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MARZO/EURISPES
dal
Redattore Sociale
Come cambia la famiglia italiana. Resiste il modello
tradizionale, ma crescono le coppie senza figli e le trentenni
single che vivono in casa.
Trentenni senza figli né marito che rimangono a vivere con
i propri genitori; è questo un primato che l’Italia detiene
rispetto agli altri paesi europei. La formula tradizionale italiana
di famiglia ha subito infatti molte trasformazioni, lasciando il
posto ad una pluralità di altre situazioni: famiglie unipersonali,
coppie senza figli e famiglie monogenitoriali. E’ questo uno dei
dati che emergono dall’indagine voluta dall’Eurispes in
occasione della festa della donna: “Quattro ritratti per l’8
marzo” che indagano sul ruolo della donna in famiglia, in
politica, al lavoro e rispetto al fenomeno migratorio.
Secondo l’indagine condotta dall’Eurispes, l’Italia oscilla
dunque tra due opposti: da un lato “il singolo impegnato nella
progettazione del proprio cammino biografico e professionale” e
dall’altro “l’esperienza del legame, verso la quale il singolo
appare orientato, e che persegue senza però rinunciare alla propria
individualità”. D’altra parte conciliare i tempi di vita e di
lavoro ha sempre presentato per le donne un grande problema e la
cura dei figli e della famiglia è quasi sempre risultata
penalizzante sul versante professionale, nel quale la donna,
sottolinea l’Eurispes, soffre spesso discriminazioni da parte del
datore di lavoro.
Il modello familiare classico della coppia con figli tuttavia
resiste saldamente e rappresenta la scelta del 72,4% delle trentenni
italiane anche se, tra queste, il 9,3% ha formato una coppia senza
figli. Questo rappresenta secondo l’indagine un modello familiare
“in continuo aumento a partire dai primi anni Ottanta” perché
ci si sposa sempre più tardi, ma soprattutto a causa della “professionalizzazione
femminile”, che può arrivare a comportare anche la rinuncia ai
figli. La maternità infatti è “normalmente” considerata come
un fattore di limitazione alla carriera femminile e sono soprattutto
le donne dirigenti ad esserne preoccupate e a non sentirsi ancora
pienamente supportate nella conciliazione tra questi due impegni.
Lavoro femminile e dinamiche socio-demografiche sembrano dunque
elementi inscindibili.
In Italia, il numero medio di figli per donna è sceso
infatti dal 2,42 del 1970 all’1,2 del 1999, anche se il 2000 ha
fatto registrare un incremento della natalità (543.039 contro le
500.021 del 1999) e chi esperi promettono che l’“onda lunga”
della ripresa della fecondità durerà fino al 2005.
Si sceglie di sposarsi soprattutto al Sud (91,9% contro l’87,3
del Nord e l’86,3 del Centro), mentre la convivenza predomina al
Centro (il 10% contro il 6,4 del Nord e il 3% del Sud), con il
risultato che alla diminuzione del numero dei matrimoni (da 318.296
del 1988 a 276.570 del 1998) corrisponde una crescita della massa
delle convivenze. Inoltre sottolinea l’Eurispes la rivoluzione
culturale ha determinato un “vistoso incremento delle separazioni”,
dovute soprattutto alle richieste delle donne. “La società si
aspettava che la donna sopportasse e comprendesse e riversava
soprattutto su di lei l’onere della continua mediazione e dei
piccoli, grandi compromessi su cui si fondava il matrimonio. –
scrive l’Eurispes - Ora la situazione sembra essersi completamente
capovolta: delle domande proposte nel biennio 1997-1998, ben il
68,1% è di iniziativa femminile. La donna che chiede la separazione
è una persona conscia dei suoi diritti, con un’autonomia che le
deriva dal suo lavoro, e che vuole dimostrare, innanzitutto a se
stessa, di non essere succube o perdente”. Ma non tutte le
separazioni sfociano in un divorzio e questo perché, secondo l’indagine
non tutti i coniugi separati vogliono contrarre un nuovo matrimonio.
Per tanti che scelgono la via dell’unione, legalizzata o meno,
quanti scelgono di essere single? La cifra totale dei single non
sposati è considerevole, e ripartita equamente tra celibi (840.000)
e nubili (806.000). Ma il modello italiano, sottolinea l’indagine,
riguarda soprattutto anziane al di sopra dei 65 anni (2.090.000),
piuttosto che giovani con meno di 25 anni, che decidono di
abbandonare la casa materna in cerca di una maggiore libertà. Su
circa 3 milioni di quelle che l’Istat chiama “nuove condizioni
familiari”, ci sono oltre 2 milioni tra single non sposati,
separati o divorziati, e altrettanti vedovi (2.310.000 unità), che
rappresentano la maggioranza delle persone sole; tra questi, le
donne costituiscono la netta maggioranza (1.957 unità rispetto ai
353.000 vedovi maschi).
