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PARTE IL TAVOLO TECNICO MPI E REGIONI PER L’ATTUAZIONE DEL TITOLO QUINTO? di Gian Carlo Sacchi Sembra sia tornato bel tempo tra mpi e regioni circa l’applicazione del nuovo titolo quinto della Costituzione. Com’è noto la questione ha costituito un inciampo a cavallo di due visioni politiche diverse: una voleva arrivare a costituire tanti sistemi scolastici quante sono le regioni e le province autonome, ma è stata bocciata dal referendum, l’altra si è impegnata a promuovere l’autonomia scolastica in un sistema nazionale che rimane unitario, ma non si è fatta carico finora di mettere mano alla riforma costituzionale, pur approvata in tutta fretta ormai due legislature fa. E’ interessante notare come il contesto politico – istituzionale in cui fu varata tale riforma era quello dell’ammodernamento della pubblica amministrazione, centrale e locale, che pensava più ad un decentramento statale che al passaggio di competenze verso realtà territoriali. Infatti il DL n.112/98 che attribuiva agli enti locali veri e propri pezzi di servizio scolastico deve ancora essere pienamente attuato, mentre già allora si parlava di autonomia accompagnata dall’aministrazione, che di fatto non approdò mai all’altra sponda, quella cioè dell’autogoverno delle istituzioni scolastiche. Ora siamo partiti sotto la spinta delle liberalizzazioni, ma per la scuola non si tratta di passare la mano al cittadino consumatore, quanto di riequilibrare complessivamente l’intero sistema, in modo che rimanga un servizio per tutti i cittadini di questo Paese, ma si muova sulle concrete esigenze dei territori. Trovare concretamente un punto di equilibrio nel chi fa che cosa non è facile, perché in questo settore le culture centralistiche e localistiche sono trasversali alle diverse maggioranze politiche. Tutti conoscono ormai cosa voglia dire una scuola gestita dallo stato e dagli enti locali: sono noti i pro e i contro; nessuno ha fatto concretamente esperienza di uno stato che lascia la gestione e si attesta sull’indicazione degli standard, dei livelli essenziali di prestazione e sul controllo dei risultati. Forse è un po’ più chiaro che ruolo possano giocare le regioni e gli enti locali nella programmazione territoriale del servizio, avendo sotto gli occhi il modello di organizzazione della sanità, ma nessuno ancora una volta ha sperimentato l’autogoverno funzionale/professionale degli istituti scolastici, che pur dal 1997 si dicono autonomi. Alcune intuizioni, seppur frettolose, sono contenute appunto nella revisione del predetto titolo quinto, che però giace, in quanto anche il nuovo governo, con i provvedimenti della finanziaria e delle citate liberalizzazioni, ha inteso intervenire direttamente nella gestione del sistema, inducendo così le regioni a presentare una loro proposta (master plan). All’inizio queste azioni sembravano sviluppare due percorsi paralleli, mentre adesso sembra, come si diceva, che il chiarimento politico - istituzionale ci sia stato, anche sospinto da un lato dalla presentazione del disegno di legge Lanzillotta, che ritorna sui temi della riforma costituzionale e che potrebbe intersecare nuovamente i poteri e le competenze nell’ottica del sistema delle autonomie, e, dall’altro, dalle esigenze di risparmio della spesa pubblica che potrebbe comportare un ridimensionamento dell’amministrazione statale. Al crocevia ci si aspetta quindi che lo stato abbandoni la gestione e che le regioni si attrezzino per governare complessivamente il sistema, lasciando alle scuole lo spazio necessario a svolgere in modo credibile la propria funzione autonoma di regolazione della domanda e offerta di formazione sul territorio, pensando globalmente, per effetto della universalistica vocazione culturale e pedagogica, e agendo localmente, cioè contribuendo concretamente allo sviluppo della realtà in cui operano. Questo oggi rimane un terreno ancora incerto, mancante appunto dei paletti nazionali, che non sono strumenti gestionali, ma di indirizzo, per cui si può assistere a regioni che cercano di ritornare alla devolution, che i cittadini non hanno voluto, ma non c’è dubbio che occorra rischiare sul valore dell’autonomia mettendo mano agli unici due tabù che ancora esistono nel nostro sistema