http://cidoc.iuav.it/~conrad/sewcom
Descrizione
del Metodo
Proposte di strategie cognitive per la ricerca informativa
Studi specifici sulle abilità cognitive e metacognitive coinvolte
nei diversi momenti della ricerca dell’informazione bibliografica
hanno comunque dimostrato di essere utili anche per una comprensione
migliore dei processi cognitivi sottostanti la ricerca in Internet:
alcuni autori (Kuhlthau, 1993 e 1999), (Eisenberg & Berkowitz,
1990) hanno proposto schemi e tassonomie intese sia come sequenze di
attività volte a rendere più efficace l’approccio alla
consultazione bibliografica, sia come metodo da seguire per l’attività
di ricerca su generiche fonti informative, Internet inclusa (Eisenberg
& Berkowitz, 2000). Trattandosi di proposte che seguono teorie
costruttivistiche, viene sempre evidenziata la costruzione della
conoscenza, punto irrinunciabile del processo di recupero delle
informazioni (Kuhlthau, 1996), (Petrucco & Pantò, 1998).
Problemi cognitivi nella ricerca in Internet
La differenza nell'efficacia della ricerca di un utente esperto ed
in possesso di una buona strategia, e un utente senza alcuna
formazione è notevole: in media quest'ultimo recupera solo un terzo
dei documenti pertinenti esistenti (Lancaster, et al. 1994).
Come abbiamo già accennato sono gli studenti (soprattutto quelli
attorno ai 10/11 anni di età) che pur riuscendo ad interagire con
le interfacce utente, hanno dei seri problemi nel trovare
informazioni effettivamente pertinenti (Kafai & Bates, 1997) (Schacter
et al., 1998) e nel selezionarla nella massa disorganizzata di
risultati recuperati. Inoltre emerge una chiara preferenza per un
tipo di ricerca non-strutturato e poco definito: spesso gli studenti
preferiscono “navigare” saltando da una pagina all’altra (nonlinear
browsing) seguendo i link ipertestuali piuttosto che formalizzare
una ricerca in modo analitico utilizzando ad esempio gli operatori
logici AND OR e NOT.
''Information retrieval is a difficult problem because it
requires describing information that you do not yet have.'' (Borgman)
Mappe concettuali come strumento di riflessione metacognitiva
L’utente tipico, complice l’ingannevole semplicità d’uso dei
motori di ricerca, inserisce uno o due termini generici, sperando di
ottenere subito qualche documento interessante, ma viene sopraffatto
dalla quantità di risultati. Questo accade perché è mancata all’inizio
una formulazione metacognitiva delle sue esigenze informative. Sulla
scorta di recenti ricerche sulla metacognizione (Flavell, 1977), (Cornoldi,
1995) e (Butler & Winne, 1995) si è accertato che chi riesce ad
apprendere in modo più efficace è senza dubbio chi riesce ad
auto-regolarsi in modo tale da far affiorare alla coscienza ciò che
sa e a focalizzare ciò che ancora non sa (Schoenfeld, 1987).
A questo proposito, le mappe concettuali sono ormai considerate un
efficace strumento metacognitivo. Esse appartengono alla categoria
dei “visual organizer” che si sono dimostrati utili per
rappresentare, condividere e manipolare la conoscenza. Infatti,
organizzare i concetti in strutture visive facilmente riconoscibili
rende più facile il loro recupero ed elaborazione. Questo tipo di
approccio visuale è stato messo a punto da J. D. Novak (Novak &
Gowin, 1989 e Novak, 1998) sulla base delle teorie di Ausubel (Ausubel,
1994) e degli studi sulle reti semantiche di Quillian (Quillian,
1968).
Le mappe concettuali riducono i tempi di ricerca
Da evidenze empiriche abbiamo verificato che in media il 95% del
tempo viene perso nel cercare tra i link ed i documenti trovati e
meno del 5% nel pianificare e scegliere le parole chiave da inserire
nei motori. Questo vuol dire che in una ricerca considerata
soddisfacente, della durata media totale di 15 minuti, gli utenti
non riflettono neanche 1 minuto sulla scelta delle parole-chiave da
usare. Ma alcune ricerche (Hertzberg & Rudner, 1999) riducono
ulteriormente questi tempi in quanto riportano che la durata media
di una consultazione on-line del database specializzato ERIC, è di
circa 6 minuti, per cui presupponendo la stessa percentuale si
ottiene un tempo di scelta inferiore ai 20-30 secondi. L'assunto su
cui si è basata la presente sperimentazione è che l'utente
dovrebbe dedicare invece la maggior parte del tempo alla
pianificazione della ricerca per migliorarne l'efficacia, diminuendo
così il tempo complessivo dedicato all'operazione. Nei test
preliminari, utilizzando le concept maps, si è verificato che le
percentuali salgono in media al 40% per la pianificazione e
diminuiscono al 60% per l'analisi dei documenti, mentre il tempo
medio totale diminuisce di quasi il 30%.
elle
esperienze del soggetto. Ausubel (Ausubel, 1994) insiste proprio sui
riferimenti alla struttura cognitiva esistente, che possono essere
attivati e riferiti al materiale da apprendere.
