Dietro la cattedra:
il mondo della scuola visto dai docenti
Roma, marzo 2002
Quasi il 70 per cento dei docenti italiani giudica
la scuola pubblica superiore a quella privata.
E’ quanto emerge da
una indagine che l’Eurispes ha condotto, in collaborazione con il
Cirmes (Centro internazionale ricerche metodologiche educative
sociali), su un campione di mille insegnanti, rappresentativo del
corpo docente delle scuole italiane di ogni ordine e grado.
Non un
sondaggio pro o contro le riforme Moratti, bensì una ricognizione
del tessuto su cui si innesta ed una verifica indiretta (ma per
questo non meno significativa) della validità di un cambiamento di
rotta.
I dati mettono, inoltre, in evidenza che gli insegnanti giudicano i
contenuti formativi della scuola pubblica migliori di quella
privata. Eppure, c’è timore sullo sviluppo delle potenzialità
della scuola pubblica.
“E’ evidente – spiega il prof. Gian Maria Fara, presidente
dell’Eurispes – che i docenti italiani temono che il Governo
Berlusconi possa agire soprattutto a favore della scuola privata e
ai danni della pubblica. In ogni caso, dalla ricerca è risultato un
atteggiamento non estremizzato, anche se non privo di
preoccupazioni, e tuttavia estraneo a visioni catastrofiche o a
prefigurazioni apocalittiche sul futuro della Scuola”
Un fatto è certo: la maggioranza assoluta degli insegnanti (72,3%)
ha manifestato apprezzamento per la riforma Berlinguer-De Mauro,
complessivamente considerata. Gli aspetti positivi indicati sono
soprattutto quelli relativi al sistema formativo integrato, all’adeguamento
europeo e all’innalzamento dell’età dell’obbligo scolastico,
oltre il gradimento per la continuità, tra elementari, medie e
superiori, per l’innovazione istituzionale e curricolare, per la
nuova professionalità dei docenti e altro ancora.
Ma qual è, secondo il corpo docente, il livello di prestigio
sociale attribuito alla professione dell’insegnante? Il 50,4 %
degli insegnanti ritiene che il loro prestigio sociale sia
medio-basso, mentre circa un quarto del campione parla addirittura
di prestigio sociale basso. Questo giudizio sembra trovare un
riscontro oggettivo in un trattamento economico che la categoria
giudica, in maniera più che compatta, del tutto inadeguato: il
principale motivo di insoddisfazione risulta, infatti, lo stipendio.
Per converso, il rapporto con gli studenti rappresenta per lo più
un motivo di soddisfazione. Forte la critica verso gli aspetti
tecnici: le strutture/dotazioni scolastiche soddisfano meno del 17
per cento degli insegnanti, mentre le mancate risposte si attestano
vicino al 50 per cento.
In linea tendenziale, i docenti italiani sembrano poter contare su
un’istituzione scolastica stabile, cosciente del proprio ruolo
decisivo nella valorizzazione delle risorse individuali. Non è del
resto casuale, come s’è detto sopra, che la maggioranza dei
docenti che hanno risposto al questionario attribuiscano alla scuola
pubblica un ruolo prioritario rispetto alle altre agenzie formative:
almeno sul piano teorico, la scuola continua a mantenere una
posizione centrale per la trasmissione dei valori, della cultura,
per la formazione dei cittadini, per la socializzazione. Per contro,
l’istituzione scolastica risulta del tutto inadeguata nel
preparare gli studenti al mondo del lavoro; mentre per il 72% dei
docenti la scuola è chiamata in misura “abbastanza” o “molto”
consistente ad assolvere tale compito, a dichiarare che essa riesca
effettivamente a farlo è solo il 24,8% degli intervistati.
L’Eurispes, in collaborazione con il Centro
internazionale ricerche metodologie educative sociali, ha
condotto un’indagine all’interno del corpo docente delle
scuole italiane di ogni livello e tipologia, con l’intento di
offrire una conoscenza adeguata di aspetti fondamentali quali la
percezione che gli insegnanti hanno di se stessi e del loro
ruolo nella scuola, nonché dei rapporti che riescono ad
instaurare con i loro studenti. In merito ai cambiamenti in
corso, dato che le ipotesi di riforma del Ministro Letizia
Moratti sono tuttora in fase di dibattito (ad esclusione dell’esame
di Stato approvato nello scorso autunno), è apparso prematuro
chiedere ai docenti di esprimere un giudizio su di esse,
preferendo viceversa sondare la loro opinione in merito alle
riforme approvate legislativamente e, in parte vissute e
sperimentate, nell’ultimo quinquennio, al fine di appurare
quanto ne era stato recepito e condiviso. Non un sondaggio pro o
contro le riforme Moratti, dunque, bensì una ricognizione del
tessuto su cui si innesta ed una verifica indiretta (ma per
questo non meno significativa) della validità di un cambiamento
di rotta.
