Il Dibattito II

13 Jan 98

Dario

Su Educazione&Scuola:

Smonta lo Spot

La pubblicità, con il suo corollario di slogan, effetti, suoni, immagini, è divenuta rapidamente uno dei tratti distintivi della comunicazione sociale ed interpersonale dell'oggi, interagendo con il quotidiano valoriale dei 'consumatorì di ogni fascia di età.

Rispetto a tale fenomeno il mondo della scuola e dell'educazione non può esimersi dal confronto e dall'analisi chiedendosi

- come esso dialoghi o si sovrapponga alla formazione dell'individuo e del cittadino

- quale areté e quali modelli individuali e sociali offra ai giovani

- in che modo influenzi i comportamenti, la capacità di scelta, lo spirito critico di tutti noi

Ciò, ovviamente, senza trascurare che

1. la pubblicità ha una sua 'grammatica' ed un suo 'codice' di comunicazione che devono essere acquisiti e compresi per poter operare un'analisi seria del tema;

2.''quando la pubblicità fa bene il suo lavoro, milioni di persone mantengono il proprio'' (come sottolineava l'Associazione degli utenti pubblicitari e delle agenzie americane, quattro anni fa, nel corso di una campagna internazionale).

Educazione&Scuola (http://www.edscuola.com), la prima e più diffusa rivista telematica della Scuola e della Formazione, e ItaliaOggi, il quotidiano dei professionisti dell'Economia e del Diritto, che di tale fenomeno si occupa da tempo con una specifica sezione (Media e Pubblicità) e che dedica un inserto settimanale (Azienda Scuola) al mondo dell'Educazione, in collaborazione con il CESGI, propongono:

*SMONTA LO SPOT*

I segreti della pubblicità analizzati e svelati dagli studenti

La prima ricerca sulla pubblicità indirizzata a tutte le scuole italiane

Un'apposita scheda di raccolta dati (che propone anche la possibile creazione di un messaggio pubblicitario) ed un glossario dei termini sono disponibili:

- in rete all'indirizzo: http://www.edscuola.com/spot.html

- sulle pagine di ItaliaOggi

Insegnanti ed alunni potranno inviare richieste di spiegazione a ItaliaOggi o a Educazione&Scuola. Risponderanno i maggiori esperti della pubblicità italiana:

- Maurizio D'Adda (campagne Clio, Vov, Perugina, ...)

- Emanuele Pirella (campagne jeans Jesus, Pomì, Gatorade, Superga, ...)

- Marco Testa (campagne Lavazza, Lancia, Ariston, Telecom, ...)

- Gavino Sanna (campagne Barilla, Rana, ...)

- Giorgio Triani (sociologo della comunicazione, tiene la rubrica quotidiana su ItaliaOggi di critica televisiva 'Fuori dai giochì)

- Federico Unnia (pr dell'agenzia Mavellia, esperto di autodisciplina pubblicitaria)

Coordina Fabiana Giacomotti, responsabile delle pagine Media e Pubblicità di ItaliaOggi

Le risposte degli esperti alle vostre domande saranno pubblicate su Educazione&Scuola e su ItaliaOggi.

Le richieste di chiarimento e gli elaborati (la scheda e l'eventuale messaggio pubblicitario) saranno esaminati dai nostri esperti e dovranno essere spediti entro il 31 maggio 1998:

- via e-mail a Educazione&Scuola (spot@edscuola.com)

- via fax a Fabiana Giacomotti, ItaliaOggi (02-58317518)

- per posta ordinaria a Smonta lo Spot, via Paganini n. 5, 20131 Milano - via del Castro Pretorio n. 42, 00185 Roma

I migliori lavori saranno pubblicati da ItaliaOggi e Educazione&Scuola.

13 Jan 98

Claudio

SCUOLA: I PUBBLICITARI INSEGNANO I SEGRETI DEGLI SPOT

Quattro dei più famosi pubblicitari italiani, Maurizio D'Adda, Emanuele Pirella, Marco Testa e Gavino Sanna aiuteranno gli studenti delle scuole medie superiori a decodificare il linguaggio pubblicitario nell'ambito dell'iniziativa "Smonta lo Spot" organizzata da Educazione&Scuola e da ItaliaOggi in collaborazione con il centro studi Cesgi.

Gli studenti analizzeranno grammatica e codici comunicativi dei messaggi e realizzeranno, a loro volta, un manifesto o uno spot.

I pubblicitari coinvolti forniranno agli studenti le informazioni richieste e esamineranno gli elaborati finali. Sui problemi della comunicazione le scuole avranno anche il supporto del sociologo Giorgio Triani e dell'esperto di autodisciplina pubblicitaria Federico Unnia.

L'iniziativa, che è la prima ricerca sulla pubblicità indirizzata a tutte le scuole italiane, avrà termine il 31 maggio con la pubblicazione dei migliori elaborati delle classi su Educazione&Scuola e su IaliaOggi

14 Jan 98

Davide

Propongo di spedire la scheda con un'e-mail collettiva a tutte le scuole in rete.

1) Quanto e in quali modi viene usata la pubblicità "subliminale" ?

2) Considerereste un pericolo per il vostro lavoro il fatto che larghi strati di consumatori prendano "coscienza" dei contenuti dei vostri messaggi e si regolino di conseguenza ?

3) Considerato che viviamo nella società dell'"immagine" come mezzo efficace per trasmettere messaggi a forte contenuto utilitaristico, perché la maggioranza di voi ritiene "pericoloso" per il proprio lavoro ospitare negli spot le situazioni e le persone aventi anche fare con l'handicap ?

4) Esiste fra di voi una "corrente" di pubblicitari "con etica"?

5) Se sì, quali "valori" intenderebbero promuovere verso le giovani menti del terzo millennio ?

14 Jan 98

Marco

SMONTA LO SPOT?

Sono Marco Morosini. Ho scritto dal 1992 parte dei testi teatrali e televisivi e gli articoli di Beppe Grillo, in particolare quelli sul tema pubblicità. Ma il nostro lavoro sembra non aver lasciato molte tracce.

Posso suggerire - se si fosse ancora in tempo - di aprire un discorso davvero critico con un titolo così promettente come SMONTA LO SPOT?

Ben vengano i professionisti e i militanti della pubblicità. Ma non dovrebbero occupare la quasi totalità del panel. Almeno una metà dovrebbe essere lasciata a chi non fa parte della corporazione e la considera in modo critico dal di fuori.

Oliviero Toscani, Bruno Ballardini, Giuseppe Dippolito, Beppe Grillo sono i primi nomi che mi vengono in mente. Sicuramente se ne possono trovare altri, rivolgendosi alle associazioni dei consumatori o ambientali; per esempio Greenpeace, che usa per scopi non mercantili tecniche e metodi pubblicitari.

Un dibattito critico sulla pubblicità coordinato solo da pubblicitari e amici di pubblicitari non rischia di essere una ulteriore pubblicità alla pubblicità?

>2.''quando la pubblicità fa bene il suo lavoro, milioni di persone mantengono il proprio''(come sottolineava l'Associazione degli utenti pubblicitari e delle agenzie americane, quattro anni fa, nel corso di una campagna internazionale).

È troppo chiedere di smontare non solo gli spot ma anche questo slogan demagogico? È ammissibile proporlo addirittura come postulato di un discorso moderno sulla pubblicità?

Nei paesi industriali si comincia a porre l'obiettivo di aumentare il benessere attraverso una riduzione dei consumi (v. E. von Weizsaecker, A. Lovins, FATTORE QUATTRO - Doppio benessere con metà consumi, Edizioni Ambiente, Febbraio 1998; "Dichiarazione di Carnoules" del "Factor 10 Club", settembre 1997). Il principio del FATTORE DIECI (più benessere grazie alla riduzione dei consumi di materiali e di energia di un fattore 10 entro 50 anni) è stato recentemente riconosciuto e suggerito per le politiche economiche e ambientali sia dall'OCSE sia dai ministri europei dell'ambiente.

Alle soglie del 2000 e in tempi di automazione crescente è ancora ammissibile far circolare uno slogan da anni ' 60 (+ pubblicità = + consumo = + produzione = + posti di lavoro)?

Lo slogan "+ pubblicità = + posti di lavoro" fa il pari con le reclame della Marlboro che mostrano sani e nerboruti fumatori, dotati di denti bianchissimi.

Non è difficile rendersi conto che la propaganda commerciale su larga scala è la fabbrica della disoccupazione, non dell'occupazione. I volumi enormi degli investimenti pubblicitari sono infatti proporzionali alla grandezza delle imprese e questa è proporzionale al grado di automazione, robotizzazione e razionalizzazione della forza lavoro. Mille tonnellate di biscotti prodotti fino a ieri da 100 fornai oggi possono essere fabbricati da 10 dipendenti del Mulino Bianco. Ma la qualità, la genuinità e i carichi ambientali non sono gli stessi. Così come 100 miliardi di volume di vendite possono essere realizzati da 200 piccoli dettaglianti oppure da 0 dipendenti della Standa. Secondo Jeremy Rifkin fra pochi decenni la produzione industriale occuperà non più del 2-3% della forza lavoro.