statalista: il federalismo fiscale e la gestione del personale. Il masterplan pone una data, il primo settembre 2009, nella quale con un accordo quadro nazionale stato – regioni e adeguate leggi regionali, come indicato dalla Corte Costituzionale, si dovrebbe arrivare a risolvere il problema; la data pare accettata dal ministro, ma adesso bisogna lavorare per consolidare tale strategia, per evitare che compaiano le penelopi di turno le quali magari confidando sulla non enorme robustezza del sistema regionale pensano di non arrivare alla scadenza prevista avendo espletato tutti i passaggi interni, o, come è già capitato con le famose leggi Bassanini, di regolamento in regolamento, alla fine il potere continuava a rimanere nelle stesse mani, cioè in quelle dell’amministrazione scolastica, centrale e periferica. Allora non aiuta questa importante e difficile operazioni vedere proposte di leggi regionali volte a spezzare verticalmente quello che oggi è il blocco della scuola statale: licei da una parte e istituti tecnici e professionali dall’altra, pensando di mettere in concorrenza i due segmenti, mentre è più utile al sistema nel suo complesso lavorare secondo l’ottica delle "competenze concorrenti". Al sistema Paese non servono due canali formativi, ma uno solo, integrato, pur con identità e modelli operativi diversi, che sia il motore dello sviluppo, gestito là dove si esprime in maniera più o meno esplicita la domanda di formazione, per i giovani e gli adulti. Si tratta dunque di avere standard e certificazioni a livello nazionale, che guardino all’Europa, un’architettura leggera di riferimento, che possa assumere il carattere di stabilità (si veda ad esempio il primo ciclo di istruzione che dal punto di vista della struttura ormai sembra consolidato), e di decentrare in modo funzionale la gestione e l’utilizzo del personale. E’ questa, come si è detto, una cosa nuova e perciò delicata, ma ormai irrinunciabile, pena l’enorme difficoltà di qualificare i processi di apprendimento sui quali il nostro dibattito politico dovrebbe concentrarsi maggiormente e farsi venire qualche idea geniale. Il dado è tratto ? Parte il tavolo tecnico ? Sembra di sì, va sostenuto a livello politico, sia da chi governa al centro che in periferia. Vanno riconosciute al più presto le rappresentanze autorganizzate delle autonomie scolastiche e si deve pensare ad organizzare, con il contributo di tutti, maggioranze e minoranze politiche, un sistema che più di trent’anni fa veniva definito "policentrico" (Cesareo, 1974); un sistema di regole, perché, si sa, le maggioranze possono anche cambiare, ed l’attività scolastica e formativa non può essere in loro balìa. I Comuni non possono essere rappresentati dal ministero dell’interno, ma sono autoorganizzati, così come un ordine di professionisti deve fornire garanzie ai cittadini e non ha più senso che dipenda così strettamente dall’amministrazione dello stato: se dovevamo fare l’Italia e gli italiani era una questione di altri tempi. Lo si dice ormai in tutte le sedi e vale per tutti i professionisti: requisiti di reclutamento, mobilità e contratto a livello nazionale, ma utilizzo funzionale in relazione alle esigenze del servizio sul territorio. Il tira e molla che ogni anno si verifica sugli organici non è più tollerabile; fa perdere moltissimo tempo alla programmazione ed agli aspetti più qualitativi e costringe alla fine gli enti locali a fare supplenza allo stato per il personale ed ora tocca sempre di più anche alle famiglie intervenire sul piano economico, per chiudere i buchi dei bilanci delle scuole. Si deve dare atto al ministro Fioroni per le provvidenze di carattere finanziario dirette alle scuole e per la sburocratizzazione nella gestione, ma si deve andare avanti, a cominciare dagli organi collegiali di istituto, che devono rimanere elettivi in modo da assicurare un’ampia partecipazione interna e la capacità di costituire reti e forme di rappresentanza dal basso. C’è già chi inizia a sottilizzare sul lessico giuridico, tra norme generali, principi fondamentali, livelli essenziali, che nei vari provvedimenti compare in modo non sempre univoco. Qui Penelope potrebbe iniziare a lavorare: stavolta dobbiamo impedirglielo. |
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