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Al di là degli specialismi
Un modo per uscirne potrebbe essere quello di coglierne la componente personale. Dunque, ci provo. Per lunga pezza non mi sono più occupato di strumentalità didattica, dopo la battaglia avanguardistica giovanilmente condotta sul fronte delle teaching machines, per difenderle dai detrattori romantici come anche dai tecnocrati futuristi. Scegliendo sul fronte della teoria il tema della progettazione curricolare e su quello della pratica l’ambito di intervento della manualistica scolastica ho attraversato gli anni Ottanta nell’illusione che la sensazione di povertà epistemologica che avevo provato nell’esperienza precedente fosse dovuta alla natura rigida e meccanica della ferraglia di cui mi ero occupato. Debbo dire, in piena onestà, che tra i curricolaristi e pure tra gli innovatori dell’editoria scolastica nazionale mi è capitato di ritrovare, in quei tempo, lo stesso tipo di carenza: da una parte l’esperto di contenuto, dall’altro l’esperto della sua confezione materiale, in mezzo il vuoto, dove una rigidità assommandosi all’altra non produce inevitabilmente morbidezza e tanto meno fluidità. Se mi sono poi riavvicinato al tema delle tecnologie didattiche, è perché mi ci ha portato l’occupazione che le tecnologie digitali hanno via via effettuato della mia vita prima privata e professionale. Il mio primo incontro con il digitale, come per molti, è stato dentro gli spazi del suono e della musica, e rapidamente il cd mi si è imposto sul vinile, rinforzando in me una sorta di propensione al cerebralismo e di repulsione (dialetticamente accompagnata da attrazione) nei confronti del rumore. Il secondo, come per molti, è stato nella possibilità di condividere i propri compiti di scrittura con un mezzo tanto morbido e seducente quanto quello di prima (la macchina da scrivere) era rigido e repulsivo. Il terzo, e questa in breve è diventata esperienza di tutti, è stato l’occasione di godere di una rappresentazione multi-mediale (e molto, molto mediale) della propria sfera d’esperienza. Il quarto, quello definitivo, è stato giocato sul versante della rete, in particolare sull’opportunità che questa offre non solo di entrare in contatto con esperienze e conoscenze, ma anche di dar vita e sostanza a chi le detiene e al come le detiene. Se oggi mi occupo di nuove tecnologie per la didattica è dunque perché queste mi hanno totalmente occupato. Ma anche prima era così. Mi occupavo di libri di testo perché i libri (non solo quelli di testo, anzi soprattutto gli altri) avevano invaso, e militarizzato quasi tutti i miei spazi. Del resto, che realtà c’è al di là della mediazione che ci permette di coglierla? Da tutto ciò ricavo una morale, che mi auguro non valga solo per il mio caso personale: sarai un buon selezionatore e utilizzatore di libri di testo se sei un buon frequentatore di libri (soprattutto non di testo); dunque sarai un buon promotore delle tecnologie digitali nei diversi ambiti della didattica se il computer e la rete sono per te ambienti naturali, se fanno parte della tua vita "normale", e non solo di quella professionale! Ecco allora che la parte negativa del bilancio che io faccio di questi dieci anni di ambizioni e delusioni ha a che fare con l’antica e, sembrerebbe, incrollabile propensione a fare dei media una questione specialistica, e non il presupposto di ogni concezione generale. Chiarisco: si può parlare di didattica prescindendo dalla forma che i diversi media le conferiscono? Comenio, riflettendo sulla configurazione che il modello della tipografia dava all’azione della didattica, era consapevole di questo problema, noi a secoli di distanza, e in presenza di molti e multi media facciamo di tutto per sfuggirvi. La parte positiva è invece che per chi prova irrequietezza per la sua esperienza pregressa di allievo e per l’attuale condizione di docente e questa irrequietezza vive soprattutto sul versante epistemologico (quello dove ci si chiede il che cosa e l’a chi e il perché dell’insegnare, o meglio del favorire l’apprendere), per chi insomma, non volendo credere in nessuna età dell’oro (né quella che alcuni mettono nel passato né quella che altri, assai pochi in verità, dispongono nel futuro), ritiene che il livello di consapevolezza collettiva della complessità dei problemi pedagogico-didattici vada seppur molto lentamente elevandosi, il poter disporre di intermediari fluidi e mobili tra noi, gli altri e il mondo, quali sono le strumentazioni telematiche e multimediali può rappresentare un’importante risorsa su cui e con cui investire. Mi reputo di appartenere alla ristretta schiera di quelli che scommettono sulle tecnologie post-moderne e sulla possibilità di integrare il vecchio e il nuovo perché credono che sia più formativo il pluralismo del monolitismo epistemologico e perché sospettano che il no alle macchinette dell’oggi, così apertamente pronunciato da una parte della scuola e dell’università, insieme ad altri rifiuti (mi limiterei a quelli numerati nel titolo di un mio libretto in uscita da Laterza: La scuola dei tre no, vale a dire gli ordinamenti, i saperi, le tecnologie), nasconda la sempre riemergente vocazione di fare dell’uomo una macchina, sia pure con i magistrali intrappolamenti dialogici di un Socrate della nobilissima antichità o con i sofisticati imprigionamenti mentali garantiti dai libri a stampa della celebrata modernità. |
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