Una parte di questa razionalizzazione è non solo inevitabile ma anche desiderabile. Ma non tutta. L'industria agro-chimico-alimentare sta infatti cercando di sostituire i cibi genuini con prodotti sintetici e semisintetici, fabbricati con grande dispendio di energia, di materiali, di manipolazioni genetiche, di pesticidi, di antibiotici, di imballaggi, di trasporti, con danni ambientali e con pregiudizi per la salute. Ma con grande automazione, con pochissima manodopera e con moltissima pubblicità.

Patatine transgeniche, fritte in olio sintetico di poliestere (Olestra) fabbricato da una multinazionale dei detersivi, imbalsamate con conservanti sintetici, insaporite con aromi da culture in vitro, trasportate per migliaia di chilometri: chi le mangerebbe se sapesse come son fatte? Chi le mangerebbe senza la pubblicità? In compenso, possono essere prodotte quasi senza forza lavoro.

Quando la pubblicità fa il suo lavoro, milioni di pubblicitari mantengono il proprio.

[Questa mail è stata parzialmente riprodotta in Italiaoggi del 27/01/98, cui faceva seguito la risposta di Giorgio Triani.]

15 Jan 98

Agostino

La risposta di Marco è molto esauriente e non c'è molto da aggiungere.

Il tentativo di fare pubblicità parlando di pubblicità infastidisce proprio perché mascherato, strisciante, dietro un'apparente proposta didattica.

Quando poi dei professionisti del commercio vengono rappresentati come massimi "esperti" di pubblicità, insomma... la cosa si commenta da sé.

Beninteso, non voglio dare di ciò la colpa a Dario che ci ha riferito la notizia, anche se forse poteva risparmiarcela.

18 Jan 98

Dario

Cari Marco ed Agostino, cari amici di EGOCrea, cari amici della ML di E&S (in CC),

alcune riflessioni ed alcuni chiarimenti.

1. ''Smonta lo Spot'' NON è una delle notizie distribuite da Educazione&Scuola.

Al contrario ESSA è un'iniziativa nata in seno alla ML di E&S, dopo circa due mesi di dibattito sul tema (a mero titolo di cronaca vi segnalo che il titolo inzialmente proposto era: PRIMO PREMIO PUBBLICITà... REGRESSO).

2. I temi riportati nella presentazione dell'inziativa, anche in questa ML, NON sono stati arbitrariamente scelti da chi scrive.

Essi (anche, ma non solo, il tanto discusso slogan dell'Associazione degli utenti pubblicitari e delle agenzie americane) sono stati presentati in lista e come tali riprodotti in un contesto che invitava alla riflessione, al dialogo ed al confronto;

3. Francamente sono meravigliato dal clima da ''caccia agli untorì' con cui tale iniziativa - che nasce da un'agorà di 300 persone (tutte seriamente impegnate nel rinovamento dei processi formativi) e con il fine di confrontarsi criticamente con un fenomeno, come la pubblicità, che, lo si voglia o meno, investe tanta parte della quotidianità nostra e delle nuove generazioni - sia stata etichettata (la cattiva influenza degli spot?) come ''il tentativo di fare pubblicità parlando di pubblicità (...) mascherato, strisciante, dietro un'apparente proposta didatticà'.

4. Gli esperti contattati (i quali vorrebbero, in ragione delle vostre osservazioni, confrontarsi mio tramite con voi direttamente in ML) appartengono sia al mondo della pubblicità sia a quello della formazione e della informazione.

Hanno accettato con entusiasmo l'iniziativa proposta pronti al confronto con docenti e studenti sul tema.

Le domande (ed in seguito le risposte) - che penso sarebbe opportuno leggere PRIMA per meglio comprendere lo spirito dell'iniziativa - sono disponibili dalla pagina: http://www.edscuola.com/spot.html

5. Sarei estremamente felice della partecipazione a ''Smonta lo Spot'', stante la loro disponibilità, da parte dei personaggi (Oliviero Toscani, Bruno Ballardini, Giuseppe Dippolito, Beppe Grillo) proposti da Marco, con i quali però non saprei come stabilire contatti diretti.

18 Jan 98

Paolo

Caro Dario,

sono convinto delle vs buone intenzioni sulla tematica di "SMONTA LO SPOT", ritengo però che ben pochi sappiano smontare gli spot con criterio, perché i giovani e meno giovani sono abituati agli spot e non hanno acquisito strategie per smontare le finezze della psicologia della comunicazione che permettono alo "spot" di determinare un condizionamento mentale, il cui risultato resta a tutti evidente per il fatto che se un prodotto non viene reclamizzato diviene difficile venderlo.

Il tema andrebbe a mio avviso presentato e preceduto da un dibattito critico, del tipo di quello avviato da Marco, finalizzato ad intravedere le possibilità alternative dell' evoluzione dei sistemi di rete interattiva in contrasto con la unidirezionalità degli spot nella quale l'ascoltatore risulta passivo e passivamente condizionato.

La critica ad i sistemi di informazione non interattivi è molto ampia, proprio perché investe non solo gli "spot" ma il più vasto problema della <<democrazia culturale>> -non gerarchizzata- a cui i sistemi di informazione interattiva potranno in futuro dare un notevole contributo, solo qualora riusciremo ad impostare e comunicare una critica ben studiata del sistema di informazione uni-direzionale di cui gli spot sono parte integrante.

Pertanto ritengo che la iniziativa "SMONTA LO SPOT" vada collocata in un contesto critico/costruttivo, che non è fatto solo di domande e risposte su scheda, ma che necessita lo sviluppo di una nuova idealitàpolitica per lo sviluppo della società post-industriale della informazione interattiva.

Quest' ultimo obiettivo è ciò che di fatto ci unisce in tutte le nostre iniziative educative e culturali in rete.

18 Jan 98

Dario

Caro Paolo, cari amici,

ritorno sul tema che mi sembra, al di là delle posizioni, di largo interesse (ciò, fra l'altro, mi conforta nella scelta operata mettendo in moto questa iniziativa).

Premetto che il dibattito critico si è ampiamente svolto (più di due mesi) fra gli iscritti alla ML di E&S (che leggono questo reply in CC).

È inutile che io ti dica che le posizioni erano ampiamente diversificate ...

Ed è proprio per questo che si è optato per la formula aperta con cui ''Smonta lo Spot'' viene oggi presentato.

Ciò, a mio avviso, nulla toglie alle valenze ed alle possibilità offerte dall'iniziativa, che vorrei, sinteticamente (ri)considerare.

La pubblicità è un fatto.

Ignorarla, criticarla a priori, demonizzarla, non rappresenta, a mio avviso, una risposta.

Al contrario tale atteggiamento determina a monte un insuccesso rispetto ai fini.

Conoscere i suoi meccanismi ed il suo linguaggio, rendere palese ciò che è nascosto (sfatando ciò che è solo apparentemente palese), analizzare modelli e stilemi sociali più o meno occulti, snidare gli stereotipi più o meno espliciti, comprendere quali e quanti anticorpi sono presenti in noi e nei nostri giovani studenti dinanzi a tale fenomeno (di cui, non lo dimentichiamo, si nutrono), in altre parole educare alla lettura ed alla decodificazione di un messaggio pubblicitario credo debba essere non solo una possibilità ma anche un dovere.

Né mi sento di negare che tale analisi possa essere un'occasione per determinare modalità comunicative nuove ed utili anche in noi che educhiamo utilizzando nuovi media.

In tal senso invito a non banalizzare la proposta di creare un messaggio pubblicitario.

Essa, lungi dall'essere uno stimolo all'omologazione, vuole essere una verifica indiretta di quanto appreso non sul piano dei "contenuti"(verticalità e verticismo) ma, al contrario, su quello etico delle "scelte critiche non veicolate" (orizzontalità e democrazia).

Ora - senza vis polemica - una domanda:

quanti, fra coloro che sono intervenuti in questo dibattito - talvolta giungendo ad affermazioni quanto meno "precipitose" - hanno effettivamente visitato le pagine in oggetto (semmai soffermandosi sulle richieste effettuate da studenti e docenti) prima di manifestare pubblicamente il loro pensiero?

... che anche questa possa essere una verifica della nostra maturità nei confronti di quella "democrazia culturale non gerarchizzata" (anche dai preconcetti) che tutti noi auspichiamo?