Nel caso delle ricerche on-line si nota come lo sforzo di
riferimento alla conoscenza precedente, intesa come riflessione
metacognitiva, sia poco presente, soprattutto nelle fasce di età
più basse:
“children rarely access their previous knowledge and experience of
the topic or task ...nor do children execute search strategies to
deduce or increase retrieval output.”
(Shacter, 1998)
Altri ricercatori (Holsher & Strube, 2000) confermano un
importante effetto pratico: coloro i quali hanno una minore
conoscenza dell’argomento digitano una stringa di termini
significativamente più lunga di chi invece è competente della
materia. Gli autori inferiscono che gli esperti di un determinato
dominio di conoscenza possiedano termini molto più specifici e di
conseguenza ne usino di meno nell’interrogazione.
Dalle
considerazioni che abbiamo fatto precedente-mente riguardo l'Information
Literacy, emerge la necessità di adottare un metodo visuale/metacognitivo
che permetta di cercare, valutare ed integrare la conoscenza
scoperta nel Web (vedi anche Canas et al., 2001). Come abbiamo
cercato di dimostrare, la ricerca dell'informazione coinvolge due
processi strettamente legati tra loro:
1. apprendere riguardo il
lessico del dominio semantico in questione e
2. apprendere le migliori strategie per localizzare l'informazione
stessa
Il metodo proposto cerca di integrare appunto entrambi i processi ed
stato battezzato SEWCOM Search the Web with Concept Maps ed utilizza
l'approccio metacognitivo-visuale delle mappe concettuali. Il metodo
può essere usato sia in modo collaborativo che stand-alone e nasce
da osservazioni e sperimentazioni preliminari effettuate sia con
adulti che con ragazzi delle ultime classi della scuola superiore.
Ci
vuole un metodo metacognitivo per
cercare, valutare ed integrare la conoscenza nel Web:
SEWCOM
I
quattro passi del metodo
1. Brainstorming e contestuale
creazione di una mappa concettuale con parole correlate all’argomento
che si vuole cercare on-line.
La frequenza d'uso nella lingua ed il fatto che siano state usata di
recente, sono due importanti fattori che influenzano il recupero e
l'immagazzinamento delle parole nel lessico mentale (Gairns &
Redman, 1986). Se si lavora con un gruppo di persone (per es. in
classe o in una riunione) la mappa beneficerà di un lessico
senz'altro più ampio visto che ciascuno potrà proporre la propria
lista di parole ma anche visionare quelle proposte da altri che non
necessariamente saranno le stesse, incrementando così il proprio
lessico specifico sugli argomenti in esame.
2. Ri-strutturazione topologica della mappa sulla base delle aree
semantiche indivi-duate e uso dei motori di ricerca con le parole
chiave di ciascuna area.
e dall'altro sulle numerose
ricerche di psicologia cognitiva sul semantic priming (Rhodes, 1993)
(Plaut, 2000) e sull' effetto contesto (Lavigne, 2000) secondo le
quali viene favorita la percezione e il riconoscimento di parole
contigue appartenenti ad un contesto semanticamente omogeneo (es.
forchetta-coltello-cucchiaio).
Vi sono inoltre forti prove sperimentali (Meara, 1978) per cui
parole semanticamente correlate sembra siano collocate in modo
contiguo nello spazio del nostro lessico mentale, per cui la visione
di un certo termine tende a far affiorare alla mente tutto un
insieme di altre parole strettamente correlate ad esso.
Nel corso degli anni sono stati sviluppati molti metodi per
rappresentare il potenziale semantico/associativo delle parole, il
primo è stato il differenziale semantico di Osgood in cui il test,
nella sua versione originale, è costituito da un insieme di scale
di aggettivi bipolari graduate in intensità per esprimere il
proprio giudizio rispetto ad un concetto dato. Il significato
specifico che tale concetto ha per il soggetto viene identificato
quantitativamente come un punto preciso nello spazio semantico
multidimen-sionale. La parola "dittatore" ad esempio può
essere giudicata in più scale: buono/cattivo,
altruisti-co/egoistico o caldo/freddo, ecc. Il punteggio medio
ottenuto sulle varie scale definisce le coordinate della parola
nello spazio semantico. Parole semanticamente vicine probabilmente
otterranno punteggi simili e verranno collocate spazialmente vicine.
Il problema di questo approccio è la sua arbitrarietà nello
scegliere il tipo di scale e il loro numero.