L’iniziativa si colloca in una più ampia azione di
monitoraggio e di analisi che Eurispes e Cirmes intendono
compendiare nel Rapporto Scuola annuale, di prossima
realizzazione, con l’obiettivo di individuare gerarchie di
problemi e risposte adeguate ad essi. Il conseguimento di tale
obiettivo non può prescindere dall’ascolto dei protagonisti
del Sistema Scuola. Questionari ad hoc sono stati somministrati
a docenti e studenti delle scuole elementari, medie e superiori.
Si prevede di procedere ad ulteriori sondaggi nei mesi seguenti.
Il questionario, di cui si dà conto nella presente relazione,
somministrato ad un campione di 1.000 insegnanti,
rappresentativo del corpo docente delle scuole italiane, ha
previsto items relativi ai temi del ruolo e delle funzioni della
scuola, della responsabilità e delle competenze degli
insegnanti, nonché delle riforme ordinamentali tanto a lungo
dibattute negli anni 1996-2001.
Fra i valori etico-sociali che i docenti cercano di comunicare
ai propri studenti, spicca il rispetto per gli altri (che
raccoglie oltre il 50% dei consensi), modalità di risposta
prevalente in ogni fascia d’età. Segue l’impegno
socio-civile, valore cui viene attribuita un’importanza
crescente all’aumentare dell’età degli insegnanti, così
come accade per quanto concerne il valore dell’altruismo. Al
contrario, il rispetto per gli altri sembra avere un peso
superiore per i docenti più giovani, che risultano generalmente
più attenti anche alle problematiche ambientali.
Per quanto concerne la propria capacità di cogliere il disagio
giovanile, la maggioranza dei docenti, pur ritenendola una
funzione importante, manifesta delle perplessità rispetto alle
reali capacità degli insegnanti di svolgere la funzione di “sensori
sociali”: per il 5% circa degli intervistati quasi nessun
docente è in grado di portare avanti questa delicata mansione,
mentre per il 44% circa ne è capace solo una minoranza. I
docenti ritengono compattamente che dovrebbero seguire appositi
corsi di formazione. La stessa considerazione viene fatta in
relazione al miglioramento della propria competenza nel gestire
il multiculturalismo a scuola, con in più la sottolineatura
dell’esigenza dell’affiancamento di un mediatore culturale.
Emerge allora chiaramente come la formazione si configuri come
un fabbisogno riconosciuto dai docenti, in questo e ad altro
proposito, ma sembra costituirsi soprattutto come diritto alla
formazione. Il corpo docente avverte principalmente la
necessità di una formazione mirata al miglioramento della
propria capacità didattica, sentita come necessità in misura
maggiore dagli uomini intervistati (33,9%). Grande rilievo è
attribuito anche ad attività formative tese all’acquisizione
della consapevolezza del senso e degli obiettivi della scuola,
ma anche al miglioramento dell’interazione fra docenti e
studenti, a testimoniare l’importanza degli aspetti
affettivo-relazionali all’interno dell’istituzione scuola.
Di grande interesse è la risposta dei docenti sul parametro che
dovrebbe influire sugli aumenti degli stipendi. I titoli sono
indicati solo dal 3% circa degli insegnanti, l’anzianità di
servizio dal 30% circa, mentre l’indicazione del 56% circa è
(sorprendentemente?) per la produttività, un concetto messo a
punto nella cultura moderna sotto il profilo della
giustificazione, ma che sembrava ancora fuori quadro rispetto
all’opinione degli addetti ai lavori, perché è difficile
estendere alla processualità educativa il giudizio di
adeguatezza e di pertinenza (economica, funzionale, culturale)
che caratterizza altri servizi pubblici (poste, trasporti,
sanità, ecc.), almeno in linea teorica.