19 Jan 98

Enrico

Paolo:

>Il tema andrebbe a mio avviso presentato e preceduto da un dibattito critico, del tipo di quello avviato da Marco, finalizzato ad intravedere le possibilità alternative dell'evoluzione dei sistemi di rete interattiva in contrasto con la unidirezionalità degli spot nella quale l'ascoltatore risulta passivo e passivamente condizionato.

Sono sostanzialmente d'accordo, anche se le cose possono essere fatte in contemporanea.

Cioè probabilmente faremmo una buona cosa se nel mentre lavoriamo coi nostri ragazzi, discutessimo insieme su certi spot (cartacei e non) che forse sarebbe meglio togliere dalla circolazione...

Mi chiedo però se gli altri colleghi ritengono che questo argument meriti d'essere trattato estesamente in lista, senza correre il rischio di finire fuori tema...

Se la cosa comunque interessa, sono pronto a discutere di quello che volete: i ragazzi m'hanno inondato di pubblicità alquanto sgradevole, su cui, anche per motivi "educativi", mi piacerebbe riflettere insieme ad altri insegnanti.

Ovviamente sarebbe bene poter vedere lo spot (in jpg, quindi scannerato) nel sito di Dario, per dare maggiore concretezza alla discussione.

19 Jan 98

Enrico

Dario:

>Cari Marco ed Agostino, cari amici di EGOCrea, cari amici della ML di E&S (in CC),

>alcune riflessioni ed alcuni chiarimenti.

Confermo. La prima mail che ho scritto su questo argument è del 7/11/97 e riguardava una sintesi della p.2 dell'Avvenire dello stesso giorno, tutta dedicata alla pubblicità...

Quanto al resto, direi anzitutto di non fare i pedanti...

Noi siamo insegnanti e ci poniamo compiti limitati...

In questo caso ci siamo posti il problema di capire un linguaggio: quello della pubblicità, e di verificarne messaggi e stili di vita. Punto.

Se poi nel corso del lavoro emergeranno altre esigenze: scoprire p.es. la politica della pubblicità, il suo rapporto col capitalismo, il suo ruolo nella globalizzazione ecc., ci porremo allora il problema di come affrontarle.

Noi non siamo docenti universitari che possiamo trattare per un anno intero un corso monografico sullo spot...

Quindi sottoscrivo pienamente le osservazioni di Dario!

19 Jan 98

Paolo

Caro Dario, tu dici giustamente che : "La pubblicità è un fatto" ed io mi sento di aggiungere, " DA CRITICARE " proprio come fatto storico che condiziona la gente e limita la democrazia.

Al convegno LRE - di Venezia (1996) nella sezione sul "IL TEMPO è DENARO?" discutemmo ampiamente di tale tematica concludendo che il "libero mercato" sia sostanzialmente impedito dalla reclamizzazione dei prodotti. Il libero mercato è stato considerato una componente decisiva della democrazia economica, perché nel rapporto tra -Produzione e Mercato- la gente che compra poteva liberamente scegliere i prodotti; tale fatto determina il potere del mercato sulla produzione e decide sulle reali condizioni della libera concorrenza.

Ma, quando i produttori detengono il potere di una informazione UNI-DIREZIONALE, che solo loro possono permettersi, il cui risultato è il condizionamento all'acquisto di questo o quello effettuate con modalità informative che deprimono il libero potere di scelta della gente allora la la democrazia economica a cui fa riferimento l'equivalenza tra libero mercato ed democrazia sociale viene falsificata ampiamente.

Questa tematica ed impostazione generale relativa al sistema di informazione uni-direzionale deglii spots, a mio avviso è veramente importante per sviluppare una critica di fondo ad un sistema di informazione "non interattivo", proprio perché essa costituisce la premessa decisiva per decodificare gli spot nel loro fondamento recondito sostanzialmente antidemocratico.

Purtroppo, da quanto ho letto in proposito, non mi sembra che gli studenti che "smontano lo spot", affrontino coscientemente tale tema di fondo, forse perché neppure se ne rendono conto, in vero anche a causa del fatto che lo spirito con cui affrontano il tema è quello di accettare gli spots come dato di fatto acquisito e forse immodificabile di una società dove l'informazione è ancora funzione del potere dei produttori e non della società democratica.

Questa è la opinione che penso sinceramente di poter sostenere. Ma certamente essa discende da una volontà di promuovere un cambiamento sociale necessario all'emergere della nuova società della informazione democratica, potenzialmente permessa dalle tecnologie interattive che da poco abbiamo iniziato ad imparare ad usare.

Ciò non comporta che la mia opinione su "smontare lo spot" sia negativa; anzi ritengo che sia un modo per capire il mondo in cui viviamo encomiabile e necessario, anche se non di per se sufficiemte allo scopo più "utopico" di promuovere una reale "democrazia culturale" a cui spero che tutti assieme e tramite le più varie iniziative in rete, potremo dare un importante contributo.

20 Jan 98

Davide

Marco scrive, riferendosi allo slogan demagogico proposto dall'associazione statunitense degli utenti pubblicitari (''quando la pubblicità fa bene il suo lavoro, milioni di persone mantengono il proprio''):

>È troppo chiedere di smontare non solo gli spot ma anche questo slogan demagogico?  ammissibile proporlo addirittura come postulato di un discorso moderno sulla pubblicità?

Davide Suraci:

in effetti è una "battutaccia" che non condivido ed è inoltre offensiva per i consumatori, i quali vengono trattati alla stregua di soggetti acerebrati. È un banalissimo luogo comune, purtroppo ancora diffuso nell'opinione pubblica, come quello che le tecnologie farebbero diminuire i posti di lavoro.

Marco:

>Nei paesi industriali si comincia a porre l'obiettivo di aumentare il benessere attraverso una riduzione dei consumi (v. E. von Weizsaecker, A. Lovins, FATTORE QUATTRO - Doppio benessere con metà consumi, Edizioni Ambiente, Febbraio 1998; "Dichiarazione di Carnoules" del "Factor 10 Club", settembre 1997). Il principio del FATTORE DIECI (più benessere grazie alla riduzione dei consumi di materiali e di energia di un fattore 10 entro 50 anni) è stato recentemente riconosciuto e suggerito per le politiche economiche e ambientali sia dall'OCSE sia dai ministri europei dell'ambiente.

Davide:

durante il dibattito preliminare alla preparazione dell'iniziativa avevo proposto una "kermesse" durante la quale ragazzi motivati avrebbero dovuto far "saltare" la "verticalità" costruendo domande sorte in seguito ad un brainstorming di classe. Questo avrebbe potuto comportare un alto valore pedagogico ma, dopo un ulteriore dibattito con Enrico, Anna e Claudio, mi convinsi (anche se la mia impostazione la ritengo tutt'ora validissima) che "smontare il giocattolo" avrebbe potuto rappresentare solo un primo approccio al tema più complesso dell'antitesi "verticalismo-orizzontalismo".

Tutto ciò che affermi nella tua e-mail lo condivido in pieno, ma credo che sia stato male interpretato (anche da Agostino) il fine di questa iniziativa: non fare pubblicità ai pubblicitari (quella è inevitabile dato l'averli chiamati in causa), bensì smontare lo spot per vedere come è fatto dentro... E se andate a http://www.edscuola.com/spot.html vi accorgerete del come gli adolescenti di una prima e seconda ITC di Cesena abbiano "smontato lo spot" al punto da mettere veramente in difficoltà i pubblicitari e di come uno sconosciuto insegnante di Lucca abbia tirato in ballo domande sull'etica sull'handicap negli spot... Leggetele, per favore, quelle domande; e voi, insegnanti della lista, se proprio non vi interessa l'iniziativa fatela perlomeno circolare fra i vostri colleghi o le scuole della vostra città. Scopriremmo dei ragazzi molto più cives di tanti adulti...

Quanto all'incapacità dei ragazzi ad analizzare i sottilissimi intrecci psicologici e motivazionali (come ritiene Paolo) intrinseci nello spot, andrei un po' cauto: bisogna incominciare presto a farglieli scoprire quei meccanismi, altrimenti diventeranno degli adulti sprovveduti, crescendo nella convinzione che ci si deve uniformare ai modelli ed obbedire alle regole ("l'obbedienza non è più una virtù..." come affermava Don Milani)...

Quindi niente di malcelato sotto "smonta lo spot", ma solo una modestissima proposta di ricerca, di analisi e di critica che altro non vuole raggiungere se non un po' di dialogo in più fra generazioni d'età non molto distanti (almeno per ciò che riguarda la pubblicità).

20 Jan 98

Claudio

Dal caso Da Breil al sesso in pubblicità: perché sempre donne?

