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Le politiche scolastiche - istituzionali, nella storia d'Italia, dalla riforma Casati in poi, hanno sempre avuto un'impostazione centro - periferia, configurando il ruolo delle scuole come terminali territoriali del ministero e degli enti locali come azioni di supporto materiale a tale servizio. Fatta l’Italia non c’è dubbio che la scuola abbia contribuito a “fare” gli italiani, ma oggi proprio per essere in grado di far progredire questo sistema più sul versante “qualitativo” occorre che le politiche formative nascano dal basso; esse emergono dagli ambiti della coesione sociale, del lavoro, della costruzione della società civile, e vanno a costituire quel settore che viene definito della formazione “non formale”, che, insieme alla scuola, all’educazione degli adulti, compone il più generale quadro dell’education. In tale prospettiva le realtà locali sono portate a valorizzare la funzione formativa, con una pluralità di soggetti e di modalità di intervento, sia come strumento di crescita delle persone, ma anche come modello di sviluppo della stessa comunità. La stagione della così detta "partecipazione", negli anni settanta, ha cercato di favorire la collaborazione tra scuola e società, a partire dalla presenza delle famiglie in organismi che dovevano partecipare alla definizione degli obiettivi del sistema, sia per quanto riguardava i progetti educativi degli istituti scolastici, sia i programmi territoriali (il consiglio di distretto), in modo da consentire di intercettare e soddisfare il mutare della domanda di formazione. Nel frattempo l'istituzione delle regioni a statuto ordinario ha fatto sì che diverse di esse operassero in maniera significativa sulle nuove competenze attribuite, in particolar modo quelle del diritto allo studio e della formazione professionale. Il notevole ristagno politico rispetto alle riforme nazionali, soprattutto nella secondaria superiore, ha favorito da parte di moltissime scuole, in questo sostenute e/o sospinte dalle comunità locali, in modo più o meno organizzato, l’utilizzo dell’istituto della "sperimentazione" didattica e di ordinamenti e strutture, introdotto dalla predetta legislazione sulla gestione sociale. Tali situazioni sperimentali sono rimaste sulla scena per oltre un ventennio e si sono fatte carico delle principali innovazioni introdotte in quegli anni, anche se la vera materia del contendere rimaneva il superamento del centralismo burocratico per l’avvio di un’autonomia intesa come autoregolazione dei processi didattici e organizzativi della formazione. In occasione della Conferenza Nazionale sulla Scuola del 1990 fu ipotizzato un governo del settore come quello inglese, ad opera sostanzialmente delle comunità locali. E' il "sistema delle autonomie" a prendere corpo nell'ultimo decennio: dalla riforma degli enti locali, a quella della pubblica amministrazione, che ha inglobato anche le problematiche scolastiche, fino alla revisione del titolo quinto della Costituzione. Quest'ultimo pronunciamento ha ribaltato il concetto precedente ed ha fondato un sistema sul rapporto periferia - centro, ampliato in quest’ultimo periodo da nuove attese, ad esempio quella dell’internazionalizzazione dei modelli formativi, e nuove emergenze: il disagio giovanile, gli stranieri, ecc. Oggi c'è una normativa, ampiamente suffragata dalla giurisprudenza della corte costituzionale, che riconosce a scuole, enti locali, agenzie territoriali, aggregazioni sociali, spazi di progettazione, di programmazione e di integrazione per la gestione delle politiche formative, secondo il principio di sussidiarietà. Una grande conquista sul piano degli esiti di un percorso innovativo, democratico e pluralista, che si è affrancata negli ultimi decenni ed offre la possibilità di affrontare in modo collaborativo le numerose sfaccettature dell'offerta formativa, ma anche una grande sfida che fa rischiare, per altro verso, l'isolamento delle varie realtà (autonomia = autarchia), la esasperata competitività tra i soggetti e le iniziative, l'indebolimento dei diritti di cittadinanza, la qualità dei processi. Queste sfide andranno raccolte da persone e comunità locali, che devono acquisire sensibilità, competenze, mettere a punto strategie e strumenti per sostenere questo sistema delle autonomie nel suo processo di continua innovazione, fino alla elaborazione di “patti territoriali” che sappiano porre efficacemente in relazione gli aspetti programmatici, i necessari investimenti, le professionalità ed i risultati. Un laboratorio per le politiche formative territoriali dunque può essere un punto di riferimento per riflettere in modo cooperativo su questo nuovo grande impegno, per raccogliere, capitalizzare e far circolare esperienze, per fornire risposte ad iniziative locali dalle quali trarre anche indicazioni e contributi per la costituzione del sistema nazionale e oltre. Un percorso di ricerca partecipato che si vuole connotare anche sul piano culturale e metodologico, sia come oggetto di approfondimento e sviluppo del sapere nel campo delle scienze dell’educazione, sia come modalità per migliorare la conoscenza a partire dall’esperienza, per saper governare il cambiamento. Un laboratorio che fa interagire competenze professionali e istituzionali, aperto anche agli studenti ad esempio