Lo
stato civile delle madri in Italia. Anno 1999
Valori
percentuali
|
AREE
|
SPOSATE
|
CONVIVENTI
|
MADRI
SOLE
|
Nord
Italia
|
87,3
|
6,4
|
6,3
|
Centro Italia
|
86,3
|
10,0
|
3,6
|
Sud Italia
|
91,9
|
3,0
|
5,1
|
ITALIA
|
90,3
|
17,3
|
5,5
|
Fonte:Eurispes, 2002 su dati
UN/ECE/UNFPA, Fertility and Family Surveys (FFS), in Countries of
the ECE Region
Donne
tra i 30 e i 34 anni dove risiedono e con chi vivono
Anno 1999 -
Valori percentuali
|
Paesi/Aree
|
Con
partner e figli
|
Con
partner senza figli
|
Con
figli senza partner
|
Senza
figli, a casa coi genitori
|
NORD
ITALIA
|
71,7
|
11,8
|
3,2
|
13,3
|
CENTRO ITALIA
|
70,9
|
8,7
|
1,8
|
18,6
|
SUD ITALIA
|
73,7
|
6,6
|
2,0
|
17,7
|
ITALIA
|
72,4
|
9,3
|
2,6
|
15,9
|
AUSTRIA
|
67,0
|
12,3
|
11,4
|
8,6
|
FRANCIA
|
65,6
|
11,1
|
11,8
|
11,5
|
LETTONIA
|
70,2
|
4,8
|
19,7
|
5,4
|
NORVEGIA
|
75,7
|
6,8
|
8,5
|
9,0
|
POLONIA
|
82,4
|
4,8
|
5,3
|
7,5
|
SPAGNA
|
75,0
|
8,5
|
3,4
|
13,1
|
SVEZIA
|
70,9
|
8,7
|
11,4
|
9,0
|
SVIZZERA
|
62,5
|
18,3
|
3,9
|
15,2
|
UNGHERIA
|
80,0
|
3,9
|
9,5
|
6,4
|
Fonte: Eurispes, 2002 su dati
UN/ECE/UNFPA, Fertility and Family Surveys (FFS), in Countries of
the ECE Region
L'integrazione tra i popoli ha volto e mani di donna. I
minori il segno della ricerca di stabilità
Donne non solo come fulcro della famiglia immigrata, ma
soprattutto come trait d’union tra differenti culture; come spesso
la storia ha dimostrato infatti le donne, spesso silenziosamente,
hanno contribuito ad importati evoluzioni culturali e sociali e,
sottolinea l’indagine Eurisp dedicata a loro, “l’andamento e l’esito
dei flussi migratori non fanno eccezione alla regola, delineando per
le donne un ruolo sempre più strategico nella capacità di creare
le basi per una reale integrazione delle comunità di appartenenza
su un suolo straniero”. Indicativo a questo proposito che nel 1999
più del 15% delle immigrate fosse regolarmente iscritta all’Inps
come collaboratrice domestica, con notevole concentrazione nelle
regioni del Centro e nel Sud. Considerando il numero di lavoratrici
irregolari, la presenza delle donne immigrate nelle famiglie
italiane diventa, secondo l’indagine, ancor più significativa,
lasciando immaginare che “gli incontri diretti tra le diverse
culture siano essenzialmente mediati dalle figure femminili, dall’una
e dall’altra parte, nella silenziosa quotidianità delle
necessità domestiche”.
La presenza femminile nella popolazione immigrata in Italia è stata
inferiore rispetto a quella maschile fino alla seconda metà degli
anni Novanta, quando lo scarto si è ridotto grazie ai
ricongiungimenti familiari con il proprio coniuge, ma anche perché
tante donne hanno scelto di lasciare il paese di origine
autonomamente. Il numero delle donne immigrate è stata generalmente
più basso per le comunità in cui prevale la cultura musulmana e
molto più alta se non superiore per alcuni paesi dell’Europa dell’Est,
dell’Africa Centrale e dell’Estremo Oriente, dove si è spesso
assistito a progetti migratori femminili del tutto autonomi. Le
straniere in Italia vivono soprattutto nel Centro Italia mentre il
Nord ed il Meridione si caratterizzino per una percentuale inferiore
alla media italiana.
