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Decentramento no, federalismo forse, e...
l’autonomia? di Gian Carlo Sacchi Negli ultimi vent’anni un importante corpo
legislativo ha cercato di riformare gli Enti Locali, nel senso di
attribuire loro competenze di presidio democratico del territorio
superando la funzione di organo decentrato dello Stato, Ma anche
qui vale il motto che fatta l’Italia, del decentramento, occorresse fare
gli italiani nel passaggio effettivo delle competenze dal centro alla
periferia, verso gli enti locali, le stesse scuole autonome,
sollecitando l’azione diretta dei cittadini e delle loro aggregazioni,
nell’ottica di quella che si usa chiamare sussidiarietà. Il decreto 112/1998 aveva già previsto tutto questo
con l’intento di portare la gestione alla portata dei fruitori,
alleggerendo così lo stato nazionale e con l’intento di creare un
collante più efficace dell’azione pubblica nei diversi territori. Questo avvenne in modo molto parziale ed anziché
andare fino in fondo si preferì nella modifica della Costituzione mutare
il punto di vista, cioè non più uno stato di garanzia dei diritti che fa
agire le realtà locali, ma l’individuazione di competenze proprie dei
diversi livelli di governo che poi si relazionano rinforzandosi in
orizzontale con altre realtà operanti sul territorio stesso e in
verticale per coprire spazi più ampi e porre meglio a sistema
l’esercizio delle funzioni e la qualità dei servizi. L’applicazione del nuovo ordinamento costituzionale
è ancora in alto mare, esso ha comunque bisogno di una cornice normativa
(fatta anche di accordi bilaterali, tra stato, regioni, province e
comuni) che sancisca le attribuzioni di ciascun pezzo di repubblica e li
ponga in relazione fra di loro. Qui occorrerebbe mettere a fuoco la
natura giuridica delle autonomie scolastiche, definite
funzionali, assicurando una loro efficace rappresentanza sia tra
quelle territoriali, sia nei consessi nei quali si prendono le decisioni
di politica scolastica. Sembra però che la burocrazia ministeriale come ha
resistito alle riforme Bassanini stia resistendo anche all’attuazione
della normativa costituzionale e anziché mettere mano al passaggio dei
poteri è forse meglio cavalcare la nuova prospettiva del
federalismo, che alla
situazione precedente ha aggiunto la questione delle risorse e, mediante
la strada del contenzioso dell’alta Corte, anche quella della
dipendenza funzionale del
personale. Oggi dunque abbiamo un sistema istituzionale
estremamente debole, risultato di una notevole quantità di soggetti che
vi intervengono con l’esercizio di poteri in parallelo e spesso
conflittuali, un’autonomia scolastica altrettanto debole non solo per il
rischio di polverizzazione, ma soprattutto perché non ha ruolo nella
gestione dei curricoli, del personale e dei finanziamenti e non ha
riconoscimento nelle dinamiche interistituzionali e nei rapporti con il
territorio. Prima ancora di stabilire se l’autonomia funzionale
sia alla pari delle altre o valga meno le scuole vengono continuamente
condizionate da una perdurante visione statalista, che contrasta con
quella per altri versi regionalista, alla quale si aggiunge una
abbastanza evidente azione così detta “di tendenza” che porta ad
aggregare le autonomie sotto forma di reti composte sia da scuole che
dipendono dallo stato, sia da quelle di enti e/o privati ancorchè
dichiarate paritarie. La recente normativa sul federalismo ripropone,
migliorandola, la stessa questione del passaggio delle competenze per le
quali viene ripresa dal nuovo Titolo Quinto la richiesta di definire in
ambito nazionale i Livelli
Essenziali delle Prestazioni che avrà, previa l’indicazione di
fabbisogni e costi standard, ricaduta sulle politiche fiscali, sia a
livello nazionale che locale, lasciando allo Stato medesimo
competenze residuali e di
garanzia dei diritti dei cittadini, nonché di perequazione.
