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RISCOPRIRE IL DOCUMENTO di Andrea Torrente
Premessa Se la documentazione è al centro delle Tecnologie Informatiche della Comunicazione Educativa (TICE), ci si deve chiedere se essa è pienamente integrata alle T.I.C.E o se sta ancora cercando il suo posto in esse. E ancora, bisognerebbe misurarne gli effetti. E’ proprio su questa nozione d’implicito che conviene interrogarsi, su questi impliciti al plurale, poiché numerose sembrano essere le confusioni, in quanto questi impliciti ridurrebbero la documentazione ad una sola delle sue accezioni: accesso generalizzato ai documenti, senza alcuna deviazione.
Di alcune confusioni Ridurre la documentazione alla nozione di “risorse” Il termine stesso di documentazione tende oggi a sparire a vantaggio di quello di risorse, lo studio lessicologico dei testi attuali (politici, economici, istituzionali di qualsiasi genere e commerciali) sarebbe a questo proposito molto istruttivo. Il termine risorse ha oggi un’indubitabile onnipresenza. Si tratta, sembra, di offrire senza alcuna perifrasi delle risorse agli alunni, agli insegnanti, ai genitori. La quantità di testi pubblicata sui nuovi spazi di sapere, gli spazi digitali di lavoro che si rivolgono anche ai docenti, l’apertura del mondo educativo alla vita pubblica, ai genitori, alle associazioni, la partecipazione sempre più importante delle collettività locali ne sono altrettante testimonianze. Lungi dall’essere anodino, la stessa scelta del termine risorse è sintomatica (da risorse documentarie si abbrevia sempre più spesso in risorse, perciò la soppressione dell’aggettivo è rivelatrice di semplificazione riduttiva). Il lessico economico sembra aver fatto oggi una O.P.A. (offerta pubblica di acquisto) sull’insieme dei campi della società, particolarmente su quello educativo che più ci interessa. I testi che, dall’inizio degli anni ’90 inneggiavano alla rivoluzione digitale, insistevano sulla necessità di dare accesso all’informazione. Si trattava di mostrarci l’emergere di una nuova società, o addirittura di una nuova civiltà, la quale attraverso le Tecnologie Informatiche della Comunicazione avrebbe portato agli uomini la felicità, avrebbe creato una nuova forma di democrazia, più diretta e nella quale ciascun individuo si sarebbe potuto esprimere, avrebbe offerto una long life learning e, soprattutto, avrebbe fondato un’economia nuova del tutto immateriale (cfr. Jean Marie Messier in “j6M.com”, Hachette, 2000 e Alain Minc in” www.capitalistes.fr, ” Grasset, 2000 ). In questa serie di affermazioni si ritrova la retorica classica dei discorsi utopistici delle implicazioni del progresso tecnico. Mark Dery nel suo libro “Velocità virtuale: la Cybercultura oggi”, Parigi, Edizioni Abbeville, 1997, propone uno studio interessante dei fenomeni emergenti negli Stati Uniti. Il successo del libro e l’esistenza di numerose traduzioni mostrano quante speranze attraversano l’insieme del mondo occidentale. Tanti e tanti testi di qualsiasi tipo in un’ondata di dilagante tecnofilia che rasenta la tecnomania, se non addirittura la tecnopatia. Interrogarsi sulle realtà delle trasformazioni evocate equivarrebbe rischiare di essere tacciati di tecnofobia; il nuovo mondo digitale, proprio perché binario, non poteva essere che manicheo. L’espressione “offrire delle risorse” è diventata un leitmotiv molto utile che consente di superare l’impasse sulla complessità e sulle difficoltà delle strategie di apprendimento, diffondendo confusione fra accesso e appropriazione, fra informazione e sapere, poiché si impegna a collegare il discorso abituale dell’efficacia del dispositivo sulla mediazione umana. In più, il termine stesso di risorse contiene un gran numero di accezioni molto diverse: cifre e/o statistiche, più vicine alla nozione di dati; immagini, testi, sotto differenti formati; indirizzi, date, più vicine alla nozione di informazione, ecc. Il tutto illustra la porosità dei concetti di informazione, sapere e conoscenza, da quando ci si interessa alle reti. E tuttavia, l’immaterialità della risorsa digitale è un inganno, l’immediatezza e la trasparenza, due miti ai quali si continua ad aggrapparsi inesorabilmente. No, la macchina, malgrado tutti i suoi sforzi, non sostituisce la mediazione umana; i motori di ricerca non sfuggono agli uomini, anche se le loro interfacce giocano sul registro “semplicità-rigore-efficacia”. (si veda l’interfaccia di Google, ad esempio) Abbondare in questo senso dichiarando, per esempio, che soltanto gli annuari sono il frutto di un lavoro umano, è, quanto ai motori, fare l’impasse sulle decisioni umane altamente strategiche e commerciali che sono state prese nella scelta delle modalità di trattamento, della presa in conto delle parole-chiave, dei metadati, dei legami sponsorizzati, o ancora di restituzione dei risultati secondo dei criteri che sfuggono sovente agli utenti.