Quando si è parlato di meccanismi di valutazione degli
insegnanti la stragrande maggioranza ha affermato che essi
rappresentino una forma di tutela della qualità dell’insegnamento
(71,8%).
Ma qual è, secondo il corpo docente, il livello di prestigio
sociale attribuito alla professione dell’insegnante? Il 50,4%
degli intervistati ritiene che il loro prestigio sociale sia
medio-basso, mentre circa un quarto del campione parla
addirittura di prestigio sociale basso. Questo giudizio sembra
trovare un riscontro oggettivo in un trattamento economico che
la categoria giudica, in maniera più che compatta, del tutto
inadeguato: il principale motivo di insoddisfazione risulta,
infatti, lo stipendio. Per converso, il rapporto con gli
studenti rappresenta per lo più un motivo di soddisfazione.
Forte la critica verso gli aspetti tecnici: le
strutture/dotazione scolastiche soddisfano meno del 17% degli
insegnanti, mentre le mancate risposte si attestano vicino al
50%.
Rispetto ai rapporti personali che i docenti riescono ad
intraprendere con gli studenti, il quadro che appare è
particolarmente positivo. Oltre l’80% dei docenti dichiara,
infatti, di ascoltare i problemi personali dei propri alunni,
senza grandi differenze secondo il genere o la classe di età.
Più del 53% degli insegnanti, inoltre, ritiene che gli studenti
manifestino un atteggiamento fiducioso e rispettoso nei loro
confronti: il maggior rispetto è rivolto ai docenti più
anziani ed agli insegnanti uomini. Per quasi la metà dei
soggetti che hanno risposto, la dialettica rappresenta la
principale modalità di relazione nel rapporto tra docente e
studente (46,9%), seguita da un tipo di rapporto addirittura
amichevole (30,2%).
I rapporti tra studenti vengono descritti come incardinati, per
lo più, sui valori dell’amicizia, della solidarietà, della
complicità, della stima, mentre modalità di relazione negative
– come l’indifferenza, l’opportunismo o la diffidenza –
appaiono per fortuna piuttosto marginali.
Sembra in tal modo rafforzarsi l’idea di una scuola che
funzioni come comunità educante, in opposizione sia all’idea
di un insegnante, monade intellettual-professionale, che operi
isolato e separato dal contesto, sia all’idea di una
scuola-azienda formale, gerarchica, autoritaria e distaccata. I
docenti, complessivamente, hanno un buon giudizio del livello di
preparazione del dirigente e ritengono i colleghi abbastanza o
molto competenti sul piano della preparazione culturale e delle
capacità didattiche; maggiori perplessità traspaiono, invece,
rispetto alla capacità di valutazione del corpo insegnante (un
quarto dei docenti indica un valore medio-basso).
La maggioranza dei docenti attribuisce alla scuola pubblica un
ruolo prioritario rispetto alle altre agenzie formative: almeno
sul piano teorico, la scuola continua a mantenere una posizione
centrale per la trasmissione dei valori, della cultura, per la
formazione dei cittadini, per la preparazione al lavoro e per la
socializzazione. La scuola riesce ancora a trasmettere cultura e
a formare buoni cittadini e, ancor più, a favorire la
socializzazione tra le giovani generazioni. Per contro, l’istituzione
scolastica risulta del tutto inadeguata nel preparare gli
studenti al mondo del lavoro; mentre per il 72% dei docenti la
scuola è chiamata in misura “abbastanza” o “molto”
consistente ad assolvere tale compito, a dichiarare che essa
riesca effettivamente a farlo è solo il 24,8% degli
intervistati.
I docenti ritengono ottimo il rapporto della scuola con la
realtà sociale e territoriale in cui la scuola è inserita.
Mentre mostrano soddisfazione per i rapporti con le famiglie e
gli enti territoriali, rivelano al contrario una scarsa
soddisfazione per quanto concerne i rapporti col mondo del
lavoro e con le Università del territorio; evidenziano inoltre
un rapporto scarsamente funzionale e operativo con le
associazioni e con i sindacati (anche con i rappresentanti
dentro la scuola), rapporti per lo più improntati alla mera
informazione.
I docenti italiani sembrano sufficientemente fiduciosi nell’assetto
istituzionale e organizzativo della scuola, nell’autonomia
didattica e contenutistica, che conoscono e padroneggiano.
