Colloqui linguistici - Ottobre
2006
a cura di Nunzia latini
E' con noi, per questo mese di ottobre, il prof. Gianfranco
Porcelli.
Salve professore,
Lei ha una lunga carriera nell'ambito linguistico: chi è oggi Gianfranco
Porcelli?
Tecnicamente, oggi Gianfranco Porcelli è un pensionato INPDAP. In realtà
è un insegnante al 45° anno di attività, cominciata come maestro
elementare e tuttora in corso come docente a contratto SSIS (alla SILSIS
di Pavia) e in un Corso di Laurea di Mediazione Linguistica a Milano.
E' presidente dell'ANILS dal maggio 2005 e come tale mantiene costanti
rapporti con il Ministero della Pubblica Istruzione, l'INDIRE e numerose
realtà locali.
Molto del suo tempo è dedicato alla direzione della "Rassegna Italiana
di Linguistica Applicata" (la rivista scientifica fondata - e diretta
per oltre 30 anni - da Renzo Titone) e di "Scuola e Lingue Moderne",
organo ufficiale dell'ANILS.
Il suo primo intervento come formatore nel settore della didattica delle
lingue risale al settembre 1970 - e da allora non lo hanno mai lasciato
smettere.
E' autore di circa 200 titoli, tra cui una trentina di libri, nei
settori della Glottodidattica e della Linguistica Inglese.
L'elenco dei libri e altre notizie si possono trovare nel blog
http://gporcelli.altervista.org.
Tra i tanti argomenti di studio o ricerca linguistici di cui si è
occupato, qual è quello che Le sta più a cuore?
Il primo amore non si scorda mai e i primi articoli sui miei studi sono
stati sul tema delle verifiche e del testing di lingua straniera. Nel
1975 ho pubblicato il primo volume monografico sull'argomento apparso in
Italia.
Il tema l'ho ripreso negli ultimi tempi, con il titolo provocatorio
"Verifiche comode e verifiche valide". Trent'anni fa c'era il problema
di mostrare come si potesse controllare l'apprendimento linguistico
senza far tradurre frasi.
Oggi c'è il problema opposto: alcuni fotocopiano dei test, li
somministrano alla classe e controllano solo se ci sono le crocette al
posto giusto e/o se i "buchi" sono stati riempiti abbastanza
correttamente. Comodo, vero? Se poi gli esaminati non sono in grado di
spiegare che cosa vogliono dire le frasi su cui hanno lavorato (in
concreto, non sanno darne una versione italiana) poco male...
Ma mi sta a cuore tutto: la glottodidattica o porta a sistema coerente
tutti gli aspetti, settori e livelli coinvolti, oppure semplicemente non
è.
L'Italia in effetti difetta dal punto di vista del testing, della
verifica ma anche verso una seria valutazione. Nelle lingue questi
aspetti sono da considerarsi in funzione dei livelli di conoscenza e
avanzamento e del proprio apprendimento.
Perché c'e' così poca considerazione, secondo lei, di questi momenti
didattici così importanti?
Tanto è bello insegnare, altrettanto è faticoso, difficile e spesso
frustrante esaminare. Il rapporto di insegnamento è un rapporto di
aiuto, facilitazione, spiegazione, trasmissione del sapere, stimolo alla
riflessione... continuate voi! Le verifiche ci trasformano da persona
che aiuta a persona che giudica e, se necessario, sanziona. Le verifiche
sono spesso vissute come momento conflittuale, nel quale l'esaminato può
giungere a imbrogliare (copiature, suggerimenti, ecc.) pur di mostrare
un profitto che non ha e l'esaminatore fa il poliziotto per impedire
ciò. Inoltre, brutti voti e bocciature sono spesso la testimonianza del
nostro insuccesso come formatori - se non come singoli, come inefficacia
del sistema in cui dobbiamo operare.
Lo diceva già John Dewey: l'insegnante non deve essere colui che crede
di avere venduto una merce che nessuno ha comperato. Le prove di
controllo sono necessarie, ma il clima sociale è spesso iperprotettivo
nei confronti di scolari e studenti: ci si comporta come quegli stupidi
che non fanno regolarmente i test medici di controllo e scoprono di
avere il cancro quando è troppo tardi. Oppure fanno solo test
superficiali e non un check-up approfondito.
Un insegnante che non controlla a fondo l'apprendimento può essere
assimilato al medico che finge di avere solo persone sane attorno a sé -
un pessimo medico! Usare test a scelta multipla o di completamento
rinunciando a indagini più impegnative può essere un modo per mascherare
le carenze nelle competenze che servono davvero, cioè quelle spendibili
al di fuori della scuola: saper leggere testi (dai messaggi di sistema
sul computer fino alle liriche delle canzoni), saper conversare, saper
corrispondere per iscritto, e via esemplificando.
