Colloqui linguistici - Gennaio
2007
a cura di Nunzia latini
E' con noi, per questo mese di gennaio,
FEDERICA RICCI GAROTTI, professore associato di lingua e traduzione
di lingua tedesca, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università degli studi di Trento.
Si occupa di glottodidattica
del tedesco, di apprendimento precoce delle lingue straniere e seconde,
della continuità linguistica nei diversi gradi di istruzione e del
Bilinguismo ed insegnamento veicolare.
Un insegnante
di lingua straniera è più come Mary Poppins o più come Cenerentola?
Quando ho
intitolato il mio libro
"La rivincita di Cenerentola" non mi riferivo agli insegnanti, ma
alla glottodidattica come disciplina, che è sempre ancora l'ultima. In
realtà, anche gli insegnanti di lingue sono più Cenerentole, perchè,
coerentemente con quanto succede in ambito accademico, la lingua viene
considerata ancora una cosa eminentemente pratica - da lavori di casa -
e non teorico-cognitiva. E' ancora relegata ai piani inferiori, mentre
le sorellastre e la matrigna (pedagogia e psicologia, linguistica,
neurobiologia eccetera...) regnano ai piani superiori. Ma il titolo
rivela anche il mio ottimismo, dato che si parla di una
rivincita....alla fine il principe sposa Cenerentola e non le
sorellastre. Vale a dire che forse l'insegnante di lingue, anche se ha
davanti un duro lavoro, alla fine ha anche il maggiore successo.
Tutti possono
insegnare le lingue a tutti, anche all’interno della stessa
professionalità. Dovrebbero esserci sostanziali “specializzazioni”.
Ancora oggi non c’è una profonda coscienza della scientificità della
glottodidattica.
La
glottodidattica è una scienza e come tale rifugge inorridita dall'idea
del tutto a tutti. Esistono ormai per tutte le lingue - comprese le meno
diffuse come il tedesco - pubblicazioni che differenziano gli approcci
in relazione ai destinatari. E' ovvio che debbano essere diversi,
proprio per il portato cognitivo della lingua stessa. I bambini
apprendono in maniera più globale, gli adulti più analitica. Le soglie,
ahimè, fisiologiche (della pronuncia, della memoria) richiedono un
accento maggiore su certi aspetti piuttosto che su altri. Ciò non
significa però che i giochi siano fatti già in tenera età, come
erroneamente si tende a credere: è vero che dopo la pubertà è molto più
difficile, ad esempio, ottenere la stessa pronuncia di un nativo, ma il
processo di apprendimento dura tutta la vita, non è mai concluso,
proprio perchè tutti noi la lingua continuiamo ad usarla e a farla
crescere.
Qual è
l’obiettivo più importante che dovrebbe avere un vero insegnante di
lingue?
L'obiettivo di
un buon insegnante non deve essere quello di far parlare l'apprendente
COME un nativo, ma di metterlo in grado di parlare CON un nativo.
La differenza è profondissima sul piano metodologico.
Perchè una
persona italiana ha un approccio “difficile” con la lingua tedesca? A me
sembra un bel "esercizio di stile e logica". Viceversa, una persona
tedesca, secondo la Sua opinione, come apprende la lingua italiana?
Il problema non
riguarda solo il tedesco ma tutte le lingue straniere che non siano
l'inglese. Perchè? Perchè nel profondo della sua coscienza e incultura
l'italiano ritiene che la lingua straniera sia solo un fatto
strumentale, opzionale e non formativo. Dunque, inconsistente e
destinato a pochi eletti (vedi retaggi crociani-gentiliani per cui
fondamentali sono solo l'italiano e la matematica). Detto questo non
credo che esistano dei problemi squisitamente linguistici per gli
italofoni, direi piuttosto culturali. Oltre alla incultura linguistica
di cui sopra, certe lingue richiamano automaticamente stereotipi
culturali, che sono semplificazioni tipiche dell'italiano medio, che
diciamo, non si distingue particolarmente per tolleranza e
flessibilità...
Infatti! Sono
d’accordo. Se scoprissimo la capacità d’ascolto e dell’ascoltare,
saremmo non solo poliglotti ma anche più tolleranti…verso noi stessi e
le nostre capacità anche.
Dunque le differenze linguistiche per un problema culturale..
Ecco che il
tedesco è duro, il francese altezzoso, lo spagnolo divertente e così
via. Di qui a dire che una lingua è facile o difficile e a farsi
condizionare nel proprio apprendimento il passo è brevissimo. I tedeschi
che studiano italiano lo imparano bene, ma va detto che loro sono molto
più avanti di noi in quanto a metodi d'insegnamento, più pragmatici e
meno grammaticali.
Arriverà la
glottodidattica ad essere classe o rimane didattica della lingua
straniera?
