|
|
Emilia-Romagna: Rapporto sulla Scuola
Nome: Emilia. Cognome: Romagna E’ stato presentato nei primi giorni di aprile 2003, nell’ambito della manifestazione DOCET tenutasi a Bologna, il 1° Rapporto regionale sulla scuola in Emilia-Romagna elaborato dalla Direzione Scolastica Regionale per l’Emilia-Romagna, con la collaborazione dell’IRRE Emilia-Romagna. Si tratta di uno sforzo interessante di fotografare lo stato di salute della scuola di una regione notoriamente all’avanguardia nelle politiche scolastiche, che vanta un pedigree di notevole qualità. L’attualità del Rapporto si lega anche alla "mossa" dell’Assessore regionale all’Istruzione Mariangela Bastico di presentare, in contemporanea con la pubblicazione della legge nazionale di riforma dei cicli (Legge n. 53 del 28-3-2003) uno specifico progetto di legge regionale in materia di istruzione, avvalendosi pienamente delle competenze attribuite con la riforma del Titolo V della Costituzione (Legge Cost. n. 3 del 18-3-2001). Conoscere la realtà della scuola regionale, valutarne i costi ed i risultati, osservarne i punti di forza e quelli di criticità, delinearne le prospettive di sviluppo, rappresenta un impegno necessario per i decisori politici e amministrativi e può aiutare la scuola stessa a promuovere processi di autoanalisi, di riflessività e di sviluppo. Questo è l’obiettivo dichiarato del rapporto regionale edito dalla Direzione Scolastica, con il titolo di: "Emilia-Romagna: una scuola allo specchio", una pubblicazione di circa 250 pagine, corredata di 120 tabelle e grafici, scritta a più voci, da 32 ricercatori provenienti prevalentemente dal mondo della scuola (docenti IRRE, ispettori, dirigenti scolastici, amministratori, insegnanti), con la regia di sei curatori: G.Cerini, E.Nota, G.Sacchi, L.Rondinini, A.De Flora, M.T.Bertani. L’uscita del Rapporto ha stimolato un vivace dibattito sulla stampa, anche nazionale, sul quesito interessante e malizioso: "ma quanto costa la scuola in Emilia-Romagna ?" e "quali sono i suoi risultati?". I dati a disposizione sono ormai molti e non è facile districarsi tra tabelle e grafici. Una sintesi dei curatori ("Un rapporto sulla scuola, perché?") permette di cogliere i principali indicatori del sistema scolastico, strutturati secondo la metodologie OCSE di "contesto, input-risorse, processi, prodotti", mentre l’introduzione del Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna, Lucrezia Stellacci, sintetizza la possibile lettura "politica" del Rapporto ("Emilia-Romagna: ancora scuole del benessere vitale?"). Copie del Rapporto possono essere richieste a:
Emilia-Romagna: una scuola allo
specchio Siamo ben consapevoli dei rischi che si corrono quando si vogliono presentare dati sullo stato di salute di un sistema sociale così "complesso" ed esteso come è la scuola dell’Emilia-Romagna. Quasi 500.000 allievi interessati, comprendendo anche i 73.000 allievi che frequentano le scuole non statali, quasi tutte "paritarie", circa 65.000 addetti ai lavori (di cui 50.000 con funzioni di insegnamento, conteggiando anche la scuola non statale), distribuiti in una rete assai capillare di istituzioni e scuole (oltre 3.300 edifici scolastici: dalla scuola dell’infanzia, la più numerosa e "micro", alle mega-strutture degli istituti secondari superiori: alcune vere e proprie cittadelle degli studi, con tanto di "campus" studentesco). Nessuno può pretendere di conoscere con sicurezza un "ecosistema" di queste dimensioni, che si intreccia inevitabilmente –nel bene e nel male- con le tante espressioni ed articolazioni della società regionale. Un giudizio sulla scuola regionale non può non essere un giudizio sulla società che la circonda e la "modella", e da cui è –a sua volta- modellata. Inoltre, nel campo della valutazione di sistema, siamo proprio ai primi passi: in tutti questi anni abbiamo subito e sofferto l’accusa di autoreferenzialità, cioè di essere una grande struttura poco disponibile a farsi guardare, conoscere, valutare. Qualcosa è cambiata con l’autonomia scolastica (ed ancor prima, con il movimento per le "carte dei servizi"): la legge 59/1997 esige che le scuole autonome rendano conto della loro produttività culturale. Si è cominciato a costruire con gradualità un sistema nazionale di valutazione, attraverso la diffusione del "testing" generalizzato. Oggi siamo in grado di partecipare anche ai confronti internazionali sulla qualità della scuola anche se a volte con risultati non molto brillanti: ma questo è un problema per l’intera vecchia Europa…, perché sono giapponesi, coreani, cinesi ad ottenere i risultati migliori oltre ai tradizionali paesi del Nord come Svezia, Norvegia, Finlandia. La pubblicazione