Al problema, sollevato dalla classe 3 Bmer dell'Itc "Serra" di Cesena, risponderà domani, martedì 20 gennaio, su ItaliaOggi, Emanuele Pirella

Mercoledì 21 gennaio, invece, sempre su ItaliaOggi, Federico Unnia risponderà al quesito posto da Evis Giorgini della Classe 2 G dell'Itc Serra di Igea Marina sulle immagini choc durante i Tg

Tutte le domande degli studenti e le risposte degli esperti si possono leggere anche su Educazione&scuola all'indirizzo www.edscuola.com/spot.html

20 Jan 98

Enrico

La headline dice: <Toglietemi tutto, ma non il mio Bréil>.

Commento: Nella pubblicità la donna dichiara di poter rinunciare a qualunque cosa, purché non le si tocchi il suo Breil.

L'orologio assume un valore superiore a quello della propria persona. Alla protagonista potremmo fare "qualunque cosa", stando però attenti al suo Breil (a non romperglielo o a non rubarglielo).

Lo spot quindi invita da un lato a considerare la donna un oggetto di consumo sessuale e il sesso uno strumento per vendere l'orologio;

dall'altro a considerare il prodotto reclamizzato (in questo caso un orologio) come più importante del sesso e della stessa persona.

Se al posto della donna ci fosse stato un uomo, la cosa non sarebbe cambiata di molto: è indicativo però il fatto che quando si vuole sfruttare il sesso si usi quasi sempre la donna".

Classe 3Bpr Itc "R. Serra" - Cesena

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La risposta del presidente dell'agenzia Pirella Gottsche Lowe, Emanuele Pirella:

1. Mai prendere alla lettera uno spot pubblicitario. Sono degli esempi inventati, come le fiabe, come le parabole del Vangelo. Quello che vale è la morale della favola, non il racconto passo passo.

2. Qui siamo in un caso nel quale si illustra un modo di dire. Come se qualcuno si mettesse a illustrare un'espressione come "se non è così, mi faccio frate" (lo hanno già fatto, era uno spot Citroén con Carl Lewis). 0 mostrassero "se non preferiscono le mie, giuro che mi faccio boy scout" (anche qui è già stato fatto. Era uno spot per Essere di Barilla).

3. E il confronto, se ci badate bene, non è tra il prodotto e i valori della persona, ma tra merce e merce. La protagonista rinuncia a tutte le altre merci pur di avere la merce Breil. Offensivi per la dignità umana? Semmai offensivi per mutande, reggiseno, collant e compagnia bella.

4. E attenzione a strillare ogni volta che vedete una donna nuda alla femminilità offesa. Perché sempre in Breil c'è anche un soggetto con un

uomo nudo. E Ray Ban, in una campagna quasi identica, vede un bel ragazzo pronunciare la famosa alternativa: 0 Ray Ban o morte.

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Uno spot è solo uno spot?

Uno spot non viene mai preso alla lettera da nessuno che sia capace d'intendere e di volere.

Questo tuttavia non toglie che chi li fa debba sentirsi autorizzato, nascondendosi dietro il dito delle ricercate esagerazioni, a usare la licenza che vuole.

Anche perché alla fin fine queste esagerazioni hanno dei costi notevolissimi per l'intera collettività, per cui, in un modo o nell'altro, van prese sul serio.

Credo che i ragazzi abbiano tutti i diritti di pretendere maggiore serietà da parte delle agenzie pubblicitarie, soprattutto maggiore informazione e maggiore creatività.

Sì, anche maggiore creatività, perché usare delle donne nude per vendere prodotti fa comunque parte di uno stile di vita a dir poco degradante.

E se uno non comprende la differenza tra l'espressione ammiccante "Toglietemi tutto ma non il mio Breil" (detto da una donna nuda) e un'ingenua espressione come "Se non è così, mi faccio frate" (detta da Carl Lewis nello spot Citroen), è meglio che cambi mestiere.

Altrimenti come faremo noi insegnanti a parlar bene della pubblicità quando chi la fa mette sullo stesso piano la Breil con le favole di Esopo o le parabole dei Vangeli?

Quanto poi alle giustificazioni pseudo-etiche addotte da E. Pirella, secondo cui nello spot Breil "il confronto non è tra il prodotto pubblicizzato e i valori della persona, ma tra merce e merce, in quanto la protagonista rinuncia a tutte le altre merci pur di avere la merce Breil", vien quasi da sorridere.

Nello spot si vedono solo due merci: la donna e l'orologio, e non è l'orologio che dice: "Toglietemi tutto ma non la mia donna".

21 Jan 98

Giuseppe

Cari Amici

(...)

Rispondo anche a Dario che mi sembra stia facendo un ottimo lavoro, con Smonta lo Spot.

Condivido l'opinione di Paolo sulla pubblicità, ma mi sembra che Dario stia svolgendo un lavoro di sensibilizzazione sul problema della pubblicità, che è per molti versi la croce della nostra società, ma anche il suo motore.

Personalmente ho scritto la mia opinione più volte, non amo la pubblicità, specialmente per i mezzi subdoli con cui è propinata ai più deboli.

22 Jan 98

Nello

È evidente l'allusione a ciò che la ragazza indossava; spogliatela pure, vi guarderà con occhi libidinosi, ma lasciatele il suo orologio...

Pirella, ma mi faccia il piacere!!!

Certo la mercificazione del corpo è un mestiere antico, come la pedofilia, ma perché la telecom ha dovuto di corsa cambiare la sua pubblicità alle linee isdn ,con l'immagine innocente della bambina giapponese che compariva sul monitor, sotto la pressione delle critiche , ed invece si dovrebbe accettare una simile proposta pubblicitaria?

misteri dell'etica

26 Jan 98

Ornella

Sono una dottore di ricerca in Pedagogia e faccio parte del gruppo di ricerca del Laboratorio di Tecnologie Audiovisive dell'Università Roma Tre (prof. Maragliano). La mia tesi di dottorato s'intitolava Comunicazione pubblicitaria e azione didattica. Da quel lavoro è venuto fuori un libro più (ovvero libro + floppy) targato La Nuova Italia intitolato Tele di Penelope. Sottotitolo: La pubblicità e il sapere ipertestuale. Insomma un po' ci capisco dell'argomento, ma normalmente evito come la peste l'intervento in alcun tipo di dibattiti sulla pubblicità. Sono allergica al moralismo facile. È buffo pensare all'improbabilità di un accordo pur minimo tra chi la pratica e chi la giudica male. In questo campo i tanto temuti pubblicitari non hanno nessuna possibilità di convincere chicchessia. Alla faccia del loro potere tanto sbandierato!

Questa volta, tuttavia, esco dal mio silenzio stimolata dalla penna simpatica, colta e intelligente di Emanuele Pirella. Ecco qui, per ora, qualche piccola riflessione.

1. Mi domando come e perché il nudo in pubblicità fa continuamente gridare alla dignità offesa [RT1]?

A me personalmente non mi pare un gran trovata usarlo tanto, in ogni caso mi irrita molto di più un Chiambretti che solleva la gonna di quella simpatica sederona di Valeria Marini (do you remember Sanremo 1997?)

2. Difficile, direi impossibile, per di più scorretto, prendere in considerazione di uno spot elementi separandoli forzatamente. Uno spot è un vero e proprio "amalgama tattile" nel quale la storia è messa in scena globalmente. Nel caso dello, anzi degli, spot Breil (almeno di quelli che mi ricordo) la scelta del bianco e nero, il ritmo avvolgente della ripresa e del montaggio, rende il tutto seduttivo ma non volgare, anzi, direi melodrammatico. Lo spot vecchio con Monica Bellucci (ragazzi, ma come si può parlare di dignità femminile offesa di fronte a tanta bellezza? Siamo onesti, senza falsi pudori) lo trovavo molto elegante. E perché, quello del matrimonio, stile Il laureato, con lui, lei e l'altro che arriva e rapisce la sposa, non era bellissimo?

3. Io credo che dovremmo pensare di più al fatto che, essendo noi "umani" "scimmie nude" abbiamo tutti bisogno di vestirci, oltre che di cose necessarie anche e soprattutto di simboli. Tutti noi, per non sentirci nudi, ci vestiamo di simboli-merce. Anche quando andiamo in giro con l'eskimo (altri tempi ma uguale processo) o con i jeans strappati parliamo a noi stessi e agli altri in modo simbolico. È la stessa differenza che passa tra un semplice hamburger e uno firmato Mac Donald. Forse fanno schifo tutti e due, ma è di questo, del valore all'origine di una merce che dovremmo forse sforzarci di parlare (ci provò Grillo, ad esempio).

Per il resto mi sembra giusto discutere di buona e cattiva pubblicità, non tanto esprimendo giudizi di carattere morale, ma piuttosto estetico-comunicativo. Io sono convinta che l'estetica comunicativa, se è frutto di intelligenza, sensibilità artistica, capacità di intreccio di codici e di armonia narrativa, esprime a sua volta un'etica dell'equilibrio, del rispetto, della leggerezza e dell'ironia.

