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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

C E N S I S

TENDENZE GENERALI E RECENTI DINAMICHE DELL’ECONOMIA SOMMERSA
IN ITALIA FRA IL 1998 E IL 2002

Sintesi della Ricerca

Roma, 21 Gennaio 2003


1.     PERCHÉ CRESCE IL SOMMERSO

A tre decenni dalla prima definizione di economia sommersa si impone la necessità, oltre di rendere sistematici i metodi  per la sua  stima quantitativa e per la comparazione internazionale, di procedere ad un approfondimento  concettuale di  tale area  produttiva e occupazionale.

Fra i decisori politici, e ancor più nell’opinione pubblica, il sommerso equivale a qualcosa di nebuloso e oscuro, cui concorrono i più diversi fattori. L’illegalità, criminale o elusiva, si combina con l’“arte di arrangiarsi”; degrado sociale, povertà ed esclusione con un generale scarso senso civico; la diffusa abitudine a non rispettare le regole necessarie a garantire un’ordinata convivenza, con la corruzione o con gli eccessi del potere burocratico sui cittadini. Le differenze esistenti possono essere date per acquisite solo in una cerchia di specialisti e studiosi. D’altronde la stessa disomogeneità di fattori concorrenti a determinare un’estesa area di sommerso, non ha sufficientemente attratto l’interesse degli economisti, almeno al pari del coinvolgimento di statistici, territorialisti e sociologi, tanto da non poter disporre di una solida accumulazione teorica.

E’ necessario, innanzitutto, ribadire che, da un punto di vista dell’evoluzione dei sistemi economici e sociali, l’attenzione va focalizzata sull’underground economy, da separare nettamente, nell’analisi concettuale ancor più di quanto non avvenga nella realtà, sia dall’economia criminale che dall’economia informale.

La prima produce beni e servizi illegali. Anche quando si inserisce in un contesto di “normalità”, agendo come impresa legale (nella finanza, come nelle costruzioni, nei centri commerciali o nei trasporti), opera con un’organizzazione e con metodi che la pongono comunque nel novero delle attività criminali. Per le politiche pubbliche, diviene prevalente l’azione di repressione e contrasto alla criminalità economica organizzata rispetto a qualsiasi altra forma di possibile intervento.

All’estremo opposto si colloca l’area di attività informali, generalmente legate a prestazioni elementari di singoli, che si esplicano al di sotto di una pur minima soglia organizzativa, con un forte contenuto di estemporaneità e bassi valori economici. Certamente si tratta di un comparto da accompagnare verso forme più evolute nei Paesi poveri, in quanto si tratta di, pur flebili, segnali di iniziativa sociale. Può costituire un interessante riferimento da utilizzare, ad esempio, nell’ambito dei programmi di poverty reduction lanciati dalla World Bank. Va considerata come fenomenologia sociale più che come componente produttiva nei Paesi avanzati o in transizione.

Il “sommerso” da capire ed interpretare meglio, è quello che interagisce con i sistemi economici dei Paesi industriali. Un comparto costituito da produzione e/o lavoro irregolare ma collocato in contesti e settori produttivi ordinari, in grado di partecipare alle dinamiche di continua ristrutturazione dei modi di produrre.

A sollecitare una tale riflessione sono due semplici osservazioni:

-   il sommerso, per quanto fino ad ora mal stimato e quantificato, copre in Europa e negli Stati Uniti una quota non marginale dell’economia, valutabile fra il 5 e il 20% a seconda dei Paesi. Nazioni come la Francia, che, per non riconoscere  l’esistenza di questa anomalia e l’incapacità pubblica a contenerla, ne avevano negato la presenza nei loro confini, sembrano aver cambiato atteggiamento;

-   nell’area dell’Euro e in Germania in particolare, l’underground economy è cresciuta nell’ultimo quinquennio a tassi più elevati dell’economia regolare.