del primo rapporto regionale cerca di colmare questa lacuna, con l’intenzione (che va riconosciuta ai promotori dell’impresa) di presentare un primo, seppur parziale, conto di questa scuola regionale: quanto mi costi (o meglio, quanto la società "investe" su questa scuola) e quanto mi rendi, cosa mi offri, qual è il valore aggiunto introdotto nella società regionale. La scuola "costa" (e quindi richiede risorse), perché in essa avvengono processi delicati (si pensi alla presenza di bambini "stranieri", da noi particolarmente ampia ed in rapida crescita, dal 4 % del 2001 al 6 % del 2003, ma con raddoppio nella scuola dell’infanzia ed elementare), all'impegno etico di accogliere la disabilità (i diversamente abili, che sono oltre il 2 %), all’ampio spazio dato alla presenza femminile (le ragazze ottengono quasi sempre risultati migliori dei rischi, ad esempio nella lingua straniera). "Costa" di più perché il modello organizzativo è più ricco e articolato (la scuola elementare a tempo pieno rappresenta circa il 40 % dell’intero settore, a fronte del 25 % nazionale), perché le attrezzature tecnologiche sono più densamente presenti (24.000 personal computer, 1 ogni 8 alunni, ma in rapida crescita), perché gli ambienti di apprendimento sono più strutturati e sicuri (ogni due aule normali c’è un laboratorio, e gli edifici sono largamente a norma), perché l’offerta/domanda di istruzione è più ambiziosa e variegata (1/3 delle scuole della regione ha rapporti e progetti di scambio con il resto dell’Europa). Anche gli indicatori sul personale (che poi rappresentano il 95,6 % delle spese fisse "correnti" nella nostra regione) sono di una quantità sobria, ben governata. Il rapporto medio complessivo è di un docente ogni 10,2 alunni, al di sopra della soglia di sicurezza di 9,5 fissata a livello nazionale e assai più virtuosa del rapporto 1:9 e 1:8 delle province autonome e "federali" (come Trento e Bolzano) che spesso sono portate a modello di efficienza. Certo, anche questi numeri possono essere migliorati, zone d’ombra possono essere meglio illuminate (ad esempio, alcune nicchie di indirizzi e cattedre, alcune aree di soprannumero, ecc.), ma l’Emilia-Romagna è una regione che può aspirare a ricevere risorse compensative dal quadro nazionale, piuttosto che dover rientrare su presunti sprechi. Va sottolineato il tradizionale "volano" degli Enti locali, con i Comuni emiliano-romagnoli al primo posto e le province al secondo posto, nelle graduatorie nazionali, quanto a destinazione delle spese per l’istruzione, dove anche i piccoli comuni vogliono fare la loro parte, sulla scia delle virtù civiche del "riformismo padano" di oltre un secolo fa. Ma tutto questo impegno, si chiederanno gli osservatori più esigenti, come rifluisce in qualità della scuola, in risultati scolastici positivi, in migliori livelli di apprendimento ? E’ certo la risposta più difficile, perché i risultati non sono sempre così "visibili". La motivazione dei ragazzi, la curiosità, la passione per lo studio, la voglia di continuare ad imparare, non si misurano facilmente con i test ed il sistema degli esami (con "manica" più o meno "larga" dopo le recenti innovazioni che hanno portato a commissioni tutte "interne") non è ancora ben assestato. Nel rapporto ci sono flash assai illuminanti sull’andamento degli esami di licenza media e su quelli di "maturità". Oggi abbiamo anche i primi dati messi a disposizione dall’INVALSI (Istituto Nazionale per la Valutazione del sistema di istruzione) in merito alle prove di matematica e di italiano "somministrate" ai ragazzi delle scuole dell’Emilia-Romagna (e del resto del paese) nel 2002, su un campione ampio ma provvisorio e non affidabile. Presto si aggiungeranno altri dati in scienze e su altre classi "testate" nel 2003. In Italiano e in Matematica i risultati medi degli allievi di elementari, medie e superiori, sono sempre al di sopra delle medie nazionali ed anche i risultati per fasce di rendimento (con i quali è stata imbastita una "campagna di stampa") vedono i ragazzi dell’Emilia-Romagna di parecchi punti più avanti dei compagni di classe delle altre regioni (v. tab. 1), sia nelle punte di eccellenza, sia nelle fasce più deboli. Tab. 1 – I risultati nei test INVALSI (2002) per profili di abilità. Confronto Emilia-Romagna con il resto del nostro paese. Valori percentuali degli allievi distribuiti per cinque fasce di apprendimento