Tra le comunità che storicamente hanno fatto registrare la presenza
di un maggior numero di donne ci sono la Thailandia (87,1% di donne
sul totale), l’Eritrea (76,8%) e Cuba (84,6%), tra i gruppi di
più recente immigrazione vanno segnalati, per la presenza di donne,
la Russia, l’Ucraina ed il Brasile, nei quali le percentuali
maschili non superano il 30%. Assente invece, nelle prime 10
comunità per incidenza percentuale delle donne, le Filippine, che,
se in valori assoluti resta il paese con la maggior presenza
femminile in Italia (65,7%), ha registrato negli hanno una
diminuzione del flusso migratorio femminile.
Un indice significativo della volontà di integrazione è senza
dubbio determinato dalla presenza di minori poiché nel momento in
cui decide di portare i figli con sé o si decide di averne, si
rende più improbabile il ritorno nel proprio paese. Nel periodo che
va dal 1996 al 1999 i minori iscritti all’anagrafe sono aumentati
dell’83%; considerando che il numero dei minorenni stranieri
realmente presente in Italia è superiore a quello conteggiato dall’anagrafe,
il dato, secondo l’Eurispes, rappresenta una molto significativa
conferma delle tendenze alla stabilità mostrate dalla popolazione
straniera nel nostro Paese. Quello della maternità, tuttavia,
sottolineano gli osservatori, rimane per le donne straniere un
momento difficile, poiché manca loro solidarietà e appoggio della
comunità d’origine e dei significati che ogni cultura conferisce
alla nascita di una nuova vita.
Donne e lavoro. Sono più preparate, ma fanno carriera solo
se pensano come uomini
Donne come re Mida, ma al contrario: quando superano gli
uomini nelle posizioni ritenute prestigiose, si declassa la
professione. Un esempio quello dell’insegnamento: quando la
presenza femminile è cresciuta, il mestiere dell’insegnante è
divenuto sempre meno appetibile per gli uomini, trasformandosi da
professione elitaria e riconosciuta a lavoro qualunque, ultima
scelta dei laureati di belle speranze. E’ questo il parallelo
utilizzato dall’Eurispes, nella sua indagine dedicata alle donne,
per l'8 marzo, per spiegare questo difficile ed ambiguo rapporto.
Il tasso di disoccupazione femminile, dal 1995 al 2000, è diminuito
dell’1,7%, un valore ben distante da quello maschile (0,9%), tanto
da far dire agli osservatori che “l’andamento occupazionale in
Italia è fortemente legato all’inserimento più o meno stabile
delle donne nel mercato del lavoro”. Le occupazioni atipiche hanno
offerto alle donne più possibilità d’ingresso nel mercato, ma
troppo spesso questo si rileva non una scelta consapevole quanto una
delle poche alternative disponibili che viene accettata per poter
entrare e rimanere nel mercato. Stesso discorso vale per il
part-time, alla quale le donne ricorrono frequentemente, dopo aver
sofferto per anni la mancanza della terza alternativa all’aut aut
tra carriera o figli, come scelta forzata per poter conciliare
desiderio di maternità e aspirazioni professionali.
Il panorama delle donne che lavorano non mostra grandi novità. Le
donne continuano a scarseggiare nei posti di potere, anche se nel
complesso qualche cambiamento in positivo si registra rispetto al
passato: sono aumentate, seppur di poco, le donne imprenditrici (+
0,3%), le libere professioniste (+0,5%) e le posizioni di quadro tra
le lavoratrici dipendenti (+ 0,1%), segno che le iniziative per la
promozione dell’imprenditoria femminile stanno dando i loro
frutti. Dal 1998 è aumentata seppur lievemente anche a presenza nel
settore del commercio, in cui l’incidenza femminile è passata dal
16,1% al 16,3% mentre quella maschile è diminuita di oltre un punto
percentuale.
Come sottolinea l’indagine, si presentano nel mercato del lavoro
con titoli superiori a quelli maschili cercando di adeguarsi alle
nuove richieste: sono aumentati le lauree, i diplomi universitari e
il generale livello di istruzione media superiore, con un ritmo
maggiore rispetto ai maschi, che, al contrario, si laureano di meno
(9,4% attuale contro il 10,3% del 1998). Continuano tuttavia ad
essere lontano dai ruoli di potere.
