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Dietro la cattedra:
il mondo della scuola visto dai docenti

Roma, marzo 2002

 

Quasi il 70 per cento dei docenti italiani giudica la scuola pubblica superiore a quella privata. 

E’ quanto emerge da una indagine che l’Eurispes ha condotto, in collaborazione con il Cirmes (Centro internazionale ricerche metodologiche educative sociali), su un campione di mille insegnanti, rappresentativo del corpo docente delle scuole italiane di ogni ordine e grado. 

Non un sondaggio pro o contro le riforme Moratti, bensì una ricognizione del tessuto su cui si innesta ed una verifica indiretta (ma per questo non meno significativa) della validità di un cambiamento di rotta.

I dati mettono, inoltre, in evidenza che gli insegnanti giudicano i contenuti formativi della scuola pubblica migliori di quella privata. Eppure, c’è timore sullo sviluppo delle potenzialità della scuola pubblica.

“E’ evidente – spiega il prof. Gian Maria Fara, presidente dell’Eurispes – che i docenti italiani temono che il Governo Berlusconi possa agire soprattutto a favore della scuola privata e ai danni della pubblica. In ogni caso, dalla ricerca è risultato un atteggiamento non estremizzato, anche se non privo di preoccupazioni, e tuttavia estraneo a visioni catastrofiche o a prefigurazioni apocalittiche sul futuro della Scuola”

Un fatto è certo: la maggioranza assoluta degli insegnanti (72,3%) ha manifestato apprezzamento per la riforma Berlinguer-De Mauro, complessivamente considerata. Gli aspetti positivi indicati sono soprattutto quelli relativi al sistema formativo integrato, all’adeguamento europeo e all’innalzamento dell’età dell’obbligo scolastico, oltre il gradimento per la continuità, tra elementari, medie e superiori, per l’innovazione istituzionale e curricolare, per la nuova professionalità dei docenti e altro ancora.

Ma qual è, secondo il corpo docente, il livello di prestigio sociale attribuito alla professione dell’insegnante? Il 50,4 % degli insegnanti ritiene che il loro prestigio sociale sia medio-basso, mentre circa un quarto del campione parla addirittura di prestigio sociale basso. Questo giudizio sembra trovare un riscontro oggettivo in un trattamento economico che la categoria giudica, in maniera più che compatta, del tutto inadeguato: il principale motivo di insoddisfazione risulta, infatti, lo stipendio. Per converso, il rapporto con gli studenti rappresenta per lo più un motivo di soddisfazione. Forte la critica verso gli aspetti tecnici: le strutture/dotazioni scolastiche soddisfano meno del 17 per cento degli insegnanti, mentre le mancate risposte si attestano vicino al 50 per cento.

In linea tendenziale, i docenti italiani sembrano poter contare su un’istituzione scolastica stabile, cosciente del proprio ruolo decisivo nella valorizzazione delle risorse individuali. Non è del resto casuale, come s’è detto sopra, che la maggioranza dei docenti che hanno risposto al questionario attribuiscano alla scuola pubblica un ruolo prioritario rispetto alle altre agenzie formative: almeno sul piano teorico, la scuola continua a mantenere una posizione centrale per la trasmissione dei valori, della cultura, per la formazione dei cittadini, per la socializzazione. Per contro, l’istituzione scolastica risulta del tutto inadeguata nel preparare gli studenti al mondo del lavoro; mentre per il 72% dei docenti la scuola è chiamata in misura “abbastanza” o “molto” consistente ad assolvere tale compito, a dichiarare che essa riesca effettivamente a farlo è solo il 24,8% degli intervistati.