Fonte: Elaborazione Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna su dati INVALSI, 2002. Nei "licei", poi, ci collochiamo al vertice assoluto (ad esempio, al primo posto tra le regioni italiane in matematica), un dato brillante controbilanciato dal disagio registrato (soprattutto in Italiano) negli istituti professionali. Si tratta di un dato che ci fa riflettere, che ci invita a ripensare agli attuali percorsi formativi per i ragazzi tra i 14 ed i 19 anni, misurandoci fino in fondo con le proposte "duali" della recente legge di riforma, ma anche con la propensione all’integrazione delle diverse filiere (liceale, tecnico, professionale) che è così tipica della nostra regione (o almeno, a cui ci si ispira nelle proposte). In Emilia-Romagna ragazze e ragazzi sono più in regola che altrove con gli studi. Alla fine delle superiori il 75,5 % è in regola, il 23,1 % è in ritardo, solo l’1,4 % è in anticipo. Mediamente per tutte le classi l’ 11,4 % è in ritardo rispetto al 12,2 % nazionale, i tassi complessivi di bocciatura sono inferiori (2,6 % rispetto al 3,3 % nazionale), il successo agli esami è meglio assicurato, anche se restano evidentemente margini ampi di miglioramento. Ad esempio, nelle prime classi delle superiori solo l’82,1 degli scrutinati è promosso (questo è il vero punto di crisi), ed il 40,7 % dei promossi si presenta con debiti formativi sulle spalle. Entrano così in gioco le azioni positive per l’integrazione dei sistemi (dall’obbligo formativo all’orientamento), le buone pratiche smosse dall’autonomia (pur con tutte le cautele che le scuole ancora esibiscono in termini di flessibilità), una tradizionale propensione degli insegnanti emiliano-romagnoli ad aggiornarsi, a collaborare con le sedi universitarie, ad impegnarsi in progetti di sperimentazione e di innovazione. Ad esempio, nel campo dell’insegnamento scientifico ben 10 progetti sui 27 segnalati di qualità a livello nazionale sono stati "pensati" in sedi della nostra regione (si tratta del programma "Scienze & Tecnologia"). Si può quindi tracciare una conclusione provvisoria sullo stato di salute della scuola della nostra regione: i risultati a tutti i livelli sono ancora molto positivi, i confronti con le altre regioni ci premiano, abbiamo una tradizione "gloriosa" in fatto di scuola dell’infanzia, handicap, di educazione degli adulti. C’è un tessuto sociale e produttivo esigente; esiste una rete di autonomie locali che aiuta e sollecita fortemente il mondo della scuola. Oggi, evidentemente ci sono nuovi problemi e nuove domande: una forte presenza di nuovi "cittadini" di altre culture, un disagio diffuso nei modelli di comportamento dei giovani, nei valori, nelle incertezze per un futuro che sembra "fuori controllo". Una difficoltà a dare "senso" al valore della scuola e della formazione, per il lavoro futuro, per la propria persona, per la comunità in cui si vive. Come scrive il Direttore Generale Lucrezia Stellacci nella sua introduzione al Rapporto regionale: "Non basta essere stati bravi per continuare ad essere bravi", ma questa è la nuova sfida per tutti coloro che operano nella scuola e per chi vuole aiutarci a fare meglio, ed è una sfida impegnativa che non consente di adagiarsi sugli allori (che pure ci sono e si vedono).
Emilia-Romagna: ancora scuole del "benessere vitale"? di Lucrezia Stellacci
Alcuni anni fa il CENSIS individuava nel nord-est italiano (macro- regione al cui interno va annoverata anche l’Emilia-Romagna) la maggiore concentrazione di scuole del "benessere vitale", cioè di istituzioni ad alta intensità innovativa, accompagnate da una buona dotazione di risorse interne ed esterne, capaci di alimentarne la progettualità e la qualità. Sappiamo poi che il dibattito sul nord- est si è colorato anche di connotazioni più insidiose, circa l’impatto non sempre positivo che la disponibilità di ricchezza, lo spirito imprenditoriale (1 impresa ogni 8 abitanti !) avrebbero sulle dinamiche culturali e formative, che necessitano di tempo e di pensiero plurale rispetto alla velocità della competizione sociale e produttiva. Come si presenta la scuola dell’Emilia-Romagna di fronte ai nuovi scenari sociali? Quali sono le tendenze emergenti da un aggregato "umano" di vaste proporzioni che coinvolge più di 400.000 studenti ed oltre 50.000 operatori scolastici? Qual è, insomma, lo stato di salute "attuale" del sistema scolastico regionale, che riluce ancora di una sua immagine positiva conquistata nel corso dei decenni? A queste e ad altre domande cerca di offrire qualche riposta il presente Rapporto regionale sulla scuola, una pubblicazione che vuole inaugurare una stagione stabile di ricerche e di esplorazioni sulla realtà della scuola dell’Emilia-Romagna, con l’obiettivo di metterne in luce i punti di forza, senza sottacerne gli elementi di criticità. Ma prima di addentrarci nell’esame dei dati occorre fare qualche passo indietro, per cogliere il quadro di insieme ed il senso di questa ricerca.