Da qui l’esigenza di individuare modelli interpretativi che possano aggiungere ulteriori paradigmi e individuare nuove piste di lavoro per contrastare tali tendenze, distorcenti per il mercato e penalizzanti per gli introiti  pubblici.

E’ naturalmente vero e confermato che, a determinare l’economia sotterranea, sia la volontà di sottrarsi agli obblighi fiscali, contributivi, contrattuali, retributivi, normativi, di sicurezza, di affidabilità, di responsabilità ambientale e sociale. Le cose si complicano per l’ampia gamma di possibili situazioni e per le forti differenze d’intensità con cui si manifestano i comportamenti irregolari.

Pertanto è sempre più difficile tracciare una linea di netta demarcazione fra “regolare” e “irregolare”, soprattutto nei sistemi economici che, superato lo stato nascente dello sviluppo spontaneo, raggiungono una notevole complessità e stabilità, aprendosi alle tensioni della competizione globale.

Proprio nelle economie avanzate, il sommerso tende a configurarsi come un “alone“ sfumato dalle varie tonalità del “grigio” fino al “nero”, attorno al nucleo dell’economia regolata. Una sorta di ammortizzatore dell’economia per attutire, in modo scorretto, gli effetti di un’eccessiva pressione fiscale o regolativa, per cercare di rispondere al nuovo e più impegnativo confronto competitivo proposto dalla globalizzazione, per riuscire a sopravvive anche con bassissimi livelli di competenza organizzativa, strumentale e finanziaria.

L’effetto ultimo è di depauperamento dei sistemi economici, che difficilmente per questa via possono compensare i ritardi nell’adeguare la struttura produttiva alle nuove sfide. All’avvio dei processi di modernizzazione, negli anni ’60, una certa quota di iniziativa spontanea ha saputo evolvere positivamente verso un sistema imprenditoriale strutturato e regolare, come è stato in Italia. Al contrario, l’attuale contesto del mercato internazionale, relega il sommerso, nei paesi più sviluppati, a insediarsi nei settori più arretrate dell’economia ovvero produce distorsioni alla concorrenza. Ma anche nei Paesi in transizione difficilmente sortisce effetti propulsivi, quanto piuttosto alimenta l’ambiguo intreccio fra attività economiche e corruzione, produce blocchi oligopolistici che frenano sul nascere le dinamiche di mercato.

Le attuali forme che assume l’economia sotterranea vanno ricondotte alle trasformazioni in atto nell’impresa e nel mercato del lavoro.

Per quanto attiene all’impresa si può sinteticamente affermare come le modalità prevalenti per affrontare i livelli attuali di competitività sono riconducibili a:

-   una destrutturazione strisciante della grande impresa, con il formarsi di organizzazioni complesse che integrano unità produttive diverse, piccole e anche micro, utilizzano diffusamente l’out-sourcing, tendono a flessibilizzare la produzione profilandola sui mutevoli andamenti della domanda;

-   la riduzione di peso delle attività manifatturiere, che modifica la composizione settoriale dell’economia, ampliando lo spazio per servizi rivolti al mercato familiare o individuale, con modelli operativi meno complessi, con basse necessità di investimento (dai servizi di prossimità, a quelli personali, dal piccolo commercio alle riparazioni, dalla ristorazione al turismo);

-   la delocalizzazione verso i Paesi a basso costo delle lavorazioni industriali, produce una rottura nel rapporto fra grande-media impresa e territorio, facendo crescere lo spazio, nella dimensione locale, delle imprese più piccole e delle attività user oriented. Questo processo fa profetizzare a Rifkin, in modo apodittico, che il futuro nei paesi ricchi sarà centrato sulla lotta fra economia sociale e economia sommersa, per il controllo del territorio;

-   la crescita dei comparti più innovativi della knowledge society che fondano la creazione di valore sulle competenze e sono molto centrate sul professionismo individuale, rafforza una tendenza al formarsi di aree molto competitive non necessariamente riconducibili a modelli e standard aziendali tradizionali.

