Il professor Paolo Balboni, eminente glottologo, denuncia una grave mancanza di coordinamento 
"L'insegnamento dell'italiano diventa un far west"
Secondo lo studioso strutture e persone che si occupano della lingua non comunicano tra loro (*)

di Nunzia Latini 

C'è il boom dell'italiano nel mondo ma se si rivoltasse in un boomerang? 

Le premesse ci sono tutte: si risponde alla domanda di italiano in maniera scoordinata. 

E' il professor Paolo Balboni a dichiararlo. Direttore dei progetti per la formazione degli insegnanti di lingua italiana in Italia e all'estero, autori di collane di formazione di docenti di lingua e di testi per la didattica delle lingue straniere e cattedra di Glottodidattica alla Ca' Foscari di Venezia.

Professore Lei fa una fotografia di ciò che è evidente a chi si muove nell'insegnamento dell'italiano all'estero e in Italia. Ce la spiega?

Gli italianisti sono profondamente divisi: i lettori universitari ignorano i loro colleghi delle scuole superiori; i professori di  letteratura ignorano quelli che fanno i loro colleghi di lingua; i docenti di madrelingua italiana ignorano i loro colleghi di madrelingua straniera quelli di ruolo ignorano i precari ed entrambi ignorano quelli della Dante" e viceversa.
Questa reciproca indifferenza li unisce in un desiderio vittimistico di morire isolati, e tutti a difendere il proprio orticello, intenti ad accaparrarsi gli studenti, i fondi ministeriali, i favori del potente locale, del preside di facoltà, dell'associazione immigrati: così uniti solo dalla divisione, l'unica strada possibile è l'estinzione. La colpa di fondo di questa divisione nasce da Roma: il Ministero degli Esteri ha due direzioni generali che si occupano dell'italiano: una curandosi degli emigrati attraverso i fondi della legge 153, l'altra curandosi della diffusione della cultura attraverso gli appositi istituti italiani di cultura. Strutture che non si coordinano: investono risorse umane e finanziarie ed operative in maniera non sinergica e i risultati si vedono! Poi c'è il Ministero della Pubblica Istruzione con una Direzione che si occupa di interventi presso gli altri sistemi scolastici in cui si studia italiano. Questi due ministeri non interagiscono, si ignorano, quasi che non fossero sempre le stesse persone che al Cairo, a Seoul, a Buenos Aires o a Ottawa animano le scuole private di italiano, operano in quelle statali e frequentano l'istituto italiano di cultura. In Italia, il Ministero dell'Università dà il suo contributo alla divisione, creando due sedi universitarie per stranieri.

Ma è pur sempre una idea concorrenziale?

E' ottima in sé: due istituzioni in competizione non possono che migliorare la qualità. Ma la mancanza di coordinamento tra gli Affari Esteri e la Pubblica Istruzione e il Ministero dell'università, trasforma la competizione in un far west dell'italiano. C'è in Italia una ricchezza di iniziative che deve essere messe in un sano clima di competenze di qualità e fatto dagli agenti politico-istituzionali.

Lei ha parlato di estinzione ma non più di un mese fa ci sono state due conferenze, ambasciatori prima e direttori di istituti italiani di cultura poi, presso gli Affari esteri e hanno illustrato le sorti progressive dell'italiano nel mondo. 
Se si continua così, il mitico boom dell'italiano nel mondo può trasformarsi in un boomerang se non si colgono le potenzialità del momento e si incanalano in un progetto coerente, omogeneo, coeso.
Come coordinare il tutto, cosa suggerisce?

Serve un pensiero forte di guida. Potremmo scoprire che è assurdo tenere separato l'insegnamento nelle scuole per non discendenti di italiani promosso dal MPI e quello dei corsi nella stessa scuola destinato a oriundi italiani e promosso dal MAE; se cominceremo a parlarci tra di noi , forse il boom ci sarà davvero, solido, continuativo, insieme ai siti degli italianisti, alle mailing lists.


(*) Il Tempo - scuola e università - domenica 31 dicembre 2000- pag 31