Le trasformazioni del sistema scolastico nazionale Il sistema educativo italiano è oggi chiamato a contribuire allo sviluppo culturale, sociale e produttivo dell’intero Paese, salvaguardando i caratteri peculiari della tradizione culturale italiana in un quadro ormai ampiamente europeo, per garantire attraverso l’offerta di un’ampia gamma di opportunità formative a tutti i cittadini, maturità e solidità delle istituzioni democratiche, progresso economico ed alti livelli di competitività. La realizzazione di questi obiettivi sta comportando una profonda trasformazione di sistema, imperniata sulla attribuzione di un’ampia autonomia organizzativa e didattica alle singole unità scolastiche e il riconoscimento di più dirette responsabilità educative alle comunità locali, agli enti territoriali, alle Regioni. Questo spostamento di "focus" comporta un diverso posizionamento dei compiti di indirizzo, di gestione e di valutazione attribuiti all’amministrazione scolastica nelle sue diverse articolazioni, a partire dalla "mission" della Direzione scolastica regionale. In particolare, sulla base dei principi generali contenuti nella Legge Costituzionale 3/2001, per altro già anticipati dalla Legge 59/1997 (e dai suoi decreti attuativi 112/98, 275/99, 300/99 e 347/00) spetta allo Stato garantire i livelli unitari di fruizione del diritto all’istruzione, attraverso la definizione degli obiettivi generali e specifici di apprendimento, degli standard formativi, dei criteri di qualità del servizio educativo, ivi comprese le modalità di verifica dei risultati raggiunti. Ma protagoniste del sistema formativo sono ormai le scuole autonome, le 559 istituzioni scolastiche statali della nostra Regione (per complessivi 2307 plessi), cui vanno aggiunte le 977 scuole "paritarie" che fanno ora parte a pieno titolo del sistema educativo integrato regionale. Le singole scuole potenziano i propri compiti di progettazione formativa, di gestione di spazi di flessibilità organizzativa, di autovalutazione e verifica, attraverso la valorizzazione delle diverse professionalità operanti al loro interno, un più visibile rapporto con genitori ed allievi (mediante il contratto formativo evidenziato nel Piano dell’offerta formativa) e operando in stretto raccordo con le domande ma anche con le risorse della comunità di appartenenza. I vantaggi di questo "protagonismo" delle istituzioni scolastiche, che usufruiscono anche di una personalità giuridica distinta da quella dell’amministrazione, sono evidenti e plausibili ma richiedono un quadro unitario di riferimento che dia il "senso" dei valori comuni condivisi e degli obiettivi formativi essenziali garantiti a tutti gli studenti. Ogni organizzazione complessa deve avere chiari i suoi obiettivi e deve disporre di strumenti per verificare i livelli di realizzazione degli stessi. La scuola italiana è una organizzazione complessa e strutturata ma non dispone ancora di un Servizio nazionale di valutazione, al contrario dei partners europei, nonostante i Ministri che si sono succeduti nel corso della definizione dei processi di riforma abbiano condiviso la consapevolezza del rischio che la sua assenza produce nel sistema delle autonomie scolastiche. Se si poteva presumere di controllare la scuola eterodiretta "ex ante" con le procedure delle autorizzazioni e delle concessioni, la scuola autonoma fuori di un sistema organico di monitoraggio e verifica, può diventare un rischio per l’intero "ecosistema formativo":
La pubblicazione, che vorremmo annuale, di un Rapporto sullo stato dell’istruzione nella nostra regione si iscrive, dunque, in questa azione di trasparenza e di verifica della qualità del sistema formativo. Il lavoro di conoscenza, interpretazione e diffusione dei dati sulla scuola rappresenta uno dei compiti di garanzia che l’amministrazione scolastica deve assicurare alle parti sociali ed ai cittadini.