Ma ancora una volta il centralismo la fa da padrone
e viene condito con i tagli di personale e di finanziamenti che non si
misurano con i predetti fabbisogni, ma semplicemente con le
disponibilità definite in modo unilaterale del bilancio statale, il che
spinge unicamente alla diminuzione di qualità e più in generale
dell’offerta. Come si vede ogni maggioranza politica tenta di
cambiare tutto perché di fatto in mano alla burocrazia nulla cambia
(anche le reti di scuole potrebbero far tonare il ministero dalla
finestra, dal momento che gli uffici amministrativi locali dovrebbero
uscire definitivamente dalla porta), e da un’apparente uniformità si
producono le vere disuguaglianze, dimostrate dalle ricerche sugli
apprendimenti e sulla qualità dei servizi, anziché andare alla
definizione delle regole generali richieste dalla nuova carta
costituzionale ed al completamento dell’autonomia delle istituzioni
scolastiche, comprensiva
dell’organico di istituto. E LE REGIONI ? Si sarebbe dovuto assistere ad un vero e proprio
assalto alla Bastiglia di viale Trastevere e invece anche sul fronte
regionale la situazione è piuttosto tiepida. Il riferimento più attuale
sembra la legge sul federalismo fiscale, che se necessita ancora di
approfondimenti sul fronte economico, definisce da un lato le
funzioni fondamentali di cui
tutte le regioni devono farsi carico, e, dall’altro, di stabilire quali
sono gli standard/livelli essenziali che devono essere garantiti,
sebbene con interventi perequativi da parte dello Stato. Tutto questo deve far parte di una legislazione
regionale che cammina ancora lentamente, ma che è indispensabile se si
vogliono raggiungere obiettivi di efficienza della rete dei servizi ed
ambire alla gestione del personale. Le autonomie scolastiche si indeboliscono sempre di
più se da un lato sono lasciate sole (“federalismo per abbandono”) e
dall’altro è incerto il loro procedere (il DPR 275/1999 regolamenta
l’autonomia dall’interno delle scuole, ma queste poi non hanno poteri
reali di adeguamento sul piano organizzativo e riconoscimenti
dall’esterno che non siano donazioni) e
la loro sussistenza (anche se non hanno potere impositivo i
contributi volontari delle
famiglie sembrano i mezzi attualmente più consistenti, ma qui si
devono fare i conti non solo con la possibilità di detrazione fiscale,
ma con il fatto che il diritto allo studio sia davvero universale). Il problema non si risolve spingendo le scuole ad
aggregarsi in rete, anche se queste possono essere utili sul piano del
consolidamento dei servizi, materiali e culturali, e nemmeno pensando a
“Fondazioni” di supporto, ma mettendo in atto da parte di regioni ed
enti locali efficaci attività di programmazione che da un lato sappiano
corrispondere alla domanda non solo di scuole ma di attività integrate
in ambito formativo e dall’altro contemperando tale finalità tra quei
servizi dedicati alle persone, all’organizzazione sociale ed economica. La costante azione di riorganizzazione degli
“ambiti territoriali” e delle “unità scolastiche autonome”, alle quali
le scuole stesse dovranno partecipare, potrà determinare in modo
efficace la loro presenza e la loro economicità, in base a parametri
stabiliti dalla legge nazionale, ma attuati secondo le esigenze
regionali e locali. Dall’altra parte il sancire, come si è detto, la
loro rappresentanza nella politica scolastica ai diversi livelli va
legittimata in una legge sulla governance delle scuole stesse (c’è un
testo interessante bipartisan alla Camera), nell’ambito di una gestione
democratica degli istituti, che può operare localmente e può anche
costituire occasione di aggregazione volontaria per ambiti territoriali
più ampi, con modalità altrettanto democratiche di elezioni a livelli
successivi. La rappresentanza è un fatto
politico, deve essere
valutato dagli organismi delle scuole che devono decidere da chi e in
che modo desiderano farsi rappresentare. Altra cosa sono le reti di
servizi, per la partecipazione a bandi e progetti, o per l’utilizzo
aggregato di risorse umane e finanziarie; altra cosa ancora è
l’eventuale reclutamento del personale attraverso le reti, attribuendo
ad organismi bottom up competenze attualmente svolte
dall’amministrazione scolastica che devono invece passare attraverso le
decisioni da assumere in sede istituzionale (legge nazionale sul
reclutamento o intese stato – regioni). CONCLUSIONE E’ dunque il federalismo oggi a catalizzare tutte
le questioni che da anni imperversano nel governo del sistema educativo,
scolastico e formativo del nostro Paese ? Possiamo ripartire da lì, anche perché questa
prospettiva ha fatto un passo avanti nell’unificazione di tutti i
servizi che in questo settore vengono erogati sui territori e prova a
definire un percorso finanziario che sulla base di prestazioni,
fabbisogni e costi, rende più flessibile e più rispondente alla realtà
la composizione della spesa, mettendo veramente a fuoco le politiche
regionali e locali e le relative motivazioni ad investire. Qual è il migliore riferimento finanziario ? Il
PIL, cioè quanto si mette rispetto alla ricchezza prodotta, oppure un
punto PISA, cioè quanto costa un determinato risultato. Oggi ancora più di ieri assistiamo ad un
progressivo appiattimento della spesa statale sul personale e questo
potrebbe anche rappresentare il trasferimento rispetto al fisco
nazionale, ma poi ci sono gli altri livelli di contribuzione: regionale,
provinciale, comunale, che possono andare ad arricchire l’offerta
formativa, oltre alle contribuzioni dirette alle agenzie educative,
scuole comprese, con o senza detrazione fiscale. La novità potrebbe proprio stare nella definizione
dei suddetti Livelli Essenziali che comprendono la qualità dei servizi,
la salvaguardia dei diritti individuali, l’incentivo ai risultati. Tutto
questo non come semplice riparto di un fondo nazionale, come nel caso
della sanità, ma nella composizione negoziale nell’ambito regionale e
sul tavolo stato – regioni, con il costante monitoraggio tra costi e
fabbisogni.
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