L’insieme di tali fattori spiega come la crescita nel numero di imprese e la sostenibilità di livelli competitivi anche con piccole dimensioni aziendali, in diversi comparti (arretrati ma anche avanzati) renda più facile il mimetismo del sommerso. La peculiarità italiana (ma anche spagnola o greca) può anche essere spiegata dall’esistenza in quei Paesi di un enorme quantità di imprese, in maggioranza piccole o micro, che consentono l’esistenza endemica di un’economia interstiziale.

Sull’altro versante, quello del mercato del lavoro, altrettanto rilevanti sono le ambiguità che si riflettono nel sommerso:

-   la necessità di rendere il lavoro più mobile e flessibile può sortire effetti di elusione e nascondimento se  riduce la sua portata alla sola riduzione di costi aziendali, e non si accompagna ad una crescita della produttività, ad un premio per la competenza e la responsabilità, ad un allargamento della partecipazione e lo sviluppo di nuove forme di lavoro;

-   l’afflusso di immigrati irregolari, il cui impiego è per definizione sommerso, mancando le condizioni per poter essere occupati legalmente;

-   l’indisponibilità di una sufficiente offerta occupazionale in determinati mercati del lavoro locale, induce chi ha già un lavoro regolare a svolgere una seconda attività in nero;

-   l’eccessivo gravame di oneri fiscali e contributivi sulle retribuzioni lorde che rende collusivo l’interesse fra imprenditore e lavoratore ad evaderli totalmente o parzialmente.

Analizzando il sommerso a partire dall’economia reale e dai processi sociali, si perviene ad una prima conclusione: per ridurre l’area di economia sotterranea non è sufficiente agire sui soli paradigmi strutturali (alta regolazione e pressione fiscale, mancanza dei controlli, rigidità del mercato del lavoro), ma è indispensabile articolare le azioni di contrasto per tipologie, settori e territori. Mettendo nel conto che questo fenomeno merita una prolungata attenzione e un organica azione di accompagnamento.

2.     L’UTILITÀ DI RAGIONARE PER TIPOLOGIE

Non tutto il sommerso può essere portato ad una condizione di normalità, in quanto in taluni casi l’emersione elimina alla radice ogni possibilità di sopravvivenza. A spiegarlo sono diverse ragioni fra cui: la intrinseca fragilità economica dell’unità produttiva, non in grado di assorbire i costi seppur agevolati dei processi di regolarizzazione; la non sanabilità dell’ambito di insediamento ove è ubicata; la perdita di convenienza da parte della clientela.

Bisogna, pertanto, conoscere all’interno di ciascuna economia nazionale, quali tipologie di attività sia possibile accompagnare verso la regolarizzazione e quali inevitabilmente verranno eliminate da un intervento volto a ridurre i comparti anomali dell’economia.

Nei territori dove il sommerso è presente secondo modalità strutturali (e non cicliche o marginali) le imprese irregolari presentano un’articolata differenziazione fra:

-   imprese trasgressive, del tutto visibili e conformi alle principali incombenze normative, ma con una elevata propensione ad organizzare evasione ed elusione fiscale e contributiva, a forzare l’utilizzo degli strumenti di flessibilità lavorativa e l’out-sourcing, a praticare sistemi di retribuzione non conformi a quella reale;

-   imprese minimaliste, che rispettano al minimo i requisiti di regolarità come iscrizione al registro ditte, posizione fiscale e previdenziale ma utilizzano una quota degli occupati totalmente in nero, con un diffuso occultamento fiscale, con una copertura parziale, e spesso solo formale, dei diversi obblighi connaturati a una corretta attività produttiva;

-   imprese mimetiche, generalmente di piccole dimensioni, attorno ai 5-10 addetti, totalmente sommerse, anche grazie  al tipo di attività (servizi, edilizia) che non impone una sede visibile;

-   il formicaio, micro imprese o unità di lavoro individuali, con o senza partita IVA, in settori che per tipo di domanda (lavoro domestico o di cura presso famiglie) o contenuti del servizio (nuove tecnologie, attività professionali etc.) possono fruire di un elevato grado di nascondimento.