Recentemente è stato messo a punto un metodo statistico, il Latent
Semantic Analysis (LSA), per costruire spazi semantici che non
dipendono dal giudizio interattivo del soggetto, ma da una analisi
automatica del testo. (Landauer & Dumais, 1997). L’assunto
della LSA è che parole simili occorrono in contesti simili. Ad
esempio in una parte di testo dove si parla di “gatti” è
probabile che questo menzioni anche “topi” o “cani”. Questa
conoscenza sulla prossimità delle parole può essere usata per
assumere che “gatti” e “topi” sono in qualche modo correlati
semanticamente. Il risultato dell’analisi è uno spazio
multidimensionale in cui parole che appaiono in contesti simili sono
collocate in aree spaziali contigue.
Eventuale nuova ricerca on-line per filtrare e focalizzare meglio il
tema usando i nuovi termini (lessico) come key-words.
In questa fase vengono letti e valutati i documenti e se scelti,
vengono individuati i termini significativi al loro interno e
inseriti nella mappa. La mappa ora visualizza le connessioni fra i
documenti, ma a differenza di quanto farebbe un ipertesto, mostra
anche la relazione che c'è fra questi.
Il processo di identificazione nei documenti trovati di termini
significativi, non è un processo facile. Molti studi confermano la
difficoltà di selezione e la esclusività implicita nelle scelte (Bates,
1986) che possono essere diverse non solo per differenti persone ma
anche per la stessa persona e lo stesso documento in tempi diversi (Furnas,
1987).
Un termine può avere differenti significati in diversi contesti,
così come un concetto può essere rappresentato con molti termini.
Per tentare di risolvere questo tipo di problemi i bibliotecari di
solito usano i cosiddetti thesauri, ovvero dei vocabolari
controllati che definiscono le modalità d'uso del termine e
soprattutto le sue relazioni con altri termini (ad es. i sinonimi).
in uno specifico dominio di conoscenza. I curatori del progetto
WordNet, del Cognitive Science Laboratory presso la Princeton
University, stanno lavorando in particolare sulla similarità
semantica tra parole ed il contesto in cui ricorrono (Miller &
Charles 1991)
I
quattro passi del metodo (4)
Esempi
di applicazione
Esempi
di applicazione
Esempi
di applicazione - 3
Nella fase finale sono state
inserite anche delle immagini in corrispondenza dei nodi per rendere
la mappa più accattivante e sottolineare la “scoperta” di nuovi
termini/concetti come ad esempio quelli sul "pendolo di
Foucault" (vedi fig. 6) o quello sulla "perfezione degli
oggetti celesti" (dogma della chiesa messo in crisi dalle
osservazioni attraverso il cannocchiale). Questi termini/concetti
sono stati individuati nei vari documenti recuperati con i motori di
ricerca e ritenendoli importanti, è stato inserito il loro
indirizzo (link) per potervi accedere semplicemente con un click del
mouse L’immediatezza nel recupero dei documenti infatti, è un
fattore determinante per l’ergonomia cognitiva nella fruizione
della mappa stessa.
I nuovi termini/concetti devono ora “giustificare” la loro
presenza tramite dei link ai nodi nella rete concettuale
pre-esistente: ciò permette una ristrutturazione creativa della
mappa, che genera spesso nuova conoscenza. È interessante notare
come questa sia di tipo trasversale a più domini specifici e come
dall’interazione tra essi possano scaturire nuove idee: ad esempio
la dimostrazione della rotazione terrestre senza l'uso di strumenti
d’osservazione ottica utilizzando solamente un pendolo. Oppure la
percezione dell'importanza degli studi sul pendolo per la
misurazione del tempo o ancora infine, quale importanza abbia
rivestito nella storia occidentale il rapporto tra
scienza/religione. La trasversalità dei saperi è così evidenziata
efficace e naturale
e favorisce una progettazione didattica attenta agli approcci
multidisciplinari.
L’effetto serendipity come
side-effect nell’utilizzo dei motori di ricerca
L'accesso alle fonti informative attraverso una costruzione
metacognitiva multi- e inter-disciplinare come quella offerta dalle
mappe concettuali e dal metodo SEWCOM, permette di trasformare in
una preziosa risorsa quello che viene percepito invece come un
ostacolo. Può capitare infatti di imbattersi in quella che gli
anglosassoni definiscono come «serendipity». Il senso è chiaro:
navigando nella rete a volte capita di trovare fortuitamente
preziosi documenti che non immaginavamo esistessero e che non
avremmo mai trovato seguendo una linea di ragionamento a noi usuale
e che prevedeva un uso di termini ristretto ad una specifica
categoria.
La sfida dell'immediato futuro sarà probabilmente quella di
scoprire nuovi modi di organizzare la conoscenza al di là di rigide
classificazioni gerarchiche e di considerare la ricerca dell’informazione
come parte del processo di apprendimento, (Kuhlthau, 1996) in cui
chi apprende si sforza attivamente di costruire conoscenza e
significato.
Esempi
di applicazione - Bibliografia
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