Per adesso credo
di no. E' già tanto riuscire a sganciarsi dalla pedagogia! Sono
piuttosto pessimista. Soffriamo ancora di questo spiacevolissimo
pregiudizio di non essere vera scienza, ma solo una simpatica prassi. In
realtà non sono nemmeno del tutto d'accordo con l'idea che la
glottodidattica sia interdisciplinare come dice Balboni. Credo che ormai
la glottodidattica abbia diritto alla propria autonomia, che è fatta
anche di studi cognitivi, oltre che sul campo, di meccanismi
metacognitivi e psicologici, di un portato culturale enorme, che non
viene preso a prestito da nessuno. Gli esempi fatti nella risposta
precedente dimostrano che lingua senza cultura non significa nulla, così
come non può esserci didattica senza psicologia dell'apprendimento,
dinamica di gruppo, scienze sociali...Alla faccia della praticona! la
battaglia che dobbiamo condurre è questa: assumere autonomia come
glottodidattica in campo accademico e come glottodidatti - anzichè
insegnanti - in campo scolastico.
Mi sembra di
pensare alla disciplina geografica, che non è antropologia o scienze
della terra ma Geografia! Uomo e ambiente in una codifica e decodifica
continua e trasformazione continua. La geografia ha il suo momento di
conoscenza e approfondimento. Ha in sé una qualità interdisciplinare che
tecnicamente polarizza gli studi disciplinari.
La
glottodidattica non è interdisciplinare. Ha il suo momento di ricerca
applicata. Arriva in un momento preciso di decodifica didattica.
Bene, ora
lasciamo spazio alla nostra comunità informata e che si vuole informare,
lasciamo spazio per le domande magari nell’ambito di studio della
Professoressa e cioè:
apprendimento precoce delle lingue straniere e seconde, della continuità
linguistica nei diversi gradi di istruzione; del Bilinguismo e
dell’insegnamento veicolare.
Vi aspettiamo
stranieri@edscuola.eu
Nunzia Latini
Oggi sono veramente arrabbiata in seguito agli
scrutini che si sono tenuti nella mia scuola. Nella classe è
inserita un'alunna straniera che si sta impegnando davvero tanto;
naturalmente ha un piano di lavoro personalizzato molto diverso da
quello del resto della classe. Visto l'impegno della ragazza e i
risultati positivi nelle verifiche differenziate, coerenti con la
programmazione studiata per lei, l'ho valutata con buono sulla
scheda di fine quadrimestre. La dirigente si è molto arrabbiata,
dicendo che l'allieva non può aver già raggiunto un livello buono di
conoscenza della lingua. In conclusione la mia valutazione è rimasta
e mi sono presa una bella sgridata in quanto "non ho capito niente"
Datemi la vostra opinione in merito!!!
Cara Elena,
non ti consolerà, ma sei decisamente in buona compagnia. Ti racconto
questa: nella scuola media in cui insegnavo nell''85, il Preside,
che per fortuna allora non si chiamava ancora dirigente, sosteneva
di aver ricevuto una circolare dal ministero, in cui si esortavano
le scuole ad una valutazione non punitiva degli alunni nella scuola
dell'obbligo. Poichè la classe in questione era davvero pessima, il
consiglio ha esordito con due bocciature. Si procedeva in ordine
alfabetico. Arrivati ai cognomi con la lettera G le bocciature
proposte erano tre. A quel punto il preside ha stoppato tutto,
dicendo che tre bocciature erano già troppe per una classe sola.
Dunque gli alunni peggiori, il cui cognome iniziava con la T o con
la R, sono stati promossi per una semplice strategie alfabetica! A
nulla sono valse proteste e richieste di ragionevolezza o di
revisione comune dei criteri. Questo era e questo è restato. Ti
lascio immaginare la figura davanti agli alunni e alle famiglie che
hanno visto bocciare alcuni e promuovere altri senza esplicitazione
alcuna dei criteri, visto che non potevamo dire certo che l'unico
criterio utilizzato era quello dell'ordine alfabetico.
Questo per dirti che le ragioni sfuggono spesso dalla logica dei
dirigenti, molto diversa da quella degli insegnanti. Tu hai fatto
bene a tenere duro, ma la tua vicenda dimostra una volta di più
quanto sia INDISPENSABILE presentare, assieme alla valutazione
finale, anche i criteri di valutazione, le osservazioni fatte, i
parametri delle osservazioni e tutti i passaggi della valutazione
formativa. Di fronte a fatti come questi, tutte le altre valutazioni
rischiano di essere intuizioni, e quindi contestabili, oppure
dettate da altri motivi, come nel caso del mio preside, che però, a
quel punto, si deve prendere la responsabilità di sostenerle e
argomentarle. Certo l'argomentazione non può essere che
"l'insegnante non capisce niente", ma gli insegnanti si devono
attrezzare per tutte le contestazioni possibili, presentando fatti,
compiti, documenti, schede di osservazione... La valutazione è un
compito spiacevole, ma è bene che tutti noi siamo consapevoli del
fatto che fa parte del nostro ruolo. Quindi dobbiamo essere
preparati, documentati e .... agguerriti!