Se osserviamo le stesse fenomenologie nella prospettive del mercato del lavoro troviamo fondamentalmente le seguenti categorie:

-   lavoratori regolari, che svolgono prestazioni in nero, in forma autonoma o subordinata, come seconda attività nello stesso ambito lavorativo o in diverso settore/ unità produttiva;

-   occupati alle dipendenze con condizioni minime di regolarità, ma con gran parte delle prestazioni non registrate sia ai fini fiscali che contributivi (straordinari, premi etc.);

-   lavoratori con contratti atipici o soci in cooperative di comodo, le cui forme contrattuali eludono l’effettiva condizione di occupati alle dipendenze;

-   dipendenti che accettano retribuzioni inferiori a quelle dichiarate;

-   lavoratori autonomi e professionisti irregolari;

-   dipendenti totalmente irregolari (non dichiarati, con retribuzioni totalmente in nero);

-   immigrati irregolari.

Tali schematiche tipizzazioni riguardanti l’impresa e i lavoratori, vanno poi proiettate per settori  e per territori.

In definitiva, per “sezionare” il sommerso le principali variabili da combinare in una ideale matrice a quattro dimensioni riguardano le caratteristiche dell’impresa, i rapporti di lavoro, il settore di attività, l’area locale di insediamento.

3.     UNA VALUTAZIONE NEL CONTESTO EUROPEO ED ITALIANO

Il contesto europeo deve incrementare l’accumulazione di conoscenze sulle fenomenologie concrete in cui si manifesta l’economia nascosta. Da un punto di vista settoriale, i comparti segnalati per maggiore presenza di irregolarità all’interno dell’UE sono l’edilizia, la ristorazione e il turismo, il commercio, i servizi personali.

I soggetti sociali maggiormente coinvolti sono giovani a bassa qualificazione, donne come prima modalità di accesso al mercato del lavoro, immigrati e, per altro verso, occupati pienamente inseriti  che svolgono una seconda attività.

Maggiori elementi sono disponibili sulla realtà italiana essendo disponibili due indagini del Censis del 1998 e del 2002, realizzate attraverso una capillare raccolta di dati sul campo coinvolgendo una pluralità di soggetti intermedi. La più recente si è svolta nell’ambito di un programma della Direzione per l’Impiego del Ministero del Lavoro, con il supporto operativo di numerose reti di rappresentanza imprenditoriale e sindacale, istituzioni e autonomie funzionali.

Il caso italiano consente una straordinaria sperimentazione di tecniche per la comprensione delle dinamiche, in quanto si accentua una forte differenziazione interna in tutte le quattro dimensioni precedentemente ricordate.

Il sommerso perde di peso nella media nazionale, ma accresce la sua portata strutturale nelle aree che non riescono ad agganciare i processi di modernizzazione. Fra il 1998 e 2002 cresce il peso di chi valuta  l’economia irregolare diffusa ed essenziale nel Mezzogiorno (dall’82% all’87% delle risposte), mentre si riduce nel resto del Paese. Interessante è il caso del Centro-Italia dove ad una riduzione in quanto parte costitutiva del sistema economico corrisponde una crescita della  presenza ciclica, in rapporto alla stagionalità o alla variabilità del mercato (fig. 1). Il sommerso, almeno nell’esperienza italiana, si configura attualmente come una forma regressiva che non ha più nulla da vedere con la “vitalità non ordinata” che contribuì in passato a realizzare il processo di industrializzazione.