Qui naturalmente il discorso si allarga: saper ripetere in italiano la
regola della "duration form" può servire a scuola - e basta. Saper
parlare in inglese di ciò che ci succede da qualche tempo a questa parte
può servire nella vita. Questo vuol dire integrare le conoscenze
morfosintattiche con tutto il resto (dalla pragmatica della
comunicazione all'intercultura) in un quadro organico. Quel quadro
organico a cui accennavo nella risposta precedente e sul quale sarà
necessario ritornare ogni volta.
La glottodidattica come sistema coerente di tutti gli aspetti ...
interessante! Lei ha scritto anche di questo...
Ho scritto due libri, nel 1994 e nel 2004, sui principi della
Glottodidattica e sugli sviluppi recenti, per un totale di 450 pagine.
Altri colleghi hanno scritto opere di ampio respiro che dovrebbero far
parte della biblioteca di ogni insegnante di lingue che si rispetti. Al
massimo, su richiesta, potrei fornire una bibliografia (a mio giudizio)
essenziale.
Cosa si sente di consigliare ad un giovane docente che comincia oggi la
sua professione nella scuola, in ogni ordine e grado?
A chi comincia: non cominciare come ripiego perché non trovi altro
lavoro o vuoi fare la "mamma" a mezzo servizio. La scuola è un inferno
per chi non AMA insegnare.
E ai docenti che hanno già una 15-20 ina di anni di professione alle
spalle?
Agli altri: ti auguro di provare sempre la stessa emozione e lo stesso
entusiasmo che provo io oggi al 45mo primo giorno di scuola. Se questo
entusiasmo è stato perduto, raccomando almeno un sufficiente livello di
professionalità: abbiamo davanti persone, non scartoffie - guardiamole
negli occhi e non deludiamo le loro attese. Gli insegnanti burocrati e
abulici rendono un pessimo servizio alla società; ma non credo che ve ne
siano tra coloro che leggono queste pagine... è un predicare agli
assenti.
Ora apriamo il dialogo con il pubblico e attendiamo le vostre domande!!!
Grazie prof. Porcelli, rimaniamo in linea ..
dai nostri e-frequentatori della mlist di stranieri
>Buongiorno professor Porcelli, ho studiato sui suoi libri e sono
felice di poterla contattare e farle una domanda:
Cosa ne pensa delle lauree in mediazione interculturale e quanta
differenza c'e' poi con le lauree in traduzione?
Tanto poi alla fine di un lavoro non credo che possa comunque portare
scelte specifiche.
E' una sensazione che abbiamo in diversi, tanto valevano le lauree
standard... Grazie, Silvia da Napoli
Se si riferisce alla nuova denominazione, credo che ben poco sia
cambiato rispetto alla vecchia - nel senso che già prima era
indispensabile essere attenti alla dimensione interculturale. Il nuovo
nome sottolinea questa esigenza.
La laurea in sé è interessante. Alla mia tenera età mi sono lasciato
coinvolgere proprio in una nuova iniziativa milanese, un corso serale di
mediazione rivolto a lavoratori - in effetti, lavoratrici. Persone che
nel lavoro già usano le lingue ma hanno bisogno di un titolo di studio,
o persone che per sviluppare la loro cultura trovano affascinante quell'orientamento.
Come dar loro torto?
> La situazione dell'insegnamento nelle scuole delle lingue straniere e'
penoso, professore, non riesco a fare un percorso clil perche' nella
trasversalità nessuno vuole dedicare ore a corsi integrati, da solo non
mi va di remare contro corrente e fare la mosca bianca...anzi nerissima,
sono giovane ma inizio già invecchiato. Arrivederci da Carlo
Il CLIL (quello vero, non certe scimmiottature pressappochistiche) per
essere generalizzato presuppone un ricambio generazionale degli
insegnanti, soprattutto delle altre materie - quelli che oggi le lingue
in genere non le sanno. Ci si sta lavorando a livello europeo e da parte
di molti - è stato uno degli argomenti-chiave di un'importante riunione
promossa dal British Council a Roma lunedì scorso.
Sono al 45mo anno di insegnamento - dalle elementari alle SSIS - e non
ricordo un anno in cui la situazione non fosse penosa. Mi guardavano
strano quando arrivavo a scuola con la borsa normale in una mano e
quella del registratore a bobine (che lei probabilmente non ha mai
visto, appartenendo alla 'cassette generation') nell'altra mano. Ma non
importava, sono andato avanti per la mia strada. Ora siamo arrivati alle
TIC anche perché molti altri come me hanno fiduciosamente usato le
tecnologie man mano disponibili.