Il Sistema Scolastico Regionale La scuola dell’Emilia-Romagna ha sempre avuto su di sé l’attenzione della Comunità locale, che trova le sue radici nella solida tradizione amministrativa del "riformismo municipale" particolarmente attento al settore educativo (con enti locali che già alla fine dell’Ottocento promuovevano programmi di sostegno al diritto allo studio), nel raccordo intenso tra scuola ed extrascuola (testimoniato dalle numerose iniziative di integrazione), nella ricchezza del tessuto produttivo e culturale (Università, case editrici, centri di ricerca educativa, ecc.). Oggi disponiamo di numerosi indicatori sulla qualità del nostro sistema scolastico, a partire dai dati sugli stock e sui flussi della popolazione scolastica, con livelli assai positivi di partecipazione e di permanenza nel sistema scolastico dei nostri ragazzi. Qui le "speranze" di successo formativo al termine del percorso canonico 3- 19 anni sono più alte che altrove, anche se recentissime ricerche sugli esiti degli apprendimenti tendono a ridimensionare il persistente effetto d’alone che circonda la scuola dell’Emilia-Romagna. Tuttavia, alcuni indicatori strutturali sono incontrovertibili (ad esempio, la nostra regione esibisce i dati più confortevoli in materia di sicurezza e di adeguamento degli edifici scolastici), come pure i tradizionali punti di forza che mantengono il sistema scolastico in forte sintonia con la domanda sociale. Parliamo della rete delle scuole dell’infanzia (statali, comunali, paritarie), della forte incidenza delle esperienze con tempo scuola potenziato (per rispondere alle caratteristiche del lavoro e delle famiglie, ma anche per intercettare una domanda di innovazione didattica), della propensione della scuola a cercare scambi più intensi con il territorio ed il fuori- scuola, a tutti i livelli (un terzo delle scuole della regione ha partecipato a scambi europei ed internazionali). Non va, inoltre, dimenticata la tradizionale vocazione all’accoglienza e all’integrazione di ceti, culture, etnie tipica dell’Emilia-Romagna, oggi di fronte ad imponenti fenomeni migratori. La qualità, dunque, non è misurabile solo con indicatori quantitativi o con gli esiti dei test di apprendimento (una sfida cui la scuola regionale non vuole sottrarsi, come dimostra l’ampia adesione ai Progetti Pilota per avvio del sistema di valutazione: INVALSI). Nei processi educativi entrano in gioco "valori" non riconducibili a dati numerici. Una scuola "produttiva", come ci ricordano i numerosi documenti europei, deve promuovere doti quali "creatività, capacità di lavoro in gruppo, spirito di iniziativa, senso pratico, brillantezza intellettuale", e quindi un insieme di competenze di elevato spesso etico- sociale e non esclusivamente cognitivo. È evidente che questo "bagaglio" di competenze si consolida solo se trova un terreno fertile nel contesto che circonda la scuola, se cioè si determinano le condizioni di quel benessere vitale che contraddistingue le scuole ad alto tasso di innovazione. La qualità della vita di una comunità si riflette immediatamente sulla qualità della sua scuola: disponibilità di strutture e servizi, abbondanza di risorse materiali e non, capacità di governo amministrativo, partecipazione e attenzione dei genitori, qualificazione del personale scolastico, relazioni intense con l’extra- scuola. Sembrano queste le carte "vincenti" in mano alla scuola regionale (ma non automaticamente, e con differenziali tra le varie città e province che cominciano a farsi sentire) ed è ad esse che viene dedicato un ampio spazio anche all’interno di questo Rapporto regionale. La qualità dell’istruzione richiede oggi di essere ulteriormente sviluppata, coordinata e diffusa, affinché la riduzione delle risorse pubbliche disponibili non metta in crisi i livelli di benessere formativo realizzati nella nostra regione. Il banco di prova sarà costituito dalla capacità di integrazione di strutture e servizi, secondo la prospettiva delle intese e degli accordi di programma nei settori strategici del sistema formativo (infanzia, post- obbligo, istruzione professionale, orientamento, handicap, centri di risorse, ecc.) come già si è cominciato a fare in questi anni, ma con l’esigenza di un più preciso quadro di riferimento e di riscontri apprezzabili sul piano dei risultati. A tal fine occorre incrementare una cultura della valutazione, per uscire da un’idea autoreferenziale di "qualità" della scuola che potrebbe impedire di affrontare le nuove domande e le nuove sfide che la società pone alle sue strutture educative. Non basta, allora, guardarsi allo specchio, anche se si deve avere il coraggio di farlo sempre più spesso.