La “vecchia” donna in carriera, sottolinea il rapporto Eurispes,
“si è potuta far spazio in un mercato disegnato da e per gli
uomini, solo a patto di assumere una mentalità lavorativa
prettamente maschile, in cui non sono ammesse assenze fisiche e
mentali da maternità, talmente rassegnata all’immodificabile
status quo, da dichiarare lo stesso livello di soddisfazione
retributiva anche laddove lo scarto con i colleghi maschi era e
resta notevole”. In cifre questo vuol dire solo lo 0,9% delle
lavoratrici riveste un ruolo da dirigente, contro il 2,1% degli
uomini, nel lavoro dipendente mentre i “lavori da donna sembrano
porsi come attività di nicchia, distanti dal modello dominante di
prestigio, peraltro sorretto dalla porzione numericamente meno
consistente della società”.
Donne in politica: c'è una soglia invalicabile anche per
le più agguerrite. Il ''silenzio'' dei media
La difficoltà delle donne ad emergere nel mondo del lavoro
in ruoli di potere, sembra non mutare nell’ambito
politico-istituzionale, dove suggeriscono, gli osservatori Eurispes,
“si finisce sempre per concordare con la teoria del tetto di
cristallo, ovvero quella soglia invisibile, eppur presente, oltre la
quale anche la parte più agguerrita non riesce ad andare”.
Così si scopre che negli enti di ricerca solo una donna su trenta
arriva alla massima carica istituzionale, mentre nelle università i
professori ordinari di sesso femminile corrispondono all’11,1%. Le
percentuali scendono man mano che il ruolo di potere
direttivo-gestionale si fa più importante: solo un 7% di donne
ricopre l’incarico di preside e solamente il 3% è stato eletto
rettore. La magistratura e la carriera diplomatica non fanno
eccezione, anzi in questo ambito la situazione delle donne è
peggiore: il 4% di presidenti di sezione è donna mentre non
esistono donne ambasciatrici.
L’indagine si sofferma in particolar modo sulla carriera politica,
considerata un “significativo esempio delle dinamiche di potere
femminile”. Nell’attuale legislatura la presenza femminile
rappresenta solo l’11,5% dei deputati e l’8,3% del Senato e il
più alto tasso di rappresentanza femminile si registra nei gruppi
parlamentari dei Democratici di Sinistra (24,3% di donne alla Camera
e 12,3% al Senato) e di Rifondazione Comunista (36,4% alla Camera),
mentre per Alleanza Nazionale, Margherita e il CCD-CDU siamo di
molto al di sotto della media. Inoltre il 60,6% dell’intera
rappresentanza femminile alla Camera si trova all’opposizione (44
donne in totale), mentre la Casa delle Libertà non supera, con 23
esponenti , il 32,4% del totale delle elette. Un fenomeno sottolinea
gli esperti non nuovo certamente ed in parte determinato dalla
normativa che obbligava l’alternanza uomo/donna nelle liste
proporzionali nelle circoscrizioni elettorali regionali, per l’elezione
del 25% della Camera dei Deputati.
Ma quanto spazio riservano le reti televisive nazionali alle donne?
Appaiono nei Tg più in Rai che in Mediaset ma i dati raccolti dalla
Commissione Nazionale sulla parità dimostrano un’invisibilità
evidente della rappresentanza politica femminile. Le donne tra i 45
e i 54 anni sono quelle che parlano molto più spesso di politica
(7,1% tutti i giorni e 20,3% qualche giorno a settimana), ma i
valori della stessa fascia maschile risultano doppi. Nel 2000,
sommando le ore, i minuti e i secondi di discorso diretto sulle reti
Rai e Mediaset dei soggetti politici ed istituzionali, le donne che
hanno ottenuto spazi mediatici non superano il 10% del totale.
Scompaiono poi progressivamente dal video più ci avvicina alle
elezioni, quando “la presenza femminile nelle trasmissioni di
carattere politico è inversamente proporzionale alla crucialità
del momento”.