universitari del corso di laurea di educatore professionale un domani interessati a professionalità nel settore formativo, pubblico e privato, sempre più interrelate nell'ambito dei servizi alla persona ed alla comunità, non per chiudersi in un bieco localismo, ma per porsi in grado di fare sistema a livelli sempre più ampi e complessi. Si deve trattare di una iniziativa di ricerca – formazione - progettualità destinata a soggetti operanti nei settori pubblici e privati: insegnanti e/o figure professionali “strumentali” interne alle scuole, dirigenti scolastici e amministrativi, amministratori e/o funzionari di enti locali, operatori del volontariato, della cooperazione, di enti di formazione, ecc. Un laboratorio finalizzato allo studio dei processi formativi territoriali, con carattere di formazione permanente, ma soprattutto capace di sostenere la qualificazione degli interventi nel settore e di intercettare i bisogni dei cittadini, nonchè di essere in grado di seguire e di governare il cambiamento. La politica dell’integrazione non è soltanto un principio di efficienza nell’amministrare, ma da senso alla formazione nell’ambito delle scelte e delle decisioni che presiedono alla crescita dei singoli ed allo sviluppo della comunità e arricchisce in modo diretto le azioni con la ricerca e la stessa formazione. Bisogna mettere in campo attività di studio e di riflessione – progettazione – verifica là dove si costruisce il sistema formativo locale; il laboratorio può essere un incubatore di tali iniziative e della loro capacità di animare il territorio e di stare in rete in circuiti progressivamente più ampi, costituisce un luogo di riflessione, di confronto, di ricerca, che aiuta e supporta le decisioni e le programmazioni. Devono essere coinvolti i diversi enti territoriali, ma anche il privato sociale, il mondo dell’economia, ecc., in Italia e all’estero, richiamando in particolare l’uso di programmi dell’UE. Questo oltre ad un approfondimento ampio e documentato vuole poter sperimentare in comune percorsi e modalità organizzative con ricadute a vasto raggio. Si tratta di studiare insieme cosa significa "territorio" oggi nell’ambito dei servizi alla persona ed alla formazione. C’è una pedagogia regionale ? Ci sono scelte formative e servizi che partono da riflessioni di carattere antroplogico – culturale in una determinata realtà locale, ma che devono collocare nel mondo, non solo in quello del lavoro. Cosa può fare la ricerca sulla formazione per lo sviluppo sociale ed economico del territorio stesso ? Come i linguaggi e gli ambienti formativi possono oggi influire sulla didattica: tra formale e non formale, a parecchi decenni dall’attivismo scolastico ? Le esperienze in atto ad esempio sull’integrazione tra scuole ed enti di formazione professionale danno già qualche segnale interessante, che può essere fatto ricadere sul progredire delle autonomie funzionali, quella scolastica innanzitutto. Come si può realizzare un’integrazione anche tra tutti i predetti servizi attualmente esistenti, di carattere sociale, sanitario, turistico, ecc., perché ricerchino sbocchi educativi, tanto richiesti dalle diverse realtà territoriali. Come ricostruire regole dal basso, in un sistema formativo complesso, tra richieste dei clienti, finalità educative, obiettivi territoriali di sviluppo, superando decisamente una legislazione scolastica parziale e obsoleta, soprattutto in relazione ai rapporti internazionali, al confronto fra sistemi, ad una costruzione europea di cittadini che si incontrano sicuramente all’interno di percorsi formativi.
METODOLOGIE Il laboratorio dovrà funzionare con il metodo della ricerca partecipata, come punto di incontro tra i saperi teorici/accademici e quelli pratici/esperienziali, per una reciproca contaminazione, un reciproco arricchimento, ed una ricerca comune sull’innovazione ed il potenziamento dei servizi. I punti di vista che illumineranno i nuclei tematici prescelti saranno quelli: storico – evolutivo, politico – organizzativo, antropologico – culturale, pedagogico – didattico, socio –economico, e altri ancora, avendo cura, almeno in una prima fase, di far cogliere gli intrecci tra l’articolazione dei servizi sul territorio da parte dello Stato (decentramento), l’autonomia delle singole realtà formative, come saperi esperti e corpi sociali intermedi (partecipazione), l’azione diretta dei sistemi territoriali (federalismo), in relazione anche alle ricadute concrete del predetto nuovo assetto costituzionale. Verranno presentati contributi di studio, casi concreti, con l’intervento di esperti e di testimoni privilegiati, relativi a modelli organizzativi, sistemi legislativi e normativi territoriali, progetti educativi e didattici più o meno direttamente collegati a realtà locali con diversi modelli di governo: sistema formativo, sistema politico ed economico, loro autonomie e reciprocità. Dall’esame degli aspetti più generali e dei principali saperi coinvolti, di carattere pedagogico, sociologico, economico, si può passare a tematiche specifiche che investono le politiche formative locali (disagio, stranieri, programmazione della rete scolastica, piani di zona, integrazione tra i sistemi, ecc.), fino ad arrivare a strategie di carattere formativo e di sperimentazione e progettazione.
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