 

L’Eurispes, in collaborazione con il Centro internazionale ricerche metodologie educative sociali, ha condotto un’indagine all’interno del corpo docente delle scuole italiane di ogni livello e tipologia, con l’intento di offrire una conoscenza adeguata di aspetti fondamentali quali la percezione che gli insegnanti hanno di se stessi e del loro ruolo nella scuola, nonché dei rapporti che riescono ad instaurare con i loro studenti. In merito ai cambiamenti in corso, dato che le ipotesi di riforma del Ministro Letizia Moratti sono tuttora in fase di dibattito (ad esclusione dell’esame di Stato approvato nello scorso autunno), è apparso prematuro chiedere ai docenti di esprimere un giudizio su di esse, preferendo viceversa sondare la loro opinione in merito alle riforme approvate legislativamente e, in parte vissute e sperimentate, nell’ultimo quinquennio, al fine di appurare quanto ne era stato recepito e condiviso. Non un sondaggio pro o contro le riforme Moratti, dunque, bensì una ricognizione del tessuto su cui si innesta ed una verifica indiretta (ma per questo non meno significativa) della validità di un cambiamento di rotta.

L’iniziativa si colloca in una più ampia azione di monitoraggio e di analisi che Eurispes e Cirmes intendono compendiare nel Rapporto Scuola annuale, di prossima realizzazione, con l’obiettivo di individuare gerarchie di problemi e risposte adeguate ad essi. Il conseguimento di tale obiettivo non può prescindere dall’ascolto dei protagonisti del Sistema Scuola. Questionari ad hoc sono stati somministrati a docenti e studenti delle scuole elementari, medie e superiori. Si prevede di procedere ad ulteriori sondaggi nei mesi seguenti.

Il questionario, di cui si dà conto nella presente relazione, somministrato ad un campione di 1.000 insegnanti, rappresentativo del corpo docente delle scuole italiane, ha previsto items relativi ai temi del ruolo e delle funzioni della scuola, della responsabilità e delle competenze degli insegnanti, nonché delle riforme ordinamentali tanto a lungo dibattute negli anni 1996-2001.

Fra i valori etico-sociali che i docenti cercano di comunicare ai propri studenti, spicca il rispetto per gli altri (che raccoglie oltre il 50% dei consensi), modalità di risposta prevalente in ogni fascia d’età. Segue l’impegno socio-civile, valore cui viene attribuita un’importanza crescente all’aumentare dell’età degli insegnanti, così come accade per quanto concerne il valore dell’altruismo. Al contrario, il rispetto per gli altri sembra avere un peso superiore per i docenti più giovani, che risultano generalmente più attenti anche alle problematiche ambientali.

Per quanto concerne la propria capacità di cogliere il disagio giovanile, la maggioranza dei docenti, pur ritenendola una funzione importante, manifesta delle perplessità rispetto alle reali capacità degli insegnanti di svolgere la funzione di “sensori sociali”: per il 5% circa degli intervistati quasi nessun docente è in grado di portare avanti questa delicata mansione, mentre per il 44% circa ne è capace solo una minoranza. I docenti ritengono compattamente che dovrebbero seguire appositi corsi di formazione. La stessa considerazione viene fatta in relazione al miglioramento della propria competenza nel gestire il multiculturalismo a scuola, con in più la sottolineatura dell’esigenza dell’affiancamento di un mediatore culturale.

Emerge allora chiaramente come la formazione si configuri come un fabbisogno riconosciuto dai docenti, in questo e ad altro proposito, ma sembra costituirsi soprattutto come diritto alla formazione. Il corpo docente avverte principalmente la necessità di una formazione mirata al miglioramento della propria capacità didattica, sentita come necessità in misura maggiore dagli uomini intervistati (33,9%). Grande rilievo è attribuito anche ad attività formative tese all’acquisizione della consapevolezza del senso e degli obiettivi della scuola, ma anche al miglioramento dell’interazione fra docenti e studenti, a testimoniare l’importanza degli aspetti affettivo-relazionali all’interno dell’istituzione scuola.

Di grande interesse è la risposta dei docenti sul parametro che dovrebbe influire sugli aumenti degli stipendi. I titoli sono indicati solo dal 3% circa degli insegnanti, l’anzianità di servizio dal 30% circa, mentre l’indicazione del 56% circa è (sorprendentemente?) per la produttività, un concetto messo a punto nella cultura moderna sotto il profilo della giustificazione, ma che sembrava ancora fuori quadro rispetto all’opinione degli addetti ai lavori, perché è difficile estendere alla processualità educativa il giudizio di adeguatezza e di pertinenza (economica, funzionale, culturale) che caratterizza altri servizi pubblici (poste, trasporti, sanità, ecc.), almeno in linea teorica.