Valutare, valutarsi… La valutazione della scuola è diventata oggi una rilevante "sfida" istituzionale e non solo una interessante questione pedagogica. Si registra infatti una forte domanda sociale di valutazione della qualità dell’istruzione, perché è sempre più chiaro come la formazione sia una risorsa fondamentale a disposizione della società intera e di ciascuno dei suoi membri. Gli scenari, però, stanno mutando. I luoghi della formazione si moltiplicano: qualcuno afferma che ormai –con lo sviluppo di reti e connessioni- si potrà "apprendere ovunque e comunque", mentre la distanza tra chi insegna e chi apprende tenderà quasi a scomparire. Lo stesso futuro di una istituzione chiamata "scuola" è messo in discussione. Di fronte a questi orizzonti inquietanti, ben delineati dai più recenti documenti dell’OCSE, la scuola potrebbe reagire con un atteggiamento di inerzia o di difesa dello "status quo", impresa rischiosa perché potrebbe allontanare ancora di più la società dalla scuola, riconfermandola come nicchia costosa ma marginale. D’altra parte, chi opera all’interno della scuola vive la percezione di disagio crescente, di "faticosità" di un lavoro poco "visibile" e scarsamente apprezzato all’esterno. L’OCSE delinea una via d’uscita nella "professionalizzazione" della scuola, nel ripensarne a fondo le funzioni ineludibili di integrazione sociale ed educazione alla cittadinanza e, soprattutto, nella promozione di una attitudine al pensiero critico, all’apprendimento permanente, alla curiosità cognitiva, competenze "disinteressate" che poche altre agenzie potrebbero permettersi di sviluppare. In questo quadro, il terreno della valutazione (qui intesa come etica del render conto) può rappresentare l’occasione per ricostruire un rapporto positivo tra scuola e società civile, oggi fortemente deteriorato, per rispiegare le buone ragioni di una scuola di qualità. Le più recenti rilevazioni in materia di apprendimenti scolastici (ad esempio, il Progetto internazionale PISA) presentano un quadro di notevole sofferenza per i quindicenni italiani, specialmente nelle discipline di carattere scientifico e nelle punte di (mancata) eccellenza. Analogamente sembrano evidenziare i dati, sia pure parziali, emergenti dalle indagini promosse dall’INVALSI in vista della attivazione del sistema nazionale di valutazione degli apprendimenti. Sarebbe quanto mai opportuno fare diventare i dati (a partire dalle tipologie di prove, dai criteri di somministrazione, dall’interpretazione dei dati, ecc.) oggetto di riflessione per tutti gli operatori scolastici. Nel nostro paese, non solo la pratica delle verifiche sistematiche degli apprendimenti è assai sporadica, ma manca totalmente un’azione di feed-back tra curricoli reali, prove di valutazione, verifiche dell’apprendimento che coinvolga direttamente gli operatori scolastici. La elaborazione di un primo rapporto regionale sulla scuola prende avvio da queste esigenze ed intende esplorare alcune prime ipotesi interpretative sui diversi aspetti della valutazione (degli apprendimenti, dell’organizzazione scolastica, del sistema nel suo complesso), visti nella nuova ambientazione regionale del sistema formativo, utilizzando una pluralità di fonti informative, locali e nazionali. Come efficacemente sintetizzano gli estensori del rapporto Treelle ("L’Europa valuta la scuola. E l’Italia?") un buon sistema di valutazione potrebbe:
Di fronte alle sfide globali: fare comunità Le grandi sfide che si profilano all’orizzonte della società della conoscenza e dell’apprendimento (con l’emergere di nuovi saperi, l’esplosione delle tecnologie, l’affermarsi della globalizzazione) implicano anche nuove prospettive per l’educazione ed un diverso ruolo degli insegnanti. Le sfide "globali" si vincono non tanto con la supremazia di ristrette tecnocrazie, ma soprattutto in chiave di espansione di opportunità e di iniziativa per tutti i cittadini, possibile solo con alti livelli di formazione. La competizione si vince se ad essa partecipano persone dotate di un sapere critico e strategico, orientate positivamente verso l’innovazione. I veri protagonisti, però, sono i "sistemi territoriali" nella loro interezza, cioè comunità dove diversi soggetti mettono insieme conoscenze, risorse, storia, identità, coesione sociale. Ogni territorio recupera la propria "vocazione", la propria memoria, ma la proietta all’esterno, in spazi anche lontani, rendendosi visibile anche grazie alle nuove connessioni rese possibili dalla rete "virtuale". Una comunità dinamica si espande grazie all’accesso a nuove fonti, all’instaurarsi di nuovi legami, allo sviluppo di nuove conoscenze, al rapporto tra soggetti legati dalla comunicazione globale e dai sistemi logistici sostenuti dalle nuove tecnologie. Si sta "davanti" se non ci si chiude nel proprio "particolare". Come scrive