4. Infine, un piccolo appello alla tolleranza: perché offendere per difendere le proprie opinioni? Perché definire "pseudo-etiche" quelle di un interlocutore disposto al confronto?

26 Jan 98

Enrico

Ornella:

>Sono allergica al moralismo facile.

Di questi tempi lo siamo tutti...

>È buffo pensare all'improbabilità di un accordo pur minimo tra chi la pratica e chi la giudica male.

Infatti, penso anch'io che non ci sia alcuna possibilità....

>In questo campo i tanto temuti pubblicitari non hanno nessuna possibilità di convincere chicchessia. Alla faccia del loro potere tanto sbandierato!

Purtroppo l'enorme potere dei pubblicitari riesce a influenzare tantissima gente, non foss'altro che per una ragione: la stragrande maggioranza della gente dice di non accorgersi neppure della pubblicità volgare...

>1. Mi domando come e perché il nudo in pubblicità fa continuamente gridare alla dignità offesa?

Non è il nudo che offende, ma la sua strumentalizzazione a fini commerciali. Tant'è che il nudo di per sè non viene mai usato senza un'attinenza alla sessualità... Il sesso viene usato per il business e in una maniera sempre più volgare, al punto che il limite che separa certi spot dalla pornografia è quasi scomparso. In tal senso gli spot peggiori mi sono sembrati quelli inerenti alla moda... In un altro senso però ho ritenuto ancora più offensivi quelli che strumentalizzano situazioni di disagio sociale...

>2. Nel caso dello, anzi degli, spot Breil (almeno di quelli che mi ricordo) la scelta del bianco e nero, il ritmo avvolgente della ripresa e del montaggio, rende il tutto seduttivo ma non volgare, anzi, direi melodrammatico.

I miei ragazzi hanno commentato semplicemente una foto (con relativo headline) presa da un mensile, che tu puoi vedere in http://www.edscuola.com/spot.html

Foto e headline erano abbastanza espliciti. Altre foto di contenuto analogo (p.es. della Swatch) sono sicuramente peggio.

>Lo spot vecchio con Monica Bellucci (ragazzi, ma come si può parlare di dignità femminile offesa di fronte a tanta bellezza? Siamo onesti, senza falsi pudori) lo trovavo molto elegante.

Vedi, qui non è in discussione il primato della bellezza femminile su quella maschile, o il fatto che l'esibizione della bellezza (femminile o maschile) di per sè non può essere offensiva di nulla.

Qui è in discussione il fatto se per pubblicizzare un prodotto sia necessario servirsi della bellezza in riferimento all'attività sessuale. L'abbinamento bellezza (specie femminile)=sessualità è tipico dei pubblicitari. È questa forzata equazione che poi porta a erotizzare qualunque prodotto (dallo yogurt della Muller a una semplice macchina da caffè).

>3. Io credo che dovremmo pensare di più al fatto che, essendo noi "umani" "scimmie nude" abbiamo tutti bisogno di vestirci, oltre che di cose necessarie anche e soprattutto di simboli. Tutti noi, per non sentirci nudi, ci vestiamo di simboli-merce.

È vero, ci vestiamo di "simboli", ma perché di "simboli-merce"? e perché questi simboli-merce debbono assolutamente evocare il "piacere"? e perché questo piacere deve per forza avere un riferimento (più o meno esplicito) alla "sessualità"? Possibile che dei pubblicitari laureati, danarosi, con tanti anni di esperienza, siano anche così poveri di idee, così monotoni e ripetitivi? Che razza di vita vive questa gente? Sembrano tutti frustrati, guardoni, maniaci o con problemi di tipo adolescenziale...

>È la stessa differenza che passa tra un semplice hamburger e uno firmato Mac Donald. Forse fanno schifo tutti e due, ma è di questo, del valore all'origine di una merce che dovremmo forse sforzarci di parlare ...

Bene, parliamone... Ma il valore di una cosa è forse determinato solo dal suo prezzo?

>Per il resto mi sembra giusto discutere di buona e cattiva pubblicità, non tanto esprimendo giudizi di carattere morale, ma piuttosto estetico-comunicativo.

Infatti, è proprio questo che vogliono i pubblicitari. Ma noi viviamo nella scuola, non possiamo scindere i due aspetti... Uno spot non è solo uno spot, ma una pseudocultura, un disvalore...

>Io sono convinta che l'estetica comunicativa, se è frutto di intelligenza, sensibilità artistica, capacità di intreccio di codici e di armonia narrativa, esprime a sua volta un'etica dell'equilibrio, del rispetto, della leggerezza e dell'ironia.

Ok, da una buona estetica può anche nascere una buona etica: ma perché questo nella pubblicità commerciale non avviene o avviene sempre meno? Perché una volgarità così accentuata, così gratuita?

>4. Infine, un piccolo appello alla tolleranza: perché offendere per difendere le proprie opinioni? Perché definire "pseudo-etiche" quelle di un interlocutore disposto al confronto?

Perché ti pare che uno che mette sullo stesso piano la frase della Breil con le fiabe e le parabole del vangelo, abbia una concezione etica della vita?

26 Jan 98

Giorgio Triani

Marco:

>Sono Marco (...)

Qualche consiglio per gli usi (e non per gli acquisti) di Smonta lo spot?

Eviterei anzitutto approcci ideologici, per intenderci sia «da apocalittici», da detrattori furiosi, sia da «integrati», da entusiasti cantori della pubblicità.

E terrei una rotta, se mi si passa il termine, pedagogica. Ovvero intesa a smontare la macchina pubblicitaria, con cognizione del suo insieme e via via dei singoli pezzi e dei modi con i quali essi interagiscono e funzionano.

Prima della critica, doverosa, alle funzioni della pubblicità, bisogna familiarizzare con i contenuti, le tecniche e i linguaggi che le sono propri.

E ciò è particolarmente necessari o, oserei dire indispensabile, se il discorso si svolge all'interno del mondo della scuola, dove appunto in ogni ordine e grado non ci si occupa di «educazione ai media». Considerato anche che quando si parla di pubblicità, così come di tv, sono forse più ingenui insegnanti e genitori, dei rispettivi studenti e figli, nel supporre i primi che i secondi siano delle vittime indifese.

Mentre in realtà credo che giovani e giovanissimi, proprio perché nati e cresciuti a Nutella e consigli per gli acquisti, in quantità industriali, siano in qualche modo vaccinati all'enfasi, alla perfidia e alla stupidità dei medesimi.

27 Jan 98

Paolo

>Giorgio:

>Mentre in realtà credo che giovani e giovanissimi, proprio perché nati e cresciuti a Nutella e consigli per gli acquisti, in quantità industriali, siano in qualche modo vaccinati all'enfasi, alla perfidia e alla stupidità dei medesimi.

A proposito di mettermi in guardia da vane speranze, mia nonna mi diceva che lo struzzo per evitare il pericolo mette la testa sotto la sabbia sperando così che nessuno lo veda....

Sperare che i giovani siano in qualche misura vaccinati dagli SPOTS anziché esserne stati abbondantemente condizionati non è neppure una questione di speranza ma di evidenza palese.

Il condizionamento infatti è proprio quello a cui mira uno spot.

Recentemente in USA dove si fa una battaglia contro il fumo i produttori di sigarette hanno pubblicizzato un carone animato per bambini dove i cartoons fumano a squarciagola ... ma tale subdola reclame non la hanno certo realizzata per "vaccinare i bambini dagli spots".

Il vaccino contro le idee stupide non è sinceramente pensabile, caso mai si può parlare di un fenomeno di saturazione cerebrale della informazione ripetitiva.

Non è un caso che per evitare la saturazione mentale le reclami e gli spots attuano un continuo e costante rinnovo di immagini e criteri di comunicazione e in ciò risiede la creatività dei pubblicitari che sanno bene come sia necessario rinnovare e cattuare continuamente la attenzione dell' ascoltatore.

I bambini debbono essere educati a capire il mondo in cui vivono e non solo cresciuti a nutella.

Con ciò credo che l'idea di "smontare lo spot" promossa da Dario Cillo & C. sia valida, sempre che non si pensi allo spot in sè, ma a proteggere dagli spots l'intelligenza critica e creativa del bambino.

28 Jan 98

Enrico

Giorgio:

>Eviterei anzitutto approcci ideologici (...)

Sapevamo che l'Università viaggia nell'astrazione dei concetti puri.

Sapevamo anche che l'Università, bisognosa continuamente di fondi privati, non può permettersi il lusso, come appunto in questo caso, di mettere alla berlina i grandi pubblicitari.

