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Tecnologie e Didattica: sfide per il futuro
Il Programma di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche 1997/2000 sembra ormai cosa lontana per i vertici del Ministero dell’Istruzione che hanno già varato, a due anni dalla sua conclusione, almeno due importanti atti successivi finalizzati rispettivamente al cablaggio degli edifici scolastici e alla realizzazione di un piano di formazione informatica articolato e differenziato per i docenti italiani di ogni ordine e grado.[1] Tra disfattismi, idiosincrasie ed esagerati entusiasmi, sembra il momento opportuno per formulare un bilancio dei risultati raggiunti dal più ambizioso e generoso dei programmi ministeriali varati negli ultimi anni. A che punto sono i nostri docenti con la competenza informatica da mettere al servizio dell’attività didattica, quanto e come software ed hardware sono usati nelle aule, quanto e cosa le scuole italiane hanno da invidiare alle colleghe europee in materia di dotazioni tecnologiche? L’Italia sta ancora attraversando la seconda fase del processo di integrazione delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) nella didattica: si può affermare che abbia positivamente superato la prima soglia relativa alla dotazione tecnologica delle scuole, anche se qualche adeguamento resta ancora da compiere, come quello di potenziare la presenza di apparecchiature nella scuola primaria, che ha dimostrato e sta dimostrando elevata professionalità e maturità nell’uso delle tecnologie, unitamente ad una solida cultura progettuale. Si tratta senza dubbio di elementi che le forniscono le “carte in regola” per poter svolgere un ruolo decisivo, non solo nell’insegnamento delle abilità di base necessarie all’uso di alcuni strumenti informatici, ma nello sfruttamento di ambienti di apprendimento che consentono lo sviluppo di abilità superiori. Dai documenti programmatici del nostro paese resta inoltre escluso, purtroppo, ogni riferimento specifico al settore dell’educazione pre-primaria, che merita invece di essere riconsiderato a pieno diritto per il ruolo importantissimo ed innovativo che la multimedialità può svolgervi. [2] Questa occasione non può essere perduta e per questo è opportuno che anche le scuole materne siano attrezzate e dispongano di spazi necessari per consentire un uso creativo e frequente del computer.[3] Anche nel settore dell’istruzione secondaria superiore i Licei appaiono come le scuole meno dotate e necessitano dunque di una maggiore considerazione per quanto riguarda gli investimenti finanziari. La seconda fase del processo di integrazione delle nuove tecnologie nel sistema educativo, in linea con il Piano d’Azione Europeo del 24 Maggio 2000, intende soprattutto potenziare l’accesso alle risorse presenti in rete telematica e favorirne la fruibilità mediante collegamenti con larghezze di banda sufficienti e funzionali agli usi didattici, creare reti di Istituto per migliorare l’organizzazione interna, anche dal punto di vista gestionale ed amministrativo e non solo sotto l’aspetto didattico. Accanto a queste priorità si pone anche l’esigenza di aggiornare le attrezzature multimediali esistenti e potenziare la presenza delle postazioni di lavoro, destinate anche alle crescenti esigenze di formazione a distanza dei docenti, specie nelle scuole meno equipaggiate. Nella dotazione tecnologica la scuola italiana si sta avviando dunque a raggiungere gli standard europei, e non sembra particolarmente svantaggiata. Ciò che manca al nostro sistema educativo è invece una solida cultura sull’uso pedagogico delle risorse informatiche e multimediali. Occorre vincere la resistenza dei docenti intervenendo su due diversi fronti che sono strettamente interdipendenti: ü la valorizzazione della professionalità docente e in particolare delle eccellenze, ü la sistematicità e la qualità della formazione iniziale e in servizio. Il primo elemento incide sulla motivazione degli insegnanti a riqualificare la loro professionalità e l’obiettivo va perseguito con tutti gli strumenti a disposizione, dagli incentivi economici, agli