Confondere qualità e quantità Il mondo delle T.I.C (Tecnologie Informatiche della Comunicazione) è testimone di questo fatto. Ad esempio, le fascette delle scatole di CD-ROM vantano la presenza di migliaia di foto di testi, di immagini, come pegno di qualità del prodotto. Bisogna andare sempre più veloce, più lontano grazie a Internet, copiare sempre più dati sui supporti, ecc. Se l’insieme delle porte di accesso al sapere si dedica ad una corsa sfrenata verso l’esaustività, si tratta di recensire tutto ed il più velocemente possibile, è perché un argomento commerciale non trascurabile risponde al desiderio di padroneggiare il mondo. Allora, di fronte alle difficoltà economiche che incontrano rapidamente gli strumenti di ricerca (o piuttosto i loro consigli di amministrazione), entra in scena il marketing che impone rapidamente il suo concetto di nicchia. Bisogna identificare dei chiari bersagli e, grazie all’iper-reattività consentita dal WEB, offrire e re-attualizzare le entrate, facilitare l’uso. Ma, a detrimento degli utenti-clienti, i siti-portali faranno evolvere le loro entrate di classificazione a modo loro o secondo il gradimento del loro pubblico. Il tale portale che, ad esempio, era prevalentemente visitato da studenti, può essere qualche tempo dopo rivolto verso un pubblico più adulto e, soprattutto, maggiormente propenso al consumo e, di fatto, cambiare in tal modo lo status dei propri utenti-visitatori. Invece, quando le Istituzioni si impegnano nell’offerta di servizi-risorse, dispongono delle competenze di documentaristi che si sforzano di sfuggire alle confusioni dianzi descritte. In genere, il documentarista propende più per la selettività che per l’esaustività in quanto il suo interesse precipuo è quello di predisporre dei data-base interoperabili nell’interesse degli utenti. In quest’ottica, la scelta dell’interfaccia e dei linguaggi di interrogazione sarà significativa per l’euristica e gli usi che ne faranno alunni e docenti.
Riconoscere la documentazione come processo Si riduce sovente la documentazione alla possibilità di accesso al documento. Sarebbero molto utili degli studi precisi sulle rappresentazioni degli utenti relativamente alla documentazione. Il grande pubblico sembra ridurre i compiti del documentarista a delle competenze innate legate al senso dell’ordine ed a quello dell’accoglienza. Come se non si trattasse che di ordinare, classificare ed accogliere il pubblico…... Sottovalutazione, per non dire disprezzo, della difficoltà e dell’importanza della cosa, ignoranza anche di ciò che si chiama giustamente il back office, che, per definizione, non si vede, ma merita precisamente di essere conosciuto, non soltanto perché è opportuno ri-valorizzare il mestiere ma soprattutto perché questo diniego ha oggi delle ripercussioni importanti. Da tantissimo tempo il mondo delle biblioteche si interroga sulle classificazioni. Contrariamente a ciò che si può pensare queste non emergono dal nulla, esse sono il frutto di lavori complessi, e sovente sono rappresentative del mondo socioculturale nel quale esse sono nate. E’ da secoli che bibliotecari e documentaristi lavorano a tutto spiano per definire, applicare e far applicare le norme di catalogazione, d’indicizzazione o di quotazione, non per costruire un mondo a parte cercando di crearsi delle tecniche e dei linguaggi specializzati, ma esclusivamente nell’interesse degli utenti. Ed ecco che l’Internet nascente (anche se sembra molto diffuso ed a ben guardare efficace, esso non ha che una trentina d’anni) sembra dimenticare l’esistenza degli altri media e particolarmente del libro, occultando le tecniche costruite per il suo trattamento documentario e, fatto ben più grave, mettendo nel dimenticatoio le scienze del documento. In effetti, le poche analisi, in termini documentari, dei mezzi di ricerca e di accesso ai documenti ed alle informazioni sulla RETE mostrano che esso è il frutto del lavoro di informatici e di specialisti in telecomunicazioni che non hanno sempre preso la misura, o addirittura non hanno preso conoscenza degli strumenti e dei lavori degli specialisti del documento. Gli annuari, che hanno costituito delle pseudo-classificazioni, sono il frutto di preoccupazioni essenzialmente di marketing, o rimettono sovente in discussione i principi di classificazione gerarchica e semantica che cerchiamo di insegnare ai nostri alunni. I motori di ricerca vanno incontro ai principi dei programmi documentaristici, poiché non conoscono le norme di descrizione. Così i documentaristi hanno necessità di un’iper-reattività in rapporto alla costante evoluzione dei linguaggi d’indicizzazione. La cosa non è semplice, tanto più che essi devono sensibilizzare tutti i loro colleghi, oltre che formare tutti gli alunni.