Ancora però non sapevamo -e di questo dobbiamo ringraziare un docente universitario: Giorgio Triani, che per accorgerci delle volgarità a sfondo sessuale presenti nella pubblicità, la scuola italiana avesse bisogno, preliminarmente, di far corsi accelerati sulla comprensione del linguaggio e delle tecniche comunicative dei media.

Certo, noi docenti, non avendo nei nostri programmi ministeriali (obsoleti quanto mai), l'obbligo di affrontare in maniera critica l'ideologia sottesa ai mass-media, siamo anche così sprovveduti da trovarci del tutto impreparati ad affrontare un argomento del genere.

Anzi, siamo così ligi ai suddetti programmi che non riusciamo neppure a capire che attraverso i media si veicola un linguaggio e un modus vivendi che sfrutta la sessualità, la donna, la credulità infantile, la superstizione e persino le situazioni di disagio e oppressione al semplice fine di reclamizzare prodotti commerciali.

Grazie di questa illuminante lezione: ora ci mettiamo a studiare i segreti dello spot e vedrete che alla fine, quando li avremo capiti ben bene, non ci scandalizzeremo più di nulla. Volteremo pagina o cambieremo canale con la stessa indifferenza di chi non compra alcun quotidiano perché li ritiene tutti uguali: ciechi e vuoti.

Che libidine pensare ai nostri figli che, "vaccinati all'enfasi, alla perfidia e alla stupidità degli spot", se ne stanno lì a digerire tranquillamente - come fosse la cosa più naturale di questo mondo - la propaganda del narcismo, del guardonismo, della pornografia subliminale e di tutte le altre volgarità di cui i grandi pubblicitari, con le loro grandi lauree e i loro potenti mezzi, sono capaci.

Forza colleghi, fatevi sentire! Altrimenti ci dicono che la scuola non c'entra niente con la vita ...

28 Jan 98

Enrico

Cari Colleghi,

mi sono letto la risposta di Gavino Sanna su Italiaoggi di oggi al commento che alcuni ragazzi del mio Istituto hanno fatto a due spot di Casadei, dove appaiono due donne nude che, coperte con una pennellata di censura, reclamizzano degli stivali.

Mi sbaglierò, ma ho avuto l'impressione che gli studenti vengano presi in giro.

Gavino Sanna si meraviglia della proposta di usare un animale al posto di una donna nuda. Non solo, ma non riesce a capire perché usare un animale (nella fattispecie un gatto con gli stivali) per reclamizzare un prodotto del genere.

Come se l'uso degli animali fosse del tutto inconsueto negli spot che si riferiscono agli umani!

Come se per vendere stivali si fosse costretti a essere realistici invece che favolistici!

Come se fosse realistica una donna nuda vestita solo di stivali!

Eh, questi pubblicitari, che invocano il realismo contro la fantasia e che poi trasformano la "loro" realtà in un'indecenza surreale...

Le proposte dei ragazzi -dice ancora Gavino Sanna- "invece di partire dall'essenza della pubblicità [e qual è questa "essenza"? quella di stupire a qualunque prezzo, usando qualunque mezzo?], si pongono unicamente come alternativa a un discorso volgare".

Già, scusate se è poco.

Come siamo indietro nelle scuole! Ancora ci poniamo il problema del rispetto della dignità, del buon costume, della morale pubblica...

Ma di cosa stiamo parlando?

Invece di dare per scontata la volgarità, ci preoccupiamo di trovarle un'alternativa?

29 Jan 98

Enrico

Cari Colleghi interessati al fenomeno della pubblicità e che seguite l'iniziativa in corso col giornale Italiaoggi, eccovi il riassunto di un art. datomi da una studentessa. È tratto dalla rivista "Psicologia" (n. 142/97) ed è di F. Di Maria e G. Lavanco, <Donne delle loro brame>.

Gli autori si chiedono se la pubblicità commerciale, quando usa il corpo della donna, non sia caratterizzata da una vera e propria "pornografia subliminale" ("Caporetto culturale").

Il fenomeno sta dilagando (in tutti i media), e stiamo assistendo a una sorta di "dogmatica applicazione di un <sentire comune> che sull'immagine della donna gestisce un <pensiero già pensato>".

In che senso? Un pensiero già pensato ("altrove": in questo caso dal pubblicitario) è una rappresentazione mentale che tende a fornire al consumatore la semplice acquisizione del pensiero da replicare, senza che ciò comporti alcuna fatica riflessiva, proprio perché si ha la pretesa di trasmettere uno stereotipo, anzi un pregiudizio.

Le due cattedre di Teoria e tecniche della dinamica di gruppo e di Psicologia di comunità dell'Università di Palermo (Dario perché non contattarli?) hanno costatato, in un loro recente studio, il suddetto fenomeno.

Ultimamente la pubblicità è diventata volgare e aggressiva perché è sempre più determinata da leggi della concorrenza molto dure. Al punto che non si limita più a registrare pregiudizi e comportamenti, ma li produce.

Da tempo la persuasione non è più occulta ma palese. Il "valore" viene coscientemente distrutto dal "valore promozionale".

Un esempio. La pubblicità degli anni '80 sull'igiene intima aderì allo stereotipo sociale secondo cui la donna è "più sporca" rispetto all'uomo.

L'acquisto in massa dei relativi prodotti ha messo in crisi questo stereotipo: se le donne usano tali prodotti, non possono più essere "sporche".

Ecco allora veicolato il nuovo valore promozionale: non più "pulirsi" ma "prendersi cura" (esteticamente) del proprio corpo (cosa che poi si è trasmessa anche agli uomini).

Gli articolisti concludono dicendo che esiste una "collusione" non tanto fra donne destinatarie della pubblicità e pubblicitari, quanto piuttosto fra questi e gli uomini in generale.

La collusione è appunto sull'idea stereotipata di come la donna dovrebbe apparire ai loro occhi, cioè di come essi vorrebbero le donne nel loro immaginario.

Il corpo della donna appartiene sempre meno alla realtà dei vissuti e sempre più all'immaginario delle apparenze.

Ma c'è di più e di peggio. poiché la realtà sociale viene percepita in forma sempre più alienante, il pubblicitario offre all'uomo-consumatore (proponendogli contesti difficilmente raggiungibili) l'idea che l'illusione sia meglio della realtà.

Quindi non esiste solo un pregiudizio sulle donne, ma anche sugli uomini, cioè sul loro modo evasivo di rapportarsi alla realtà e quindi sul loro modo di rapportarsi alla donna.

Questo può portare a sentirsi continuamente inadeguati nei confronti di quelle illusioni, a cercarne sempre di nuove, a sentirsi sempre più frustrati.

Un rapporto frustrato nei confronti della donna -così i due articolisti concludono- è l'anticamera dell'omosessualità maschile.

Discutete di queste cose coi ragazzi e riferite in lista.

02 Feb 98

Ornella

Reagisco agli stimoli proposti da Marco e Giorgio:

Più che forum solitamente quelli sulla pubblicità mi sembrano "ring". Per questo ricevo con piacere l'invito di Giorgio a non cadere nella trappola degli opposti schieramenti: apocalittici contro integrati. I primi nascosti dietro lo scudo della morale, i secondi brandendo la grammatica specialistica. E sono d'accordo con Enrico Ghezzi quando a proposito della televisione afferma paradossalmente: "Io credo che un po' apocalittici lo si debba essere davvero". E io mi sento apocalittica quel tanto che mi fa essere per una parte dalla parte di Morosini e per una parte no.

Io studio e lavoro con la pubblicità ormai da parecchio tempo, e convivo intensamente la contraddizione di essere, allo stesso tempo, un'appassionata di comunicazione pubblicitaria, una "riciclatrice" tenace e una boicottatrice convinta.

Ho smesso di mangiare il panettone Motta quando mi sono accorta che è della Nestlè, responsabile da anni della diffusione di latte in polvere nei paese dell'Africa centrale.

Eppure, quando ho acquistato la mia Ka ho scelto solo quella di quel colore perché...mi piaceva.

Sono convinta che il problema sia a monte: nei meccanismi frenetici e impietosi della produzione industriale, nell'offerta di merci spesso inquinate o inquinanti, di prodotti a bassi prezzi garantiti dalla fatica di milioni di poveri del pianeta, nei processi di produzione incurantemente consumatori di risorse naturali.

E i consumatori consumano per lo più ignari, e i pubblicitari, che del mercato e della società sono lo specchio (più o meno deformante), o ignari o furbi vivono del loro lavoro.

Come immergersi in questa contraddizione senza annegare? Sparare letame sui pubblciitari non mi sembra una pratica particolarmente utile (a meno che la pubblicità in questione non sia brutta e su questo concetto mi piacerebbe continuare a ragionare insieme).