avanzamenti di carriera, a forme di valutazione periodica della professionalità, all’investimento sul reclutamento di personale non docente che possa aiutare gli insegnanti a “sburocratizzare” il loro lavoro investendo maggiori energie nella progettualità didattica, fino all’istituzione di figure referenti per le nuove tecnologie che siano poste in condizione di esercitare realmente una determinante funzione di supporto nei confronti dei colleghi in formazione e nei confronti dell’intero sistema. Il secondo fattore è evidentemente quello decisivo per la possibilità che le tecnologie siano realmente utilizzate in modo proficuo nei processi didattici, nella varietà di forme e di modi in cui queste possono produrre valore aggiunto al processo di insegnamento/apprendimento, ed è anche fattore determinante affinché possa maturare nei docenti una nuova concezione del proprio ruolo. Un ruolo che deve adeguarsi alla complessità della nostra epoca, alla diversa posizione che la scuola occupa rispetto a vent’anni fa nella società, alla presenza innegabile di molteplici forme di accesso all’informazione, di una pluralità di media e di forme di conoscenza, alla necessità di comprendere che i bisogni degli allievi sono oggi più che mai eterogenei e diversificati, per non rischiare che il docente si riduca ad una pura presenza formale , priva di una funzione non solo reale, ma realmente indispensabile ai giovani della “società dell’informazione”. Dunque vi è la imprescindibile necessità di introdurre le TIC nel curriculum formativo degli insegnanti di ogni ordine e grado scolastico, diversificando magari, sull’esempio dei paesi europei più illuminati, le tipologie di formazione, a partire da una alfabetizzazione obbligatoria, ove non presente, (che in futuro non sarà più necessaria in quanto si auspica che essa sia acquisita già nella scuola dell’obbligo da tutti i futuri cittadini), passando attraverso una formazione specifica relativa alla conoscenza e all’uso di software educativo, anche questa obbligatoria, fino ad una formazione specialistica opzionale che potrebbe essere riservata alle figure di sistema, ai tutor e ai formatori.[4] Inutile forse specificare che un simile percorso di formazione, avendo carattere di sistematicità, oltre a fornire garanzie di qualità, debba prevedere anche forme di valutazione e di certificazione delle competenze acquisite, sul modello del sistema inglese. Se la qualità della formazione iniziale sarà più facilmente garantita dalle istituzioni competenti, attualmente le Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Secondario (SSIS), che fanno capo alle Università, e le Facoltà di Scienze della Formazione Primaria, mentre necessita di essere fortemente potenziata la qualità della formazione in servizio, per la quale occorre creare un sistema integrato e coordinato di enti ed istituzioni competenti accreditati, avvalendosi anche, secondo l’esempio di altri paesi europei, di partnership con industrie private. Il sistema attuale, nel quale gli Enti e le Istituzioni che erogano formazione in servizio agli insegnanti operano troppo spesso in modo scoordinato ed occasionale e senza fornire adeguate garanzie di efficienza e qualità didattica, senza rilasciare altro che attestazioni relative al numero di ore di frequenza e prive di riferimento a prove di verifica finali o competenze acquisite, risulta assolutamente inadeguato alle esigenze del nostro sistema scolastico, in ogni campo, ma in particolare in quello delle nuove tecnologie. L’occasione offerta dalla Circolare n. 152/2001 di cablare internamente gli edifici che ospitano le istituzioni scolastiche è da considerarsi molto preziosa e ci si augura non debba essere sciupata da una gestione poco accorta. Molte scuole, infatti, grazie a questo ulteriore finanziamento, avranno la possibilità di essere cablate addirittura a livello massimo, con accessi alla rete consentiti in tutti i locali dell’istituto; ciò significa che in ogni aula, con disponibilità di stazioni multimediali portatili, potrà essere effettuato, secondo le esigenze didattiche, un collegamento alla rete