Quando si è parlato di meccanismi di valutazione degli insegnanti la stragrande maggioranza ha affermato che essi rappresentino una forma di tutela della qualità dell’insegnamento (71,8%).

Ma qual è, secondo il corpo docente, il livello di prestigio sociale attribuito alla professione dell’insegnante? Il 50,4% degli intervistati ritiene che il loro prestigio sociale sia medio-basso, mentre circa un quarto del campione parla addirittura di prestigio sociale basso. Questo giudizio sembra trovare un riscontro oggettivo in un trattamento economico che la categoria giudica, in maniera più che compatta, del tutto inadeguato: il principale motivo di insoddisfazione risulta, infatti, lo stipendio. Per converso, il rapporto con gli studenti rappresenta per lo più un motivo di soddisfazione. Forte la critica verso gli aspetti tecnici: le strutture/dotazione scolastiche soddisfano meno del 17% degli insegnanti, mentre le mancate risposte si attestano vicino al 50%.

Rispetto ai rapporti personali che i docenti riescono ad intraprendere con gli studenti, il quadro che appare è particolarmente positivo. Oltre l’80% dei docenti dichiara, infatti, di ascoltare i problemi personali dei propri alunni, senza grandi differenze secondo il genere o la classe di età. Più del 53% degli insegnanti, inoltre, ritiene che gli studenti manifestino un atteggiamento fiducioso e rispettoso nei loro confronti: il maggior rispetto è rivolto ai docenti più anziani ed agli insegnanti uomini. Per quasi la metà dei soggetti che hanno risposto, la dialettica rappresenta la principale modalità di relazione nel rapporto tra docente e studente (46,9%), seguita da un tipo di rapporto addirittura amichevole (30,2%).
I rapporti tra studenti vengono descritti come incardinati, per lo più, sui valori dell’amicizia, della solidarietà, della complicità, della stima, mentre modalità di relazione negative – come l’indifferenza, l’opportunismo o la diffidenza – appaiono per fortuna piuttosto marginali.

Sembra in tal modo rafforzarsi l’idea di una scuola che funzioni come comunità educante, in opposizione sia all’idea di un insegnante, monade intellettual-professionale, che operi isolato e separato dal contesto, sia all’idea di una scuola-azienda formale, gerarchica, autoritaria e distaccata. I docenti, complessivamente, hanno un buon giudizio del livello di preparazione del dirigente e ritengono i colleghi abbastanza o molto competenti sul piano della preparazione culturale e delle capacità didattiche; maggiori perplessità traspaiono, invece, rispetto alla capacità di valutazione del corpo insegnante (un quarto dei docenti indica un valore medio-basso).

La maggioranza dei docenti attribuisce alla scuola pubblica un ruolo prioritario rispetto alle altre agenzie formative: almeno sul piano teorico, la scuola continua a mantenere una posizione centrale per la trasmissione dei valori, della cultura, per la formazione dei cittadini, per la preparazione al lavoro e per la socializzazione. La scuola riesce ancora a trasmettere cultura e a formare buoni cittadini e, ancor più, a favorire la socializzazione tra le giovani generazioni. Per contro, l’istituzione scolastica risulta del tutto inadeguata nel preparare gli studenti al mondo del lavoro; mentre per il 72% dei docenti la scuola è chiamata in misura “abbastanza” o “molto” consistente ad assolvere tale compito, a dichiarare che essa riesca effettivamente a farlo è solo il 24,8% degli intervistati.

I docenti ritengono ottimo il rapporto della scuola con la realtà sociale e territoriale in cui la scuola è inserita. Mentre mostrano soddisfazione per i rapporti con le famiglie e gli enti territoriali, rivelano al contrario una scarsa soddisfazione per quanto concerne i rapporti col mondo del lavoro e con le Università del territorio; evidenziano inoltre un rapporto scarsamente funzionale e operativo con le associazioni e con i sindacati (anche con i rappresentanti dentro la scuola), rapporti per lo più improntati alla mera informazione.