Per quel che concerne il Piano dell’Offerta Formativa (P.O.F.),
l’elemento caratterizzante è individuato soprattutto nelle
attività extra-curricolari svolte durante l’anno. Emerge il
convincimento che la funzione fondamentale della scuola sia
quella di erogare formazione culturale e che oggi, nel processo
di acquisizione di nuove e più aggiornate competenze, sia
particolarmente importante il possesso della cultura generale,
mantenendo un legame anche nelle attività selettivamente scelte
dell’istituto con l’indirizzo degli studi.
Nella gestione dell’istituto e delle procedure burocratiche
emerge una certa titubanza nell’allinearsi alle norme emanate
dal Ministero o dalle Direzioni Regionali. Al riguardo
rispettivamente il 37,4% ed il 29,4% degli intervistati
ritengono che le nuove direttive sono recepite dalla maggioranza
o dalla totalità del personale lentamente, mentre solo un sesto
circa del personale scolastico dimostra di recepire rapidamente
le norme. Ciò anche se nel 44,3% dei casi è stato risposto
che, comunque, le procedure interne all’istituto vengono
modificate nel caso contrastino con le nuove norme.
Quest’atteggiamento di autonomia rispetto al potere centrale
emerge anche dalle risposte degli insegnanti in merito al ruolo
che in futuro dovrà ricoprire il Ministero dell’Istruzione:
la maggioranza assoluta indica esclusivamente compiti di
coordinamento, quasi un terzo del campione fa riferimento ad un
ruolo d’indirizzo, mentre solo una quota minoritaria auspica
una funzione di controllo.
Nel momento in cui nell’organico dell’istituto subentra un
nuovo elemento, i colleghi più anziani sono delegati a
trasmettere lo spirito ed il modus operandi dell’istituto
(39,3%), mentre tale ruolo viene assunto dal dirigente nel 24%
dei casi.
Il 49,6% dei docenti dichiara di aver riscontrato nei nuovi
assunti un atteggiamento ricettivo nei confronti dello status
quo dell’istituto; per il 24,4%, invece, prevale un
atteggiamento costruttivo-innovativo. Per il 9,5% dei docenti,
le nuove leve si limitano ad un atteggiamento critico ma non
costruttivo, mentre solo il 5% indica un atteggiamento di totale
chiusura.
In conclusione, in questo specifico ambito circoscritto alla
realtà dei singoli istituti emerge una forte apertura alle
innovazioni endogene, nate dall’esperienza quotidiana con l’insegnamento
e con gli studenti, mentre si manifesta una certa recalcitranza
verso quanto emanato dagli organi decisionali esterni.
I docenti intervistati sono mediamente soddisfatti della
qualità dei servizi offerti dalla scuola (pulizia,
illuminazione, riscaldamento, mensa, scuolabus, biblioteca),
comprese le misure di sicurezza. Le risposte ottenute si
attestano su giudizi di valore medio-bassi; sono i più giovani
(fino a 50 anni) a reputare basso il livello di qualità dei
servizi offerti dalla scuola, mentre, in riferimento alla
discriminante di genere, emerge che sono gli uomini ad essere
più critici rispetto alle loro colleghe.
Per quanto riguarda l’indice relativo allo stato delle
strutture scolastiche (facciate, aule, sedie, banchi, porte,
servizi igienici, finestre, palestre/attrezzature sportive,
cortile/giardino), esso è considerato “alto” da tutte le
fasce d’età, mentre, ancora una volta, sono gli uomini ad
essere più critici delle donne.
A fronte, infatti, di una situazione generale che mette in luce
la presenza di fenomeni di devianza all’interno delle
istituzioni scolastiche, la scuola nel 40,5% dei casi non mette
in atto alcun tipo di iniziativa che possa in qualche modo
contrastare tali fenomeni.
Per quanto riguarda la percezione circa la diffusione della
pedofilia nelle scuole, il 61,5% dei docenti la reputa rara,
mentre il 26,3% inesistente o quasi. Solo il 4,2% crede che sia
abbastanza diffusa.
D’altra parte, appare netta la considerazione dei docenti
sulla superiorità della scuola pubblica rispetto alla scuola
privata: la scuola pubblica ha una didattica migliore e un corpo
docente migliore (quasi il 70% delle risposte), contenuti
formativi superiori (oltre il 60% delle risposte), un corpo non
docente migliore, e persino un apparato
organizzativo-burocratico superiore, mentre le strutture e le
attrezzature risultano migliori nelle scuole private.