telematica senza la necessità di doversi spostare nelle aule laboratorio. Questo significherà anche che si ridurranno gli alibi dei docenti volti ad evitare l’uso della telematica nella didattica, che saranno incoraggiate tutte le forme di scambio e di condivisione di materiali prodotti ed esperienze didattiche effettuate, che si moltiplicheranno le occasioni di entrare a far parte di progetti didattici gestiti a distanza, con tutti i vantaggi pedagogici che sono già stati evidenziati. Tutto ciò a patto che le scuole abbiano l’intelligenza di effettuare la scelta dell’Intranet di istituto e ed operino in modo che questo servizio faciliti, non solo gli atti e i processi amministrativi, ma i servizi didattici, il raccordo fra scuola e famiglie, una maggiore partecipazione degli alunni e dei loro genitori alla gestione di un patrimonio di conoscenze e di cultura che deve essere considerato di tutti coloro che hanno contribuito a costruirlo. Cablare significa anche investire tutte le scuole di una responsabilità nuova, riconosciuta ormai imprescindibile a livello europeo: significa apertura alla cittadinanza, trasformazione in centri di servizi polivalenti che devono essere in grado di garantire un facile accesso ad Internet a tutti coloro che non ne dispongono nelle proprie abitazioni. Ma a questo punto dovrà esserci un necessario ripensamento anche riguardo alla composizione degli organici scolastici: si rendono sempre più necessarie quelle figure di sistema che, esonerate in tutto o in parte dai compiti di insegnamento, dovranno avere l’onere di gestire la mutata fisionomia delle scuole, altrimenti non si riesce a prevedere a chi possano essere demandati ruoli di strategica importanza. Un altro aspetto che sembra ancora carente nella scuola italiana è la dimensione europea dell’insegnamento, e conviene farne cenno in questa sede proprio perché essa è enormemente facilitata dalle nuove tecnologie e dai collegamenti telematici; occorre una maggiore diffusione delle informazioni, per promuovere la conoscenza di ciò che esiste e dei programmi futuri, delle risorse presenti in rete e del materiale didattico prodotto da numerose scuole europee e reperibile in rete attraverso i portali e i siti citati nella parte iniziale del capitolo. Essenziale risulta inoltre ridurre le distanze che ci separano dalla maggior parte dei paesi europei per quanto riguarda l’inclusione nei programmi di studio delle TIC. Il mancato possesso delle abilità di base nell’uso delle tecnologie informatiche rappresenta oggi una grave forma di analfabetismo che non può essere avvallata dal sistema educativo, in quanto comporta rischi sociali molto pesanti, connessi all’ormai celebre “digital divide”, il divario digitale, e non garantisce le pari opportunità educative. Occorre pertanto prevedere l’inclusione delle TIC nei programmi scolastici, sia come disciplina autonoma, ad esempio nella scuola primaria e in tutta la secondaria inferiore, come anche in alcuni settori specialistici della secondaria superiore, sia rendendone obbligatorio l’uso come strumenti trasversali a tutte le discipline, in tutti i gradi scolastici. Questi sembrano i punti deboli fondamentali del nostro paese al confronto con i sistemi educativi europei eccellenti e ai quali l’Italia deve riferirsi per trarre vantaggio e spunto dal benchmarking europeo. Certamente ad un’analisi approfondita molti altri sono i suggerimenti che l’Italia potrebbe trarre dai paesi all’avanguardia, ma appare certo che ogni intervento che non affronti alla radice le problematiche illustrate potrà sortire soltanto un effetto placebo, lasciando immutata la situazione di fondo e aperto il gap digitale Aprire i laboratori e portare davvero il computer in classeUn dato che salta all’occhio nei rapporti di monitoraggio del Programma di Sviluppo è lo scarsissimo ricorso, da parte delle scuole finanziate, all’acquisto di computer portatili e, diversamente da quanto potrebbe apparire, si tratta di un elemento importante, in quanto spia di una certa filosofia d’uso delle tecnologie a scuola. La configurazione tradizionale del laboratorio informatico è