Si riduce l’economia in nero, ma aumenta l’”opacità” delle forme di lavoro. Risultano, infatti, stabile o in diminuzione le imprese totalmente sommerse (per il 79% degli operatori) e conseguentemente l’occupazione completamente occultata (per il 72% dei testimoni locali), mentre risulta maggioritaria l’opinione di un’espansione delle forme di lavoro più ambigue e semi- sommerse e delle imprese che ricorrono al lavoro irregolare (fig. 2).

L’incidenza stimata delle unità produttive che presentano irregolarità sul complesso delle aziende italiane resta molto elevato, ma decresce rispetto al 1998 dal 72% al 66%. Circoscrivendo l’osservazione alla sola area di aziende o datori di lavoro non registrati (il sommerso in senso stretto) l’incidenza stimata è del 22,3% a livello nazionale come media fra il 33,6% del Mezzogiorno e poco più del 13% al Nord e circa il 20% nel CentroItalia  (fig. 3). E’ interessante approfondire ulteriormente l’universo delle aziende totalmente in nero, soprattutto riguardo al proprio mercato di riferimento. La maggioranza relativa (45%) è costituita da unità di sub-fornitura, per aziende prevalentemente emerse. Nelle regioni del Centro la quota è ancora maggiore e raggiunge il 55%. Significativa è la quota dei  produttori di  beni o servizi per intermediari (28% nella media nazionale che diventa il 32% in Lombardia, Piemonte e Liguria), mentre nel Mezzogiorno le piccole unità sommerse che lavorano direttamente per il mercato eguagliano la sub-fornitura (36% del totale rispetto a una media nazionale del 27% - tab. 1).

Tab. 1 -   Mercato e committenza per la produzione di aziende irregolari, secondo l’area geografica, 2002 (val. %)

 

 

 

 

 

 

Le aziende irregolari che operano nella Sua provincia producono prevalentemente:

Area geografica

Totale

 

Nord Ovest

Nord Est

Centro

Sud e Isole

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-  direttamente per un’azienda committente

46,8

46,7

55,0

36,0

44,5

 

 

 

 

 

 

-  per conto proprio,  con vendita diretta sul mercato

21,0

26,2

22,5

36,0

27,5

 

 

 

 

 

 

-  per soggetti intermediari che distribuiscono poi il prodotto

32,3

27,1

22,5

28,0

28,0

 

 

 

 

 

 

Totale

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

 

 

 

 

 

 

Fonte: Censis, 2002

Diminuisce la quota di lavoro indipendente in nero dal 19% del ’98 all’attuale 15,7%, con il solo Nord-Est in contro-tendenza, segnalando proprio come le aree più evolute siano più ricettive delle competenze professionali di cui dispongono gli autonomi, anche in forme di estrema  flessibilità.

Resta molto ampia l’area di lavoro dipendente totalmente irregolare o senza regolare contratto di lavoro: valore nazionale è pari al 26%, che raggiunge il 41% nel Mezzogiorno. Una quota molto vicina al “nucleo duro” del lavoro  tutto sommerso è dato da quell’alone grigio dei trattamenti di fatto non trasparenti e diversi da quelli dichiarati , pari nella media italiana al 21,3%  e nel Mezzogiorno al 31,2%. (fig. 4 e tab. 2).

E’ maggiore la concentrazione di lavoro nero nei comparti dove possono sopravvivere unità produttive poco efficienti: servizi personali, edilizia, agricoltura,ristorazione e turismo. Sia in termini di quantità assolute che di incidenza dell’irregolarità, le aree di mercato del lavoro più interessate sono quelle a più bassa complessità delle prestazioni professionali: lavoro domestico e di assistenza personale, ristrutturazioni edilizie, ristorazione, commercio al dettaglio. Le stime Istat per il 2000 valutano in circa 300.000 gli irregolari dell’industria manifatturiera, mentre sono 342.000 i soli lavoratori stranieri impegnati nel lavoro domestico che hanno chiesto la sanatoria, in quanto senza permesso di soggiorno (fig. 5).

