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La Provincia di Trento ha emanato un proprio regolamento sulla valutazione periodica e annuale degli apprendimenti e delle capacità relazionali degli studenti. Esso contiene disposizioni sensibilmente diverse da quelle presenti in un analogo provvedimento del governo nazionale. Sul piano pedagogico e politico è chiaro che si tratta di un’altra visione delle cose, mentre su quello giuridico è l’espressione concreta dell’autonomia di cui stiamo parlando con l’applicazione del titolo quinto della Costituzione e più in là con la legge sul federalismo fiscale appena approvata. E’ questa un’occasione per mostrare davvero l’effetto di un tale impianto legislativo, che fin qui è apparso ai più come uno dei soliti bizantinismi all’italiana, dove pur partendo da punti di vista particolari alla fine si arriva ad un equilibrio che lascia tutto come prima. Trento affronta un problema che ha un notevole impatto sull’opinione pubblica, come le modalità di valutazione degli allievi, e questo fa capire come potrebbe essere davvero un sistema federale, qualora quelle che oggi sono le prerogative di una provincia/regione così detta a statuto speciale, diventassero un fatto ordinario, nell’esercizio dei poteri sul territorio, ma anche quanto a organizzazione e, perché no, a conseguenze sul piano finanziario. Il ministro Gelmini nel suo regolamento prevede che le modalità di espressione della valutazione siano i voti numerici, sia per il profitto che per il così detto comportamento, in tutti i gradi di scuola, e che per l’ammissione alla classe successiva ed agli esami di stato occorra la sufficienza in tutte le materie, compreso il medesimo comportamento. Anche la certificazione delle competenze, utile per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione, va accompagnata da valutazioni in decimi. Non si vuole qui entrare nelle questioni di tipo pedagogico e docimologico, che evidentemente la provincia di Trento non condivide se mantiene i giudizi analitici e sintetici e colloca il comportamento nelle “capacità relazionali”. Le scuole statali e paritarie trentine devono inserire quest’ultima valutazione in un giudizio globale che non influisce sulla sanzione degli apprendimenti, al contrario dell’ordinamento statale che ne prevede una autonoma, la quale, nel bene e nel male, “fa media”. Essa non condiziona l’ammissione alla classe successiva e all’esame di stato, né l’attribuzione del credito scolastico. Nelle scuole superiori dolomitiche si usa il quattro come votazione più bassa, anche nelle capacità relazionali. La così detta bocciatura per il primo ciclo assume un carattere di eccezionalità, mentre il ritorno ai voti ha aumentato in maniera significativa questo dato sugli altri territori. Nella scuola secondaria di primo grado sono ammessi alla classe successiva o all’esame di stato gli studenti che abbiano ottenuto una valutazione complessivamente sufficiente da parte del consiglio di classe, senza parlare di esiti accettabili in tutte le materie. Il provvedimento trentino si conclude con una tabella di “conversione”dei giudizi in voti e accenna a forme di raccordo con la normativa statale. Non sfugge a nessuno non solo una diversa cultura della valutazione, ma come questa non possa non incidere sull’atteggiamento dei docenti e sulla motivazione degli allievi, ma anche sulla stabilità di un sistema che guarda al processo formativo e pensa ad un percorso più regolare, sia per i giovani che per la programmazione del servizio. Le bocciature, soprattutto al termine del primo ciclo, aumentano la dispersione, determinando un’azione instabile ad esempio nella formazione delle classi e ciò richiede un maggiore esborso economico, soprattutto nel momento in cui l’obbligo di istruzione viene assolto anche nel canale della formazione professionale. Mentre nella realtà trentina esistono gli standard in questo altro segmento e la legge provinciale prevede forme di raccordo, nella consapevolezza, che è propria anche di altre regioni, che il rapporto costi – benefici sia vantaggioso nella misura in cui c’è integrazione tra i due, soprattutto nella fase della preadolescenza, dove orientamento e competenze generali costituiscono gli elementi strategici del successo, agire solo sui misuratori, significa rompere il termometro a chi ha la febbre senza preoccuparsi di curarlo; anzi a chi non avrà poi le risorse per accedere all’ospedale di lusso, si apriranno le porte del lazzaretto, scarsamente utile anche per il mercato del lavoro. Il sistema trentino ha da tempo una struttura di valutazione degli apprendimenti e delle scuole, ma si preoccupa anche della ricerca didattica e del supporto alla qualificazione