Eppure, c’è timore sullo sviluppo delle potenzialità della
scuola pubblica. Aggiustando la lente sulle aspettative
politico-istituzionali, i docenti italiani temono che il Governo
di centro-destra possa agire soprattutto a favore della scuola
privata e ai danni della scuola pubblica.
In ogni caso, dalla ricerca è risultato un atteggiamento non
estremizzato, anche se non privo di preoccupazioni, e tuttavia
estraneo a visioni catastrofiche o a prefigurazioni
apocalittiche sul futuro della Scuola.
Circa l’autopercezione dell’informazione del corpo
insegnanti in merito ai principali aspetti della riforma dei
cicli approvata dalla precedente Legislatura, la maggior parte
dei docenti si considera poco informata circa tutte le possibili
modalità di risposta fornite dal questionario.
E, tuttavia, la maggioranza assoluta degli insegnanti (72,3%) ha
manifestato apprezzamento per la riforma Berlinguer-De Mauro
complessivamente considerata. Gli aspetti positivi indicati sono
soprattutto quelli relativi al sistema formativo integrato, all’adeguamento
europeo ed all’innalzamento dell’età dell’obbligo
scolastico, ma non è mancato il gradimento per la continuità,
tra elementari, medie e superiori, per l’innovazione
istituzionale e curricolare, per la nuova professionalità dei
docenti ed altro ancora. Tra le cose più criticate, invece, la
riduzione di un anno d’insegnamento, il diverso ruolo di
elementare e media ed il mancato coinvolgimento del corpo
docente.
I docenti italiani ritengono che la dispersione scolastica sia
contrastata con esiti molto positivi dalla continuità della
scuola di base, dalla flessibilità didattica, dalla sinergia
nel sistema formativo integrato. Secondo i docenti, inoltre, la
principale causa di abbandono scolastico è dovuta ad un
disinteresse per lo studio; sono di questo parere soprattutto i
più giovani, con uno schiacciante 80% di risposte. Gli uomini,
inoltre, sono più convinti delle donne che i giovani
abbandonino la scuola per disinteresse allo studio (73,2%) e per
una voglia o necessità di lavorare; le donne sono più propense
a ricercare la responsabilità dell’abbandono in un cattivo
rapporto con gli insegnanti o in una sostanziale mancanza di
incentivazione da parte della famiglia.
Il processo di riforma avviato dal precedente Governo, al di là
di ogni considerazione di merito sulla sua preferibilità,
giustezza o efficacia, ha determinato un mutamento organizzativo
e culturale. Dopo anni di immobilismo da parte sia dei decisori
politici sia degli appartenenti al Sistema Scuola, la strada
dell’innovazione a tutto campo è stata intrapresa con
decisione. In tale prospettiva l’attuale fase vissuta dalla
Scuola italiana non può che continuare a rappresentare uno
stato nascente, fortemente caratterizzato in senso sperimentale
per ciò che attiene la fase attuativa, il tipo di metodologie e
di procedure da adottare, ma ormai radicato per quel che attiene
alla ridefinizione della mission organizzativa, ossia gli scopi
e gli obiettivi specifici.
Alla luce di tali considerazioni può risultare meno
sorprendente il fatto che l’indagine ribalti la comune
opinione secondo cui la precedente riforma organica della scuola
non è stata condivisa e acquisita anche nei suoi aspetti più
complessi. Non è stato facile, ma è successo. Occorre
prenderne atto. Proprio in quanto l’apprendimento
organizzativo che si è andato realizzando è maturato
faticosamente sarà difficile per il nuovo Governo demolirlo,
non tanto legislativamente quanto culturalmente, soprattutto in
relazione agli elementi hard del mutamento (mission
organizzativa) meno per ciò che attiene a metodi e procedure.
In una fase di transizione tra riforma e ipotesi di
controriforma gli insegnanti non sono confortati in merito al
prestigio sociale di cui gode, secondo la loro percezione, la
propria professione. Eppure l’insegnante di inizio secolo è
orgoglioso di insegnare in una scuola pubblica ritenuta comunque
superiore alla privata, dei contenuti che è in grado di
trasferire, delle relazioni intrattenute con gli studenti,
caratterizzato soprattutto dalla fiducia e dal rispetto.