Donne
candidate ed elette nelle elezioni italiane
Anni 1994 - 1996 - 2001 -
Valori assoluti e percentuali
|
|
Tot.
candidati/e
|
Tot.
candidate
|
%
donne su tot. candidati
|
Tot.
donne elette
|
%
donne su tot. eletti
|
%
donne elette su tot. candidate
|
ANNO
1994
|
CAMERA
|
2.899
|
504
|
17,38
|
95
|
15,1
|
18,9
|
SENATO
|
1.475
|
268
|
18,17
|
29
|
9,2
|
10,8
|
TOTALE
|
4.374
|
772
|
17,65
|
124
|
13,1
|
16,1
|
ANNO 1996
|
CAMERA
|
2.194
|
275
|
12,53
|
70
|
11,1
|
25,4
|
SENATO
|
1.007
|
144
|
14,3
|
26
|
8,2
|
18,0
|
TOTALE
|
3.201
|
419
|
13,1
|
96
|
10,1
|
22,9
|
ANNO 2001
|
CAMERA
|
2.982
|
415
|
13,9
|
71
|
11,2
|
17,1
|
SENATO
|
1.928
|
220
|
11,4
|
25
|
7,9
|
11,3
|
TOTALE
|
4.910
|
635
|
12,9
|
96
|
10,1
|
15,1
|
Fonte: Eurispes, 2002 su dati Ministero delle Pari
Opportunità
Tempo
di parola dei soggetti politici ed istituzionali
Maggio 2001 -
Valori percentuali
|
Trasmissioni
|
%
uomini
|
%
donne
|
1
- 12 Maggio 2001
|
TG
Rai
|
96,08
|
3,92
|
TG
Mediaset
|
91,04
|
8,96
|
TG
La Sette
|
84,39
|
15,61
|
Extra TG Rai
|
96,89
|
3,11
|
Extra TG Mediaset
|
99,20
|
0,80
|
Extra
TG La Sette
|
91,75
|
8,25
|
13-31 Maggio 2001
|
TG
Rai
|
96,68
|
3,32
|
TG
Mediaset
|
96,62
|
3,38
|
TG
La Sette
|
96,57
|
3,43
|
Extra TG Rai
|
92,61
|
7,39
|
Extra TG Mediaset
|
85,48
|
14,52
|
Extra
TG La Sette
|
96,54
|
3,46
|
Fonte: Eurispes, 2002 su dati Commissione Nazionale Pari
Opportunità
Donne sempre più attente: richiedono qualità dei servizi
e, se non la ottengono, protestano più degli uomini
Diffidano degli arrotondamenti di negozianti, temono gli
aumenti dei prezzi provocati dalla moneta unica, hanno ancora
qualche difficoltà nella compilazione dei nuovi assegni in euro e
maggiori problemi di accesso ai servizi rispetto agli uomini. E’
questo l’identikit delle donne che consumano, tracciato da
Cittadinanzattiva in occasione dell’8 marzo, sulla base delle
segnalazioni pervenute a Pit Servizi, che raccoglie richieste di
intervento da parte dei cittadini, riguardanti disagi e disservizi
nell’area dei servizi di pubblica utilità, in particolare sui
temi dell’accessibilità, qualità, sicurezza, trasparenza e
controversie. Una ricerca che dimostra anche la voglia di
partecipazione e di mobilitarsi per tutelare i propri diritti.
Sempre più donne infatti, sottolinea l’organizzazione, segnalano
problemi sull’introduzione dell’euro, partecipano a campagne di
informazione sulla diffusione della nuova moneta e più in generale
pretendono maggiori informazioni e trasparenza e cercano servizi di
ottima qualità. Se poi non sono soddisfatte, protestano più degli
uomini fino ad arrivare ad aprire controversie con i gestori dei
servizi.
Le segnalazioni e le richieste di intervento provenienti dalle donne
riguardano soprattutto la trasparenza (34%) e la qualità (27%) che
si discosta di 2 soli punti percentuali dalla voce controversie. “Le
donne che si sono rivolte a Pit Servizi – sottolinea
Cittadinanzattiva - vedono nella mancanza di trasparenza il problema
più rilevante, hanno una percezione sensibilmente più elevata
rispetto agli uomini delle difficoltà di accesso ai servizi,
avviano più controversie. Insomma il profilo di una donna molto
attiva, che interagisce con i servizi di pubblica utilità con un
approccio molto pratico, tendente alla soluzione dei problemi
concreti che la separano da una utilizzazione più agevole degli
stessi servizi”. Considerazioni che trovano conferma, ad esempio,
nelle reazioni delle donne alla introduzione dell’euro: il 67% ha
partecipato ad attività di monitoraggio sull’impatto della
introduzione della nuova moneta e nel 56% dei casi le donne hanno
segnalato problemi relativi alla sua introduzione.
Donne:
la percezione
dei servizi di pubblica utilità
|
Problema più rilevante
|
Valori
%
|
Trasparenza
|
34
|
Qualità
|
27
|
Controversie
|
25
|
Accessibilità
|
9
|
Sicurezza
|
5
|
Totale
|
100
|
Fonte: Pit Servizi, 2002
|