di gran lunga la più diffusa: è stata adottata dal 70% degli istituti , mentre il 25% delle scuole ha scelto la configurazione delle aule con alcune stazioni multimediali e, ahimè, soltanto il 5% ha optato per il collocamento di un PC in ogni aula. La cosa è assolutamente comprensibile dato il costo delle apparecchiature e la cronica povertà di risorse in cui versa la scuola, tuttavia è altrettanto chiaro che le tecnologie, tenute in tal modo, relegate in spazi poco accessibili, iperprotetti, confinate ad un utilizzo rigido e prevalentemente destinato ai gruppi–classe, sotto la sorveglianza del personale tecnico e sotto la supervisione strettissima degli insegnanti, hanno scarsa utilità e minimo può essere il loro impatto sull’apprendimento e il loro uso trasversale alle discipline. Tuttavia è evidente che la scelta di configurazioni più flessibili presuppone una cultura che probabilmente costa ancora fatica alla scuola: tutte queste soluzioni devono essere sorrette da un sistema organizzativo di istituto in cui esistano chiare regole di utilizzo delle apparecchiature, ma al tempo stesso gli studenti percepiscano di poter usare gli spazi attrezzati, li sentano come servizi destinati a loro, avvertano di poterne fare un uso anche creativo, individuale, per approfondire lo studio delle discipline attraverso la ricerca di informazioni, l’uso di ambienti di apprendimento, e per la creazione di prodotti originali, frutto della personale rielaborazione. Una simile cultura potrà essere anche uno strumento per ridurre gradualmente la frattura, sempre più profonda, fra una scuola che impone e un extra – scuola che libera, fra una realtà scolastica in cui il computer viene usato per la lezione, e quindi annoia, e un ambiente esterno in cui il computer equivale a gioco, divertimento, evasione. Gli studenti devono appropriarsi degli spazi della scuola, imparare a viverli come ambienti della propria casa, sentirsi al sicuro nella scuola e sentirla come un luogo piacevole di soggiorno, ricco di opportunità e di occasioni di incontro con i propri compagni e con i propri insegnanti. Per molte delle nostre scuole questa suona come una rivoluzione profonda, una realtà in cui progressivamente si allenti la rigidità del gruppo classe e gli studenti comincino a muoversi più liberamente e a gestire in parte gli strumenti al loro servizio, fa paura alla maggior parte dei dirigenti, ma è in scuole simili che i volti degli studenti cambiano, si illuminano, la motivazione ad apprendere e a migliorarsi sale, aumenta l’opportunità di comprendere le proprie potenzialità e l’intelligenza per la quale si è più versati. Formare i docentiE’ chiaro che ogni tecnologia introdotta nella scuola rischia di restare improduttiva o di trasformarsi addirittura in uno strumento dannoso per l’attività didattica se non vi è, da parte dei docenti, in primo luogo la consapevolezza pedagogica del valore aggiunto che l’uso della multimedialità può apportare nello specifico del processo di insegnamento-apprendimento, in secondo luogo l’abilità tecnica necessaria nell’uso di queste tecnologie. Per questo l’argomento formazione si rivela cruciale a questo proposito. I docenti italiani sono attualmente non molto diversi dai loro colleghi europei: un po’ impacciati nell’uso delle nuove tecnologie, non sempre pronti a coglierne la portata innovativa per la didattica, dotati di scarse capacità progettuali nell’integrarle nella prassi quotidiana, tuttavia sono una categoria in rapida evoluzione, se si pensa che nel primo anno di attività del Programma di Sviluppo i rapporti di monitoraggio fotografavano una realtà addirittura allarmante. La maggior parte dei docenti non possedeva neppure nozioni elementari sull’uso delle nuove tecnologie, quasi l’80% di essi non aveva idea di come effettuare una connessione alla rete telematica o di come poter usare la posta elettronica. Oggi le cose, per lo meno dal punto di vista tecnico, di familiarità con la macchina, sono cambiate: i docenti si sono formati molto in materia di informatica e multimedialità, in gran parte grazie ai corsi organizzati nell’ambito dello stesso