il Censis in una recente ricerca sull’area romagnola (ma l’esempio si può estendere all’intero territorio regionale"), siamo in presenza di un territorio che "appare come un’area vitale, solidale, aperta al nuovo, attraversata da correnti ottimistiche. Capace di fare comunità. Qui i protagonisti sono tanti. C’è un establishment forte. È proprio come un’orchestra da camera dove non c’è bisogno che uno guidi". Qui si misura il valore aggiunto della formazione, come ambiente per l’apprendimento di saperi duraturi e disinteressati (che sono poi i veri "saperi di responsabilità e di cittadinanza"). La scuola "autonoma" si qualifica come soggetto attivo nelle dinamiche locali, proprio perché portatore di un progetto più ampio di sviluppo culturale. Gli insegnanti, di fronte al compito di promuovere l’identità culturale dei propri allievi (aiutandoli a debanalizzare il quotidiano), possono legittimare il ruolo di professionisti dell’apprendimento e della memoria, perché a scuola non basta attivare astratti processi cognitivi, bisogna trasmettere alle nuove generazioni senso di appartenenza e "voglia di futuro". La scuola dell’autonomia deve sapersi presentare con un proprio pensiero progettuale capace di inserirsi criticamente nelle dinamiche culturali, sociali e territoriali di una regione vivace e matura come l’Emilia-Romagna. Ecco perché è decisivo investire energie sulla valorizzazione delle risorse umane, sulla formazione in servizio, sulla ricerca e l’innovazione curricolari e disciplinare. Tali priorità devono trovare strumenti e possibilità di attuazione anche attraverso la responsabilità di tutti i soggetti in campo, a partire da una rinnovata amministrazione scolastica.
Il ruolo della Direzione Regionale Il modello istituzionale che abbiamo evocato non può essere confuso con lo spontaneismo: la dimensione di comunità, le reti naturali, le scuole autonome, vanno aiutate a diventare "reti sociali", cioè animate da un progetto intenzionale. Questo è un tema assai delicato, che ci riporta alle grandi questioni dell’autonomia, del rapporto centro- periferia, delle sedi decisionali, delle forme di garanzia nei grandi sistemi complessi. La questione è oggi di estrema attualità anche nel campo dell’istruzione, ove occorre ricostruire nuovi rapporti tra scuole autonome, strutture territoriali di supporto e nuovo baricentro regionale di governo (la Direzione regionale istituita a seguito della riforma del Ministero della P.I.). Sappiamo anche che il nostro paese è stato sempre caratterizzato da una insufficienza di governo e da un eccesso di gestione. Governo e gestione dovrebbero rispondere ad un doppio movimento:
La "nuova" amministrazione e le sue articolazioni amministrative e tecniche, a livello regionale e territoriale, dovranno svolgere un indispensabile ruolo di cerniera tra questi due movimenti, a tal fine presidiando alcuni spazi di grande rilievo, quali la diffusione di punti di eccellenza, la condivisione di conoscenze, il sostegno allo sviluppo professionale, l’assegnazione e compensazione delle risorse (umane e finanziarie), il monitoraggio dei processi e dei risultati a scopo di miglioramento continuo. Nel definire questi nuovi compiti occorre riconoscere senza incertezze le autonome prerogative oggi attribuite alle scuole in materia di gestione del curricolo e delle connesse risorse, orientando le funzioni dell’amministrazione nell’ottica del "servizio alle scuole" e del "lavoro di rete". In questa prospettiva l’intervento tecnico della Direzione Regionale avrà l’obiettivo di vitalizzare le realtà locali, di sostenerne la progettualità, di favorire l’incontro e la cooperazione tra le scuole e con gli enti locali (il riferimento è all’art. 7 del Dpr 275/1999 ed al Protocollo stipulato tra Regione Emilia-Romagna e Ufficio Scolastico Regionale in data 8- 5- 2001). L’amministrazione scolastica regionale, in questa fase, svolge anche funzioni di allocazione di risorse pubbliche (umane e finanziarie) alle scuole autonome, sulla base di criteri in parte "oggettivi" (consistenza delle unità scolastiche), in parte legati ad esigenze di sviluppo e compensazione (come suggerito dal Dpr 233/1998). La gestione dei fondi per l’autonomia, per la formazione, l’handicap, le tecnologie, ecc. rappresenta un concreto banco di prova dello "stile" di governo che la Direzione Regionale è chiamata ad esercitare, assicurando un ruolo di promozione e sostegno diffusi, mediante l’integrazione o l’avvio di servizi professionali e di supporto alle scuole, sulla base della concertazione territoriale. L’insieme di queste funzioni, "promozionali" ed "istituzionali" al contempo, dovrà garantire le condizioni per il raggiungimento delle finalità educative comuni all’insieme delle scuole, sì autonome ma nell’ambito di un unico sistema nazionale di istruzione e formazione.
