi e i
fabbisogni standard, nonché le metodologie di monitoraggio e di
valutazione dell’efficienza e dell’appropriatezza dei servizi offerti”. Allora non ci resta che attendere che si cominci a
lavorare sui LEP, ma per ora il panorama non sembra essere molto
incoraggiante. Il Governo, che avrebbe dovuto ricercare le “norme
generali” e i “principi fondamentali” già indicati dalla riforma
costituzionale, sembra avere altro a cui pensare, ad esempio alle
questioni del personale in un’ottica di continuo e generalizzato
ridimensionamento, anche quando i fabbisogni standard sono
intuitivamente diversi nelle varie regioni; in Parlamento per ora c’è
poco di questo, e allora ? Il suddetto decreto però si cautela, perché
“fino alla determinazione…dei LEP, tramite intesa conclusa in sede di
conferenza unificata sono stabiliti i servizi erogati, aventi
caratteristiche di generalità e permanenza, e il relativo fabbisogno,
nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica”. A parte le questioni
finanziarie che sappiamo quali siano, la visione è ancora una volta
centralistica, chissà per quanto tempo. E il tutto ci riporta alla
filosofia della fine del secolo scorso, rimasta sulla carta.
Si dovranno esaminare i titolari di questi diritti
(una “quota capitaria”, pesata,
che assomiglia a quella sanitaria), in termini demografici, provenienza
di nascita, portatrici di bisogni educativi speciali, di condizione
socio - economica. Quali sono le risorse, umane, strumentali,
finanziarie necessarie per rendere effettivo tale diritto ? E quali gli
esiti in termini di efficienza, efficacia, equità, fino a ricercare
parametri di confronto e ad elaborare piani di miglioramento. I LEP potrebbero essere la svolta capace di
riassumere nuovamente l’inascoltato appello all’autonomia dei sistemi
formativi territoriali, nell’ambito dell’uguaglianza delle opportunità e
nel perseguimento di risultati di sempre maggiore qualità: ma chi pon
mano ad essi? |
La pagina
- Educazione&Scuola©