Programma di Sviluppo, in parte grazie all’impulso che essi hanno impresso alla nascita di nuove occasioni di apprendimento per i docenti in questo settore, promosse negli ambiti più diversi. I test effettuati sugli insegnanti formati nell’ambito del Programma hanno evidenziato non certo miracoli, ma miglioramenti notevoli e soprattutto il desiderio, suscitato in molti di essi dai corsi di formazione, di approfondire, di progredire. Certo la formazione dei docenti nel nostro paese è un argomento spinoso, una pratica che meriterebbe ampie revisioni, ma occorre tener conto del fatto che il varo della C.M. 53 del 21/5/02, relativa al piano di formazione informatica in servizio, articolato proprio in tre differenti livelli, manifesta la consapevolezza da parte del MIUR della necessità di dotare i docenti degli strumenti in grado di condurli ad una didattica realmente innovativa e soprattutto ad un uso delle tecnologie che sappia cogliere le grandi potenzialità che esse possono offrire al processo di insegnamento/apprendimento. Tuttavia le modalità attuative del piano appena varato non sembrano ancora tener conto delle reali esigenze di formazione, dal momento che i Corsi relativi al Modulo A, per la formazione di base, sono stati indirizzati ad un numero troppo limitato di docenti per scuola Il percorso intrapreso da paesi come la Francia, la Danimarca[5], la Germania, la Finlandia e anche la Spagna è stato volto ad individuare in ogni scuola un docente in possesso, o di un titolo specialistico in materia di TIC, o delle competenze necessarie per svolgere la funzione di referente in TIC; a tale figura è stato affidato, oltre al compito di promuovere l’integrazione delle tecnologie nella prassi didattica, anche la funzione di organizzare interventi di formazione in servizio rivolti ai colleghi meno esperti, di esercitare stimoli e fornire spunti pratici per applicazioni didattiche concrete. E’ evidente che il maggiore successo in questi casi si è osservato laddove ai docenti referenti è stato concesso il tempo adeguato da dedicare ad un compito così impegnativo, e ciò significa essere esonerati dall’insegnamento, o almeno beneficiare di una opportuna riduzione dell’orario didattico. A questi docenti, infatti, deve essere fornito anche un adeguato sostegno in termini di aggiornamento e formazione continua, attività che richiedono impiego di tempo e di energie, che non potranno evidentemente essere spese nel lavoro di insegnamento. E’ bene puntualizzare questo, in quanto si ha ragione di credere che una simile soluzione sia in programma anche per il nostro paese, con l’intenzione di creare una sorta di “figura – obiettivo” per le tecnologie didattiche[6], affinché non si ripeta l’errore che è già stato compiuto. I compiti e le responsabilità cui queste figure di sistema devono far fronte, specie nelle scuole meno dotate di supporti organizzativi e di risorse finanziarie, sono davvero ingenti; per quella che è la cultura della classe docente italiana, non abituata alla differenziazione dei compiti e alla distribuzione delle responsabilità e, meno che mai, incline ad una diversificazione delle carriere, i docenti cui sono affidate simili funzioni devono vincere anche le resistenze e le diffidenze dei loro colleghi, sopportando carichi emotivi pesanti. In una simile situazione, si ha ragione di credere che l’esperienza non del tutto positiva delle “funzioni-obiettivo”compiuta negli ultimi tre anni (ovviamente non in termini dei risultati prodotti, ma della forte demotivazione che si sta osservando negli insegnanti e che si esplica nella diffusa riluttanza ad assumere incarichi del genere) sia da attribuire anche al fatto che i docenti investiti dall’incarico non abbiano avuto a disposizione il tempo e le energie necessarie per assolvere ai loro compiti, dovendo svolgerli in condizioni di serio disagio. Il Dipartimento dell’Educazione Britannico sta mettendo a punto delle opportune forme per incentivare i docenti eccellenti, che abbiano investito energie nello sviluppo della loro professionalità, anche attraverso la strutturazione di percorsi di carriera, e