I docenti italiani sembrano sufficientemente fiduciosi nell’assetto istituzionale e organizzativo della scuola, nell’autonomia didattica e contenutistica, che conoscono e padroneggiano.

Per quel che concerne il Piano dell’Offerta Formativa (P.O.F.), l’elemento caratterizzante è individuato soprattutto nelle attività extra-curricolari svolte durante l’anno. Emerge il convincimento che la funzione fondamentale della scuola sia quella di erogare formazione culturale e che oggi, nel processo di acquisizione di nuove e più aggiornate competenze, sia particolarmente importante il possesso della cultura generale, mantenendo un legame anche nelle attività selettivamente scelte dell’istituto con l’indirizzo degli studi.

Nella gestione dell’istituto e delle procedure burocratiche emerge una certa titubanza nell’allinearsi alle norme emanate dal Ministero o dalle Direzioni Regionali. Al riguardo rispettivamente il 37,4% ed il 29,4% degli intervistati ritengono che le nuove direttive sono recepite dalla maggioranza o dalla totalità del personale lentamente, mentre solo un sesto circa del personale scolastico dimostra di recepire rapidamente le norme. Ciò anche se nel 44,3% dei casi è stato risposto che, comunque, le procedure interne all’istituto vengono modificate nel caso contrastino con le nuove norme.

Quest’atteggiamento di autonomia rispetto al potere centrale emerge anche dalle risposte degli insegnanti in merito al ruolo che in futuro dovrà ricoprire il Ministero dell’Istruzione: la maggioranza assoluta indica esclusivamente compiti di coordinamento, quasi un terzo del campione fa riferimento ad un ruolo d’indirizzo, mentre solo una quota minoritaria auspica una funzione di controllo.
Nel momento in cui nell’organico dell’istituto subentra un nuovo elemento, i colleghi più anziani sono delegati a trasmettere lo spirito ed il modus operandi dell’istituto (39,3%), mentre tale ruolo viene assunto dal dirigente nel 24% dei casi.

Il 49,6% dei docenti dichiara di aver riscontrato nei nuovi assunti un atteggiamento ricettivo nei confronti dello status quo dell’istituto; per il 24,4%, invece, prevale un atteggiamento costruttivo-innovativo. Per il 9,5% dei docenti, le nuove leve si limitano ad un atteggiamento critico ma non costruttivo, mentre solo il 5% indica un atteggiamento di totale chiusura.

In conclusione, in questo specifico ambito circoscritto alla realtà dei singoli istituti emerge una forte apertura alle innovazioni endogene, nate dall’esperienza quotidiana con l’insegnamento e con gli studenti, mentre si manifesta una certa recalcitranza verso quanto emanato dagli organi decisionali esterni.

I docenti intervistati sono mediamente soddisfatti della qualità dei servizi offerti dalla scuola (pulizia, illuminazione, riscaldamento, mensa, scuolabus, biblioteca), comprese le misure di sicurezza. Le risposte ottenute si attestano su giudizi di valore medio-bassi; sono i più giovani (fino a 50 anni) a reputare basso il livello di qualità dei servizi offerti dalla scuola, mentre, in riferimento alla discriminante di genere, emerge che sono gli uomini ad essere più critici rispetto alle loro colleghe.

Per quanto riguarda l’indice relativo allo stato delle strutture scolastiche (facciate, aule, sedie, banchi, porte, servizi igienici, finestre, palestre/attrezzature sportive, cortile/giardino), esso è considerato “alto” da tutte le fasce d’età, mentre, ancora una volta, sono gli uomini ad essere più critici delle donne.

A fronte, infatti, di una situazione generale che mette in luce la presenza di fenomeni di devianza all’interno delle istituzioni scolastiche, la scuola nel 40,5% dei casi non mette in atto alcun tipo di iniziativa che possa in qualche modo contrastare tali fenomeni.

Per quanto riguarda la percezione circa la diffusione della pedofilia nelle scuole, il 61,5% dei docenti la reputa rara, mentre il 26,3% inesistente o quasi. Solo il 4,2% crede che sia abbastanza diffusa.

