Una proposta del pedagogista Benedetto Vertecchi,
presidente dell'istituto nazionale di valutazione ex Cede
A Roma e provincia gli studenti non italiani
sono ufficialmente più di diecimila,
il 10 per cento albanesi
di Nunzia Latini
"In che modo non penalizzare gli studenti che hanno come lingua madre una lingua diversa dall'italiano e non mortificare le culture di origine anche se, ovviamente, l'apprendimento dell'italiano resta l'obiettivo prioritario" e la proposta arriva da una "raccomandazione ufficiale" della commissione ministeriale che ha messo a punto i curricoli del settennio di base e spiegata dal pedagogista e presidente dell'Istituto nazionale di valutazione ex Cede, il professor Benedetto Vertecchi.
A Roma e in Provincia gli alunni non italiani sono ufficialmente 10.074, con il 10% di nazionalità Albanese. Ma in totale i numeri sono molto più alti, con classi che possono essere costituite anche da 14 stranieri e due italiani, come in provincia di Roma. Come affrontare una tale situazione multietnica in classe, per insegnare bene nell'interculturalità passando per la pluricultura? Attivando una serie di iniziative e utilizzare la quota di programma definita a livello locale da ogni singola scuola, pari al 20%, contro l'80% del curricolo definito a livello centrale dal ministero della Pubblica Istruzione: " Tutta la quota di competenze delle scuole deve essere riservata a discipline o ad attività tradizionalmente intese: una parte potrà invece essere destinata ai percorsi individualizzati di accoglienza, di orientamento di recupero di approfondimento non sempre riconducibili ad attività e insegnamenti disciplinari".
Questo significa che le scuole potranno organizzare attività che potranno aiutare sia i bambini stranieri, sia i bambini italiani a conoscersi, a integrarsi. Ai bambini stranieri potranno essere utili programmi di lingua italiana per apprendere ma anche per comunicare, una lingua che sia veicolo di bisogni primari; ai bambini italiani potranno interessare invece corsi di lingua straniera propria del compagno di banco che è magari cinese o arabo.
I problemi di lingua sono primari, subito dopo ci sono i problemi di altre culture, di altri modi di presentarsi o studiare. Le scuole potranno servirsi della quota di programma per definire obiettivi che possano" non far perdere la continuità con le culture di origine" continua il prof. Vertecchi "collegando però tali apprendimenti all'acquisizione della lingua e della cultura italiana, che resta il fine primario", la scuola quindi "dovrebbe valorizzare tutti gli elementi culturali già presenti nella popolazione, ma che, a volte, risultano compressi, come nel caso degli immigrati, e vanno quindi sprecati" è importante infatti porre il problema" in termini di sensibilità culturale: la tutela delle culture d'origine è infatti una scelta civile e rappresenta un'opportunità di arricchimento anche per gli studenti italiani".
Tra le soluzioni specifiche prese dalle scuole, secondo il tipo di studenti stranieri e la percentuale di presenza, si potrà individuare il "mediatore" che potrà essere sia "linguistico" che "culturale". Una figura nuova, particolare e complessa, di cui si parlerà a marzo in un convegno dedicato a queste tematiche e organizzato dall'ANILS, l'associazione nazionale di insegnanti di lingue straniere.
da Il Tempo, Scuola e Università, pag 25, 8 febbraio 2001