Piuttosto, denunciare le strategie produttive delle aziende, i grovigli societari delle multinazionali, le qulaità reali delle merci, questo sì, è utile e irrinunciabile. Quando Grillo fece il suo spettacolo-denuncia in televisione, una mia amica "creativa" mi disse: "Ben vengano cose come queste se servono a fare pubblicità migliore". Infatti, dopo poco tempo scomparve dalla circolazione il bruttissimo spot di Atlas lavatrice con i biologi in canoa.

Concordo poi con Marco nel rifiuto dell'equazione necessaria: + produzione= + offerta= + benessere= + pubblicità. Penso anche, però, che si può dare allo slogan che cita un'altra interpretazione. E mi fermo a due considerazioni:

1. la pubblicità è fondamentalmente attività di informazione: ce lo dice anche l'etimologia del termine. I villaggi globali nei quali viviamo sono così rumorosi, così specifici, così individuali, che per forarne l'esclusività non si può fare a meno della circolazione delle informazioni sull'esistenza delle cose. E questo è un campo di attività assolutamente irrinunciabile soprattutto perché, a mio avviso, c'è sempre più bisogno di professionisti seri e colti della comunicazione pubblica (e -citaria). Per quanto mi riguarda, e questo è un altro dei temi che mi piacerebbe approfondire, sono convinta che comunicazione e formazione siano due percorsi da sovrapporre.

2. Una tendenza sempre più diffusa è la trasformazione della produzione di massa (indifferenziata e quantitativa) in produzione di massa personalizzata - la chiamano mass customisation - (differenziata e qualitativa). Il caso dell'industria automobilistica da questo punto di vista è esemplare. Tenendo conto di questi elementi, il senso dello slogan citato da Morosini si riferisce a fenomeni abbastanza diversi e in buona parte nuovi rispetto al vecchio adagio stile anni del boom economico.

Mi pare.

04 Feb 98

Enrico

Marco Testa, in Italiaoggi (03/02) ha dato due risposte a Davide: una affrettata e l'altra fantasiosa.

Nella prima ha detto che la "pubblicità subliminale" non esiste.

Non so chi di voi sia andato a vedere i commenti che i ragazzi del mio Istituto hanno fatto a vari spot della pubblicità cartacea.

Sono davvero tanti quelli che trasmettono, in maniera subliminale (ovvero subdola), messaggi riguardanti un certo modo (volgare) di considerare il sesso in generale e la donna in particolare.

Il messaggio fondamentale di uno spot è quello economico: vendere il prodotto. Lo sappiamo tutti.

Sappiamo anche che per vendere si usano varie situazioni, occasioni, pretesti ecc. (tra questi, quelli correlati alla sessualità praticamente si sprecano).

Dov'è dunque la pubblicità subliminale?

Ma è proprio nella concezione della donna che hanno questi pubblicitari maschilisti: una donna sempre disponibile, che facilmente si vende, si mette in mostra, si esibisce in performances per il sollazzo di maniaci e guardoni. Una donna che sostanzialmente vive solo in funzione del "macho". (Indirettamente quindi esiste una pubblicità subliminale anche nei confronti di una certa immagine di "uomo").

Qui siamo in presenza, se vogliamo, di una sorta di "pornografia subliminale", nel senso che il limite che separa certi spot dalle scene hard è pari alla semplice differenza esistente tra implicito ed esplicito.

Quanto alla seconda risposta, una frase m'ha colpito: "I consumatori di oggi sono molto più maturi, esperti e consapevoli anche grazie alla pubblicità".

Se la frase non fosse apologetica, verrebbe da pensare che sia ironica (l'avrei considerata seria se Testa si fosse riferito alla Pubblicità Progresso).

Se l'avessa detta Beppe Grillo, avrei poi dovuto aspettarmi una battuta finale, del tipo: "Infatti le persone mature, esperte e consapevoli sono velocissime a cambiare canale". "Infatti, grazie alla pubblicità, le persone mature oggi preferiscono acquistare prodotti non reclamizzati".

E così via.

Sinceramente parlando ho sempre più l'impressione che questo dialogo tra docenti e pubblicitari non stia portando da nessuna parte.

Cioè mi sembra che i pubblicitari siano come il serpente dell'Eden che, al cospetto dell'Adamo peccatore, continua a dirgli d'aver fatto un affare, nonostante la realtà dimostri il contrario, a mangiarsi quel frutto proibito.

04 Feb 98

Claudio

Sono costernato dall'intervento dell'amico Enrico perché cade in un grave equivoco realtivo alla pubblicità subliminale che confonde con pubblicità subdola.

La pubblicità subliminale è quella forma di persuasione occulta consistente in immagini e voci di brevissima durata che, pur non essendo percepite coscientemente dagli spettatori, sono tuttavia in grado di agire nel loro subconscio.

Faccio un esempio: in un film di Walt Disney qualcuno si è divertito a mettere Pocahontas nuda, ma alla velocità di trasmisione della pellicola nessuno ha potuto accorgersene. E questo non era nemmeno pubblicità subliminale con l'intento di agire sul subconscio dei piccoli spettatori ma solo uno scherzo dei disegnatori della Walt Disney. In altri film Usa, e non in Italia dove si rischia la galera per una cosa del genere,anni fa è stata utilizzata questa forma di pubblicità occulta. Cosa che non si è verificata negli spot in quanto lì la pubblicità non ha bisogno di essere subliminale perché il suo fine è già palese. I tuoi allievi, caro Enrico, non potrebbero mai scoprire una pubblicità subliminale nel senso proprio del termine.

La pubblicità subdola è tutt'altra cosa. È subdolo, se vuoi, legare il successo nella vita al bere una certa marca di whisky. Ti ricorda nulla?

Vedi, dunque, come l'iniziativa Smonta lo Spot sia utile per fare chiarezza in un mare di confusione terminologica, anche tra molti insegnanti.

Prima di attribuire incompetenza a dei seri professionisti, crecherei di informarmi meglio chiedendo loro spiegazioni. Altrimenti è come avere la presunzione di insegnare a un medico la cura più adatta a te.

05 Feb
98

Enrico

Sul n. del 5 c.m. di Italiaoggi il dir. creativo Maurizio d'Adda ha risposto ad alcuni commenti dei ragazzi del mio Istituto a proposito della mercificazione di sesso, donna e corpo umano nello spot.

Devo purtroppo constatare che persiste l'atteggiamento di sufficienza e ironia che questi pubblicitari stanno assumendo nei confronti di un lavoro tutt'altro che banale.

Gli studenti non vogliono fare i "moralisti", ma semplicemente sottolineare che l'accostamento di ormai qualunque prodotto al sesso (specie quello femminile) è cosa del tutto gratuita.

Gli studenti non stanno dicendo che la mercificazione suddetta sia "eccessiva" -come vuole d'Adda-, ma piuttosto che è ora di finirla con qualunque tipo di "mercificazione" delle persone (di cui quella "sessuale" è senza dubbio la più usata).

E a questa mercificazione occorre sottrarsi anche quando è in gioco il "corpo umano", poiché non ha senso sostenere -come fa d'Adda- che per tutti quei prodotti che riguardano il corpo è impossibile non metterlo in mostra nella pubblicità. C'è modo e modo di metterlo in mostra.

Il fatto poi che la pubblicità giustifichi la propria mercificazione col pretesto che questa è già presente nelle copertine di vari giornali o nelle canzoni, nei film, nel varietà televisivo, mi conferma, ancora una volta, quanto siano distanti la scuola da chi nella società pensa unicamente al business.

Quanto ai consigli di d'Adda, di "andare in edicola per rendersi conto del panorama editoriale", mi pare che se il "panorama" è di questo genere, forse non andarci è meglio.

E forse è anche meglio smetterla di acquistare prodotti reclamizzati in una certa maniera.
19 Feb 98

Dario

Convegno ''Smonta lo Spot''

Il 20 febbraio 1998 alle ore 15,30, presso la 'Sala Leonardo' della Fiera di Milano, nell'ambito del Salone dello studente, si svolge il convegno:

"Smonta lo Spot. Come i giovani vivono il linguaggio pubblicitario".

Partecipano:

  • Dario Cillo, direttore responsabile di Educazione&Scuola,
  • Maurizio D'Adda, direttore creativo Agenzia D'Adda, Lorenzini, Vigorelli,
  • Edoardo De Carli, Liceo "C. Beccaria" di Milano, con gli studenti del corso H,
  • Anna Maria Fanzini, Liceo "G. Carducci" di Milano, con gli studenti del corso C,
  • Dario Generali, ITP "C. Correnti" di Milano, con gli studenti del progetto,
  • Marco Testa, presidente e amministratore delegato dell'agenzia A. Testa,
  • Giorgio Triani, sociologo, docente all'Università di Parma,
  • Federico Unnia, esperto in giurisprudenza pubblicitaria.