Riconoscere le dimensioni di “expertise” nella documentazione Si tratta, in fondo, di riconoscere le competenze in termini di tecniche documentarie. Catalogare ed indicizzare non serve soltanto a ritrovare il documento ma ad offrirgli un plusvalore. Nella massa considerevole di documenti proposti oggi, che sono su supporto cartaceo, in linea o non in linea, la visibilità non è sufficiente, bisogna ancora essere visti. La dimensione processo della documentazione comincia ad essere riconosciuta e riscoperta particolarmente sulla RETE. La necessità di lavorare in partenariato con i documentaristi appare infine con gli attuali lavori sulle norme e gli standard, le riflessioni legittime sui piani della classificazione in linea, ecc. E’ questa la prospettiva documentaristica che non può e non deve essere dissociata dal lavoro sul documento. Se si deve auspicare una documentazione che non sia soltanto un insieme di tecniche, non bisogna dimenticare l’approccio scientifico al documento, così come lo aveva preconizzato prima della Seconda Guerra Mondiale, P. Otlet nel suo “Traité de documentation: le livre sur le livre”, Bruxelles, Edizioni Mundaneum, 1934. In questo trattato egli aveva una visione un po’ utopistica verso una documentazione che consisteva “… nell’offrire su qualsiasi ordine di fenomeni e di conoscenze delle informazioni documentate: a) universali quanto al loro oggetto; b) sicure e veritiere; c) complete; d) rapide; e) aggiornate; f) facili da ottenere; g) riunite preventivamente; h) messe a disposizione di tutti i potenziali utenti”. Queste sono, in fondo, le speranze che si ritrovano nei discorsi sui benefici di Internet. Tuttavia, Otlet conferisce una dimensione scientifica al trattamento dell’informazione egli apre, grazie alla sua documentologia, la bibliologia dell’epoca a tutti i documenti, poiché egli evoca anche l’esordio della televisione nella quale ripone molte speranze. Essere esperto in documentazione consiste anche nel sapere che, se i discorsi tecnologici devono essere dei logos e della technè, dunque dei discorsi sulla tecnica, essi sono egualmente influenzati dalla tecnica del discorso. Fare la mediazione delle Tecnologie Informatiche della Comunicazione implica, quindi, decifrare, interpretare le implicazioni ed i procedimenti di questi discorsi. Se la presa in carico della storia dei supporti, o mediologia che dir si voglia, ci insegna che l’evoluzione dei mezzi del pensiero condiziona l’evoluzione dei modi di pensare, se da ciò si ha la tendenza a separare l’edizione su carta dall’edizione digitale, poiché non si pubblica in RETE allo stesso modo che su carta, se non sembra trattare l’informazione digitale come si fa con un libro, ciò che resta sempre comune a ciascun approccio, è la prospettiva del documento. Riscoprire il documento implica interrogarsi sulla nozione di unità documentaria che la descrizione e l’indicizzazione di pagine WEB rendono oggi difficile, interrogarsi sulla sua enunciazione, sulle condizioni della sua esistenza e della sua ricezione, conservando il senso implicito del documento, il che costituisce lo sguardo che si posa su di lui e non una pretesa ontologia. |
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