dei curricoli, sia nell’ambito della scuola che della formazione professionale. Qui si tocca con mano cosa voglia dire un sistema federale: quale cultura, organizzazione, investimenti siano necessari nei diversi territori, e si capisce anche cosa debba essere un federalismo solidale se si vogliono mantenere i diritti di cittadinanza su tutto il territorio nazionale. Agendo prevalentemente sulla leva fiscale, come vuole la recente legge, non si fugano del tutto le preoccupazioni in merito alla sopravvivenza di un centralismo che vuole continuare a mantenere il potere fidando sulla disomogeneità del quadro regionale, ma anche rispetto all’inefficienza di alcune regioni sui livelli essenziali delle prestazioni, pur se non ancora definiti. Fin dal 1988 le norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Trentino Alto Adige in materia di ordinamento scolastico stabilivano che “le attribuzioni dello Stato in materia di istruzione sono esercitate dalla provincia di Trento, nell’ambito della propria competenza concorrente”. Ciò che è in discussione sull’applicazione del nuovo titolo quinto della Costituzione è nella sostanza l’estensione di questa formula a tutte le regioni italiane, ma l’art.117 della carta costituzionale riformata, cambia il ruolo dello Stato. Non più quindi competenze statali da trasferire alle regioni, ma gestione autonoma dei territori in “concorrenza” con norme generali, livelli essenziali delle prestazioni, costi standard. E’ in corso una serrata trattativa tra stato e regioni in questo senso, che sta prendendo la strada di un’intesa. Speriamo che presto si possa dire che lo stato ha finalmente imboccato la sua corsia, che è quella degli standard per tutto il sistema, scolastico e formativo, e non dell’accanimento sui misuratori. L’assolvimento dell’obbligo di istruzione nella formazione professionale regionale poi produce una giungla valutativa, sia per quanto riguarda le metodologie, la certificazione delle competenze ed il riconoscimento dei crediti. Un sistema di valutazione nazionale, che si sta cercando di realizzare nel nostro Paese, e già in atto nella provincia di Trento, possa davvero contribuire al miglioramento della qualità di tutto il servizio formativo, statale e regionale, e non per aumentare la dispersione, travasando in contenitori ad excludendum, che poco hanno di meritocratico, giovani che invece necessitano di stimoli educativi e di una rinnovata qualità della didattica. La valutazione dei docenti e delle scuole non farà cambiare immediatamente idea all’OCSE sulla situazione italiana; si potrà arrivare a meccanismi di premialità o di penalizzazione se i docenti avranno reale autonomia sul curricolo, se una didattica per competenze aiuterà i processi formativi, ed il riconoscimento dei crediti dentro e fuori il sistema consentirà di abbracciare la strada della formazione lungo tutto l’arco della vita. Per questo occorre monitorare, ma anche investire su ricerca e formazione del personale. Le Regioni però dal canto loro devono intervenire urgentemente con una normativa organica su tutto il loro sistema territoriale, se si vuole davvero poter concorrere con lo stato nelle decisioni complessive, come indica anche la Corte Costituzionale, ma le leggi regionali oggi si contano su una sola mano. La Provincia di Trento l’ha fatta; all’art 60 si parla della valutazione degli studenti ed è in applicazione di essa che è stato emanato il suddetto regolamento; altre regioni hanno lasciato più spazio alle autonomie scolastiche. Qualcuno potrà dire, come accade nel battage mediatico, che siamo in piena torre di Babele e che c’è bisogno di indicatori chiari e semplici, purchè efficaci, verrebbe da ribattere. Su questo tema ormai ci sono tre elementi che vanno sempre di più affermando la loro autonomia, pur nella necessaria collaborazione: lo Stato nazionale che deve indicare la direzione, gli obiettivi, controllare i risultati e gestire la così detta sussidiarietà verticale; le Regioni devono programmare il servizio; alle scuole, che non sono più terminali locali dello stato, ma enti autonomi nel territorio, la gestione dell’offerta formativa, del dialogo educativo, la capacità di promuovere la dimensione formativa nello sviluppo del territorio stesso. Le risorse umane e finanziarie sono concorrenti, vanno negoziate tra stato e regioni e tra queste e le realtà locali, a partire dalle scuole, che a vario titolo sono presenti nel sistema formativo territoriale. E’ l’evoluzione del quadro culturale, economico e internazionale a volere tutto questo, ogni tentativo di sovrapposizione non fa altro che aumentare la confusione: ma ognuno deve fare la sua parte.
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