Modera il dibattito Fabiana Giacomotti, responsabile delle pagine 'Media e Pubblicità' di ItaliaOggi.

20 Feb 98

Enrico

Claudio:

>Sono costernato dall'intervento dell'amico Enrico perché cade in un grave equivoco realtivo alla pubblicità subliminale che confonde con pubblicità subdola.

Intendevo usare l'aggettivo "subliminale" nel senso traslato degli esperti universitari citati dalla rivista "Psicologia" (n. 142/97), di cui ho già parlato... Gli autori si chiedono se la pubblicità commerciale, quando usa il corpo della donna, non sia caratterizzata da una vera e propria "pornografia subliminale".

Tutta la pubblicità in realtà è subdola, per definizione, per antonomasia... Il fatto stesso di usare uno strumento persuasivo per indurre qualcuno ad acquistare qualcosa, implica, se vogliamo, una truffa virtuale, un inganno potenziale. Naturalmente con gradazioni e sfumature diverse... Dal punto di vista morale è così. Poi ci sono le questioni giuridiche vere e proprie, quando la truffa implica un danno materiale, ma queste vengono in un secondo momento, poiché esse danno per scontata un'azione che di per sé non dovrebbe essere considerata tale. Infatti la pubblicità a fini commerciali non è sempre esistita. Per il mezzo millennio dell'alto Medioevo non si sapeva cosa fosse e probabilmente nessuno ne aveva mai sentita l'esigenza. La pubblicità nasce con lo sviluppo del mercato. Lo sappiamo tutti.

Ho voluto accostare i termini "pubblicità" e "subliminale" proprio per distinguerla dalla semplice pubblicità "subdola", che è quella che lega due cose molto diverse (p.es. sesso e orologio). Se l'aggettivo "subliminale" viene inteso in senso non tecnico ma figurato, ci si accorgerà che la suddetta pubblicità si presenta ogniqualvolta, legando due cose apparentemente assurde (p.es. sesso e orologio), si veicola un messaggio che non c'entra niente neppure col prodotto reclamizzato: in questo caso la Breil, la Swatch, la Casio, l'Oregon sono spot che invitano l'utente a concepire il tempo (scandito appunto da un orologio) in funzione del piacere sessuale. Questo principio (meta-fisico) non c'entra niente con l'orologio in sé, anzi si può dire che in un certo senso gli spot siano due: uno propriamente commerciale, l'altro esistenziale, anzi ontologico. I pubblicitari, nel caso delle marche di orologi, non hanno solo la pretesa di voler persuadere ad acquistare un prodotto, ma anche quella d'insegnarti a vivere il tuo tempo libero.

"Il modello persuasorio della pubblicità - dice Bruno Ballardini - è per sua natura un modello totalizzante e violentemente pervasivo e il suo abnorme sviluppo è funzionale alla sua reale efficacia".

In questo senso penso che come insegnanti dovremmo addestrarci molto di più (anche insieme ai nostri ragazzi) a cercare ogni possibile forma di boicottaggio.

24 Feb 98

Davide

Volevo comunicare una bella notizia:

OGGI ORE 13,55, NELLA TRASMISSIONE MEDIAMENTE SU RAI 3, QUATTRO MINUTI DI RECENSIONE SU "SMONTA LO SPOT" E SU EDUCAZIONE&SCUOLA.

ECCELLENTE IL GIUDIZIO DA PARTE DI CARLO MASSARINI, CONDUTTORE DELLA TRASMISSIONE SUL SITO Educazione&Scuola e sull'iniziativa "Smonta lo Spot".

27 Feb 98

Giorgio Triani

Urlo Omicida

Deficienti ossessionati dallo sporco

Credo che le cose pubblicitarie più orribili le offra il settore dei prodotti per la casa, giusto per riprendere uno dei temi dell'incontro con gli studenti tenutosi la settimana scorsa alla Fiera di Milano nell'ambito dell'iniziativa «Smonta lo spot». Detersivi e prodotti igienici non hanno infatti pari nel rappresentare un mondo che così finto e improbabile non lo si vede nemmeno nei fumetti. Così viene da chiedersi se è il ruolo in quanto tale, ovvero il trasformarsi in donna ma ormai anche in uomo di casa (casalinga-casalingo), che trasforma una persona normale in un mezzo deficiente ossessionato dallo sporco, oppure se i pubblicitari e ancor prima il management dell'industria del bianco continuino a coltivare un'idea vecchia, pregiudizievole del consumatore. Ritenuto una sorta di selvaggio o comunque un regrediente, anche a livello antropologico (avete presenti le facce e i gesti dei protagonisti degli spot?), che va ammansito e convinto a scegliere un prodotto anziché un altro, proponendogli situazioni dichiaratamente assurde, agitando paroloni e formule misteriose quanto improbabili: mezze dive impazzite che spiaccicano pizze sulla tovaglia, campioni di motociclismo che con la moto saltano sul lavello, effetti speciali da superman che entra fisicamente dentro lo sporco, videoanimazioni in cui la didattica dell'igiene perfetta si sposa ad atmosfere da laboratorio ipertecnologico. Tanto che sembra che ci sia da andare sulla luna e non da lavare un paio di piatti o di mutande.

Si è parlato al proposito di una vera e propria ossessione da «bianco più bianco», che per inciso si osserva anche nelle pubblicità dentifricie (che infatti sono al secondo posto nell¹hit parade del peggio pubblicitario). Evidentemente nell'«azione sbiancante» o «effetto neve» (Dash) gioca il profondo, il cui potere sta proprio nel non essere percepita come tale. E forse è addirittura il carattere così palesemente grottesco (in questo caso seduzione e persuasione non hanno nulla di occulto, come invece gli studenti e ancor più i loro insegnanti temono) che inibisce le nostre difese: per un verso enfatizzando l'aspetto eroicomico (del «pulito sì, fatica no» o di piatti e panni che si lavano e rigenerano praticamente da solo), per l'altro nobilitando le funzioni basse del lavoro domestico e soprattutto esaltando il valore dell'igiene e il ruolo di chi vi provvede. È la frustrazione da casalinghitudine infatti l'elemento su cui fa leva la pubblicità. Resta però sempre da chiedersi se le donne, ma ora anche i maschi, di casa siano in realtà stolti come la pubblicità li rappresenta. E il dubbio è atroce, perché in caso affermativo, e lo temo, la pubblicità non sarebbe un velo ma al contrario ci svelerebbe.

27 Feb 98

Giorgio

Pubblicità e sfruttamento

Finalmente c'è un pubblicitario (Gavino Sanna su ItaliaOggi del 18 febbraio) che qualifica il cattivo gusto, la volgarità, e la stupidità di tanti spot pubblicitari, basati sullo sfruttamento commerciale del corpo femminile (ma le femministe non esistono più?).

Prima dell'intervento di Sanna, invece, gli altri pubblicitari avevano sempre risposto alle critiche degli studenti, dimostrando molta faccia tosta nel difendere la pretesa buona fede, innocenza e onestà di qualsiasi immagine volgarmente provocante usata per attirare l'attenzione (e che viene imposta al cittadino, per lo più portata in casa sua dalle televisioni).

Faccio però osservare a Gavino Sanna che non è solo il settore moda che si distingue in questa poco onorevole gara, nella quale, inoltre, il ruolo dei realizzatori non va esente da responsabilità.

La moda, sì, lo fa anche direttamente, quando presenta sfilate dove non si sa (ovvero si vede benissimo) se la merce offerta è il vestiario o le parti anatomiche dell'indossatrice; ma anche altri settori non sono da meno: in questi giorni per acquistare un'autovettura ci viene proposto il totale denudamento, e in precedenza per mesi la pubblicità di un superalcolico (ma non doveva essere proibita?) ci ha mostrato, oltre a due ceffi da galera, il culetto di una ragazza: non casca certo il mondo per due chiappette nude, sennonché la malignità consiste nell'evidenziare come per una donna sia normale uscire senza mutandine.

A scanso di malintesi, intendo precisare che sono di sentimenti e abitudini naturiste: quindi non mi dà alcun fastidio il nudo naturale, al sole, al mare ecc., bensì la sua esibizione per denaro, anzi di più la sua «compera e rivendita».

12 mar 98

Giovanni

Pubblicità non dichiarata

Potreste studiare anche il fenomeno della pubblicità redazionale non dichiarata, cioè per esempio dei telegiornali che pubblicizzano spettacoli o case di moda, di trasmissioni di intrattenimento che pubblicizzano libri o
altro, di spettacoli di fiction che pubblicizzano marche di orologi o di armi (la Colt!), degli striscioni inquadrati durante gli spettacoli sportivi, dei telesport che pubblicizzano spettacoli e personaggi?


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