Siamo una coppia di giovani genitori, mio
marito parla 3 lingue, olandese (lingua materna) e vissuto entro i
dieci anni, italiano (lingua paterna) e vissuto maturo, tedesco per
vissuto adolescenziale e ogni tanto anche l'inglese. Io sono
italiana, parlo l'inglese e il francese e capisco tante altre lingue
per lavoro. Come comportarci "linguisticamente" con i nostri bambini
di 8 e 2 anni affinché possano "ascoltare e produrre" lingue? La più
grande ha orecchio, va bene con l'inglese ma vorrebbe studiare il
francese e qui nessuno glielo insegna (elementari). So che la scelta
naturale
della propria lingua da parte dei genitori, anche se diversa
dall'ambiente in cui si vive, è considerata la scelta migliore. Io
credo nell'apprendimento precoce e nell'assorbimento "forte" entro
gli 8 anni dei bimbi, come mi posso organizzare per i miei?
Ecco il mio consiglio: io credo fortemente nel ruolo dei genitori
come figure affettive e identitarie,
meno come figure pedagogico-didattiche...quindi secondo me voi due
dovreste comportarvi linguisticamente coi bambini attraverso la
vostra "lingua del cuore" o, se ne avete più d'una, le lingue del
vostro cuore. Parlate loro quella lingua che vi viene più spontanea,
e meglio se sono più d'una, i bambini capiranno che è possibile
avere più d'una identità, cosa che purtroppo la maggior parte della
gente non ha ancora capito... Non insegnate loro nulla, ma
comunicate, raccontate, cantate, giocate nella lingua che vi viene
meglio. tenete presente comunque che l'ambiente esterno gioca un
ruolo fondamentale e purtroppo dominante, quindi se state in Italia
i vostri pargoli preferiranno l'italiano. Direi che dunque sarà
fondamentale l'approccio del padre, visto che
la mamma è italiana, ma questo approccio potrebbe essere rafforzato
dalla mamma. Quindi se il papà decide di parlare l'olandese perchè
gli viene più spontaneo, anche la mamma potrebbe affiancarsi, così
da farla diventare la lingua della famiglia. Idem per le altre
scelte, escludendo quindi l'italiano, se optate per il
plurilinguismo, tanto quello arriverà comunque e sarà prevalente.
L'olandese mi sembrerebbe un'ottima scelta per tanti motivi: è una
lingua duttile e germanica, dunque renderà più facile
l'apprendimento scolastico sia del tedesco che dell'inglese... Per
quanto riguarda il francese, visto che non è la lingua madre di
nessuno di voi, e se non ci sono asili o scuole francesi, limitatevi
a qualche contributo esterno, baby sitter, au pair, film, qualche
giocheria....tutto va bene. L'importante è che quei fortunelli dei
vostri figli capiscano che avranno a disposizione molte più parole
degli altri per dire "luna" o "pappa" e già questo gli farà girare
le rotelle del cervello.... Posso darvi un consiglio da
ricercatrice? Osservate i comportamenti linguistici dei vostri
bambini, annotateli, registrateli...saranno materiale prezioso per
una ricerca!
Sarei molto interessata a capire alcuni aspetti
dell'insegnamento integrato per la lingua italiana. Non e'
facile nella mia scuola trovare un collega disciplinare che voglia
lavorare insieme per diversi ordini di motivi: non
conoscenza del metodo e squilibrio della mole di lavoro da
affrontare da parte di chi lo conosce; voglia di non andare oltre il
minimo indispensabile; si crede che gli studenti non abbiano voglia
di fare nulla; la classe di 29 soggetti tra i 14 e i 17 anni e'
difficilissima a livello comportamentale. Solo con la collega di
inglese ci stiamo
riuscendo perche' entrambe conosciamo il metodo, abbiamo lo stesso
senso dell'insegnamento e conosciamo bene la classe. Il tema da
sfondo alle lezioni e' il viaggio. Ai ragazzi è piaciuto moltissimo,
sono stati attenti, hanno prodotto frasi (non a casa ma dopo in
classe) hanno voglia del confronto tra la lingua italiana e inglese.
In due li abbiamo potuti seguire bene. Domanda: come procedere con
la valutazione nelle due discipline? parallelamente o integralmente?
Intanto complimenti per la felice esperienza. Se può, la documenti,
anche magari presso la rivista dell'ANILS, è sempre bello vedere che
ci sono colleghi che riescono a lavorare anche con le classi
difficili senza cercare
alibi. Per la valutazione io proporrei un voto integrato, visto che
avete lavorato assieme, che potrebbe comparire sia nell'una che
nell'altra materia. Mi permetto di consigliarvi molta attenzione in
questa fase, perchè, come certo saprete, gran parte della
motivazione intrinseca deriva dall'autostima dello studente, che
ovviamente dipende molto anche dalla soddisfazione e dal voto che
riceve.
Tanti cari auguri di buon lavoro e un caro saluto
Salutiamo con grande affetto e stima la prof. Ricci Garotti
che ci ha dato la sua consulenza liberamente e con generosità e la
ringraziamo per essere stata disponibile tutto questo tempo.
Prossimamente "Colloqui Linguistici" ospiterà un altro "GURU" della
glottodidattica.
a Presto,
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