Nel lavoro irregolare cresce la componente degli immigrati, con una localizzazione prevalentemente nel Centro-Nord; altri soggetti coinvolti in misura maggiore che nel 1998 sono i giovani ed i lavoratori in mobilità essenzialmente nel Mezzogiorno, dove i disoccupati rappresentano comunque la categoria principale del lavoro nero (tab. 3 – figg. 6 e 7).

Tab. 2 - Il livello di regolarità del lavoro in Italia per area geografica, 2002 (val.%)

 

 

 

 

 

 

 

Area geografica

 

 

Nord ovest

Nord est

Centro

Sud e isole

Italia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lavoro dipendente regolare

67,0

75,0

58,0

27,7

52,7

Lavoro dipendente irregolare

33,0

25,0

42,0

72,3

47,3

di cui:

 

 

 

 

 

impiegati presso imprese emerse con regolare contratto di lavoro ma con trattamenti di fatto irregolari

14,6

13,2

19,7

31,2

21,3

occupati presso imprese emerse senza regolare contratto di lavoro

10,1

6,4

11,5

19,9

13,1

occupati presso imprese sommerse

8,3

5,4

10,7

21,3

12,9

Totale lavoro dipendente

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

 

 

 

 

 

 

Lavoro indipendente regolare

87,8

90,1

84,4

78,0

84,3

Lavoro indipendente irregolare

12,2

9,9

15,6

22,0

15,7

Totale lavoro indipendente

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

 

 

 

 

 

 

Fonte: Censis, 2002

Fig. 5 – Incidenza del lavoro irregolare per settore di attività, 2002 (val. %)

Tab. 3 -   Soggetti maggiormente coinvolti nel sommerso, per area geografica, 2002 (val. %) (*)

 

 

 

 

 

 

 

Area geografica

Totale

 

Nord Ovest

Nord Est

Centro

Sud e Isole

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giovani

87,2

80,2

85,7

92,7

87,3

 

 

 

 

 

 

Casalinghe

40,2

47,4

45,3

34,8

41,0

 

 

 

 

 

 

Disoccupati

83,2

68,7

76,9

97,5

84,0

 

 

 

 

 

 

Lavoratori in mobilità e cassa integrazione

66,1

65,7

67,1

86,0

73,0

 

 

 

 

 

 

Pensionati

86,7

88,8

74,4

45,3

72,0

 

 

 

 

 

 

Immigrati extra comunitari

95,9

91,7

95,1

87,2

91,9

 

 

 

 

 

 

Occupati “regolari” del settore privato

32,7

21,5

21,4

34,4

28,6

 

 

 

 

 

 

Occupati “regolari” del settore pubblico

39,4

43,8

41,1

37,6

40,1

 

 

 

 

 

 

(*) il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte

Fonte: Censis, 2002


Fig. 6 – Categorie maggiormente coinvolte nel sommerso, 1998-2002 (gradutatoria)

Territorio e sviluppo locale come chiave vincente per l’emersione.  La valutazione dei testimoni locali sulle concrete determinanti in grado di migliorare l’attuale situazioni risultano piuttosto omogenee. Quanto ai fattori che inducono sommerso possono essere ricondotti a tre grandi tematiche. In ordine di importanza: la pressione fiscale e contributiva, poi i vincoli normativi e burocratici per le imprese che vogliono crescere e svilupparsi. La terza area di motivazioni, particolarmente sentita nel Mezzogiorno, riguarda i ritardi del contesto territoriale entro cui operano le imprese quali l’assenza di aree industriali e parchi produttivi attrezzati per le piccole imprese, le carenze infrastrutture e l’alto costo dell’energia.

Da qui la forte resistenza a regolarizzarsi centrata sulla possibilità, attraverso il lavoro in nero o grigio, di ridurre il suo costo, sulla impunità di fatto per evasori o elusori e sui rischi di contenzioso temuti come conseguenza dell’emersione.