L’insegnante è consapevole dei propri limiti. Alla richiesta
di nuove competenze, gli insegnanti si dimostrano aperti e
disponibili, purché entri in gioco una migliore “formazione
in servizio”, fattore associato all'efficacia
dell'insegnamento e della relazione, che per di più si pone
come "processo mediatore" tra l'esperienza vissuta e
le novità emergenti, tra le conoscenze culturali, relazionali e
professionali legate al modello umanistico e quelle legate al
modello tecnologico, tra sapere e sapere fare. La formazione
viene vissuta come un diritto-dovere per l’insegnante.
L’insegnante italiano non è sicuramente strapagato e può
avvertire sentimenti di privazione relativa sia rispetto ad
altre professioni svolte sul territorio nazionale sia nei
confronti dei colleghi europei. In tale ottica è tutt’altro
che trascurabile l’ancoraggio della retribuzione ad un
parametro piuttosto che ad un altro. La produttività è
reputata il fattore retributivo fondamentale, la
tradizionalissima anzianità incontra ancora un notevole favore
ma sembra destinata a perdere progressivamente di importanza, ma
il dato eclatante è quello inerenti i titoli posseduti,
assolutamente minoritari per consensi ottenuti all’interno del
corpo docente. Il merito è rinvenibile non tanto in ciò che si
è (giovani o anziani in termini di servizio) o si è fatto
(conseguimento di titoli) quanto in ciò che si fa, oggi.
La valutazione viene considerata utile soprattutto in quanto
strumento per migliorare la qualità dell’insegnamento. In
relazione al tempo l’insegnante di inizio secolo propende per
una valutazione ex post e in itinere, piuttosto che una
valutazione ex ante volta ad assolvere una funzione selettiva. L’insegnante
italiano accetta una valutazione incentrata sulla produttività,
su un prodotto didattico fatto di gradimento da parte dell’utenza,
ricchezza di contenuti didattici (preferibilmente
multidisciplinari) e così via. Il giudizio dovrebbe essere
formulato in assenza di dislivello gerarchico (valutazione
orizzontale espressa da chi svolge la medesima professione)
vengono quindi tendenzialmente escluse sia le valutazioni di
carattere top-down sia le valutazioni di tipo bottom up
(studenti giudici dei loro docenti).
Livello
di prestigio sociale
attribuito alla professione
dell'insegnante - Anno 2002
|
Livello
di prestigio sociale |
Valori
% |
Basso |
26,7 |
Medio-basso |
50,4 |
Medio-alto |
14,5 |
Alto |
0,4 |
Non
risposta |
8,0 |
Totale |
100,0 |
Motivi di
soddisfazione
e insoddisfazione dell'insegnante - Anno
2002
|
Motivi |
Valori
percentuali |
Soddisfazione |
Insoddisfazione |
Non
risposta |
Totale |
Lo
stipendio è motivo di ... |
4,6 |
72,5 |
22,9 |
100,0 |
I
rapporti con i colleghi sono motivo di ... |
40,1 |
14,1 |
45,8 |
100,0 |
I
rapporti con gli studenti sono motivo di ... |
79,0 |
4,6 |
16,4 |
100,0 |
Le
strutture/dotazioni scolastiche sono motivo di ... |
16,8 |
33,6 |
49,6 |
100,0 |
In che
misura l'istituzione scuola è chiamata ad assolvere
i seguenti compiti? - Anno 2002
|
COMPITI
|
Valori
percentuali
|
PER
NULLA
|
POCO
|
ABBAST.
|
MOLTO
|
NON
RISPOSTA
|
TOTALE
|
Trasmettere
cultura
|
-
|
2,3
|
30,2
|
61,8
|
5,7
|
100,0
|
Preparare al
lavoro
|
2,7
|
19,1
|
38,9
|
33,2
|
6,1
|
100,0
|
Formare
buoni cittadini
|
-
|
3,4
|
27,5
|
63,0
|
6,1
|
100,0
|
Favorire la
socializzazione
|
-
|
1,5
|
28,6
|
64,1
|
5,8
|
100,0
|
Trasmettere
valori
|
0,4
|
4,6
|
22,5
|
67,6
|
4,9
|
100,0
|
Fonte: Eurispes,
2002