D’altra parte, appare netta la considerazione dei docenti sulla superiorità della scuola pubblica rispetto alla scuola privata: la scuola pubblica ha una didattica migliore e un corpo docente migliore (quasi il 70% delle risposte), contenuti formativi superiori (oltre il 60% delle risposte), un corpo non docente migliore, e persino un apparato organizzativo-burocratico superiore, mentre le strutture e le attrezzature risultano migliori nelle scuole private.

Eppure, c’è timore sullo sviluppo delle potenzialità della scuola pubblica. Aggiustando la lente sulle aspettative politico-istituzionali, i docenti italiani temono che il Governo di centro-destra possa agire soprattutto a favore della scuola privata e ai danni della scuola pubblica.

In ogni caso, dalla ricerca è risultato un atteggiamento non estremizzato, anche se non privo di preoccupazioni, e tuttavia estraneo a visioni catastrofiche o a prefigurazioni apocalittiche sul futuro della Scuola.

Circa l’autopercezione dell’informazione del corpo insegnanti in merito ai principali aspetti della riforma dei cicli approvata dalla precedente Legislatura, la maggior parte dei docenti si considera poco informata circa tutte le possibili modalità di risposta fornite dal questionario.

E, tuttavia, la maggioranza assoluta degli insegnanti (72,3%) ha manifestato apprezzamento per la riforma Berlinguer-De Mauro complessivamente considerata. Gli aspetti positivi indicati sono soprattutto quelli relativi al sistema formativo integrato, all’adeguamento europeo ed all’innalzamento dell’età dell’obbligo scolastico, ma non è mancato il gradimento per la continuità, tra elementari, medie e superiori, per l’innovazione istituzionale e curricolare, per la nuova professionalità dei docenti ed altro ancora. Tra le cose più criticate, invece, la riduzione di un anno d’insegnamento, il diverso ruolo di elementare e media ed il mancato coinvolgimento del corpo docente.

I docenti italiani ritengono che la dispersione scolastica sia contrastata con esiti molto positivi dalla continuità della scuola di base, dalla flessibilità didattica, dalla sinergia nel sistema formativo integrato. Secondo i docenti, inoltre, la principale causa di abbandono scolastico è dovuta ad un disinteresse per lo studio; sono di questo parere soprattutto i più giovani, con uno schiacciante 80% di risposte. Gli uomini, inoltre, sono più convinti delle donne che i giovani abbandonino la scuola per disinteresse allo studio (73,2%) e per una voglia o necessità di lavorare; le donne sono più propense a ricercare la responsabilità dell’abbandono in un cattivo rapporto con gli insegnanti o in una sostanziale mancanza di incentivazione da parte della famiglia.

Il processo di riforma avviato dal precedente Governo, al di là di ogni considerazione di merito sulla sua preferibilità, giustezza o efficacia, ha determinato un mutamento organizzativo e culturale. Dopo anni di immobilismo da parte sia dei decisori politici sia degli appartenenti al Sistema Scuola, la strada dell’innovazione a tutto campo è stata intrapresa con decisione. In tale prospettiva l’attuale fase vissuta dalla Scuola italiana non può che continuare a rappresentare uno stato nascente, fortemente caratterizzato in senso sperimentale per ciò che attiene la fase attuativa, il tipo di metodologie e di procedure da adottare, ma ormai radicato per quel che attiene alla ridefinizione della mission organizzativa, ossia gli scopi e gli obiettivi specifici.

Alla luce di tali considerazioni può risultare meno sorprendente il fatto che l’indagine ribalti la comune opinione secondo cui la precedente riforma organica della scuola non è stata condivisa e acquisita anche nei suoi aspetti più complessi. Non è stato facile, ma è successo. Occorre prenderne atto. Proprio in quanto l’apprendimento organizzativo che si è andato realizzando è maturato faticosamente sarà difficile per il nuovo Governo demolirlo, non tanto legislativamente quanto culturalmente, soprattutto in relazione agli elementi hard del mutamento (mission organizzativa) meno per ciò che attiene a metodi e procedure.