Induce, specularmente, adesione ai programmi di regolarizzazione la possibilità di evitare sanzioni (particolarmente sentito nel Nord-Ovest, meno nel Mezzogiorno) e l’accesso a forme di incentivazioni soprattutto per la nuova occupazione, fattore in assoluto più importante per il Mezzogiorno (tab. 4).

Appare unanime il riconoscimento di una strategia fondata sul coinvolgimento di istituzioni e parti sociali a livello locale, condizione ritenuta indispensabile dal 49,8% degli operatori e che conferma il ruolo dei Comitati Locali per l’Emersione, il cui funzionamento potrebbe risultare determinante.Circa un quarto degli opinion leader (ma 39,3% nel Mezzogiorno) associano la regolarizzazione alla locomotiva dello sviluppo locale, mentre circa il 18% punta sui controlli e l’azione repressiva (tab. 5).

Tab. 4 -   I principali vantaggi dell’emersione per area geografica, 2002 (val. %)

 

 

 

 

 

 

 

Area geografica

Totale

Vantaggi emersione

Nord Ovest

Nord Est

Centro

Sud e Isole

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La possibilità di evitare le sanzioni previste dalle leggi in materia di evasione fiscale  e contributiva

65,9

55,4

56,3

31,0

49,8

 

 

 

 

 

 

L’opportunità di poter progettare in modo più competitivo lo sviluppo della propria azienda

10,6

14,3

19,5

22,6

17,1

 

 

 

 

 

 

La possibilità per le aziende di poter accedere ai piani di incentivazione all’impresa e alle agevolazioni previste per la creazione di nuova occupazione

13,0

18,8

19,5

39,3

24,5

 

 

 

 

 

 

L’opportunità di disporre di un adeguato tutoraggio allo start up di nuova impresa

0,8

-

1,1

1,8

1,0

 

 

 

 

 

 

La possibilità di accedere al credito

7,3

6,3

1,1

4,8

5,1

 

 

 

 

 

 

Altro

2,4

5,4

2,3

0,6

2,4

 

 

 

 

 

 

Totale

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

 

 

 

 

 

 

Fonte: Censis, 2002

Tab. 5-    Condizioni di avvio del processo di emersione, per area geografica, 2002 (val. %)

 

 

 

 

 

 

 

Area geografica

Totale

 

Nord Ovest

Nord Est

Centro

Sud e Isole

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il ruolo delle parti sociali nella promozione del processo di emersione

65,9

55,4

56,3

31,0

49,8

 

 

 

 

 

 

L’efficacia dei controlli effettuati sul territorio da parte degli istituti di vigilanza e delle forze dell’ordine

10,6

14,3

19,5

22,6

17,7

 

 

 

 

 

 

L’apertura di nuove prospettive di mercato a livello locale

13,0

18,8

19,5

39,3

24,5

 

 

 

 

 

 

L’entrata in circuiti dedicati allo sviluppo economico

0,8

-

1,1

1,8

1,0

 

 

 

 

 

 

Altro

2,4

5,4

2,3

0,6

2,4

 

 

 

 

 

 

Totale

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

 

 

 

 

 

 

Fonte: Censis, 2002

4.     UNA PRIMA CONCLUSIONE

Il contributo del Censis a reinterpretare il sommerso e offrire strumenti per le politiche di emersione si concretizzerà nella conclusione del programma in corso, promosso dalla Direzione dell’Impiego del Ministero del Welfare e finalizzato a dotare i Centri per l’Impiego di un adeguato supporto conoscitivo. L’opportunità di dialogo con gli organismi internazionali impegnati in questo campo potrà fornire una visione più adeguata, tenuto conto delle dirette implicazioni dei processi di integrazione globale.

Per ottenere risultati sembra opportuno insistere nel “sezionare” il sommerso, in quanto il caso italiano appare sempre meno riconducibile a univoche matrici. La spaccatura territoriale e settoriale risulta talmente pronunciata da costituire  la nuova frontiera nella sfida per l’emersione.


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