questa è senza ombra di dubbio una misura fondamentale, necessaria in un sistema educativo che desideri essere all’avanguardia. La riflessione coinvolge inevitabilmente il nostro paese, nel quale, a livello di sistema educativo, non si è mai seriamente investito in risorse umane e attualmente non esistono adeguati meccanismi in grado di potenziare la motivazione dei docenti in servizio allo sviluppo e al miglioramento della qualità della loro professionalità. Oltre a non aver mai potuto beneficiare di un sistema di differenziazione dei profili professionali, sempre osteggiato dalla stessa classe docente alla quale è risultato comodo appiattirsi su un livello medio di professionalità, date anche le retribuzioni previste, e dalle organizzazioni sindacali di categoria, il docente italiano, lungi dall’essere supportato dall’esterno nel suo lavoro è andato progressivamente incontro ad un maggiore appesantimento dei suoi ’aspetti burocratici che hanno sottratto tempo ed energie alla funzione docente. Sono sparite nel tempo anche le esigue incentivazioni previste per l’attività di aggiornamento, compreso il modesto punteggio aggiuntivo che si poteva conseguire con la frequenza di un certo numero di corsi organizzati dall’Istituzione preposta alla formazione dei docenti. Nelle graduatorie di Istituto, ma anche in molti dei pubblici concorsi cui i docenti possono accedere, il dato che continua ad avere maggior peso nel curriculum è sempre l’anzianità di servizio, congiunta all’anzianità anagrafica, conformemente ad un’antica e ormai risibile concezione, secondo la quale l’esperienza maturata nell’insegnamento equivale ad una garanzia di qualità professionale, concezione ancor più discutibile in un sistema in cui non sono state mai previste forme di valutazione della professionalità.[7] In un perverso circolo vizioso, il dato è strettamente collegato al progressivo calo di riconoscimento sociale, di cui soffre oggi drammaticamente la professionalità docente, e che a sua volta genera demotivazione, scoramento e crisi di identità sociale nel docente italiano. L’esempio principale che i paesi europei che possono definirsi all’avanguardia ci forniscono, al di là e prima ancora del vantaggio tecnologico, è proprio quello relativo alla valorizzazione delle risorse umane, senza la quale non è neppur pensabile completare con successo l’impegnativo processo di integrazione delle nuove tecnologie nella didattica, processo che non può avere futuro in un sistema come quello attuale in cui, pur esistendo proposte formative di qualità sempre più elevata, la formazione continua del docente italiano è affidata alla buona volontà e all’arbitrio dei singoli. La formazione nel campo delle nuove tecnologie va allora resa obbligatoria, almeno in quelle che si possono definire le competenze di base per un loro uso pedagogico, sia nella formazione iniziale che in quella in servizio, e la formazione specialistica e opzionale deve essere, in ogni caso, congruamente riconosciuta a livello di curriculum professionale e a livello di incentivi economici. E’ oggi il momento di reimpostare la rotta, mutando le priorità, che fino ad ora sono state quelle di implementare le attrezzature, e per il futuro devono invece puntare alla consapevolezza del loro potenziale pedagogico da parte dei docenti, e ad una capacità di uso consapevole e selettivo nella pratica didattica, in quanto le risorse tecnologiche, quando non sono accompagnate da una elevata qualità dell’insegnamento, da sole non possono sortire alcun effetto nel migliorare l’apprendimento e le abilità metacognitive degli studenti. Accanto al personale tecnico, con la funzione di offrire sostegno ai docenti nel loro uso delle tecnologie, il docente referente formato nel percorso B, dovrebbe assumere anche il ruolo di responsabile della formazione in materia di nuove tecnologie, con compiti anche di coordinamento e supervisione dei progetti e delle attività didattiche supportate dalle tecnologie informatiche[8]. Tale figura rispecchia un ruolo professionale che già esiste da tempo nelle aziende e che si è gradualmente esteso anche alle