Una nota metodologica L’elaborazione di un rapporto regionale sulla evoluzione del sistema scolastico regionale intende offrire ai potenziali interessati (soggetti con responsabilità nel "governo" del sistema scolastico: dirigenti scolastici, enti locali, amministrazione nelle sue diverse articolazioni) un’informazione puntuale e aggiornata del fenomeno formazione, in modo da consentire l’assunzione di decisioni mirate al suo sviluppo. Non basta essere stati bravi per essere ancora bravi, occorre invece innescare processi di miglioramento continuo che riducano il rischio di staticità e di autoreferenzialità, con il risultato di perdere tutto il vantaggio in precedenza accumulato. La disponibilità di informazioni quantitative in serie storica, di dati comparati a livello territoriale, di valutazioni espresse da più osservatori (operatori scolastici, ma anche utenti, osservatori indipendenti, enti di ricerca) rappresenta una forma di rendicontazione pubblica dell’impiego delle risorse, che aiuta a cogliere indici di efficienza (utilizzo ragionevole delle risorse) e di efficacia (realizzazione degli scopi). Oggetto del rapporto sono le variabili più significative del sistema formativo, in particolare i livelli di successo degli allievi (esiti dell’apprendimento, risultati degli esami, ecc.), la qualità/diversificazione dell’offerta formativa (a partire dai modelli organizzativi e da altre variabili strutturali: dotazioni tecnologiche, laboratori, corsi integrati, ecc.). L’indagine cerca di sondare anche le caratteristiche "qualitative" del personale della scuola (es.: formazione in servizio) e l’impatto delle innovazioni normative sul funzionamento delle scuole (obbligo formativo, autonomia, istituti comprensivi, ecc.). La redazione del Rapporto regionale è stata affidata ad un pool di ricercatori di diversa estrazione professionale (dirigenti amministrativi e tecnici, ricercatori IRRE, dirigenti scolastici, insegnanti), coordinati da un apposito gruppo redazionale, nominato congiuntamente dall’Ufficio Scolastico Regionale e dall’IRRE Emilia-Romagna, con il compito di definire il piano di ricerca. I dati sono stati desunti con una certa autonomia dalle fonti disponibili sul piano regionale, a volte con il ricorso ad ulteriori materiali informativi diretti e indiretti, stabilendo le necessarie intese con le istituzioni preposte al trattamento dei dati e con gruppi di ricerca e di progetto. Non mancano gli estratti da ricerche originali, in corso o completate, che meglio illustrano aspetti qualitativi di alcune sotto- aree di sistema. I dati presentati consentono, di norma, di effettuare comparazioni interprovinciali e raffronti con le medie regionali e nazionali, con corredo di interpretazioni qualitative. L’indice del Rapporto, piuttosto che per livelli scolastici o per aree tematiche (secondo l’ipostazione tipica delle relazioni amministrative) si è ispirato alle tipologie di indicatori disponibili a livello internazionale (es.: OCSE) che li classifica (secondo la metodologia CIPP: Contest, Input, Process, Product) in variabili di contesto (livelli culturali della popolazione, evoluzione della scolarità, ecc.), di input (risorse: rete scolastica, spesa, caratteristiche del personale), di processo (domanda/offerta di istruzione, regolarità, abbandoni, handicap, effetti dell’autonomia, ecc.), di prodotto (relativamente agli esiti di apprendimento, al sistema degli esami, ai tassi di passaggio, ecc.). Il rapporto contiene elementi non solo conoscitivi, ma offre anche all’attenzione dei decisori nazionali, regionali e locali preziose indicazioni e raccomandazioni per orientare le politiche di sviluppo e miglioramento continuo del sistema. Siamo, evidentemente, ai primi passi: la elaborazione del Rapporto e la sua presentazione pubblica rappresentano una sfida per i suoi stessi estensori, disponibili ad acquisire pareri ed osservazioni critiche, per migliorare la conoscenza delle virtù del nostro sistema scolastico (senza dimenticare i suoi possibili "vizi") con il solo intento di migliorarne la qualità e la rispondenza alle domande della comunità sociale di questa Regione. |
La pagina
- Educazione&Scuola©