Abbia fiducia, porti avanti le sue iniziative nella misura del
possibile: il tempo dà ragione ai pionieri. > Lei crede davvero che le
nuove tecnologie per l'insegnamento siano un linguaggio che possa
attecchire e formare le nuove menti degli studenti?
Crede davvero che si possa trasmettere vera cultura del sapere
attraverso l'uso di esse? Lo studio mi sembra un'altra cosa....
E poi una persona che volesse studiare la lingua straniera on line è
davvero supportato dalle ITC? Non mi sembra di trovare in giro gran bei
prodotti, se
ne avesse da consigliarne.
Le rispondo con la sintesi di un articolo che sta per essere pubblicato
sulla Rassegna dell’Istruzione e lo potrà leggere per intero.
L’affermarsi del doppio canale (in presenza e on-line), nella formazione
in generale e in quella degli insegnanti in particolare, impone che ci
si interroghi anche sui limiti della componente informatica e sui
problemi che vi possono essere se si vuole che blended significhi
“sinergica e armoniosamente coordinata” e non semplicemente “mista” o
“parallela”.
I sistemi informatici sono accattivanti, una volta superato il primo
impatto e raggiunto un livello minimo di alfabetizzazione digitale. Ma
poi tutto dipende dai contenuti: monitorando siti dedicati, trovo Forum
disertati o frequentati solo da chi vuol dare segni di presenza
“attiva”. L’uso del copia-e-incolla da parte di questi ultimi è qualcosa
di più di un maligno sospetto: diceva Mark Twain che ci sono indizi
molto forti, come quando uno trova un pesce nella bottiglia del latte.
In positivo, che cosa si può fare nella formazione degli insegnanti? Si
deve esigere che le piattaforme on-line facenti parte di progetti di
formazione non siano valutate di per sé e solo dal punto di vista
tecnico, ma in stretta correlazione con i progetti formativi nella loro
totalità. È quanto hanno fatto negli ultimi mesi le Associazioni degli
insegnanti di lingue straniere a proposito della formazione di chi dovrà
insegnare inglese nella scuola primaria, in sintonia con INDIRE e MPI.
Perché un sistema blended funzioni a dovere si richiedono molte cose,
tutte ben note ai responsabili ed esperti della formazione a distanza ma
non altrettanto presenti nella coscienza di alcuni Tutor e di molti
destinatari finali dei progetti di formazione. Ad esempio, esplorare una
piattaforma e sfruttarne pienamente i potenziali richiede tempo – un
tempo che si deve esigere e sul quale, in effetti, sono in parte
commisurati i crediti riconosciuti.
Associare l’uso del computer alla velocità, al risparmio di tempo o,
peggio, alla fretta può costituire una grave distorsione: se tanta
importanza viene attribuita al riflettere (su se stessi come insegnanti,
sulle esperienze maturate, ecc.), ebbene nessuna riflessione può dirsi
tale se non la si sviluppa con la dovuta calma. Altrimenti non è altro
che uno zapping tra le proprie intuizioni e sensazioni.
Una pausa di riflessione sul valore, le ricche potenzialità e i limiti
(palesi e soprattutto nascosti) delle Tecnologie dell’Informazione e
della Comunicazione (TIC) può essere un momento molto importante
all’interno di un processo formativo. Un buon equilibrio tra
l’entusiasmo acritico e lo scetticismo ignorante è un traguardo
fondamentale nella preparazione di un insegnante.
Vi sono comunque anche vantaggi specifici nell’epoca della
multimedialità. Il canale elettronico è privilegiato quando occorre
usare materiale audio/video integrato in pacchetti informatici. Si
tratta di software che comunque richiede di lavorare al computer anche
qualora ci si recasse presso un Centro Risorse Territoriali o in altro
luogo attrezzato.
Sempre più scolari ci arrivano con una padronanza a volte invidiabile
nell’uso del computer. Come confermano indagini ad ampio raggio a
livello europeo, nell’età della scuola primaria tali competenze vengono
“spese” soprattutto per giocare, “scaricare” musica e filmati e
conversare on-line (si spera sotto la sorveglianza dei genitori, visti i
pericoli che si corrono). Sono competenze reali che possono facilmente
ri-orientate verso impieghi (in)formativi anziché ludici.
Per fare ciò è ovvio che occorrono insegnanti essi stessi competenti. Il
miglior modo per acquisire le competenze, ove già non esistessero, e per
affinarle, è di essere coinvolti in processi di formazione in cui esse
sono richieste per interagire in maniera più completa con i formatori e
con l’intera comunità. L’insegnante che ho in mente, e che questo tipo
di formazione blended dovrebbe arricchire professionalmente, è una
persona con la testa capace di esplorare con competenza e coraggio il
cyberspazio – e con i piedi per terra. |