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UNA RETE DI CENTRI PER IL SUPPORTO ALL’AUTONOMIA SCOLASTICA ED ALLA QUALITA’ DEI SISTEMI FORMATIVI LOCALI IN EMILIA ROMAGNA di Gian Carlo Sacchi Ogni attività formativa ha in sé un dispositivo di qualificazione perlopiù legato all’azione politica: le riforme scolastiche venivano accompagnate da piani di formazione del personale dirette dall’organo amministrativo centrale attraverso le sue articolazioni, così le regioni, per quanto di loro competenza, sulla formazione professionale, i servizi per l’infanzia, ecc. Si trattava di modalità più che altro di tipo “consegnativo”, anche quando a scendere in campo erano università e centri di ricerca. Le prime iniziative di accompagnamento permanente all’innovazione furono introdotte con i Centri Didattici Nazionali, che oltre a sostenere i vari gradi di scuola, si occuparono di documentazione, in primis attraverso la biblioteca pedagogica nazionale e le biblioteche così dette magistrali, e di comparazione tra sistemi attraverso un centro di studi internazionali. A livello regionale la memoria è più recente, ma si possono citare ad esempio i CITE lombardi e l’IRPA dell’Emilia Romagna. La richiesta di cambiamento veniva poi anche da fuori, in particolare dal mondo economico: si ricorderà la stagione dei rapporti tra l’allora ministro Lombardi e la Confindustria, che per certi versi continua ancora, ma si rivolgevano alla scuola, previa convenzione con l’amministrazione della pubblica istruzione, numerosi altri enti ed associazioni con diversi stimoli per richiamare a certe sensibilità ed offrire supporti. Uno storico tentativo di avvicinare il servizio formativo al territorio fu compiuto negli anni della così detta partecipazione, anni ruggenti per la stessa democrazia culturale ed educativa, che si concluse nel tentativo di far coesistere la scuola istituzione con la scuola comunità, l’apertura alla presenza attiva di studenti e genitori con lo spostamento del governo del sistema dagli uffici ministeriali agli enti locali. Da poco avviate le regioni a statuto ordinario e le loro iniziative nei confronti dei vari segmenti che si occupano di educazione, istruzione e formazione, viene varata la legge sulla “democrazia scolastica”, con l’ambizione di emancipare il ruolo delle singole scuole, che da luogo di trasmissione assumono anche quello di elaborazione culturale, da terminale territoriale dello Stato, diventano comunità che interagiscono con la più ampia comunità sociale e civile. Nasce il “distretto scolastico”, che però continua a trovarsi al centro della disputa tra il governo centrale e quello regionale. Si introduce l’Istituto della Sperimentazione e vengono costituiti gli IRRSAE, il CEDE e la BDP, che riassorbono i vecchi centri, sia sul fronte nazionale, sia su quello regionale. La rete degli IRRSAE, che faceva capo al Ministro e non al ministero, ha in qualche modo iniziato a rappresentare, con pregi e difetti non tanto dell’istituto regionale quanto del sistema regionale, la realtà del proprio territorio fino ad articolarsi da parte di alcuni nelle periferie della regione e mettere in atto sinergie tra diversi organismi operanti in tali servizi. Inizia una produzione legislativa anche da parte delle regioni stesse, tesa a favorire l’ampliamento degli interventi, che non potevano più limitarsi alle scuole, ma che, soprattutto nelle realtà sociali più avanzate, richiedevano qualità e integrazione delle azioni dall’infanzia all’età adulta. L’IRRSAE si trovava così al centro di istanze provenienti dal mondo economico e sociale, dalle sperimentazioni delle scuole, dall’integrazione dei sistemi formativi sul territorio. L’altra importante stagione è quella del potenziamento dell’autonomia scolastica (1997 - 1999) e della trasformazione dell’IRRSAE in IRRE, facendo più leva sulla Ricerca, lasciando la Sperimentazione e l’Aggiornamento tra le prerogative delle scuole stesse e dell’autonomia professionale. Per aumentare la consapevolezza e gli strumenti dell’autonomia vengono stimolati e sostenuti i processi di documentazione didattica, in grado cioè di far emergere le caratteristiche del territorio medesimo, di avviare un’efficace comunicazione tra gli operatori, di riflettere sulle esperienze e di innovare, e da qui anche la trasformazione della Biblioteca pedagogica in Istituto Nazionale di Documentazione….con nuove attrezzature informatiche e multimediali. Nella formazione degli insegnanti poi lo stesso ministero interviene con la costituzione in via sperimentale di centri di aggregazione e di servizio, sul modello inglese, ma la cosa non dura. Vengono riorganizzati poteri e competenze alla luce della modifica del titolo quinto della Costituzione, lo Stato si ritrae ed abolisce gli la rete nazionale IRRE/INDIRE/CEDE, preferendo un’Agenzia Nazionale (ANSAS) che anche se mantiene nuclei per ciascuna regione ad essi imprime una spinta centripeta nei confronti delle attività dell’amministrazione scolastica, sguarnendo progressivamente le intese territoriali, a fronte di una non ancora compiuta applicazione della predetta riforma costituzionale e di una scarsa presenza di leggi regionali adeguate al governo dell’intero sistema, azioni di supporto comprese. La rete delle scuole (1999) e mista con altri soggetti territoriali (1996), anche se con diverse configurazioni giuridiche, è la strategia di governance auspicata e in molte località dell’Emilia Romagna sono sorti “laboratori territoriali” atti a sostenere processi di qualificazione dei servizi educativi e formativi, sulla scorta di un’intesa, più volte riedita, tra IRRSAE, Regione, Amministrazione Scolastica (1985). Queste strutture sono state riconosciute nella LR n. 12/2003 ed hanno avuto un’espansione in diversi settori: ambiente, handicap, intercultura, ecc.; è di poco più di un anno la costituzione di un gruppo regionale tra ANSAS, USR, Regione e Centri Territoriali, sulla documentazione e la gestione delle banche dati per la didattica. Oggi, anche per far fronte ai programmi di riorganizzazione dell’amministrazione e della predetta agenzia, la Regione ha ufficialmente costituito un Albo dei suddetti centri, dettandone, con apposita delibera, come prevedeva la legge, anche al fine dell’accesso ad eventuali contributi, i requisiti minimi per l’iscrizione. Sull’onda dell’autonomia delle scuole e delle realtà locali non si tratta di un’operazione centralista, ma di definire la “riconoscibilità” di detti centri al fine di sviluppare un’offerta con vocazione pubblica e il più possibile efficace di servizi, alla quale il sistema stesso potrà appoggiarsi, in modo da garantire il rispetto delle finalità dei singoli, ma ricercare un’efficienza complessiva in aiuto alla coesione ed alla qualità del sistema regionale. L’approccio al riconoscimento è soft, si tratta di un’autocertificazione, per garantire un mimino di requisiti strutturali e la messa in valore delle attività di documentazione, ricerca, formazione, comunicazione: oggetti diversi, coerenti funzioni. I centri devono esprimere una specifica mission nel senso sopraindicato, non ci si può infatti accontentare di semplici laboratori tematici, formeranno una sorta di sistema nervoso che collegherà i diversi “punti di erogazione del servizio”, saranno nodi di rete per il proprio territorio e a livello regionale, per valorizzare le caratteristiche locali, ma collocare nel mondo. Una volta costituita questa rete dovrà seguire il percorso di programmazione dell’offerta formativa regionale. |
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