pubbliche amministrazioni. I suoi compiti sono fondamentali in ogni realtà organizzativa che intenda stare al passo con l’innovazione, in quanto non possono esistere mutamenti o evoluzioni non supportati da opportune fasi di formazione e di motivazione dei lavoratori ai nuovi compiti che dovranno assumere. In perfetta linea con l’autonomia scolastica, ogni scuola potrebbe gestire autonomamente la propria formazione di istituto, rispondente alle specifiche esigenze e comunque coerentemente a linee di indirizzo fissate a livello nazionale; il responsabile della formazione avrebbe il compito di fissare obiettivi, di formulare contratti formativi con il personale, di valutare, come in ogni azienda che si rispetti, gli esiti della formazione per fissare obiettivi futuri in un processo di continua crescita del capitale umano. Il responsabile della formazione si configura, nella nostra ipotesi, come un docente-ricercatore, il cui costante contatto con il mondo della ricerca e dell’innovazione, con le università del territorio, con i centri di ricerca didattica, con gli IRRE (Istituti Regionali di Ricerca Educativa) garantisca la sua adeguatezza in qualità di coordinatore anche dei progetti didattici che richiedono l’uso delle nuove tecnologie. Una scuola che intenda infatti attuare un uso consapevole e finalizzato delle tecnologie, e non semplicemente rispondere ad una moda, non può mancare di fissare obiettivi chiari e misurabili e di verificarne il raggiungimento, al fine di valutare l’efficacia dei propri percorsi formativi soprattutto nei termini di una facilitazione o di una maggiore produttività dell’apprendimento da parte degli studenti[9]. In questo è evidente che il docente dovrebbe essere accompagnato e supportato da commissioni di ricerca appositamente costituite. Diffondere capillarmente una cultura e una pratica dei processi valutativi nel mondo della scuola è anche una questione etica, dal momento che i programmi di sviluppo tecnologico richiedono investimenti consistenti di denaro pubblico e sarebbe giusto far conoscere alla comunità nazionale il bilancio di simili investimenti. Il sistema attualmente in uso in Italia, che consiste nella pratica dei cosiddetti monitoraggi, pare interessante soltanto a livello statistico, mentre in realtà le valutazioni che dovrebbero essere condotte a fronte di massicci programmi come il PSTD 1997/2000, rientrano nel campo di una vera e propria ricerca orientata alle decisioni e dovrebbero comprendere strumenti più complessi e sofisticati, compresi sistemi di valutazione degli apprendimenti. Ciò che interessa alla comunità è non tanto la ratio studenti/computer o il numero di collegamenti ad Internet nelle scuole italiane, quanto conoscere se e come, l’introduzione delle tecnologie informatiche, nel modo in cui è stata gestita, abbia prodotto un miglioramento degli apprendimenti, della motivazione e dell’autostima degli studenti, o un mutamento dell’organizzazione scolastica in direzione di una maggiore efficienza. Sembrano questi gli indicatori più efficaci, anche se non così semplici da mettere a punto, per valutare concretamente il rapporto costi/benefici. Il mondo della ricerca scientifica è chiamato così a collaborare strettamente con la scuola, nella cornice di una cultura nuova, secondo il modello inglese o americano, e il mondo politico, da parte sua, ad assumere decisioni supportate dai risultati della ricerca. Accanto a questa priorità, inoltre, i paesi più avanzati pongono quella degli investimenti nel campo della ricerca e sviluppo delle applicazioni e dei contenuti didattici disponibili . L’innovatività e il successo dei paesi scandinavi, come è noto, e sulla stessa linea si colloca anche l’esperienza del Regno Unito, risiedono proprio nella centralità che la ricerca e il parere degli scienziati assumono ogni qual volta si tratta di definire le linee politiche in materia di nuove tecnologie, mentre nel nostro paese questo riconoscimento del ruolo guida della ricerca manca totalmente o è confinato ai progetti pilota.[10]
Perché il computer in classe.
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