In una fase di transizione tra riforma e ipotesi di controriforma gli insegnanti non sono confortati in merito al prestigio sociale di cui gode, secondo la loro percezione, la propria professione. Eppure l’insegnante di inizio secolo è orgoglioso di insegnare in una scuola pubblica ritenuta comunque superiore alla privata, dei contenuti che è in grado di trasferire, delle relazioni intrattenute con gli studenti, caratterizzato soprattutto dalla fiducia e dal rispetto.

L’insegnante è consapevole dei propri limiti. Alla richiesta di nuove competenze, gli insegnanti si dimostrano aperti e disponibili, purché entri in gioco una migliore “formazione in servizio”, fattore associato all'efficacia dell'insegnamento e della relazione, che per di più si pone come "processo mediatore" tra l'esperienza vissuta e le novità emergenti, tra le conoscenze culturali, relazionali e professionali legate al modello umanistico e quelle legate al modello tecnologico, tra sapere e sapere fare. La formazione viene vissuta come un diritto-dovere per l’insegnante.

L’insegnante italiano non è sicuramente strapagato e può avvertire sentimenti di privazione relativa sia rispetto ad altre professioni svolte sul territorio nazionale sia nei confronti dei colleghi europei. In tale ottica è tutt’altro che trascurabile l’ancoraggio della retribuzione ad un parametro piuttosto che ad un altro. La produttività è reputata il fattore retributivo fondamentale, la tradizionalissima anzianità incontra ancora un notevole favore ma sembra destinata a perdere progressivamente di importanza, ma il dato eclatante è quello inerenti i titoli posseduti, assolutamente minoritari per consensi ottenuti all’interno del corpo docente. Il merito è rinvenibile non tanto in ciò che si è (giovani o anziani in termini di servizio) o si è fatto (conseguimento di titoli) quanto in ciò che si fa, oggi.

La valutazione viene considerata utile soprattutto in quanto strumento per migliorare la qualità dell’insegnamento. In relazione al tempo l’insegnante di inizio secolo propende per una valutazione ex post e in itinere, piuttosto che una valutazione ex ante volta ad assolvere una funzione selettiva. L’insegnante italiano accetta una valutazione incentrata sulla produttività, su un prodotto didattico fatto di gradimento da parte dell’utenza, ricchezza di contenuti didattici (preferibilmente multidisciplinari) e così via. Il giudizio dovrebbe essere formulato in assenza di dislivello gerarchico (valutazione orizzontale espressa da chi svolge la medesima professione) vengono quindi tendenzialmente escluse sia le valutazioni di carattere top-down sia le valutazioni di tipo bottom up (studenti giudici dei loro docenti).


 

Livello di prestigio sociale 
attribuito alla professione dell'insegnante - Anno 2002

Livello di prestigio sociale Valori %
Basso 26,7
Medio-basso 50,4
Medio-alto 14,5
Alto 0,4
Non risposta 8,0
Totale 100,0

 

Motivi di soddisfazione 
e insoddisfazione dell'insegnante - Anno 2002

Motivi Valori percentuali
Soddisfazione Insoddisfazione Non risposta Totale
Lo stipendio è motivo di ... 4,6 72,5 22,9 100,0
I rapporti con i colleghi sono motivo di ... 40,1 14,1 45,8 100,0
I rapporti con gli studenti sono motivo di ... 79,0 4,6 16,4 100,0
Le strutture/dotazioni scolastiche sono motivo di ... 16,8 33,6 49,6 100,0

 

In che misura l'istituzione scuola è chiamata ad assolvere 
i seguenti compiti? - Anno 2002 

COMPITI

Valori percentuali

PER NULLA

POCO

ABBAST.

MOLTO

NON RISPOSTA

TOTALE

Trasmettere cultura

-

2,3

30,2

61,8

5,7

100,0

Preparare al lavoro

2,7

19,1

38,9

33,2

6,1

100,0

Formare buoni cittadini

-

3,4

27,5

63,0

6,1

100,0

Favorire la socializzazione

-

1,5

28,6

64,1

5,8

100,0

Trasmettere valori

0,4

4,6

22,5

67,6

4,9

100,0

Fonte: Eurispes, 2002  


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